IL PROFESSOR SAVERIO IMPERATO
Che collezionista...
... sembra un professore!
Raramente - nel mondo ovattato della filatelia di alto livello - si ha la possibilità di conoscere un grande collezionista attraverso le sue stesse parole, rese in abbondanza, spaziando dalla dimensione pubblica alla sfera privata, dal collezionismo alla professione, dai temi istituzionali all'aneddotica spicciola.
Inutile, quindi, sforzarsi di dir meglio ciò che è già stato espresso brillantemente dal diretto interessato.
Si può al più creare un minimo di contesto, abbozzare lo sfondo su cui collocare il personaggio - perché Saverio Imperato è nu personaggio, per richiamare le sue origini campane - e pizzicare alcuni frammenti di vita di un uomo "ricchissimo di idee", a cui secondo molti "anche il gallo faceva l'uovo", così da trarre un nucleo di insegnamenti dalla sua esperienza (collezionistica).
Saverio Imperato è anzitutto il Professor Imperato, laureato con lode in medicina - nel 1959, all'Università di Napoli - titolare di tre libere docenze (microbiologia, immunologia e patologia generale) e specializzato nei settori dei tumori e delle epidemie.
Ha costruito il suo curriculum tra l'Italia e gli Stati Uniti: assistente incaricato di
microbiologia all'Università di Sassari, nel 1960; assistente
ordinario a Sassari, Pisa e Torino, nel 1961; aiuto ordinario di
microbiologia, dal 1961 in poi; nel 1965 è negli Stati Uniti, presso la Rutgers University,
con la "Borsa NATO"; diventa associate
research professor di immunologia, nel 1966; nel 1967 rifiuta il posto di Capo Dipartimento per tornare in Italia, a Torino; nel
1968 è professore incaricato della prima cattedra di immunologia all'Università di Genova, chiamato all'unanimità; nel 1969 assume il ruolo di direttore del Servizio Trapianti
della Regione Liguria, di cui è fondatore.
Vanta il primato nella creazione di tre "banche mediche": cellule staminali, ossa per
trapianti, vaccini speciali con cellule tumorali.
Autore - spesso unico - di oltre
150 pubblicazioni scientifiche; "Pubmed"
- il database del National Institute of Health americano - contiene ben 30 studi alla voce "Imperato S.", alcuni risalenti addirittura al 1963.
A un livello più popolare - indicativo della notorietà del personaggio - l'enciclopedia virtuale Wikipedia accoglie una pagina col suo nome.
Conquista la ribalta mediatica nel 2003, ospite su Rai1 da Bruno Vespa, a "Porta a Porta", per parlare della crisi della SARS; e nelle sue parole di allora riecheggiano molte delle più recenti considerazioni intorno al Covid 19.
"L'evoluzione 'contagio senza conseguente
infezione', 'contagio, infezione e malattia inapparente', 'contagio,
infezione e malattia conclamata' dipende dalle difese immunitarie di
prima linea della persona e dalla... cattiveria del virus. E' logico che
l'aumento delle difese immunitarie di base aiuti a contrastarne
l'effetto patologico".
Trova modo di parlare di filatelia persino in quel contesto, con un accenno alla "sicurezza" della corrispondenza inviata dai paesi maggiormente infestati, e ritornano di nuovo argomenti d'attualità. "Prima si valutava che la sopravvivenza del virus all'esterno del
corpo umano fosse di qualche ora, poi di molte ore ed ora si parla di
circa due giorni. Tutte le misure di prevenzione adottate dalle autorità
sanitarie sono state introdotte valutando che il virus riesca a
rimanere attivo, all'esterno del malato, per un certo tempo".
Chi lo direbbe che una figura professionale di così tanto spessore sia stata assimilata a uno stregone, a un fanatico da ostracizzare?
Al centro dello scontro c'era la più grande epidemia di ogni tempo - il tumore, ché tutti conosciamo almeno una persona colpita dal male, se non l'abbiamo vissuto noi stessi - e gli associati protocolli terapeutici.
Saverio Imperato è stato a lungo considerato un "discusso oncologo", per riprendere l'espressione con cui i brigatisti lo avevano etichettato nella lista dei "nemici del popolo" - che accoglieva, tra gli altri, Moro, Andreotti, Berlinguer e Agnelli - ritrovata nel covo milanese di via Monte Nevoso 8.
La sua colpa era la sinterapia, un neologismo coniato dal Professore stesso, la crasi tra "sinergia" e "terapia" per esprimere il potenziamento mirato e personalizzato delle
difese naturali dell'organismo, prima e dopo i trattamenti convenzionali (chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia, operazione chirurgica).
"Alleanza, non guerra. Una strategia sinergica", spiegava il Professore, ché l'unica guerra era al cancro, "una malattia complessa, multifattoriale, che
richiede di mettere insieme conoscenze in campi diversi" laddove "tutte le terapie abbassano invece le difese
immunitarie".
I successi erano stati numerosi e documentati. Il caso più celebre porta il nome di Tommaso Maestrelli, l'allenatore della Lazio degli anni '70, su cui i risultati della sinterapia furono stupefacenti: sul letto di morte, più di là che di qua, iniziò subito a stare
molto meglio, gli tornò pure un forte appetito e i
ristoranti di Roma si mobilitavano per portargli i loro piatti migliori; l'attrice Lea Padovani gli faceva recapitare tutti i lunedì la pasta
con i fagioli cucinata da lei stessa.
