LE SORELLE AZZURRE - Crocetta

La Croce di Savoia,
il francobollo della luogotenenza di Luigi Carlo Farini.
"Per la Croce [...] abbiamo due tonalità diverse:
dapprima un azzurro-oltremare (chiaro e vivace);
poi un azzurro cupo che si avvicina talora all'indaco.
Qui pure varie gradazioni non mancano,
ma tutte possono essere comprese nelle due tonalità sopra riferite,
di cui quella chiara e vivace è certamente la prima.
Se si tratti di due tirature distinte, eseguite cioè in due periodi diversi,
ovvero di una sola provvista inizialmente in azzurro chiaro
e poi continuata nella tinta più intensa e più scura
non saprei affermare. Ciò mi sembra probabile.
E' certo però che gli esemplari di quelli che chiamerò per semplicità il secondo colore
appaiono a poche settimane di distanza dai primi a tinta chiara".
(Emilio Diena)

Il francobollo è uno strumento, nasce come oggetto per il pratico uso, per assolvere una funzione amministrativa, il pagamento anticipato per la consegna della corrispondenza. La sua emanazione governativa gli lascia però un'impronta istituzionale. La produzione del francobollo è monopolio dello Stato, e il francobollo ne porta con sé la storia e le tradizioni. Il francobollo - in questo senso - è assimilabile alla banconota, che se da un lato è solo un oggetto per facilitare gli scambi, dall'altro è anche un mezzo per veicolare e tramandare la cultura del Paese in cui circola (come avveniva con le monete e le banconote in lire italiane).

"Il francobollo fin dall'inizio non è stato soltanto un mezzo per affrancare una lettera, ma la dichiarazione del potere di uno Stato. E' una dichiarazione di proprietà: qui comando io", nella fulminante prosa di Franco Filanci. Il francobollo è un oggetto funzionale a uno scopo, ma può anche "essere propaganda vera e propria, anche subliminale", e perciò "va valutato come ogni altra forma di comunicazione".

La situazione cristallizzata nella Trinacria era davvero speciosa, se riguardata in questa veste double-face. Quel francobollo rispondeva perfettamente all'obiettivo pratico per cui era stato ideato - alleggerire il costo della distribuzione dei giornali - ma si trascinava dietro le immagini di una storia non più attuale, ormai conclusa, portava addosso i simboli di un passato senza un futuro, da far dimenticare, non certo da immortalare.

Garibaldi era partito da uno scoglio, con più punti interrogativi sulla testa che soldati al suo fianco; era sbarcato in Sicilia e aveva risalito il Regno, commettendo le violenze proprie di ogni guerra, in nome di un ideale più alto, che le avrebbe legittimate. Il Generale era entrato a Napoli da trionfatore, col Re in fuga. Aveva liberato il popolo dal suo tiranno, gli aveva restituito la libertà, a iniziare dalla circolazione dell'informazione, che aveva reso prontamente più economica, perciò più agevole, proprio come gli era stato chiesto. E cosa si vedeva ora su quei giornali che raccontavano la sua impresa e di ciò che ne sarebbe venuto? Si vedeva l'araldica dei Borbone, una Casa Reale decaduta, spazzata via. Si vedeva il passato portare in giro il futuro.

Non vi erano spiegazioni a una situazione beffarda, se non la velocità imposta alla riforma del costo di spedizione dei giornali. Esisteva già un francobollo con l'indicazione "½", e non vi era nulla di più rapido che associarvi una diversa valuta, replicare la "G" di grano con la "T" di tornese - operazione peraltro materialmente laboriosa - senza toccare il resto, in fin dei conti inessenziale rispetto allo scopo pratico. Con la Trinacria - si può dire - la funzione pratica del francobollo fagocitò la dimensione istituzionale, la necessità materiale ebbe il sopravvento sulle questioni di principio.

