PLATTAGGIO - I puzzle filatelici


Quel che vedete è un foglio completo di 100 esemplari del francobollo di Sicilia da 5 grana, II tavola, color vermiglio vivo.

Eseguiamo ora un esperimento mentale: muniamoci idealmente di un paio forbici e immaginiamo di separare tutti i 100 francobolli, di creare cioè 100 esemplari singoli con margini il più possibile regolari; poi facimmu ammuina... tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora, chilli che stann' a dritta vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta,  tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso, chi nun tene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a 'll à; e dopo aver mescolato e rimescolato i francobolli... ricollochiamoli nella loro posizione originaria, nel posto che occupavano sul foglio prima di ritagliarlo.

Questa operazione - di riconduzione di un francobollo al suo posto sul foglio originario - si chiama plattaggio, ed è "un classico della filatelia classica", "uno degli aspetti più affascinanti, raffinati ed esclusivi del nostro collezionismo", con le parole di Franco Filanci.

Plattare è il puzzle dei filatelici, un gioco a incastro, divertente e formativo, perché col pretesto di battezzare la posizione del francobollo si finisce con l'esplorarne le caratteristiche rilevanti, così da "capire sempre di più", che poi è l'obiettivo di ogni appassionato, come ricordano Tiziano Nocentini ed Emilio Calcagno, in apertura di un contributo innovativo sui francobolli di Toscana.

Come si fa a plattare un francobollo? Come si risale dall'osservazione del singolo esemplare alla sua collocazione sulla tavola di stampa? Qual è la tradizione, e quale l'innovazione, in materia di plattaggio?




Tutti i procedimenti scientifici si basano su un sistema di ipotesi: "dobbiamo allora esaminare attentamente il ruolo dell'ipotesi" - ci ricorda Poincaré - e analizzare i "vari tipi di ipotesi", per capire quali siano "verificabili" con l'esperienza, quali "utili" a precisare i nostri ragionamenti e quali invece riconducibili "a definizioni o a convenzioni travesite", così da avere a ogni momento la piena consapevolezza della solidità dei risultati raggiunti.

Se il plattaggio è un processo scientifico, allora si può realizzarlo solo subordinatamente a delle ipotesi (di cui si potrà poi indagarne la cogenza). La tradizione filatelica ne fissa due.
 
Ipotesi 1: gli stereotipi (i cliché) sulla tavola dovevano essere stabili, occupare cioè sempre la stessa posizione a ogni processo di stampa.
 
Ipotesi 2: devono essere arrivati sino a noi, se non fogli interi, almeno dei grandi blocchi in quantità sufficiente per avere dei riferimenti sicuri per i confronti.

L'idea di fondo è semplice: i francobolli degli Antichi Stati sono oggetti artigianali, non ne esistono due uguali, e se si esamina ogni francobollo con pazienza si scorgeranno dei dettagli (sbavature o punti di colore, difetti nei bordi o nelle diciture, falle di stampa, ...) caratteristici del cliché che lo ha generato; se poi ipotizziamo che quel cliché non si sia mai mosso dalla posizione occupata sulla tavola, e se abbiamo abbastanza materiale per le comparazioni, allora il gioco del plattaggio in teoria è fatto.

Solo in teoria, però. Perché in pratica, ammesso di soddisfare entrambe le ipotesi, il plattaggio non è mai un'operazione meccanica: un margine tagliato storto, un annullo malefico, una cattiva conservazione, un'inchiostrazione troppo fluida o chissà che altro, possono occultare proprio il dettaglio rivelatore della posizione, cosicché solo un occhio paziente e ben allenato  può sperare di avere qualche chance di successo in questa specializzazione estrema.
 
Ma come si fa - in concreto - a verificare le ipotesi alla base del plattaggio?
 


C'è una tecnica di stampa - la calcografia - con cui l'ipotesi 1 è strutturalmente soddisfatta. Qui non interessa approfondire il tecnicismo calcografico; ci basta sapere che tutti i francobolli degli Antichi Stati prodotti in calcografia provengono con certezza da uno stereotipo che non ha mai cambiato posizione sulla tavola, quindi i francobolli calcografici si prestano più di altri a essere plattati.
 
E quali sono i francobolli calcografici degli Antichi Stati? Quelli del Regno delle Due Sicilie, di Napoli e Sicilia.
 
Il caso dei francobolli siciliani è peculiare. La vulgata riferisce che furono messi progressivamente fuori corso, de facto, dai comitati rivoluzionari sorti a seguito dello  sbarco dei "Mille", nel maggio del 1860. Ma cosa fare delle rimanenze? Sul momento restarono presso gli uffici postali, ma quando le autorità piemontesi subentrarono a Garibaldi, le spedirono in blocco a Torino, dove era già sorto un vivace mercato filatelico. "Alcuni nostri amici, appartenenti a quella che siamo soliti chiamare la prima generazione di collezionisti, i quali abitavano a Torino dal 1860 al '70, ci hanno spesso parlato di quella città come di un Eden filatelico e della grande facilità che vi si aveva allora di ottenere, al solo richiederli a qualche conoscente del Ministero dei Lavori Pubblici, francobolli di parecchi antichi Stati italiani nuovi, fra i quali 'le teste del Re Bomba' erano i più popolari presso i collezionisti vecchi e giovani" - racconta Emilio Diena, nella sua monografia sui francobolli siciliani - "Nessun controllo era esercitato dalla Direzione Generale delle Poste - dipendente allora da quel Ministero - su quei francobolli, e da parecchie persone ci fu ripetuto che essi erano lasciati in balia degli impiegati e del personale di servizio e fors'anche del pubblico. Non restava ormai che si facesse come per certe réclames in alcuni negozii: mettere un cartellino con le parole 'Per favore, prendetene uno' (sottintendi un foglio!). Ma i fatti dimostrarono che il cartellino non era necessario. I francobolli presero il volo ugualmente".
 
Aver mantenuto le rimanenze - per accontentare i collezionisti della prima ora - implicò la creazione e la conservazione di numerosi grandi blocchi, così la contingenza storica andò naturalmente incontro all'ipotesi 2.
 
Non sorprende quindi se il plattaggio fa correre il pensiero ai "Testoni" di Sicilia, le cui ricostruzioni delle tavole vantano oggi la più antica, diffusa e radicata delle tradizioni collezionistiche.     
 
 La ricostruzione delle tavole dell'emissione di Sicilia (manca solo il 20 grana).
Ex Collezione Imperato.

