UNA COLLEZIONE DI COLLEZIONISTI - "Risorgimento", di Bernardo Naddei

La Presentazione della Collezione Naddei.

Facile fare una grande collezione di Antichi Stati, se si ha tanto denaro.

Questa affermazione si colloca d'ufficio sul podio delle false credenze del collezionismo.

La vita non è la logica formale, dove esistono solo il "vero" e il "falso". Nella vita ci sono cose tendenzialmente false, ma che di quando in quando conoscono eccezioni, e ci sono cose generalmente vere, che a volte sono disattese; ce ne sono poi altre con l'apparenza della verità, che a indagare bene si scoprono false, e viceversa; e ce ne sono altre ancora che vanno a intermittenza, ora vere, ora false, secondo le circostanze.

Ma questa cosa - facile collezionare, se si ha denaro in quantità - è proprio falsafalsa e basta, falsa sempre e comunque, anche se in molti la credono vera, nella loro smisurata faciloneria.

Niente di peggio di un collezionista privato del benefico ed educativo vincolo di bilancio, nulla di più pericoloso del filatelico che può permettersi di comprare senza chiedere il prezzo. I suoi peggiori impulsi vengono fuori, e per di più tutti assieme: la smania di possesso, la perversione di un album traboccante, la tendenza a vedere ovunque cose interessanti, la perdita di ogni prospettiva, l'azzeramento di tutte le gerarchie.

Vi invito a un gioco, se non siete persuasi. Immaginate di poter stampare tutto il denaro che vi occorre, ma solo per acquistare francobolli, perciò non datevi limitazioni economiche per costruire la vostra collezione, e procedete pure, per tutto il tempo che desiderate, a setacciare le proposte di vendita via via disponibili, a saccheggiare tutto quel che vi aggrada. E poi, alla fine della vostra scorribanda, trascorso un po' di tempo, guardate la vostra opera con tutta la lucidità che vi è possibile chiamare a raccolta. Ne avrete una sensazione di disgusto simile a quella di un ubriaco al risveglio della mattina successiva a una sbronza, di quelle brutte e pesanti, dove si mischiano alcolici di vario tipo, per lo più di qualità scadente. 

E' in prima battuta la cogenza del vincolo di bilancio a rendere interessante la filatelia. Il collezionismo - e quello degli Antichi Stati più di altri - ti insegna la disciplina, l'autocontrollo, l'introspezione, il ragionamento, la riflessione. Il collezionismo ti educa, e lo fa primariamente attraverso il vincolo di bilancio, che ti sollecita di continuo a scovare i tavoli sui quali giocare, su cui vale la pena scommettere, dove è conveniente puntare le tue fiches, che restano limitate per tutti, anche per i più facoltosi. E se parti svantaggiato in termini di denari, di fiches a disposizione nel tuo sacchetto, puoi ancora recuperare in termini di intelligenza e selettività, perché tanto più denaro si possiede quanto più alto è il rischio di mosse sbagliate, di passi affrettati, che svuotano i sacchetti dei tuoi concorrenti e ti fanno recuperare (almeno in parte) l'iniziale svantaggio. 

Ma c'è di più, qualcosa di più sottile e accattivante. Poniamo pure che tu abbia tutto il denaro che ti serve, che ti sia concesso di stampare da te il denaro che ti occorre per acquistare i francobolli desiderati. E allora? Tu potrai pure potenzialmente comprare tutto ciò che desideri, ma chi ti assicura che d'altra parte ci sia qualcuno disposto a vendere? Certi pezzi non vengono via dagli album in cui riposano solo perché qualcuno è nelle condizioni di fare offerte che non si possono rifiutare. Al contrario: l'offerta si rifiuta quanto più non si può rifiutare, perché a volte tanto più alta è l'offerta per un francobollo tanto più si radica nel suo possessore la convinzione di non cederlo, più si offre e meno possibilità si hanno di impossessarsene, l'esatto contrario di quanto avverrebbe in un'asta.

E' paradossale, ma è un paradosso costruttivo, che svela una delle dimensioni più seducenti della filatelia, o almeno di un certo tipo di filatelia, che non è solo quella delle grandi rarità, ma la filatelia di tutti quei francobolli che sembrano possedere un'anima, anche se nominalmente comuni. Questa filatelia è un gioco fatto di arte persuasiva, di affinità spirituali, è un lungo e incessante lavorio ai fianchi, che ti trasforma in un cacciatore di unicorni, animali mitologici che per i cinici e gli scettici neppure esistono, ma che tu sai verranno fuori, prima o poi, e allora, sì, richiederanno frecce, tante frecce, per esser colpiti e catturati (e non vogliano gli dèi che tu non ne abbia a sufficienza per non esserti saputo amministrare).

Questa è la magia del collezionismo degli Antichi Stati: che la tua fortuna non è nel poter comprare certe cose, ma nel fatto che altri si siano decisi a venderle; che la tua forza non è nell'avere tanto denaro, ma nell'aver saputo centellinarlo in attesa di quel momento.

Ma il denaro allora? Come gioca allora il denaro?
 
Il denaro - nel collezionismo e non solo - è semplicemente un fattore di scala, dà soltanto la proporzione. Chi ha cattivo gusto metterà su una piccola bottega degli orrori o un museo di mostri, in funzione di ciò che le sue disponibilità economiche gli permettono di fare. Chi ha buon gusto edificherà capolavori, grandiosi o in miniatura, querce o bonsai, in proporzione alle sue finanze, ma sicuramente capolavori. Chi non ha gusto non avrà punti di ancoraggio, oscillerà tra l'Orsa Maggiore e la Fossa delle Marianne, ed esibirà autentiche meraviglie accanto a tanti bei freak.