I principî - non ricordo chi l'abbia detto - son quella cosa che, come i calzoni, non si esita a lasciar cadere quando preme un bisogno naturale. C'era il bisogno di fare informazione e creare opinione, e il resto cadeva giù, come i pantaloni sotto la pressione del più fisiologico degli stimoli corporali. Ma poi ci si ricompone, espletato il bisogno. Una volta tamponata l'emergenza al meglio delle possibilità - riallineate le tariffe del napoletano al regime sardo, con un intervento operativo mirato - il profilo istituzionale doveva riacquistare il suo peso, la sua dignità. Nessuno gira coi pantaloni abbassati, dopo aver fatto ciò che doveva fare.

Il 6 dicembre 1860 - quando alla dittatura di Garibaldi era subentrata la luogotenenza del Commissario Luigi Carlo Farini - nasceva la Croce di Savoia - più familiarmente CroceCrocetta - un francobollo che, nelle parole del duo De Angelis-Pecchi, "assomma in se talmente tanti motivi di interesse da farne un caso unico non solo nella filatelia italiana, ma mondiale. La storia, così intimamente legata alle vicende del nostro Risorgimento, l'uso postale, le modalità con cui fu stampata, le cento varietà, tutto concorre a esercitare un fascino irresistibile su chiunque si occupi di filatelia".

 Crocetta "primo giorno" su un frammento di giornale.
Esistono solo cinque Crocette usate il 6 dicembre 1860.



"L'Omnibus" del 19 febbraio 1861
- con notizie sul "Discorso della Corona",
tenuto il giorno prima di Re Vittorio Emanuele II alla Camera dei Deputati -
 affrancato con la Croce di Savoia angolo di foglio, posizione n. 100,
timbrata col bollo a datario nel suo primo giorno di utilizzo come annullatore.
 
 
 
Una splendida Crocetta su fascetta.
Ex Collezione Pedemonte.
 



L'unico caso di Crocetta frazionata.
"Il frazionamento è annullato con il bollo a svolazzo n. 32 di Campobasso.
Quest'uso è in evidente frode postale, in quanto non esiste nessuna tariffa di un quarto di tornese.
La spiegazione può essere ricercata nel fatto che, negli uffici postali periferici, 
per sopperire alla mancanza di francobolli da mezzo tornese
qualche volta si ricorse al frazionamento del francobollo da mezzo grano.
E' probabile che, forse con la complicità di qualche impiegato postale,
si sia recuperata una Croce già usata e parzialmente interessata dall'annullamento,
e una volta frazionata si sia spedito il giornale
come se si trattasse di un frazionamento del mezzo grano"
(Enzo De Angeli, Mauro Pecchi)

La tavola del ½ grano, già raschiata localmente per creare la Trinacria, fu oggetto di un nuovo e più invasivo intervento, con cui gli emblemi dei Borbone furono scalpellati e sostituiti dalla Croce dei Savoia, preservando la colorazione azzurra.