Ogni risultato dipende dalle ipotesi. Ma qual è l'esatta dipendenza? Cosa accade se un'ipotesi viene rimossa o allentata? Qualcosa cambierà nei risultati, ovvio, ma cosa e quanto? Avremo solo piccoli cambiamenti, in proporzione a quanto abbiamo rilassato l'ipotesi, o andremo incontro a uno stravolgimento delle conclusioni?

Cosa accade se - ferma l'ipotesi 1 - si rilassa l'ipotesi 2? Cosa succede, cioè, se  non abbiamo più a disposizione dei grandi blocchi per i confronti?

Il case-study classico è il francobollo della luogotenenza napoletana, cosiddetto Croce di Savoia (o Crocetta).

La Crocetta recepì la tecnica di stampa dei francobolli borbonici del 1858, la calcografia, e quindi soddisfa l'ipotesi 1. Ma la sua breve durata di validità e la distruzione delle rimanenze fanno sì che ben poco materiale sia giunto a noi, per il plattaggio. Esistono sicuramente un blocco di otto (ex Collezione Caspary, attuale Collezione Naddei), una striscia di quattro, una di tre (ex Caspary) e poi alcune coppie, oltre ovviamente agli esemplari singoli (sciolti o su documento). Poco, in senso sia assoluto che relativo.

Emilio Diena identificò le "cento varietà" della Crocetta, fu cioè in grado di censire tutte le cento caratteristiche di stampa necessarie a distinguere una Crocetta dall'altra, ma soltanto per ventisei di esse localizzò anche la posizione. Per altre varietà, invece, individuò la riga o la colonna di appartenenza, e per le restanti, infine, non fu in condizioni di dir nulla.
 
La monografia di Diena è rimasta a lungo l'unico riferimento per l'identificazione e il plattaggio della Croce di Savoia.  C'è voluta l'opera di "uno stimato chirurgo e un abile e preparatissimo informatico", due figure che "non nascono come collezionisti di francobolli" - come ricorda Raffaele Diena nella prefazione al loro volume - per riuscire laddove chissà quanti filatelici avevano fallito, o proprio rinunciato vista la collaudata difficoltà dell'impresa.
 
I due personaggi sono Enzo De Angelis e Mauro Pecchi, e la loro opera è un risultato che li consegna alla Storia della Filatelia.
 
Nella loro avventura c'è stato di tutto, piccoli passi in avanti e improvvise regressioni, brusche accelerazioni e momenti di stasi, in un continuo oscillare tra esaltazione e depressione. A un tratto - per dire - un insieme di conclusioni tutte singolarmente esatte mostrarono la loro drammatica incoerenza quando furono messe assieme: "nessun tipo poteva stare nella prima fila orizzontale", raccontano gli autori, per cui fu ovvio che "qualche macroscopico errore stesse condizionando il nostro lavoro".
 
In questa impresa - che trascende il contesto filatelico, per salire al rango di sfida intellettuale, una sorta di scalata dell'Everest, che si vuol intraprendere non già perché la cima sia un posto confortevole su cui sostare, ma solo per l'estrema difficoltà dell'intrapresa, che gratifica per il sol fatto d'esser stata realizzata - in questa impresa, raccontano gli autori, "[t]utte le ipotesi vennero prese in considerazione" e nessun argomento venne scartato a priori, "anche se ci sembrava assurdo", sino a porre in discussione i dogmi, "a ipotizzare che... vi erano più di 100 tipi di Croce!".
 
"Nonostante qualche successo iniziale, però, i progressi per un lungo periodo furono piuttosto scarsi. Era come se ci fosse qualcosa di non chiaro che non riuscivamo assolutamente a capire. Durante il lavoro emergevano infatti tante piccole difficoltà, ipotesi di lavoro valide, ma costantemente frustrate, incongruenze tra gli esemplari studiati e via dicendo, tanto che dopo un po' di tempo arrivammo a pensare che ci eravamo sbagliati, che la ricostruzione completa della tavola non era possibile e che dovevamo accontentarci di un pur significativo avanzamento nella ricomposizione. La svolta si ebbe in maniera del tutto casuale...".
 
E chi vuol scoprire come finisce la storia, può leggere il libro "Il francobollo da ½ tornese del 1860 'Croce di Savoia' ".

La ricostruzione della tavola della Crocetta, realizzata da De Angelis e Pecchi.
 
Aver allentato l'ipotesi 2 - fare i conti con la scarsità di grandi blocchi - ha implicato una stasi di quasi 80 anni (il lavoro di Diena è del 1929, la prima edizione dell'opera di De Angelis e Pecchi del 2008, e in mezzo c'è il vuoto) come a dire che l'ipotesi 2 è davvero cogente. 
 
Cosa accade, invece, se rimuoviamo l'ipotesi 1?
 
La domanda tradisce un'intonazione provocatoria. Quali possibilità abbiamo di localizzare il francobollo sulla tavola, se lasciamo liberi i cliché di cambiare posizione nel processo di stampa? Nessuna, viene da dire.
 
Ma mostrarsi scettici a tal modo significa ancora essere superficiali - per rubare la parole a Poincaré. Piuttosto che pronunciare una condanna sommaria, e liquidare la questione con un giudizio di impossibilità, dobbiamo esaminare attentamente il ruolo delle ipotesi.
 
La tipografia è la tecnica di stampa che consente (richiede) la rimozione dei cliché dalla tavola, per realizzare le operazioni di ripulitura. Ma nessun operaio si preoccupava poi di ricollocare il cliché ripulito esattamente nella posizione da cui lo aveva prelevato, e in fondo perché avrebbe dovuto? L'obiettivo dell'epoca era molto pratico, semplicemente stampare al meglio i francobolli, e non certo consentire il plattaggio ai collezionisti di un secolo dopo. Una volta ricollocati i cliché ripuliti sulla tavola - in qualunque modo, purchessia - ciò che si doveva fare era stato fatto, e si poteva procedere con un nuovo giro di stampa.
 
Plattare i francobolli tipografici è dunque impossibile, visto che lo stesso cliché possiamo ritrovarlo in posizioni diverse? Calma. Dobbiamo analizzare il ruolo delle ipotesi.
 
Muoviamo da un fatto spesso sottovalutato o addirittura ignorato: poter (dover) spostare i cliché sulla tavola non implicava uno spostamento sistematico a ogni processo di stampa (che anzi, in alcuni casi, era addirittura un'eccezione); "non si è mai tenuto conto del fatto che una singola tavola di stampa ha prodotto moltissime copie di un certo valore", osserva Tiziano Nocentini.
 