Singoli episodi non sono giustamente sufficienti a sdoganare una terapia nella medicina ufficiale - e va da sé che la validazione scientifica dei risultati impone sperimentazioni cliniche rispettose di rigorosi
parametri tecnici e normativi - ma aver assimilato Saverio Imperato a chi considerava il
cancro come un fungo da debellare col bicarbonato, o a chi invitava a prevenirlo con largo consumo di carote, o a curarlo con l'aloe, fa sospettare che l'ambiente medico abbia peccato di una sottovalutazione sistematica
del lavoro del Professore, per superbia o per gelosia, per imperizia o mancanza di tempo, per eccesso di cautela o cronico pregiudizio, o magari per tutte queste cose assieme.
E forse - chissà - anche per i risvolti economici, perché la sinterapia era sin troppo facile da realizzare e aveva il "difetto" di costare quasi nulla.
Era il 1936, e l'autore, Archibald Cronin, sapeva bene di cosa scriveva, essendo lui stesso un medico.
E sono - o no - delle considerazioni tanto abrasive quanto vere,
che si potrebbero ripetere immutate ancor oggi?
Stefano Lorenzetto - del quotidiano "Il Giornale" - intervista il Professore nel 2006, per la rubrica Tipi italiani. Ne segue un finimondo, come racconta lo stesso giornalista.
"Ho
ricevuto centinaia di e-mail per l'intervista col professor Saverio
Imperato, famoso immunologo scopritore di una terapia contro i tumori
snobbata negli ospedali. Mi hanno scritto persino dal Lussemburgo (un
docente universitario) e da Virginia Beach, sulla costa atlantica degli
Stati Uniti.
Ho cercato di rispondere a tutti, anche a coloro che
pretendevano di sapere da me se la sinterapia - così si chiama - è
efficace, e in quali casi, e quanto.
Lunedì mattina mi ha telefonato a
casa un insigne oncologo, fra i migliori operanti nelle strutture
pubbliche, chiedendomi ragguagli su Imperato. Glieli ho subito spediti.
Il giorno prima che uscisse l'intervista, ho telefonato io a un suo
collega, altro valentissimo oncologo molto citato sui giornali. Con la
confidenza che deriva dall’amicizia, ho buttato lì: 'Che cosa pensi del
professor Imperato?'. E' partito in quarta con un ritratto fatto di luci e
di ombre (più ombre che luci, per la verità). L'ho lasciato parlare e alla fine gli ho
chiesto a bruciapelo: 'Ma tu conosci la sinterapia? Sai che cosa inietta
Imperato ai pazienti?'. La risposta, di una schiettezza disarmante, è
stata: 'A dire il vero, no'.
L'avessi chiamato domenica, dopo che era
uscita l'intervista, magari - non oso neppure pensarlo - avrebbe potuto
rispondermi: 'E certo che lo so! Il vaccino Bcg antitubercolare'. Ma era
sabato".
Da un medico così preparato, ma anche ecclettico e anti-convenzionale,
da una figura professionale così variegata e caleidoscopica, quale
collezionista poteva mai venir fuori?
"Fantasia" - ricorda il perito Giacomo Bottacchi - era il soprannome di Saverio Imperato alla manifestazione internazionale "Roma 85".
Era una fantasia evoluta e raffinata - quella di Imperato - che proveniva dall'attitudine a tenere la mente costantemente vigile, per cogliere spunti, suggestioni e idee anche nelle situazioni più impensate: "nelle
costruzioni mentali non esiste il tempo. Mentre stai facendo una cosa
ti viene un'idea associativa e si utilizza quella, ti può venire alle
due di notte, alle sei di mattina o mentre fai il bagno".
La sua fantasia toccò tutti gli Antichi Stati, con l'eccezione del Lombardo-Veneto, "perché non è Italia", diceva il Professore, anche se probabilmente la rinuncia fu dettata dall'impossibilità di primeggiare in un ambito con troppe rarità di settore, in presenza di rivali già affermati come Ottavio Masi.
Ma soprattutto la fantasia lo sorresse durante la malattia, quando usò i francobolli "come mezzo di autoterapia, per distrarre la mente da problemi ben più angosciosi".
E qui le parole del Professore aprono uno spiraglio su uno dei risvolti psicologici più sottili e profondi del collezionismo: ci ricordano che una
collezione può avere per il collezionista lo stesso potere
consolatore che la filosofia assume per un uomo in mezzo alle avversità, con la differenza che se il filosofo si sforza di interpretare l'apparente disordine del mondo, la collezione diventa invece un mondo parallelo, con una logica e un linguaggio di cui il collezionista ha in mano tutti i significati, e il cui significato ultimo è lui stesso, la sua personalità.