Oggi abbiamo certezza sul processo di realizzazione della Crocetta.
L'incisore Pasquale Amendola e i suoi allievi raschiarono i simboli borbonici
dall'intera tavola di 200 esemplari del ½ grano, e vi sostituirono la Croce di Savoia.
In metà tavola, tuttavia, preservarono la "G" di grano,
già lasciata intatta nella creazione della Trinacria.
"Perciò, a lavoro ultimato, si avevano duecento incisioni, portanti tutte il nuovo stemma;
ma mentre le cento di destra avevano ancora l'indicazione 'G: ½', 
quelle di sinistra portavano l'indicazione 'T: ½' ", scrive Emilio Diena nella sua monografia.
Solo metà tavola concorse pertanto alla creazione della Crocetta,
anche se poi "[l]a lastra veniva inchiostrata per più della sua metà,
cosicché nel margine di sinistra del foglio di carta filigranata
riuscivano talora impresse parti di francobolli dell'altro gruppo",
dando origine a esemplari come quello riprodotto.
Quindi, in conclusione, gli interspazi di gruppo dei due francobolli da ½ tornese
"se fossero completi, mostrerebbero un ½ grano azzurro, se provenienti dal foglio della Trinacria
o un ½ grano Croce, pure azzurro, se provenienti da fogli della Croce".
Questa affermazione - è importante precisarlo - manca di un'evidenza manifesta:
che "non si siano mai viste paia del ½ tornese Croce
separate da distanza di gruppo aventi tutti e due gli esemplari completi",
è una constatazione di Emilio Diena del 1936, e a tutt'oggi valida, non smentita.
Nessuno, cioè, ha mai esibito una coppia integra della Crocetta con interspazio di gruppo,
perciò, a rigore, nessuno sa dire quale lettera si vedrebbe sulla Croce strappata,
semmai si avesse l'ipotetico privilegio di osservarla per intero.
A seguire l'intuito, anzi, verrebbe da pensare alla "T" di tornese,
perché in fondo non vi erano ragioni per non scalpellare anche la "G" di grano,
dopo essersi sobbarcati la fatica di raschiare e re-incidere l'intera tavola:
perché, insomma, compiere il 99% del lavoro e lasciare incompiuto l'1%?
Sembrava più verosimile, quindi, immaginare un intervento totalitario,
una stampa della Crocetta con una tavola da 200 esemplari. 
Quest'intuizione ingenua, tuttavia, non convinse mai del tutto i filatelici più avvertiti.
Il filatelista inglese Bacon - scrive sempre Emilio Diena nella sua monografia -
"avendo cooperato alla formazione della collezione Tapling,
riteneva che quel ricco amatore avrebbe potuto riunire, durante varii anni di ricerche
ben più di 87 varietà della Croce, se la tavola ne avesse contenuto 200".
Se l'evidenza più immediata non dava né conferme né smentite,
e da un lato l'intuito privilegiava la congettura di una tavola da 200 esemplari,
dall'altro vi era pure un elemento valutativo di natura empirica
che avvalorava l'ipotesi di una tavola di soli 100 esemplari.
L'argomentazione rimaneva comunque problematica, non conclusiva,
ma Emilio Diena corroborò l'idea di un ½ tornese Croce stampato con una tavola da 100,
attraverso la paziente ricerca e la successiva analisi dei contenuti
del "Fascio n. 244 del Ministero dei Lavori Pubblici del Governo Luogotenenziale".
L'ipotesi di Diena divenne poi "pratica certezza"
col ritrovamento di alcune Croci con al verso il decalco della "G" di grano.



Decalco della Crocetta con la "G" non modificata in "T".



La "coppia Burrus" della Crocetta,
"un pezzo fra i più classici e interessanti che esistono al mondo",
nel giudizio di Giulio Bolaffi.
"Se [...] ci venisse chiesto di indicare quale sia [...] il lotto più importante di questa vendita"
- scrive Alberto Diena nella prefazione alla Collezione Burrus -
"non punteremmo sul 'tre lire', ma sulla coppia nuova angolo di foglio, della 'Croce' di Napoli.
Ciò non solo per la sua qualità eccezionale o per i margini davvero enormi,
ma anche perché - proprio a tergo di un margine - vi è un decalco
che dimostra come nella metà di sinistra della tavola, non utilizzata per la stampa della 'Croce',
si era sostituito lo stemma dei Borboni con quello dei Savoia,
senza però modificare il valore da GRANO a TORNESE;
e questo elemento accresce l'interesse di un francobollo che - storicamente e tecnicamente -
può essere annoverato tra i più attraenti al mondo".



La tavola della Crocetta come doveva presentarsi a conclusione dei lavori:
da un lato la "T", dall'altro la "G", e ovunque la Croce di Savoia.

L'incisore Pasquale Amendola e i suoi allievi realizzarono le  operazioni di raschiatura della tavola, in modo chiaramente artigianale. In ogni Crocetta sono pertanto latenti i segni atti a svelarne la posizione originariamente occupata nella tavola.
 