Se una stessa tavola produce moltissime stampe, e se sono arrivati sino a noi un numero sufficientemente variegato di fogli interi - in termini formali: se un allentamento dell'ipotesi 1 è più che compensato da un rafforzamento dell'ipotesi 2 - allora esiste la possibilità concreta di seguire i movimenti dei cliché sulla tavola, e quindi di poter plattare (anche se su tavole diverse). 
 
Questa situazione si è creata - a esempio - per il francobollo da 6 bajocchi dello Stato Pontificio: gli stereotipi sono stati spostati, ma la presenza di fogli completi esattamente databili - prima e dopo la ricomposizione della tavola - ha reso plattabili tutti gli esemplari; gli studi in materia hanno poi consentito di plattare la prima emissione del 1852, con la sola eccezione dei valori da 7 e 50 bajocchi.
 
Quando si esamina a fondo il ruolo delle ipotesi - come si vede - emergono dettagli fondamentali per capire esattamente i termini del problema e qualificare le soluzioni proposte.
"Le caratteristiche del processo di produzione adottato a suo tempo,
il lungo periodo temporale in cui i francobolli ebbero la loro validità,
la frammentazione delle consegne del prodotto finito,
hanno fatto sì che in molti casi si abbiano, nello stesso valore,
esemplari molto diversi gli uni dagli altri, quasi a costituire degli 'unica',
e permettono oggi, con una spesa modesta,
di costruire un insieme collezionistico accattivante sotto il profilo della caratterizzazione,
nonché stimolante per tutti gli elementi che devono essere analizzati
al fine di rendere questo tipo di collezione il più completo possibile"
(Antonello Cerruti, Giuliano Padrin)       

E cosa accade se rimuoviamo simultaneamente sia l'ipotesi 1 che l'ipotesi 2?
 
La domanda, qui, può sembrare priva di senso, o meglio, ammettere solo una risposta banale. Se ogni risultato dipende dalle ipotesi, e se noi rimuoviamo le ipotesi, anche i risultati verranno meno. Se la stampa avviene in tipografia, e se non sono disponibili fogli interi con cui monitorare lo spostamento dei cliché, il plattaggio rimane una velleità.
 
Quel che si potrà fare sarà identificare e riconoscere i singoli cliché - come avviene con i "difetti costanti" nei francobolli granducali di Toscana, senza dire nulla della posizione - o, nella migliore delle eventualità, individuare la posizione del francobollo in quello specifico foglio, in quel giro di stampa, ma non in generale.
 
In questo secondo caso - di nostro interesse - potremmo però continuare a parlare di plattaggio, con le opportune qualificazioni. Se sotto l'ipotesi 1 (cliché stabili sulla tavola) il plattaggio è identificato da una sola coordinata (la posizione x occupata dal cliché sulla tavola di stampa), ora, nella nuova situazione dove l'ipotesi 1 è stata rimossa (cliché mobili) il plattaggio richiederà l'assegnazione di due coordinate (la posizione x[k] occupata dal cliché sulla tavola di stampa k), sarà cioè uno dei possibili plattaggi, visto che la posizione x del cliché non sarà più univoca, ma varierà al variare della tavola k su cui si trova.
 
Questa è la conventional wisdom, la saggezza convenzionale in materia di plattaggio, la visione mainstream delle cose, almeno fino a oggi.
 
Poi, il 5 agosto 2022, arrivano Tiziano Nocentini ed Emilio Calcagno.
 

"PER I FRANCOBOLLI DI TOSCANA NON E' POSSIBILE RICONDURRE CON CERTEZZA UN FRANCOBOLLO SINGOLO A UNA POSIZIONE SPECIFICA DEL FOGLIO".

Questa affermazione è idealmente scolpita sui cancelli oltre i quali si trova il collezionismo dei francobolli del Granducato di Toscana, i cosiddetti "Marzocchi", e del periodo del Governo Provvisorio. Non sappiamo chi ce l'abbia collocata, ma di sicuro tutti l'hanno sempre ripetuta, meccanicamente, in una forma abbreviata che non lascia spazio a repliche: i "Toscana" non si possono plattare (e sostenere il contrario è un segno di eccentricità che nei nostri tempi illuminati conduce a stendersi sul lettino dello psichiatra, e nei periodi bui avrebbe imposto di inginocchiarsi davanti a un inquisitore).

I cliché dei francobolli toscani - in effetti - andavano soggetti a spostamenti sulla tavola; disponiamo di alcuni grandi blocchi, ma non ci sono fogli completi per ogni singola tiratura di ogni singolo valore; pure, non conosciamo con precisione il numero e la datazione delle tirature.

Date queste premesse - queste ipotesi - il plattaggio è virtualmente impossibile, e nessuno si è quindi dedicato a un'impresa che appariva un no-sense.

Almeno fino il 18 luglio 2022, quando sul Blog "I Cinquecento Leoni di Toscana", di Tiziano Nocentini, compare il post "Filigrana granducale della prima emissione: codifica e posizione nel quadro di stampa", che darà lo spunto all'articolo a firma congiunta con Emilio Calcagno, pubblicato sul sito del Postalista.

L'obiettivo dell'autore è "portare qualcosa di nuovo nel panorama della conoscenza, che sia piccola o grande cosa, che magari oggi può apparire per alcuni inutile o insignificante, risultando però importante per altri, tanto da permettergli di effettuare ulteriori passi in avanti o addirittura di risolvere problemi di cui oggi non se ne conosce neppure l'esistenza".
 

 
"Il Coniglio bianco si mise gli occhiali e domandò: Maestà, di grazia, di dove debbo incominciare?

Comincia dal principio - disse il Re solennemente - e continua fino alla fine, poi fermati".

Seguiamo anche noi il suggerimento del Re al Coniglio bianco, in "Alice nel Paese delle Meraviglie".

Cominciamo dal principio: la tavola dei "Marzocchi" contava 240 esemplari, divisi in tre blocchi, ognuno di dimensione 5×16, separati da interspazi.


La stampa avvenne con tecnica tipografica, seguendo un processo schematizzato da Tiziano Nocentini in quattro passaggi.