E' un uso strumentale della collezione - una forma di compensazione nelle fasi critiche, una via per lenire il dolore, restando concentrato sugli oggetti - in linea con una tradizione storica e letteraria in cui il lutto di un familiare segna l'avvio di un percorso collezionistico: Utz - il personaggio dello scrittore Bruce Chatwin - inizia a collezionare porcellane quando la nonna gli regala una figurina di Meissen, per consolarlo della morte del padre; Isabella Stewart Gardner fu spinta dalla morte del figlio; il banchiere Pierpont Morgan cominciò dopo la morte del padre; il Duca di Berry dopo la morte dell'ultimo figlio; Freud si proclamava "ormai privo di radici", in risposta alle condoglianze dell'amico Fliess, ma un mese dopo - in una lettera dove per la prima volta parla di "apparato psichico", di "conscio, preconscio e inconscio" - gli comunica di aver adornato la sua stanza con copie di gesso di statue fiorentine, "fonte di grande rinnovamento e conforto".
Perché, sì, gli oggetti possono assumere la forma delle persone amate, aprire una via alla psiche per elaborare i temi fondamenti dell'esistenza e governare gli elementi dolorosi della vita.
Perché dietro ogni collezione può nascondersi una delusione, un dolore, una
ferita, spesso impossibile da rimarginare, e che tuttavia cerca una
condivisione, fosse anche solo consolatoria.
Il Professor Saverio Imperato tra i quadri di una delle sue collezioni.
In quell'occasione le quattro medaglie d'oro del Professore
contribuirono a portare l'Italia in pareggio con gli Stati Uniti,
che però partecipavano con ben 37 collezioni.
la Signora Luisa Rossi (in Imperato) presentò "Napoli - Varietà", a Romafil 2010,
conseguendo la Medaglia Oro Grande, nella categoria "Filatelia tradizionale".
A distanza di quattordici anni, la collezione passa sotto il martelletto di Casa Bolaffi
come un unico lotto, il n. 1391 dell'asta 71 del 11-12 aprile 2024:
parte da una base di 7.000 euro e viene aggiudicato a 20.000 euro (più diritti).
All'età di otto anni, il piccolo Saverio trova un francobollo toscano da 1 crazia "un po' corto, spellato e color ruggine", uno stato qualitativo che "non lo farebbe apprezzare dai critici", ma "ricordo ancora la sensazione molto viva di curiosità che provai". Quel "numero uno" della sua collezione di Antichi Stati - per quanto malconcio e comune - "l'ho esposto in una Corte d'Onore insieme a tutti i '3 Lire' con annulli diversi di Toscana".
A una manifestazione a concorso si presentò con una collezione sardo-italiana che accoglieva pure le "Crocette" della luogotenenza napoletana, assimilate a francobolli
d'occupazione, una lettura irrituale secondo i canoni filatelici, e tuttavia ineccepibile sul piano storiografico.
"Mi presero per pazzo quando cominciai a studiare le destinazioni", quando nessuno si interrogava sul "perché di determinate tariffe e chi fossero i destinatari" - racconta ancora il Professore - ma quegli studi furono cruciali per "stabilire le tariffe fondamentali" e da qui "estendere lo studio a tutte le destinazioni del mondo dai documenti provenienti dagli Antichi Stati Italiani".
E oggi - anno 2025 - le "destinazioni" sono uno dei capitoli d'avanguardia del collezionismo filatelico, tra i più apprezzati in ambito internazionale, come testimonia il Gran Premio assegnato a Londra 2022 alla "Toscana" di Vittorio Morani, migliore collezione di Storia postale, con i suoi 97 punti. "L'Italia ha dato una sberla al Regno Unito; abbiamo vinto su gente
importante", ha commentato a caldo il suo autore, ed è una sberla che parte da lontano, dalle intuizioni e gli studi di Saverio Imperato, perché alla fine - citando Louis Aragon - la funzione del genio è fornire idee alle persone normali... vent'anni dopo.
La presentazione della Collezione "The 'Cavallini' - The first postal stationary?"
- Oro grande a Milanoexpo 2010, classe "Interofila" -
in cui già nel titolo riecheggia una polemica storica:
quale Stato può realmente vantare il primato nell'emissione dei francobolli?
Enzo Diena era stato cristallino, alla manifestazione filatelica "Torino 69",
nel ribadire la visione ortodossa contro le esotiche ricostruzioni alternative:
"Non vogliamo fare come gli amici Jugoslavi
che rivendicano a Koscir
l'idea primitiva di aver inventato il francobollo.
Non vogliamo, come
gli amici austriaci,
tirar fuori un presunto francobollo di Spittal
che
poi è risultato essere fabbricato molto recentemente.
Non vogliamo
neppure fare come i non meno amici greci,
che rivendicano ai patrioti di
Creta la creazione di quello che non era un francobollo
ma soltanto
un'etichetta per raccogliere fondi a favore dei patrioti stessi.
No, noi
non vogliamo dire che i 'Cavallini sardi' sono stati i primi
francobolli del mondo.
I primi francobolli del mondo sono stati i 'Penny
black' ed il 'Twopence blu'
emessi dall'Inghilterra nel 1840".
In quest'ordine di idee - precisava Diena - il Cavallino di Sardegna
è correttamente qualificabile come "un intero postale per recapito autorizzato":
una carta-valore postale - la prima al mondo, non vi sono dubbi -
che non garantiva un servizio - ma semplicemente lo
consentiva -
e che può essere considerata un precursore del
francobollo.