Rendere esplicito ciò che era implicito - il plattaggio delle Croci di Savoia - è stato un lavoro straordinario, avviato da Emilio Diena negli anni '30 del secolo scorso (con la collaborazione di figli Mario e Alberto) e giunto ai suoi esiti solo nel primo decennio del 2000, con la pubblicazione del volume "Il francobollo da ½ tornese 'Croce di Savoia' " di Enzo De Angelis e Mauro Pecchi (di cui è stata recentemente proposta una nuova edizione).

La copertina del volume di De Angelis e Pecchi,
in cui è stilizzata la genesi della Croce di Savoia:
dal ½ grano di Napoli al ½ tornese Trinacria,
dal ½ tornese Trinacria al ½ tornese Crocetta. 



La ricostruzione della tavola della Crocetta (il "plattaggio"), realizzata da De Angelis e Pecchi.
"Plattare" è la brutta italianizzazione del vocabolo inglese "plate"
che, tra i vari significati, ha pure quello di "tavola", "targa", "piastra". 
Il "plattaggio" è l'operazione di identificazione della posizione del francobollo nella tavola.
"Plattare" significa risalire al posto occupato dal francobollo, nella tavola utilizzata per la stampa.
Il "plattaggio" - con le parole sempre belle di Franco Filanci - "è un classico della filatelia classica",
"uno degli aspetti più affascinanti, raffinati ed esclusivi del nostro collezionismo".
"Plattare" è un puzzle, un gioco a incastro, divertente e formativo,
perché col pretesto di battezzare la posizione del francobollo nella tavola,
si finisce con l'esplorarne tutte le caratteristiche più rilevanti.
La possibilità di "plattare", e per estensione di ricostruire virtualmente l'intera tavola,
è variamente subordinata al tecnicismo di stampa e alla disponibilità di grandi multipli,
e soprattutto alla pazienza e alla determinazione del collezionista nel comporre il puzzle,
come ottimamente rappresentato nella sezione dedicata del sito www.antichistati.com:
"esaminando con pazienza certosina, a volte maniacale, ogni francobollo
si possono scorgere dei piccoli dettagli caratteristici della sua posizione:
sbavature di colore, difetti nei bordi, nelle diciture, punti di colore,
fregi di bulino, falle di stampa ecc. sono gli elementi utili per 'plattare' un pezzo.
Questo lavoro presuppone di avere a disposizione un gran numero di pezzi,
magari già plattati da tenere come riferimento,
e possibilmente anche la riproduzione delle tavole intere.
Ma anche disponendo di molto materiale 
non è spesso facile determinare l'esatta posizione di un francobollo:
un margine mal tagliato, un annullo 'malefico' [...]
possono nascondere  proprio il dettaglio che serve nello studio.
Solo un buon occhio e tanta pazienza possono aiutare in questa specializzazione estrema".
Il caso dei francobolli di Sicilia è paradigmatico:
metodo calcografico e abbondanza di grandi blocchi, se non addirittura di fogli interi,
hanno congiuntamente consentito il plattaggio dell'emissione.
L'operazione fu invece molto più complicata per la Crocetta, pur stampata in calcografia.
Emilio Diena riuscì a identificarne le "cento varietà",
fu cioè in grado di censire tutte le cento caratteristiche di stampa
necessarie a distinguere una Crocetta dall'altra,
ma soltanto per ventisei di esse fu anche in grado di localizzarne correttamente la posizione. 
Per altre varietà, invece, riuscì solo a individuare la riga o la colonna di appartenenza,
e per le restanti, infine, non fu in condizioni di dir nulla.
La monografia di Emilio Diena è rimasta a lungo l'unico riferimento ufficiale,
per l'identificazione e il plattaggio del francobollo da ½ tornese Croce di Savoia.   
C'è voluta l'opera di "uno stimato chirurgo e un abile e preparatissimo informatico",
cioè di due personaggi che "non nascono come collezionisti di francobolli"
 - come ricorda Raffaele Diena nella prefazione al loro volume -
per riuscire laddove chissà quanti collezionisti avevano ripetutamente fallito
o avevano direttamente rinunciato, vista la collaudata difficoltà dell'impresa.
L'opera di De Angelis-Pecchi 
è l'equivalente filatelico della dimostrazione dell'Ultimo Teorema di Fermat:
qualcosa che consegna i suoi autori alla Storia, rendendoli immortali.
E anche qui, come avviene in una dimostrazione matematica, abbiamo di tutto:
piccoli passi in avanti, improvvise regressioni, brusche accelerazioni, momenti di stasi.
A un tratto - per dire - un insieme di conclusioni tutte singolarmente esatte
mostrarono la loro drammatica incoerenza quando furono messe assieme:
"nessun tipo poteva stare nella prima fila orizzontale", dicono gli autori,
per cui fu ovvio che "qualche macroscopico errore stesse condizionando il nostro lavoro".
In questa impresa, che per molti versi trascende il contesto puramente filatelico,
per salire al rango di sfida intellettuale, una sorta di scalata dell'Everest,
che si vuol intraprendere non già perché la cima sia un posto confortevole su cui sostare,
ma solo per l'estrema difficoltà dell'intrapresa, che gratifica per il sol fatto d'esser stata realizzata,
in questa impresa, raccontano gli autori, "[t]utte le ipotesi vennero prese in considerazione"
e nessun argomento venne scartato a priori "anche se ci sembrava assurdo",
sino a porre in discussione i dogmi, "a ipotizzare che... vi erano più di 100 tipi di Croce!".
"Nonostante qualche successo iniziale, però, i progressi per un lungo periodo furono piuttosto scarsi. Era come se ci fosse qualcosa di non chiaro che non riuscivamo assolutamente a capire.
Durante il lavoro emergevano infatti tante piccole difficoltà, ipotesi di lavoro valide,
ma costantemente frustrate, incongruenze tra gli esemplari studiati e via dicendo,
tanto che dopo un po' di tempo arrivammo a pensare che ci eravamo sbagliati,
che la ricostruzione completa della tavola non era possibile
e che dovevamo accontentarci di un pur significativo avanzamento nella ricomposizione.
La svolta si ebbe in maniera del tutto casuale...".