"La stampa dei francobolli di Toscana non fu realizzata in tipografia 'pura'.
La stampa tipografica 'pura' si sarebbe avuta se si fosse stampato direttamente dai cliché,
ma non si è fatto per non usurarli e doverne produrre altri.
I 240 cliché venivano composti in 15 righe di 16 esemplari
e da questa composizione si realizzava un calco in gesso.
Questo calco in gesso è ciò che si utilizzava per la stampa effettiva.
I cliché poi venivano smontati, puliti dai residui di gesso e rimontati,
per creare la tavola di stampa (calco in gesso) di un altro valore.
Ogni calco in gesso realizzato è una tavola di stampa
che ha prodotto centinaia di fogli da 240 francobolli,
dove i vari cliché occupano sempre la stessa posizione
e sono quindi plattabili come quelli degli altri Stati" 
  (Tiziano Nocentini)

Su questo preambolo, l'intuizione di Nocentini è semplice e geniale: tutti, finora, hanno sempre osservato il recto, le caratteristiche della vignetta del francobollo, per posizionarlo sulla tavola; io osserverò invece il verso, o meglio, osserverò il francobollo in trasparenza, guarderò la filigrana, e attraverso la filigrana deriverò la posizione del francobollo nel quadro di stampa.
 
Per dirlo nei termini testuali usati da Calcagno e Nocentini, "[s]e come riferimento per il plattaggio si utilizza un'apposita MATRICE DELLA FILIGRANA, facendo combaciare il frammento di filigrana presente nel francobollo con una Sovrapposizione di riferimento, si può determinare, in modo univoco, la posizione del francobollo sul foglio filigranato.

La Sovrapposizione di riferimento, con il francobollo correttamente posizionato, si fa poi collimare con una maschera dei cliché, detta Tavola delle posizioni: in questo modo si rileva esattamente in quale delle 240 posizioni della tavola il francobollo venne stampato sul foglio filigranato.

Questo metodo è stato ampiamente sperimentato e funziona egregiamente, in quanto:
 
- Nei francobolli Granducali di Toscana la filigrana è solitamente 'ben leggibile'.
 
- La matrice della filigrana 12 corone ha un layout univoco e non presenta zone uguali, in quanto venne realizzata con processo manuale ed è quindi (quasi) sempre possibile posizionare e fare collimare correttamente il francobollo sulla matrice di riferimento".
 
Semplice e geniale, già, ma bisognava pensarci. Anche perché l'osservazione della filigrana dei "Marzocchi" rivela una casistica articolata, in funzione della posizione ("verso" vs "recto") e dell'orientamento ("dritta" vs "capovolta"), e non è banale codificare ogni situazione con esattezza.
 
Le quattro "Sovrapposizioni di riferimento" individuate da Nocentini e Calcagno.
 
Ripropongo il primo dei quattro casi presentati dagli autori: il francobollo da 1 crazia della cosiddetta "prima emissione" (1851) è collocato nella Sovrapposizione S01, in corrispondenza della nona corona della filigrana, e precisamente alla posizione 147.
 


"Per collocare il francobollo nel quadro di stampa, dobbiamo utilizzare la Sovrapposizione S01.
Si osserva che il frammento di filigrana coincide con la posizione 147.
Come si può osservare, la sovrapposizione non è quasi mai coincidente perfettamente
in quanto il foglio non veniva posizionato sempre esattamente nello stesso identico modo
rispetto alla matrice, da una stampa all'altra.
Scostamenti fino a 3-4 millimetri in alto o in basso, a destra o a sinistra,
rispetto alle Sovrapposizioni di Riferimento, sono in pratica sempre osservate"
(Tiziano Nocentini, Emilio Calcagno)
 
Siamo alla fine, dunque fermiamoci, e raccogliamo subito una possibile obiezione: voi non avete plattato - in senso proprio, in modo univoco - il francobollo da 1 crazia, non avete cioè identificato la posizione del cliché in generale, perché non esiste la posizione del cliché, ma più modestamente una posizione, quella che avete appunto identificato in quello specifico foglio. 
 
L'obiezione sarebbe pure corretta, se non fosse che ignora tutto il contesto in cui il lavoro di Nocentini e Calcagno si inserisce: "non disponendo fino ad oggi di una tecnica di individuazione della posizione nel quadro di stampa, non si è prodotto ricerca da questo punto di vista" - contro-argomenta Nocentini - "e la gente semplicemente ti liquida con la frase 'nei francobolli di Toscana non esiste assolutamente memoria di posizione perché i cliché venivano continuamente smontati e rimontati'. Far passare un messaggio diverso, anche con prove alla mano, non è affatto semplice".
 
Il contributo di Nocentini e Calcagno segna dunque un progresso notevole rispetto allo status-quo, scala una marcia nella conoscenza, fornisce informazioni - o meglio: un metodo per ricavarle - che finora nessuno era stato in grado di dare. "Oltre al valore facciale, alla tinta, al colore della carta, alla varietà del cliché e al tipo di filigrana, grazie a questa nuova metodologia oggi possiamo dire qualcosa in più" - precisa Nocentini - "ovvero in quale delle quattro modalità si presenta la filigrana a corone, a quale delle dodici corone appartengono i frammenti di filigrana dei francobolli e in quale posizione si trovavano i cliché che hanno dato origine ai francobolli in quella specifica tavola di stampa".
 
Non manca dunque la consapevolezza che si sta parlando di "quella specifica tavola di stampa", ma - ricordiamolo, perché spesso lo si ignora - parliamo della "tavola di stampa che ha dato origine a quel foglio e a moltissimi altri", perché "una tavola di stampa non stampava un solo foglio, ne stampava a centinaia", e "non è che per stampare ogni foglio da 240 francobolli smontavano e rimontavano ogni volta i cliché".
 
Tiziano Nocentini ha precisato il punto di vista sul Gruppo Facebook "Gli amici de Il Postalista" - una lodevole eccezione, nel panorama desolante dei consessi filatelici virtuali - con un blocco di argomentazioni che dovrebbero risultare definitive.
 
"Effettivamente per costruire le varie tavole di stampa, la composizione dei cliché veniva sempre smontata, per pulire i cliché e realizzarne un'altra per un altro valore, ma non si è mai tenuto conto del fatto che una singola tavola di stampa ha prodotto moltissime copie di un certo valore. Le tavole di stampa si usuravano e ad un certo punto venivano dismesse e ne veniva creata una nuova con i cliché disposti in modo differente dalla prima. Per i valori più frequentemente utilizzati come quelli da 1 crazia e da 2 crazie, sicuramente ne furono prodotte più di una, forse anche tre o quattro, perché la richiesta di quei valori era alta e una singola tavola di stampa non riusciva a produrre tutti gli esemplari richiesti. Per i valori meno comuni però come il 9 crazie e forse anche il 6 crazie e di sicuro il 60 crazie le tavole di stampa realizzate sono state pochissime o addirittura una soltanto".
 