Ma il Professor Imperato non rinunciò alla sua provocazione,
che ribadì in una intervista al Tg3 regionale della Lombardia, del 19 luglio 2017:
"i primi francobolli al mondo sono i Cavallini di Sardegna!"
La presentazione della Collezione "Napoli : I francobolli del Regno, Garibaldi e Luogotenenza"
(Oro grande a Milanoexpo 2007, classe "Storia Postale").
I francobolli napoletani - secondo Imperato - sarebbero di un "unico colore rosso",
quando tutti i cataloghi e le monografie li presentano di colore rosa,
come effettivamente sono, e come è immediato rendersi conto a una semplice osservazione.
Uno stralcio della presentazione della Collezione "I falsi per posta dei francobolli di Napoli"
(Oro grande, Vastophil 2004, classe "Storia postale").
Altra collezione di Napoli, altra provocazione del Professore:
si parla della "grande abilità" dei falsari, che "rese difficile la identificazione dei Falsi",
quando tutti gli studi di filatelia napoletana concordano nel ritenere i falsi d'epoca mal eseguiti,
e impiegati diffusamente solo grazie alla complicità sistematica dei funzionari postali.
Secondo Imperato, invece, i colori avrebbero subito alterazioni solo "a distanza di tanti anni",
in conseguenza dei "differenti componenti degli inchiostri utilizzati dai Falsari",
come dimostrerebbe la "rarissima affrancatura" con valori gemelli
(che purtroppo non si può apprezzare dalla riproduzione in bianco e nero).
Quid est veritas?
Il Professor Imperato poteva esibire un palmares filatelico davvero... imperiale. Alla domanda diretta "quante medaglie ha vinto?" rispondeva
candidamente "non lo so", come un Don Giovanni che ha smarrito il conto delle sue conquiste; però sapeva bene di essere "il più premiato filatelico di tutti i tempi", di
aver raggiunto i massimi livelli, in decenni di appassionate ricerche filateliche.
Esordì a Buenos Aires nel 1980, e da allora ha girato il mondo con le sue collezioni, tenendo alto l'orgoglio nazionale. "Sono italiano e ci tengo molto. L'unica volta in vita mia che mi sono davvero commosso è stato quando a Tolosa partecipai a una gara a squadre, dove cioè vincevano i quattro rappresentanti di ogni Paese con il miglior punteggio complessivo. Vincemmo noi e quando suonarono l'inno di Mameli e il tricolore salì sul pennone più alto... beh, fu un momento davvero magico e indimenticabile".
Chi vi è entrato in contatto - in privato o nel corso delle manifestazioni - testimonia una passione che andava ben oltre la scoperta di pezzi utili per le sue raccolte, un amore che si rivelava nel piacere sottile di illustrare francobolli e lettere nei più minuti dettagli, con un'enfasi ineguagliabile; e talvolta - per puro vezzo - chiedeva un obolo di 2 euro per far compiere il tour tra i quadri della sua collezione.
Già: gli euro, il denaro.
Le Collezioni Imperato - nell'immaginario collettivo - assomigliano più alle costruzioni mastodontiche di un grande industriale con illimitate capacità di spesa, che non alle raccolte di un professore, pur celebre, ma alla fine mandato in pensione a 67 anni con 1.360 euro al mese.
Come è stato possibile, allora?
Il Professore ci dice che per fare un'ottima collezione "contano maggiormente l'acume, l'intuito, l'intelligenza e la capacità di trovare delle liaison filateliche", il che è indiscutibile, ma la domanda ritorna: da dove proveniva il denaro per acquisire pezzi così rari da essere talvolta sorvegliati a vista da agenti armati, come accadde al World Philatelic Exhibition di Washington, con l'esposizione dell'unica mista Pontificio-USA?
Lettera da Roma per Wyocena, dell'11 Ottobre 1856:
l'unica nota con affrancatura mista in partenza Stato Pontificio-USA.
E' lo stesso Professor Imperato a ricostruire vividamente
le circostanze che hanno condotto all'accoppiata anomala:
"Occorre sapere che a quel tempo il costo dell'affrancatura
copriva il viaggio dalla penisola italiana fino al confine degli 'States'.
Per completare la consegna all’interno del Paese,
a Boston veniva aggiunto un timbro che imponeva al destinatario un esborso di 5 centesimi,
anche se la tariffa prepagata era di appena 3 centesimi.
Ebbene, cosa fa l'agricoltore Isac Valentine
nel momento in cui da Wycena, Wisconsin si dirige a Roma?
Reca con sé un francobollo Usa da 3 centesimi
e, all'atto di impostare la sua missiva dall'ufficio pontificio,
lo aggiunge al porto richiesto di 38 bajocchi.
Allo sportello non hanno nulla da obiettare e timbrano anche quello,
così vi sono il doppio cerchio di Roma e il 'porto pagato'.
Anche a Boston viene considerato come pagamento anticipato della tariffa nazionale,
pertanto, non è tassato".
Per capire come Imperato abbia potuto creare un Impero collezionistico - se si ambisce a risolvere il dilemma in termini realmente utili, che allarghino le prospettive - serve capire che il rapporto col denaro esprime alcune delle dimensioni più autentiche e stabili della nostra personalità.