Il gusto, il fascino e la personalità di una collezione - le sole cose decisive per il suo successo - sono totalmente indipendenti dal denaro. Provengono dallo studio, dalla passione, dalla logica. Al limite - per estremizzare l'idea - non c'è differenza tra la città di Roma in tutta la sua estensione tridimensionale e una mappa che la schiaccia in pochi centimetri quadrati. E' sempre Roma, solo su scale e dimensioni diverse. Poi, ovvio, il Colosseo, Piazza di Spagna, l'Altare della Patria e Fontana di Trevi, se viste dal vivo, sono cosa diversa - tutta un'altra cosa! - rispetto all'inespressiva stilizzazione a cui siamo obbligati per darne la rappresentazione sulla mappa. Ma il valore profondo e essenziale di una collezione non è nella scenografica maestosità del Colosseo. Risiede piuttosto nel rispetto delle proporzioni, nella coerenza della rappresentazione, nella resa delle distanze, nella qualità della visione d'assieme. E' nel suo essere perfettamente in scala 1:1.000.000 - aggiungere pure zeri a piacere, tanto non cambia nulla - rispetto a uno standard di riferimento.

Bisogna saperne davvero poco su come girano le cose della vita, per rammaricarsi di non avere il conto in banca di Bernardo Naddei. La più parte dei collezionisti dovrebbe piuttosto addolorarsi di non possedere la sua eleganza, la sua finezza, il suo stile, la sua classe. Queste cose non sono precluse a nessuno, qualunque sia la condizione economica e l'estrazione sociale, per quel minimo che siano desiderate, per quel poco che le si voglia acquisire davvero. Noi pochi, felici, manipolo di fratelli, dice "Scilla e Cariddi" e ripete Bernardo Naddei. E cosa impedisce, a noi, di ripeterlo con loro?

E' una vera sfortuna non essere Bernardo Naddei - non avere il suo gusto sopraffino, intendo - e perciò è una gran fortuna per la più parte di noi - persone di gusti modesti - avere uno stringente vincolo di bilancio, un guardiano contro quelle scelleratezze a cui finiremmo per abbandonarci, avendo denaro a sufficienza. Per quelli che rimangono - per i collezionisti di buon gusto, con un forte vincolo di bilancio - c'è una linea di condotta riassunta in una frase che preserva ancora il suo fascino, per quanto inflazionata: trasformare i vincoli in opportunità.

Se non disponiamo della potenza di fuoco di un Bernardo Naddei, proviamo allora a trasformare questa realtà di fatto - che suona come un vincolo, come una limitazione - in uno stato di cose che ne riveli la sua natura duale di opportunità. Noi non possiamo comprare semplicemente quel che ci piace. Perché se iniziassimo a comprare tutto quel che ci piace esauriremmo in paio di mesi il budget filatelico di una vita. Noi dobbiamo scavare, scavare e scavare ancora, senza pause. Scavare dentro il nostro animo, la nostra sensibilità, i nostri interessi, sino  a toccare la carne viva, il cuore pulsante, a bagnarci col nostro stesso sangue. Il nostro criterio non può essere il banale e piatto "mi piace", perché non abbiamo risorse sufficienti per abbandonarci a una simile sciatteria. Il nostro criterio deve essere più evoluto e sofisticato, deve essere "lo sento mio, mi scorre nelle vene, è una parte di me, un prolungamento della mia persona". Il vincolo si è trasformato in un'opportunità, in una straordinaria possibilità di crescita, sotto ogni profilo.

Se si entra in quest'ordine di idee - una predisposizione d'animo su cui serve lavorare, sicuramente non immediata - allora cambia tutto: il mondo circostante sarà sempre lo stesso, ma saremo noi a viverlo in maniera totalmente diversa. Scopriremo, improvvisamente, che certi oggetti battono a vuoto nel nostro animo, pur rimanendo assolutamente pregevoli in sé. Non è - attenzione! - l'atteggiamento gretto e invidioso di chi disprezza quel che non può avere. E' la linea di condotta - consapevole e giudiziosa - di chi sa riconoscere, tra ciò che non può avere, quel che è realmente essenziale al suo piacere e quel che invece è uno tra i tanti oggetti che mi piacciono e basta. Continueranno a esserci - ovviamente - oggetti essenziali al nostro piacere e per noi inarrivabili, ma - attenzione! - scopriremo che questi oggetti sono veramente pochi, molti meno di quanti ne vedevamo all'inizio, con un'analisi sommaria, e sicuramente una frazione così trascurabile da non permettergli di influire seriamente sul nostro stato d'animo di collezionisti.

Si dice spesso - e spesso solo per darsi un tono, per affrancarsi dalla nomea di pazzoidi - che la filatelia è studio; si tende cioè a presentare il collezionista come una persona di cultura, per rendere socialmente accettabile un'attività che - vista da fuori - è solo uno sperpero di tempo e denaro.  La filatelia è studio, è vero, e la prima cosa da studiare non sono né i libri né i francobolli né le lettere. La prima cosa da studiare siamo noi stessi, la nostra personalità, il nostro animo, i nostri bisogni più profondi e ricorrenti. Il resto viene (quasi) da sé.

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