La Crocetta fu usata soprattutto nel mese di dicembre del 1860 e nel gennaio del 1861; il suo impiegò diminuì progressivamente dalla seconda metà di febbraio, con un'intensità comunque minore rispetto alla Trinacria.

De Angelis e Pecchi hanno classificato gli annulli sulla Crocetta,
distinguendo per periodi e luoghi d'utilizzo.
Abbiamo tre periodizzazioni, per gli usi a Napoli:  
la prima, dal 6 dicembre 1860 al febbraio 1861,
in cui tutte le Croci portano l'annullato "in cartella"
la seconda, dal 19 febbraio 1861 al luglio 1861,
in cui l'annullato "in cartella" è sostituito dal bollo "Partenza da Napoli"
(in principio utilizzato solo per stampe e giornali, e poi per il resto della corrispondenza);
nella terza e ultima, da luglio 1861 in poi,
compaiono i bolli circolari di piccolo formato con una sola circonferenza
e all'interno la sola dicitura "Napoli" con data e ora di impostazione.
Abbiamo invece due soli periodi, per gli usi nelle Officine Postali periferiche
(presso le quali l'impiego della Crocetta è decisamente più raro): 
dal 6 dicembre 1860 ai primi mesi del 1861 tutte le Crocette sono annullate "a svolazzo",
dall'aprile del 1861 in poi iniziano ad apparire i bolli circolari a date
e scompaiono progressivamente gli "svolazzi".



Crocetta annullata "a svolazzo"
Collezione "Naples".