"Ho
laureato 52 allievi a mie spese" - ricorda il Professore, con un più che comprensibile orgoglio.
Alle minacce di un suo direttore - "non avrai un soldo e non farai carriera" - replicò nel modo più sprezzante: "sono ricchissimo e della carriera non m'importa un fico".
Era ricchissimo, è vero, non di denaro ma di idee, e nel suo lavoro di medico e studioso si trovò spesso a pagare di tasca propria i collaboratori, ad autofinanziarsi le ricerche e i congressi, all'occorrenza indebitandosi. "Chiedevo prestiti in banca, ma intanto giravo con una Giulietta sprint, senza dire a nessuno che l'avevo comprata di seconda mano: dovevo dimostrare che ero ricco. Altrimenti, insieme con l'invidia, sarebbero aumentate anche le maldicenze".
Restava perplesso quando gli si chiedeva l'entità del suo budget filatelico. "Il concetto di costo è fluido" - replicava - "in un anno si possono tirare fuori dei bei quattrini, altri anni neanche una lira", perché molto dipende "dalla propria situazione economica del momento", "dal periodo in cui si effettua l'acquisto"; ma confessava pure che "per acquistare francobolli ho anche chiesto prestiti alla banca".
C'è allora da meravigliarsi se un uomo così si attendeva - seppur irrazionalmente - che tutti intorno a lui ragionassero allo stesso modo, che avessero anche loro lo stesso rapporto elastico col denaro che aveva lui?
Di Saverio Imperato si potrebbe ripetere la frase della "Tragedia di Ferrex e Porrex", che Edgard Allan Poe pone a esergo del racconto "Re Peste": gli dèi sopportano e permettono nei Re cose che aborriscono sul cammino dei furfanti.
Il Professore amava i francobolli all'inverosimile, godeva nell'entrarne in possesso, ma trovava inspiegabile doverli pagare tutti e subito.
Rimangono leggendari gli assegni staccati nei bagni degli hotel dove si tenevano le manifestazioni filateliche, lontano da occhi indiscreti, nel più assoluto riserbo, perché nessuno doveva vederlo pagare un commerciante - e il commerciante stesso era diffidato dal riferire ai colleghi di esser stato pagato - altrimenti anche gli altri avrebbero preteso di essere saldati.
Meno conosciuto è invece un episodio accaduto intorno agli anni '80, alla Italphil, al tempo la più rinomata casa d'aste italiana.
Il Professore aveva ritirato da tempo parecchi pezzi da Renato Mondolfo, senza pagarli s'intende, col semplice impegno a saldarli appena possibile. Però all'asta Italphil - in sala, con Mondolfo lì presente - batteva un lotto dopo l'altro, senza esitazioni, e in un'asta, si sa, i conti vanno saldati subito. Dire che Mondolfo ci rimase male non renderebbe l'idea. Lo avvicinò in sala per ricordargli i suoi debiti, lo tallonò giù per le scale, e lo inseguì fuori dalla sede della Italphil sino al taxi in cui il Professore si era infilato di gran fretta. A qual punto, non potendo più nulla contro di lui, si scagliò contro il tassista, intimandolo di fermarsi, perché... aveva preso a bordo un farabutto.
Ma - appunto - gli dèi tollerano e consentono nei Re, cose che abborrono nei farabutti da strada.
Giovedì 7 ottobre 2021 rimarrà una data storica, nella filatelia: a Torino, alle ore 14.30, sotto il martelletto di Casa Bolaffi, inizia la dispersione delle Collezioni di Saverio Imperato.
Arriva anche per il Professore il giudizio più severo e inappellabile.
Arriva il test of time per chi ha fatto "scelte quasi sempre pionieristiche rispetto a quelle degli altri collezionisti", per chi ha voluto "apprezzare piccoli ma importanti dettagli, ignorati invece dalla maggior parte dei commercianti e dei collezionisti", per chi ha trascorso la vita a "difendere oggetti che dal punto di vista tradizionale magari non si presentavano al meglio per il loro stato di conservazione", e tuttavia esprimevano "vere e proprie rarità" che "rappresentano oggetti attualmente quasi introvabili".
Regno del Lombardo-Veneto
Ducato di Modena
Due Sicilie - Regno di Napoli
Ducato di Parma
Stato Pontificio
Regno di Sardegna
La dispersione delle Collezioni Imperato è un evento storico, che non è azzardato paragonare alle aste d'epoca della Burrus o della Caspary, oppure della Provera, per restare agganciati all'attualità.
Mi ero divertito - alla prima tornata - a tirar giù delle statistiche sulla risposta commerciale, e visto che le ho elaborate, e sono a disposizione, tanto vale riportarle.
Ma la voglia di contabilizzare una passione mi è subito passata, e ho lasciato perdere ogni calcolo economico già al secondo giro.
I numeri, d'altra parte, non implicano oggettività o autorità, sebbene in molti abbiano la tendenza a vedervi qualcosa di magico.
I numeri sono solo una forma di linguaggio, che consente sì di esprimersi con maggior precisione, ma a volte rischia pure di sviare la discussione dai punti realmente interessanti.
- in definitiva quanto poco si devono amare i francobolli -
per formulare considerazioni così banali su un oggetto filatelico mitico?