"Il fatto che da un valore ad un altro la posizione di un certo cliché cambiasse, cosa in linea di principio sicuramente vera, ha fatto pensare i non specialisti, ma anche molti degli specialisti, che la 'memoria di posizione' sia totalmente inesistente nei francobolli di Toscana, cosa non vera come dimostrato in questi post".
 
"Si deve tenere presente la differenza che passa tra 'la composizione dei cliché veniva smontata e rimontata sempre', che non lascia spazio di manovra, e 'la composizione dei cliché veniva smontata e rimontata solo in alcuni casi', che invece apre la prospettiva di un lavoro di ricostruzione delle tavole di stampa".
 
"Frasi del tipo 'tu hai determinato la posizione di quel cliché solo in quel foglio che stai esaminando', non lascia spazio di ricerca se non limitatamente a quel foglio, che sarebbe quindi di scarso interesse. Per fortuna la frase non è vera, non è corretta e va sostituita con 'tu hai determinato la posizione di quel cliché in quel foglio che stai esaminando ed in tutti i fogli stampati dalla tavola di stampa che ha stampato il foglio che stai esaminando', fogli che possono essere centinaia o addirittura tutti i fogli stampati di quel valore, come verosimilmente è accaduto per il 60 crazie o il 3 lire del Governo Provvisorio, ma forse anche per il 9 e il 6 crazie della prima emissione, chissà. Solo la ricerca potrà darci una risposta certa".
 
E il senso della ricerca si può cogliere già ora, da alcuni risultati  parziali ma indicativi della direzione intrapresa, all'inseguimento di risposte certe. C'è "qualcosa d'altro che al momento non viene in mente a nessuno", osserva Nocentini. "Studiando le varietà del Governo Provvisorio, mostrerò come i cliché raramente cambiavano drasticamente posizione, rimanendo più o meno sempre nella stessa regione del quadro, se non addirittura nella stessa identica posizione, anche cambiando valore".

La cosa appare ovvia, dopo che qualcun altro l'ha fatta notare, proprio come fu ovvio a tutti che bastava ammaccare leggermente l'estremità di un uovo per tenerlo dritto, dopo che Cristoforo Colombo lo mostrò ai nobili spagnoli che sminuivano il suo viaggio verso le Americhe, dicendo che chiunque avrebbe potuto farlo. "La differenza, signori miei, è che voi avreste potuto farlo, io invece l'ho fatto!", chiosò il navigatore genovese, per chiarire che nulla è difficile, se non devi farlo, e tutto appare ovvio e facile, dopo che altri lo hanno fatto.

E' ovvio - intuitivo, ragionevole - che se pure i cliché venivano spostati, la loro posizione rimaneva tendenzialmente in un intorno di quella iniziale, ed è tanto più ovvio quanto più breve fu il periodo di validità dell'emissione: si può cioè congetturare una correlazione diretta tra la durata di validità dell'emissione e l'ampiezza degli spostamenti sulla tavola.

"Per i Marzocchi con la prima filigrana ho pochissimi esempi, non molto significativi a livello statistico, quindi trascurabili. Per i Marzocchi con la seconda filigrana ho qualcosina in più, ma al momento rappresentano solo curiosità, e non li menzionerei come prova bensì come indizio.

I Marzocchi con la prima filigrana sono stati prodotti grosso modo dal 1851 al 1857, sei anni circa, mentre quelli con la seconda filigrana per due o tre anni, e i francobolli del Governo Provvisoprio per uno o due anni. Ne segue che la variabilità delle posizioni è probabilmente più ampia per i Marzocchi con la prima filigrana che non per quelli con la seconda o per il Governo Provvisorio.
 
Di conseguenza, tracciare l'andamento delle posizioni nei francobolli del Governo Provvisorio è mediamente più facile che per i Marzocchi con la seconda filigrana, e per quelli con la prima è invece davvero difficile, [perché] più ampia è la variabilità, più grande è il numero di esemplari che occorre esaminare per ottenere risultati [certi].

Si tratta però spesso di indizi e tantissimi indizi messi assieme forse non danno una prova, ma forniscono una visione d'insieme sempre più dettagliata di come si sono svolti i fatti.

Occorre moltissimo tempo, moltissimo lavoro e moltissimi esemplari da analizzare. E' come cercare l'oro nei fiumi a mano con il setaccio. Esamini tonnellate di pietrisco e sabbia, per trovare una trentina di piccole pepite. La soddisfazione e l'entusiasmo di trovarne una deve darti la forza e la motivazione necessarie per setacciare le prosdime tonnellate in vano ed arrivare alla pepita successiva.
 
In questo studio le pepite si trovano, ma di esemplari occorre masticarne davvero molti. Ed è per questo che penso che una visione nitida potrò averla forse in vent'anni di lavoro a questo ritmo. Estremamente difficile, ma non impossibile". 
 
 


La nostra conoscenza è sempre parziale, il nostro sapere non splende mai alla chiara luce del mezzogiorno, ma si trova invariabilmente nel crepuscolo delle probabilità. "La nottola di Minerva non vola che al tramonto", ci ricorda Hegel.

Persino la Fisica - che nell'immaginario collettivo è ancora la roccaforte del determinismo - fa ormai da secoli i conti con l'incertezza, scende a patti con la probabilità, e così "il fisico si trova nell'identica posizione del giocatore che valuta le sue possibilità", ogni qual volta realizza esperimenti da cui trarre conclusioni; e per quanto si senta sicuro di sé, per quanto una previsione gli possa apparire fondata, non può mai essere certo che l'esperienza non la smentirà. 
 
Sminuire una conclusione solo perché affetta da un margine di incertezza, vedere nelle affermazioni probabilistiche il prodotto di "una scienza vana", "diffidare di questo oscuro istinto a cui diamo il nome di buon senso ed a cui richiediamo di legittimare le nostre convinzioni" - ammonisce Poincaré - vuol dire rinunciare a fare scienza, perché senza "questo oscuro istinto", senza la probabilità, "non potremmo né scoprire una legge, né applicarla", e più in generale non potremmo stare al mondo, perché tutto è incerto nella vita, e al di fuori di ciò nulla può affermarsi con certezza.

