SCILLA E CARIDDI


"Non puoi collezionare Napoli e Sicilia, se prima non hai visto 'Scilla e Cariddi' ". Più che un semplice consiglio o un invito amichevole - da poter accogliere o rifiutare, a mia descrizione - suonava inflessibile come un'ordine tassativo. Rintracciare quel catalogo, il catalogo di quella collezione, non fu facile, ma alla fine ne entrai in possesso. Ricordo ancora il giorno in cui lo consultai per la prima volta: un sabato pomeriggio d'inizio estate, rientrato dal mare, dopo una doccia fredda che mi aveva rianimato dall'eccessiva esposizione al sole, in una delle prime puntate al mare. Lo aprii, sdraiato sul divano del salotto, e fui all'istante trasportato dentro una favola.

"In questo periodo di acuta carenza di francobolli di pregio e qualità..." era l'esordio della presentazione dell'Ingegner Giacomo Avanzo, il commerciante che proponeva la vendita. Mi fermai. Era il febbraio del 1989, trent'anni fa, e già quello era il tempo in cui si rimpiangevano i bei vecchi tempi, quando di francobolli di qualità ne giravano parecchi (tempo dopo, in un catalogo d'asta della Italphil del 1977, trovai scritto che quella vendita avveniva "in un momento in cui esemplari di alta qualità sono sempre più scarsi da reperire sul mercato"; più tardi, nell'introduzione di Renato Mondolfo a un suo catalogo del 1967, lessi che "gli esemplari di qualità [...] sono sempre più difficilmente reperibili". Niente da fare: per quanto si voglia risalire indietro nel tempo, i bei vecchi tempi saranno sempre un po' prima).

Girai pagina e trovai la prefazione di Enzo Diena. "I meccanismi psicologici che presiedono ai comportamenti di un collezionista sono estremamente variati: c'è chi costruisce le proprie raccolte allo scopo di esporle in pubblico [...] altri invece raccolgono unicamente per sé stessi e non amano dividere con altri il godimento [...] c'è chi per tutta la vita non fa altro che comprare e chi, invece, acquista solo fino a quando la sua collezione ha toccato un livello tale per cui ogni ulteriore arricchimento diventa problematico". Mi fermai di nuovo. Che tipo di collezionista sono? - mi chiesi. Che tipo di collezionista voglio essere, a chi voglio assomigliare, cos'è che mi darà piacere e soddisfazione? La risposta fu concomitante alla domanda: io voglio comprare poche, pochissime cose, scelte con grande, grandissima cura, e voglio tenerle esclusivamente per me, custodirle come si fa con un segreto incantevole e tremendo. Questo sono io, questo voglio esprimere con la mia collezione.

Poco più avanti si trovava un'avvertenza, un segnale di pericolo per gli aspiranti collezionisti dei domini Al di qua del Faro. I francobolli del Regno di Napoli "sono spesso caratterizzati da una certa rozzezza di esecuzione, e da un'ancor più accentuata sciatteria nell'impiego". Ma nello stesso capoverso si indicava la via: serve operare "con dura selettività", come aveva fatto il Signor "Scilla e Cariddi".

La parte conclusiva della prefazione era un pezzo d'alta scuola, col confronto tra la "Mormino" e "Scilla e Cariddi": la "Mormino" in fondo, era solo "un progetto di raccolta, per robusto e impressionante che fosse", laddove "Scilla e Cariddi" esprimeva "una vera collezione, armoniosa e organica, quale ogni buon filatelista desidererebbe formare". Quel giudizio fu per me motivo di sistematiche riflessioni. Cosa distingue una collezione da una semplice accumulazione? Come si passa dall'una all'altra? Cos'è che trasforma una semplice collezione in una grande collezione? Qual è il quid che consegna una collezione alla storia? Sono domande che mi accompagnano tuttora, che verosimilmente non mi lasceranno mai, che non avranno mai una risposta definitiva, perché alla risposta ci si può solo approssimare, senza raggiungerla, e semmai una risposta conclusiva dovesse trovarsi, allora segnerebbe la fine del gioco collezionistico, come se a scacchi si scovasse una strategia invariabilmente vincente, a prescindere dalle mosse dell'avversario.

Non rimaneva che aprire il catalogo - concepito per immortalare "addirittura le pagine dell'album così come il collezionista amava contemplarle" - per scoprire quali tesori tratteneva e quali insegnamenti avrebbe potuto rilasciare.



Ho sfogliato quel catalogo tante volte, un numero incalcolabile, e lo guardo ancora, senza mai stancarmene. L'ho consultato ovunque. Sul divano, sul letto, in cucina, addirittura in bagno. L'ho portato con me in treno, in aereo, in autobus, in macchina. Mi ha tenuto compagnia alla feste degli amici dei miei figli e nelle sale d'attesa di commercialisti, dentisti e notai. L'ho portato al mare e anche al lavoro (ma non ditelo in giro). L'ho tenuto per tanto tempo - e a volte lo rimetto ancora - sul comodino della camera da letto.

Quando vivi in simbiosi con un oggetto, quell'oggetto inizia a parlarti, o almeno a sussurrare, se lo sai ascoltare...

Scilla e Cariddi aprite quei cancelli.

Partendo da una punta di stivale

spuntano righe che ti possono far male,

proteggono progetti nati sulle nuvole

custoditi come sassi in dieci scatole

a metà fra il romantico e il pacato,

il bilico tra sognante ed arrabbiato.

La penna che li muove sa cantare,

piangere, ridere, volare.

Una cosa che non ho mai visto prima

altro che due versi attaccati con la rima.

Parole aggiustate con la creta

che salgono da un burrone a una cometa

di una bravura tutta artigianale

che non tace, ha imparato anche a parlare.

Restiamo qui attendendo la prossima scintilla

in direzione Cariddi e Scilla.



La Collezione

"Scilla e Cariddi"

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