Sì, è vero: la lettera spuntò 260 milioni di lire, in una asta AP degli anni ottanta (non novanta).
E come riuscì a toccare quella vetta? Semplice, ovvio, banale: erano in due a volerla.
Perché per far schizzare un prezzo in asta non servono mille collezionisti,
e neppure cento, e neanche dieci e nemmeno cinque.
E se quei due - poi - si chiamano Saverio Imperato e Giuseppe Barcella,
allora è inevitabile che la contesa passionale conduca il prezzo sulla cima
(una situazione analoga si è verificata qualche anno fa per una lettera di Napoli,
con la lotta tra Scilla e Cariddi).
Ma ora - secondo voi - quando Imperato e Barcella si contendevano la lettera a colpi di spalettate,
- e quando a ogni spalettata erano lì a vederla già nella propria collezione,
a raffigurarsi già la manifestazione in cui l'avrebbero esposta e la medaglia che avrebbero vinto -
quanto gliene poteva importare delle possibili "svalutazioni in termini reali"?
C'era un sogno da inseguire, e un prezzo da pagare: tutto il resto non aveva importanza.
"La filatelia è fatta soprattutto per farci dimenticare - diciamo - gli affari quotidiani"
- ci ricorda Alberto Barcella, figlio di Giuseppe Barcella -
"e quando guardiamo la nostra collezione, viviamo in un mondo parallelo".
E tanto basterebbe a tacitare ogni sciocca lagnanza sui prezzi che vanno su e giù.
Perché non è di questo che si parla, quando si parla di collezionismo.
Non collezioniamo per difendere i nostri capitali dall'inflazione.
Collezioniamo per vivere in un mondo parallelo,
per spadroneggiare su una magnifica realtà di nostra creazione,
pensata e plasmata a immagine e somiglianza della nostra parte migliore.
E inquinare questa meraviglia con le piccole e grandi preoccupazioni quotidiane
- far entrare nella collezione degli elementi che vi sono estranei -
significa falsare il gioco e rompere il giocattolo, tradire il patto.
Tanto vale - a quel punto - non collezionare affatto.
Alle Collezioni di Imperato, alle vendite all'incanto che le disperdono, bisogna approcciarsi con una contabilità elastica e psicologica, come lasciano intendere le parole di un primario operatore di settore, Filippo Ferrario, banditore dell'omonima casa d'asta.
"Basi ridicole, descrizioni basate solo sulle indicazioni del Professore, che
prendeva però premi senza che nessuno verificasse l'esattezza delle
descrizioni; meno di cinque persone al mondo (e credo che non fossero
mai state in giuria) potevano avere le basi per verificare
l'esattezza delle stesse; molti pezzi indicati come unici avevano
multipli; qualità mista, da eccezionale a molto carente; qualche cantonata inevitabile; insomma un geniale - come era il Prof. - casino
in cui districarsi".
Già. Le aste Imperato sono "un geniale casino in cui districarsi". Da dove iniziare?
"Comincia dal principio e continua fino alla fine, poi fermati" è il consiglio che il Re dà al Coniglio bianco, in "Alice nel Paese delle Meraviglie", e converrà provare a seguirlo, per quanto discutere di una collezione sia un processo circolare e non lineare.
Iniziamo dal principio, dunque, o almeno da quel che sembra il naturale punto di ingresso.
La dispersione delle grandi collezioni trasmette sempre una sensazione ambivalente. Da un lato si ha l'impressione di una tempesta distruttiva, di un tsunami che in poche ore polverizza ciò che si era costruito con pazienza, amore e sacrifici, lungo una vita intera. Dall'altro, però, quella stessa tempesta sparge le spore per creare nuovi collezionisti e diffonde sostanze vitali per rinforzare i collezionisti già presenti, perché nel collezionismo - come altrove - nulla muore e tutto si trasforma, si ricostituisce in altra forma, in forme sempre diverse.
Guardiamo allora alla dimensione prospettica delle aste Imperato, a ciò che queste aste possono offrire al futuro della filatelia.
Cosa ha guidato - a livello alto e generale - l'azione collezionistica di Saverio Imperato? Quali principi? Quali idee?
Saverio Imperato, in ricordo di Giulio Bolaffi.
"Con i francobolli bisogna cercare di costruire delle storie affascinanti", raccomandava il Professore, affermando un punto capitale per tutti, qualunque sia il tipo di filatelia che si vuol fare: collezionare significa raccontare una storia (affascinante) attraverso una sequenza di oggetti ben scelti e disposti nel giusto ordine, per comunicare al meglio gli interessi, la conoscenza e la cultura del collezionista, per emozionare chi osserva la sua creazione.
Questo obiettivo richiede "un
allenamento a creare e a presentare, prima a se stessi e poi agli
altri, una costruzione mentale", e presuppone quindi il saper "scegliere dei criteri logici, seguirli e cercare di realizzarli", unitamente alla prontezza nell'affinarli, se del caso emendarli, in un percorso dove non vi è mai un punto di arrivo, ma un miglioramento continuo "che
sviluppa la mente ad essere positiva" (e in questo senso "la collezione può servire per ampliare la propria personalità").