"Se non si dovesse far nulla tranne per quel che è certo, non si dovrebbe far niente" - scrive Pascal nel suo "Pensiero" 234 - "Ma quante cose si fanno per l'incerto, i viaggi sul mare, le battaglie!". E quando "si lavora per il domani, e per l'incerto, si agisce secondo ragione, per la regola delle probabilità".
 
Con questo background culturale alle spalle, avendo consapevolezza di cos'è la scoperta scientifica, le parole venate di dubbio di Nocentini - "come verosimilmente è accaduto per il 60 crazie o il 3 lire del Governo Provvisorio, ma forse anche per il 9 e il 6 crazie della prima emissione, chissà" - evocano la logica della credenza parziale, dell'argomentazione non conclusiva, tipica del pensiero scientifico moderno, che rifugge dall'illusione della certezza assoluta, in favore di un meditato seppur relativo convincimento (da affinare man mano che nuove informazioni sopraggiungono a diradare la nebbia dell'incertezza, a lenire i mali dell'ignoto).

Riconoscere la centralità dell'incertezza significa porre nella giusta prospettiva la nostra conoscenza, e proprio l'incertezza - paradossalmente - può diventare un'alleata segreta della conoscenza: perché provoca l'ostinazione del sapere di più, e sempre di più, senza però far smarrire la sproporzione della propria smisurata ignoranza, e può così essere utile per salvaguardare le scienze e tutti i saperi umani dagli eccessi di aspettative che si è tentati di rivolgere loro, di scambiandoli per sostituti contemporanei di quelle antica e ormai desueta agenzia del sapere che è il principio di autorità
 
"
Una teoria che non può essere confutata da alcun evento concepibile non è scientifica.
L'inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto"
Noi - in generale, nelle scienze sperimentali - non possiamo mai sapere cosa è vero; possiamo solo dire cosa è falso; perché 10, 100, 1000, ..., 1.000.000 di osservazioni empiriche a favore della nostra tesi possono sì sostenerla ma non la dimostrano, perché può bastare una sola osservazione contraria a invalidarla, perché un solo cigno nero falsifica l'affermazione "tutti i cigni sono bianchi", per quanti cigni bianchi possiamo aver osservato.
 
Le affermazioni scientifiche devono quindi essere falsificabili, vanno cioè formulate in un modo che ne renda possibile la confutazione. Le assumeremo "vere" provvisoriamente, finché funzionano, finché l'esperienza le supporterà, ma poiché "tutto quello che viene dall'esperienza, dall'esperienza può essere smentito" - come ricorda Hertz - saremo sempre pronti a rimodularle, laddove smettano di funzionare o ne trovassimo di migliori e più precise.
 
L'approccio falsificazionista trascende il già rilevante ambito scientifico, per assumere un significato etico: l'onestà intellettuale non sta tanto nell'accumulare prove su prove a conferma della propria tesi, ma nel dichiarare apertamente a quali condizioni - osservabili, verificabili - si è disposti a cambiare opinione.
 
"Ho raccolto finora due esemplari del 6 crazie della prima emissione con la varietà 'ovetto'.
Entrambi i francobolli occupavano la posizione 105 del foglio intero,
indice del fatto che molto probabilmente provengono dalla stessa tavola di stampa.
Fino a che non raccoglierò o vedrò un altro 6 crazie della prima emissione con varietà ovetto,
che occupava una posizione diversa dalla 105,
per me la tavola di stampa per il 6 crazie della prima emissione fu solo una e quindi ricostruibile.
Se non si troverà un 6 crazie della prima emissione con la varietà 'ovetto'
in una posizione diversa dalla 105,
possiamo dire che per questo valore l'ovetto si trova SEMPRE in posizione 105.
Ma per farlo dobbiamo innanzitutto trovare altri 6 crazie con la varietà 'ovetto'
e poi necessitiamo di uno strumento per determinarne la posizione nel quadro di stampa"
(Tiziano Nocentini)
 
 
 
"Riporto tre esemplari del 9 crazie della prima emissione.
Si noti che tutti e tre i francobolli presentano la stessa varietà per il cliché della vignetta
e si può dimostrare che anche il tassello del valore ha origine dalle stesso cliché per tutti e tre i pezzi.
Dall'osservazione della filigrana si ricava che la posizione nella tavola di stampa è sempre la 196.
Gli esemplari A e C presentano la stessa porzione della corona 10 come filigrana, 
mentre il frammento di corona che si riscontra nell'esemplare B appartiene alla corona 12.
Ma la posizione nel quadro di stampa è comunque sempre la 196.
Questo è possibile perché nella stampa dell'esemplare B
il foglio di carta fu posizionato in modo diverso rispetto a quanto fatto per gli esemplari A e C
e infatti per questi ultimi la filigrana è al recto e dritta, mentre per il B la filigrana è al verso e dritta.
Ciò dimostra che anche cambiando la filigrana
la posizione nel quadro di stampa può rimanere la stessa.
Si può dimostrare che i tre francobolli furono stampati con la stessa tavola.
In questa specifica tavola di stampa è ovvio che lo zainetto
- la varietà in cui si presentano questi tre francobolli -
occupa invariabilmente la posizione 196,
così come tutte le altre varietà occuperanno sempre la stessa posizione.
Lo zainetto si trova in posizione 196 per una specifica tavola di stampa
ed in centinaia di fogli stampati con quella tavola.
Noi intendiamo ricostruire quella tavola di stampa, così come le altre.
Fino ad oggi avremmo detto 'ci sono tre francobolli da 9 crazie con lo zainetto,
ma sicuramente si trovavano tutti in posizioni diverse del quadro di stampa'.
Lo avrebbero detto tutti perché questo è il concetto che sta nella testa dei più:
'i cliché venivano continuamente smontati e rimontati
quindi lo zainetto si trova sempre in posizioni diverse anche all'interno dello stesso valore'.
Invece con la tecnica di plattaggio descritta nell'articolo del 5 agosto,
si scopre che per tutti e tre quei francobolli da 9 crazie con lo zainetto,
la posizione è sempre la stessa!
Questa constatazione, mai fatta prima, ha implicazioni decisive
per ricostruire tutte le tavole di stampa utilizzate per la loro stampa.
Sta qui la grande importanza di questa metodologia"
(Tiziano Nocentini)
 
Il lavoro di Nocentini e Calcagno ha avuto risonanza e apprezzamenti a livello internazionale, con la conquista del "Grand Award" a SESCAL 2022, una storica manifestazione annuale californiana, dedicata alla filatelia e alla letteratura filatelica, giunta alla 78° edizione.
 