La "coppia Caspary" della Crocetta,
annullata in rosso col timbro "PARTENZA DA NAPOLI".



Un inusuale impiego della Crocetta a Teramo (Collezione "Naples").
"Ricordo infine che i francobolli da ½ tornese furono usati in grandissima parte a Napoli;
e ben difficile trovarne con bolli di altre provenienze"
(Emilio Diena)



Il blocco di otto della Crocetta:
la più grande rarità dei periodi della dittatura e della luogotenenza.
Collezione Naddei, ex Collezione Caspary.
Il blocco equivale a un controvalore nominale di 2 grana
probabilmente affrancava una lettera di un foglio,
destinata al di fuori del circondario postale.



Il blocco della Crocetta è stato a lungo ospitato da un frontespizio,
con cui in realtà non aveva alcun legame di parentela.
L'assurdità della composizione è tutta negli annulli:
sulle Croci di Savoia compare lo "svolazzo" n. 16 
e sul frontespizio c'è invece il bollo circolare di Taranto,
una località che uso lo "svolazzo" n. 13.
Renato Mondolfo si prese il rischio di rimuovere il blocco dal supporto fittizio,
un'operazione forse tecnicamente banale, ma sicuramente gravida di insidie.
Perché il blocco era stato artificiosamente collocato sul frammento?
Per renderlo ancor più attraente rispetto a quanto già fosse?
O per mascherarne i difetti, le imperfezioni o le riparazioni?
E se questa stessa opera maquillage avesse causato dei danni?
Nessuno sapeva, in definitiva, cosa sarebbe accaduto al blocco,
dopo l'immersione del frammento in una bacinella d'acqua.
Mondolfo si prese i suoi rischi, li soppesò da esperto quale era,
e oggi la filatelia classica italiana può vantare e esibire un pezzo straordinario.
Un oggetto simile suscita in tutti i collezionisti una curiosità che spesso resta latente,
vuoi per pudore vuoi perché se ne intuisce l'inconsistenza:
Viene a tutti da pensare, anche se non lo si dice apertamente, "... ma quanto vale?".
La risposta, oggi, è banale sino alla tautologia:
vale tanti euro quanti ne dovesse chiedere Bernardo Naddei,
a condizione di trovare qualcuno disposto a darglieli. 
Possiamo però dire qualcosa di meno banale, se risaliamo indietro nel tempo,
se torniamo ai giorni tra il 28 e il 30 gennaio del 1957, all'asta degli Antichi Stati di Alfred Caspary.
In quel catalogo troviamo diverse Croci di Savoia, in diversi stati di conservazione,
e accostarne i realizzi può darci se non altro un'idea delle proporzioni,
che potrebbero in realtà essere anch'esse variabili nel tempo e nello spazio,
e che tuttavia rimangono quanto di meglio si abbia a disposizione,
in un esercizio valutativo connotato da ampi e ineliminabili margini di discrezionalità. 
Due Crocette su frammento, entrambe con annullo completo,
una più bella, l'altra decisamente meno,
realizzarono rispettivamente 600 e  450.
Due Crocette usate sciolte,
anche qui con la prima superiore alla seconda,
realizzarono rispettivamente $ 240 e $ 150.
Una Crocetta di aspetto splendido,
ma con un "unnoticeable defect in left margin and tiny paper flaw bottom left corner"
realizzò invece $ 160.
La coppia della Crocetta annullata col circolare rosso, 
per la quale, con grande scrupolo, veniva segnalato un "thin spot", 
realizzò $ 625.
E il blocco di otto?
Quanto realizzò il blocco di otto, sul frammento che già all'epoca si sapeva fittizio?
Realizzò $ 19.000!

I 61.254 esemplari in circolazione delle sorelle azzurre sembravano aver segnato il tratto più tortuoso dell'accidentato itinerario verso dell'unità di Italia, la parte più complessa del tragitto sembrava alle spalle, sembrava rimasto da percorrere solo il rettilineo finale, e invece...

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