E le Collezioni Imperato - gli oggetti postali di cui si compongono - testimoniano quel che il Professore ci racconta a parole: che "il collezionismo filatelico è una forma di educazione, è un affinamento per rendere le intelligenze positive", "una grande palestra mentale", "un allenamento a rispettare certe regole"; che in filatelia "c'è bisogno della mente di un 'costruttore' non di un dissipatore", da cui derivano, per ricaduta, "grossi vantaggi educativi" (al punto da consigliare l'insegnamento della filatelia nelle scuole, anche perché il mondo dei francobolli rimane ancora "una miniera da esplorare").
Teniamoli bene a mente questi insegnamenti del Professore, ogni qual volta ci illudiamo di poter collezionare come ci pare, perché - neanche troppo alla lunga - non ci sarà né piacere né divertimento, e men che meno cultura, al di fuori di un ordine mentale, di una chiarezza di idee, di un ideale da perseguire.
La visione ingegneristica della collezione - una costruzione che deve stare in piedi e avere un significato comunicabile - è il punto di partenza obbligato, invariante nel tempo e nello spazio, perché collegato a esigenze strutturali. Restano da precisare gli aspetti architettonici relativi ai canoni, che per definizione sono variabili e specifici di ogni epoca.
Il Professore sosteneva di non essersi mai ispirato a nessun collezionista del passato, perché "il
collezionismo del passato era fatto con criteri molto diversi da quelli
attuali", ma aveva preso le distanze anche da alcune tendenze moderne: "ci
sono stati collezionisti che hanno privilegiato la qualità più che la
rarità" - diceva - "Io penso e agisco diversamente. Quando il pezzo è unico o
rarissimo è meglio averlo che rinunciarvi perché magari non di buona
qualità".
La sua personale presa di posizione sulle rarità difettose - "quando il pezzo è unico o
rarissimo è meglio averlo che rinunciarvi perché magari non di buona
qualità" - rischia però di trasformarsi in un insegnamento ambiguo, perché può voler evidenziare un'ovvietà, su cui è impossibile non concordare, oppure esprimere un caposaldo di uno stile collezionistico che va qualificato, per capire se e in che misura sia effettivamente replicabile e ancora d'attualità.
Conviene prendere le mosse da un'istantanea - nitida e feroce - scattata da Franco Filanci.
"Una
delle asserzioni più comuni nel mondo filatelico quasi un modo di dire è
che in filatelia le possibilità sono praticamente infinite. Ciascuno di
noi, se solo vuole, può farsi una collezione o ritagliarsi uno spazio
di studio del tutto vergine, differente, personale. Poi però nella
realtà finisce che, grazie a tradizioni e abitudini e condizionamenti
(come i regolamenti internazionali), tutti fanno le stesse collezioni, e
l'originalità consiste solo nelle ovvie diversità dei pezzi presenti.
Mentre le ricerche - di cui tanto si parla - spesso si fermano ad
aggiornare qualche dettaglio di volumi e articoli precedenti, o ad
elencare la consistenza numerica di un certo francobollo in blocchi o
col tale annullo, o di corrispondenze con l’affrancatura formata da
certi francobolli.
E forse non è neppure solo questione di pigrizia, di tempo, di convenzioni e condizionamenti. Forse è questione di personalità. I collezionisti attivi si dividono probabilmente in due sole classi: i competitivi e gli innovativi. I primi, la maggioranza, sono felici di fare ciò che già altri hanno fatto, per avere qualcosa di preciso su cui confrontarsi, e il loro maggior impegno sta nell'aggiungervi qualcosa in più (pezzi, soldi, talvolta intelligenza) per riuscire a mettersi in evidenza. I secondi invece cercano di battere strade nuove, oppure esaminare le strade già battute con un’ottica nuova, perché vogliono essere i primi se non gli unici. Non occorre poi molto, in realtà, per addentrarsi su sentieri nuovi o poco battuti: basta guardarsi intorno senza pregiudizi. Né un tema insolito è necessariamente un argomento di scarso interesse, poco suggestivo, o destinato a pochi".
E forse non è neppure solo questione di pigrizia, di tempo, di convenzioni e condizionamenti. Forse è questione di personalità. I collezionisti attivi si dividono probabilmente in due sole classi: i competitivi e gli innovativi. I primi, la maggioranza, sono felici di fare ciò che già altri hanno fatto, per avere qualcosa di preciso su cui confrontarsi, e il loro maggior impegno sta nell'aggiungervi qualcosa in più (pezzi, soldi, talvolta intelligenza) per riuscire a mettersi in evidenza. I secondi invece cercano di battere strade nuove, oppure esaminare le strade già battute con un’ottica nuova, perché vogliono essere i primi se non gli unici. Non occorre poi molto, in realtà, per addentrarsi su sentieri nuovi o poco battuti: basta guardarsi intorno senza pregiudizi. Né un tema insolito è necessariamente un argomento di scarso interesse, poco suggestivo, o destinato a pochi".
Saverio Imperato fa sicuramente parte degli "altri".