"Sapevamo di presentare qualcosa di veramente innovativo su un argomento (il plattaggio) ritenuto finora non possibile per le emissioni di Toscana" - ha commentato a caldo Emilio Calcagno - "La commissione di esperti ha compreso la qualità e il valore di questo lavoro e come tale l'ha giudicato".

Il comunicato stampa della manifestazione "SESCAL 2022".




Gli attestati di SESCAL 2022 alla squadra italiana.
 Calcagno e Nocentini hanno voluto che si nominassero pure Roberto Monticini e Giorgio Migliavacca,
editori delle due riviste "Il Postalista" e "fil ITALIA",
che hanno avuto la lungimiranza di ospitare il loro contributo,
quando era ancora in una fase pioneristica.
 
I due autori hanno poi proseguito a gran ritmo nei loro studi: il campo di indagine è stato allargato all'emissione del 1857, "con filigrana a linee ondulate"; è stato introdotto il concetto di "posizioni costanti o ricorrenti", con cui si mettono a fattor comune le "varietà di cliché" e la "determinazione della posizione nel quadro di stampa"; ed è stato infine realizzato un approfondimento mirato sugli interspazi di gruppo, i bordi e gli angoli di foglio.
 
L'Associazione per lo Studio della Storia Postale Toscana ha dato ampia visibilità a questo nucleo di lavori - nella rivista  "Il Monitore della Toscana", n. 36, novembre 2022 - annoverandoli tra i contributi "approfonditi [...] oltre che innovativi", e perciò meritori di diffusione, anche se maturati "fuori dalla nostra Associazione".
 
La pagina del numero 36 della rivista "Il Monitore della Toscana",
in cui si dà conto degli sviluppi più recenti nello studio della filatelia toscana.
I lavori di Nocentini e Calcagno sono citati già nell'introduzione all'elenco dei contributi.
 
Rinvio alla bibliografia - in fondo al post - per un quadro completo sullo stato dell'arte, che dà modo a chi lo desidera di documentarsi direttamente sulle fonti.
 
Qui è altro ciò che voglio enfatizzare. 
 
"Amatoriale, questo è il termine più appropriato per definire la filatelia e tutto ciò che gravita intorno alla filatelia. Un mondo costruito sulle buone intenzioni e lastricato di individualità e di improvvisazione. Un mondo dove spesso si utilizzano la tradizione e il senso comune invece della conoscenza e del buon senso".
 
Le parole di Franco Filanci - dall'editoriale "Il filatelista, uno e più che trino", su "Storie di Posta" - colgono impietosamente una dimensione censurabile del mondo filatelico.
 
Molti collezionisti amano mostrare il piglio dell'accademico, parlano di filatelia in termini di studio, conoscenza, ricerca, ma il più delle volte il loro è solo un atteggiarsi, una pura forma di esibizionismo, anche parecchio infantile, se vogliamo dirla tutta. La maggior parte dei filatelisti - a tutti i livelli: mercanti, collezionisti, periti e cosiddetti "studiosi" - ignora bellamente cosa sia un programma di ricerca scientifica, come se ne definiscono le linee direttive, come si sviluppano, come si valutano i risultati via via raggiunti. Individualità, improvvisazione e (abuso della) tradizione - malamente celate dietro una parvenza di autorevolezza fatta di paroloni - caratterizzano la condotta della maggioranza, in un mondo filatelico dai lineamenti simil-feudali.
 
Il corpus di lavori di Nocentini e Calcagno marca un cambio di passo, riconsegna alla filatelia quella patente di nobiltà che le apparterrebbe di diritto, se gli stessi filatelisti non l'avessero mortificata con il loro comportamento totalmente autoreferenziale.   
  
C'è un abisso tra la precisione delle loro argomentazioni e le contro-repliche fumose e generiche del tipo "sappiamo che spesso la posizione dei cliché veniva cambiata in base alle esigenze del momento" oppure "più volte, durante il lavoro di stampa dei francobolli, le tavole vennero smontate e rimontate e di conseguenza non è detto che i chliché furono rimessi allo stesso posto" o ancora "non è possibile stabilire la posizione di un francobollo nel foglio delle emissioni di Toscana per la tiratura di quel valore, è solo possibile stabilirlo per quel solo foglio preso in esame", con cui alcuni sedicenti "studiosi" vorrebbero smontare il loro lavoro.
 
Da un lato c'è chi argomenta su frequenza e modalità del cambio dei cliché, con dei distinguo fondamentali sui diversi valori, mostrando materiale a sostegno della tesi. Dall'altro abbiamo la ripetizione meccanica, pappagallesca, senza alcun filtro critico, di ciò che si è sempre sempre detto e ripetuto sui "Marzocchi", senza però nessuna reale conoscenza della materia, per diretto contatto con gli oggetti di studio.
 
Nocentini e Calcagno - sicuramente - non hanno plattato i "Marzocchi"; hanno però compiuto un passo importante verso il plattaggio dei "Marzocchi"; hanno fornito la chiave per il plattaggio, che di per sé non è risolutiva, però aiuta a risolvere il problema del plattaggio delle composizioni dei fogli e della mappatura completa dell'emissione.
 
"Uno degli intenti per cui abbiamo studiato la relazione "filigrana-posizione" dei francobolli granducali di Toscana" - spiega Nocentini - "è determinare la posizione di un dato francobollo nel quadro di stampa, per capire a quale dei tanti appartiene, in modo da ricostruirli tutti", perché "avendo a disposizione molto materiale si potrebbe capire quante volte la tavola è stata smontata e rimontata". A esempio, se il cosiddetto "zainetto" - uno dei difetti costanti dei "Marzocchi" - "lo si trova in tre posizioni diverse si può concludere che sono state usate almeno tre diverse tavole".
 
In questo senso - precisa ancora Nocentini - "i due lavori di 'censimento delle varietà di cliché' e di 'determinazione della posizione di un francobollo all'interno del quadro di stampa' sono propedeutici al lavoro di ricostruzione delle tavole di stampa", e si delinea così il più classico degli iter dei programmi di ricerca, dove ogni conoscenza sfrutta la precedente, vi si raccorda, e consente di progredire, di avanzare verso il traguardo.
 
Sicuramente la "ricostruzione delle varie tavole di stampa utilizzate per la produzione dei francobolli di Toscana [è] un lavoro mastodontico [...] ma crediamo non impossibile", anche perché - per quel che capisco io - non è nulla di logicamente diverso da ciò che è già stato fatto - con successo - per la prima emissione del Pontificio (dove disponiamo oggi di una pubblicazione dedicata) e del Lombardo Veneto (dove sappiamo - a esempio - che furono usate solo due tavole per il francobollo da 45 centesimi del "primo tipo").
 