Quando gli chiesero quali
fossero i tre francobolli che lo avessero maggiormente
impressionato - a parte i suoi - la risposta rivelò il tipico atteggiamento di un collezionista "altro": il 3 skilling giallo di Svezia
(un errore di colore che si racconta Mondolfo producesse ab libitum nel
suo studio, per farne comprendere la dubbia origine), l'One Cent Magenta
(che sempre Mondolfo diceva di non aver mai desiderato perché insopportabilmente difettoso) e il foglio completo del 9 kreuzer
di Baviera (che chissà quanti collezionisti italiani hanno mai sentito nominare).
Saverio Imperato è un collezionista "altro", d'accordo, Imperato è "fantasia" - come ricorda Bottacchi - ma "la fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla", ci ammonisce quel poeta di Guccini.
Perché non è vero - contrariamente a quanto afferma Filanci - che "non occorre poi molto per addentrarsi su sentieri nuovi o poco battuti". I sentieri nuovi e poco battuti sono per definizione incerti e pericolosi, perché nessuno sa bene come muovercisi, mancando il riferimento di chi ha fatto esperienza prima di noi, come lo stesso Filanci non può fare a meno di annotare.
Noi possiamo pure vedere nel Professor Imperato il Picasso della filatelia, ma a provare a imitarlo c'è l'alto rischio di fraintenderlo, di pensare che "essere come Picasso" voglia dire semplicemente disegnare linee storte e insensate (a cui ognuno attribuirà poi i significati che desidera) anziché dritte e logiche (comprese da tutti allo stesso modo).
Filanci - di fatto - stigmatizza quei collezionisti che chiama "i competitivi", ma il desiderio di "avere qualcosa di preciso su cui confrontarsi" non è diverso dal principio ispiratore della tradizionale arte occidentale, che imponeva un'immagine pittorica "naturalista", espressione fedele della realtà, rispettosa dei meccanismi della visione ottica umana (formalizzati nel Rinascimento italiano, col chiaroscuro per i volumi e la prospettiva per lo spazio).
La prospettiva non può però considerare l'oggetto nella sua totalità; può offrirne solo una visione parziale - nel duplice senso di incompleta e dipendente dall'osservatore - e quindi è un artificio, un’illusione imitativa.
A inizio '900 Pablo Picasso avvia la rivoluzione: demolisce il principio fondamentale della "unicità della prospettiva", che imponeva al pittore di guardare solo ad alcune facce della realtà, per proporre quadri in cui si miscelano frammenti di realtà visti tutti da angolazioni diverse.
Il Cubismo rompe la convenzione dell'unicità del punto di vista, introduce la variabile temporale nell'arte pittorica, supera il limite implicito nella rappresentazione istantanea della realtà, e porta dentro il quadro tutta la conoscenza che l'artista ha acquisito dell'oggetto grazie a un'osservazione prolungata e variata nel tempo; e la rottura della convenzione - fatalmente - non tocca solo la costruzione tecnica dell'immagine, del quadro, ma anche la sua lettura, che non può realizzarsi con uno sguardo istantaneo, e impone una precisa scansione percettiva spazio-temporale che dia modo analizzarne le singole parti e ricostruirle mentalmente, per giungere con gradualità dall'immagine al suo significato.
Picasso porta la dimensione spazio-temporale nell'arte, inaugura una pittura in cui lo spazio e il tempo si fondono in una rappresentazione unitaria che restituisce una visione simultanea delle innumerevoli sfaccettature della realtà; e la concomitanza con lo sviluppo della Teoria della Relatività di Einstein - l'abolizione dello spazio e del tempo assoluti, l'introduzione del concetto di spazio-tempo, l'impossibilità di dare una descrizione oggettiva del mondo, la frammentazione della realtà in base ai punti di vista da cui la si osserva - crea un contatto tra Scienza e Arte colmo di suggestioni.
Altro che immagini storte e arbitrarie, che ognuno interpreta come vuole!
Imitare Picasso non significa tracciare linee a caso e - allo stesso modo - imitare Imperato non vuol dire ammassare nel proprio album delle (presunte) rarità senza curarsi della loro qualità; e se imitare Picasso è difficile, imitare Imperato è complicato, maledettamente complicato.
Perché, sì, ogni collezione appare menomata se sganciata dal collezionista che l'ha edificata, ma ogni collezione deve anche poter stare in piedi da sé, parlare e raccontare la sua storia indipendentemente dall'associazione al suo proprietario, laddove le collezioni di Imperato sono in uno con il Professore come una figura lo è con la sua immagine riflessa in uno specchio, senza però poter dire quale sia l'una e quale l'altra, se sia la collezione a restituire la grandezza del collezionista o il collezionista a dare corpo, anima e respiro a un insieme altrimenti amorfo.
Tutto ciò che emoziona ha valore artistico, ma solo ciò che si può replicare ha un valore tecnico. Le Collezioni Imperato emozionano, ma non sono replicabili, perché gli dèi lodano nei Re quelle cose che aborrono nella gente comune, e chi si atteggiasse a "fare l'Imperato" senza essere Imperato, sentirebbe rimbombare le loro risa di scherno.
Continuiamo pure a guardare a Imperato con ammirazione e stupore, a contemplarlo, a cogliere gli spunti che le sue collezioni possono offrirci, e a svilupparli con la sensibilità odierna, ma non ci venga in mente di imitarlo - per l'amor del cielo! - perché sarebbe pura follia.
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