Certo, nel caso della Toscana servirà "un tempo enorme" che verosimilmente abbraccerà "diverse generazioni di filatelisti" - ammette Nocentini - ma rinunciare a un progetto solo perché richiede tempo è un'idiozia: il tempo passerà comunque.
 
E allora tanto vale impiegarlo in "un settore quasi completamente inesplorato e colmo di conoscenza ancora da portare alla luce", com'è attualmente la filatelia di Toscana, lanciarsi in "una delle sfide per la ricerca filatelica del futuro", sposare una "prospettiva davvero entusiasmante e carica di aspettative", anziché atteggiarsi a studiosi, pavoneggiarsi con frasi auliche del tipo "la filatelia è studio, conoscenza e ricerca", salvo poi mostrarsi pregiudizialmente scettici verso un pur serio tentativo di approfondimento, e sperperare il proprio tempo a smascherare tutti gli imbrogli, i raggiri, le frodi, le falsificazioni che quotidianamente si riversano su eBay e altre simili piattaforme, illudendosi di rendere chissà quale servizio al mondo dei collezionisti, di aver salvato chissà chi, da chissà cosa.
 
"Come detto il lavoro che ci aspetta in questa prospettiva è immenso" - conclude Nocentini - "ma noi ci proponiamo almeno di riuscire ad impostarlo".
 
Che la ricerca di Calcagno e Nocentini riuscirà o no a dire la verità ultima in fatto di plattaggio dei "Marzocchi", certo rappresenta già ora - per ampiezza, portata e profondità - un riferimento che nessun collezionista serio può ignorare, e per parte mia rivolgo i migliori auguri ai due appassionati collezionisti e studiosi, che sosterrò nei modi e nelle forme in cui mi sarà possibile, nell'interesse collettivo di tutto il mondo filatelico.

  
Quali conclusioni possiamo trarre alla fine di questa carrellata sul plattaggio, fra tradizione e innovazione?
 
Ne azzardo una: l'ipotesi 1, pur rilevante, ha molta meno importanza di quella che comunemente le si attribuisce; è l'ipotesi 2 a essere davvero decisiva.
 
Se pure i cliché si sono mossi sulla tavola, se pure la loro posizione non è rimasta invariata nel tempo, rimane il fatto che gli spostamenti non avvenivano a ogni processo di stampa - le carte non venivano mischiate o sparigliate ogni volta - quindi una certa stabilità è comunque garantita, e si tratta allora di indagarla empiricamente, su base sperimentale, con la raccolta e il censimento di quanto più materiale possibile, avendo ora a disposizione un modello di lettura dei dati, uno schema per la loro classificazione (le quattro Sovrapposizioni di riferimento, di Nocentini-Calcagno).
 
E' però decisivo - appunto - recuperare quanti più pezzi possibili, sperabilmente multipli (coppie, strisce, quartine, grandi blocchi, fogli interi) e Nocentini incoraggia alla creazione di "un database comune in cui raccogliere i dati provenienti da molti utenti", per "costruire una raccolta di immagini provenienti da tutti gli appassionati, con relativo plattaggio, di grandezza tale da permettere tentare le ricostruzioni".
 
Senonché, in fatto di filatelia degli Antichi Stati, e soprattutto di "Marzocchi", i multipli sono talvolta andati incontro a operazioni di riduzione, di taglio, per estrarre dal multiplo - spesso difettoso - un esemplare ultra-marginato di qualità eccezionale, e ovviamente qualunque azione simile rischia di porre ostacoli alla conoscenza delle caratteristiche tecniche dei francobolli.
 
L'uso delle forbici in filatelia rimane un tema controverso, problematico. Nocentini - per i suoi interessi, per il suo campo di studio - non la pensa ovviamente così: ogni manomissione di un multiplo - per lui - è un autentico delitto filatelico, e qualunque argomentazione contraria è solo un sofisma per giustificare l'ingiustificabile. Io ho una posizione appena più sfumata. Riconosco che il taglio di un multiplo, poiché irreversibile, è un'operazione su cui riflettere parecchio, prima di realizzarla (e dopo aver riflettuto parecchio, è bene riflettere ancora, ancora e ancora). Ma sono dell'idea generale che sia un'operazione con i suoi pro e i suoi contro, se vogliamo con molti più contro che pro, e comunque da valutare di volta in volta, caso per caso, in ogni specifica situazione, senza che si possano dare direttive valide erga omnes.
 
Da oggi, tuttavia, tutti dobbiamo essere consapevoli che tra i contro si annoverano pure gli impedimenti sulla strada di un filone di ricerca - il plattaggio dei "Marzocchi" - che come ricorda Roberto Monticini "dà nuova luce ai francobolli di Toscana".
 

"La coppia in basso è di mia proprietà, il blocco in alto è della vendita Caspary.
Siamo di fronte a un'altra tavola di stampa del quattrino prima emissione.
Posso dire questo perché sia la mia coppia che la corrispondente coppia di sopra sono identiche,
sia nel tassello del valore che nel cliché: 4 su 4, la probabilità che sia casuale è infinitesima.
Può solo essere la stessa tavola di stampa.
Io ho potuto rintracciare le posizioni della mia coppia con il mio metodo della filigrana
e di conseguenza conosco anche tutte quelle del blocco da otto esemplari del quattrino.
La mia coppia è corta a sinistra
e lo è probabilmente per la rifilatura di fine stampa fatta in stamperia
e non per un taglio sbagliato all'ufficio postale
(posso dire questo perché si tratta di un bordo di foglio
e difficilmente all'ufficio postale si sarebbero messi a rifilare un bordo di foglio).
A ogni modo io possiedo questa coppia da molto tempo,
ma non mi sono mai sognato di tagliarla perché la parte di sinistra,
per quanto corta contiene molte informazioni sia nel tassello del valore che nella vignetta,
e se il francobollo corto sta attaccato a quello integro, allora le informazioni sono maggiori. 
Ero sicuro che un giorno il lasciare questa coppia integra mi sarebbe servito. 
Quel giorno è arrivato ed è oggi:
posso plattare con maggior sicurezza tutte le posizioni del lotto 368 della vendita Caspary.
Ora forse puoi comprendere meglio il mio punto di vista riguardo i tagli"
(Tiziano Nocentini)

 


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