UNA COLLEZIONE DI COLLEZIONISTI - "Mormino", della Fondazione Banco di Sicilia


La Collezione "Ignazio Mormino", del Banco di Sicilia, offre un interessante caso di discussione sul collezionismo degli Antichi Stati Italiani, per più d'una ragione.

Anzitutto, contrariamente alla suggestione del nome del proprietario, non è un insieme filatelico in uno con l'allora Banco di Sicilia; non è - per esser chiari - un insieme di documenti, lettere, giornali e francobolli provenienti direttamente dall'archivio del Banco di Sicilia, collegato alla sua vita e alla sua storia, o in qualche modo a esse riconducibili; è - più modestamente, sul piano culturale - un'imponente complesso filatelico del Regno delle Due Sicilie, oggetto di una transazione finanziaria tra il celebre mercante torinese Giulio Bolaffi e la banca siciliana, realizzata in un'epoca in cui la filatelia - un certo tipo di filatelia - era uno status symbol e poteva anche rappresentare un investimento "alternativo".

L'operazione commerciale si intrecciò inaspettatamente alle lotte di potere intorno al Banco di Sicilia (all'epoca la principale banca isolana e una delle più rilevanti a livello nazionale) con risvolti inimmaginabili che lascio raccontare ad Alberto Bolaffi.

"Il mercante di successo, il valoroso partigiano, l'uomo che conduceva una vita rigorosa e agiata, nel corso della sua esistenza venne anche ingiustamente e tragicamente privato per qualche mese della sua libertà in quanto imputato nel contesto dello 'scandalo' del Banco di Sicilia. Così veniva definita in quei tempi una vicenda incentrata sul controllo del potere economico dell'isola, che occupò per molto tempo le testate dei giornali. Per impedire la rielezione per la terza volta del Cavaliere del Lavoro dottor Carlo Bazan alla presidenza del Banco di Sicilia, venne infatti ordita una montatura, sin dalla sua premessa assolutamente assurda ed improponibile, atta a screditare Carlo Bazan anche attraverso il rapporto di amicizia che lo legava al suo amico di infanzia Giulio Bolaffi. Fra le tantissime imputazioni ascritte a chi a quei tempi ricopriva la carica più ambita di tutta la Sicilia, vi era infatti anche quella di una assolutamente inesistente anomalia contabile nella vendita di una collezione che a suo tempo mio padre aveva fornito alla Fondazione Mormino. [...]. Carlo Bazan venne assolto da tutte le imputazioni salvo forse quella di un uso improprio di un'autovettura di servizio. Inutile dire che mio padre venne prosciolto con formula piena da ogni addebito".
 
Carlo Barzan, all'epoca Presidente del Banco di Sicilia, 
e uno tra i maggiori e più preparati collezionisti italiani.
Nel 1959 contribuì a organizzare una storica manifestazione filatelica,
per celebrare il centenario dei francobolli di Sicilia.

La "Mormino" - ce lo ricorda Enzo Diena - nasce negli anni '60 del secolo scorso "quale nucleo iniziale di una più articolata documentazione storico postale e filatelia della breve stagione in cui le due porzioni del Regno delle Due Sicilie ebbero francobolli propri"; poi, però, una serie di "complicate vicende [...] bloccarono l'operazione 'Museo Filatelico delle Due Sicilie'" e resero "del tutto improbabile un suo successivo rilancio". Il "Museo" non oltrepassò mai lo status progettuale, rimase un'idea abbozzata, e i francobolli restarono "chiusi nei forzieri del Banco per oltre un ventennio" - con l'eccezione dell'esibizione alla manifestazione "Palermo '79" - sin quando la banca decise di disfarsene, di liquidarli per far cassa, all'inizio degli anni '80.

La Italphil - la casa italiana d'aste filateliche, il nome all'epoca più blasonato - conquistò l'incarico per la vendita all'incanto, e il suo fondatore, Camillo Pescatori, poteva orgogliosamente presentare l'evento come "uno di quei traguardi che nel corso degli anni vengono a segnare l'attività di una casa d'aste, rappresentando per chi vi lavora un riconoscimento professionale e una soddisfazione personale".

Il catalogo d'asta della Collezione "Mormino".
Nino Aquila fu il curatore della collezione per conto del Banco di Sicilia,
Enzo Diena intervenne nella mediazione come figura terza di riconosciuta autorità filatelica.

Il catalogo della "Mormino" si apre con un'interessante prefazione di Enzo Diena sul tema della proprietà pubblica dei beni filatelici (necessaria, si dice, per riconosce alla filatelia un contenuto culturale meritorio di tutela) contrapposta alla più diffusa proprietà privata (anch'essa vitale, perché le collezioni, si dice, hanno bisogno del collezionista, di qualcuno che capisca i francobolli, che nutra per essi qualcosa di molto simile all'affetto).
 
La parte iniziale della prefazione di Enzo Diena alla Collezione Mormino.
 
 
 
Non ho incertezze sulla posizione da prendere nel dibattito tra collezioni pubbliche e private.
Io la penso esattamente come Bruce Chatwin nel suo "Utz":
"i musei andrebbero saccheggiati una volta ogni cinquant'anni".
Gli oggetti - nei musei - sono privati dell'elemento carnale del collezionismo, il possesso;
sono dapprima decontestualizzati e poi esposti e re-inquadrati,
materialmente, storicamente, teoricamente;
trasmettono un piacere esclusivamente intellettuale,
per l'interpretazione che l'amatore può esercitare su di essi.
Ma a furia di studiare si possono smarrire il sentire più immediato:
tutto si disgrega e si riduce in polvere, tutto ci si sbriciola fra le mani,
tutto finisce col perdere valore e nulla appare veramente grande.
Una riga di Dante, di Shakespeare, di Pirandello, a furia di studiarla,
non ci sembra più così sublime come l'avevamo percepita al principio.
Questo è esattamente ciò che potremmo chiamare il "rischio museo",
il rischio che si corre a imbalsamare gli oggetti dentro i musei,
anziché lasciarli alle amorevoli cure di un privato collezionista.
Io la penso esattamente come Walter Benjamin:
"il fenomeno del collezionismo,
perdendo il suo soggetto [il collezionista], perde anche il suo senso.
Se rispetto alle collezioni private quelle pubbliche
possono essere più accettabili sotto il profilo sociale
e più utili dal punto di vista scientifico,
è solo nelle prime che agli oggetti è resa piena giustizia".

Il catalogo della "Mormino" accoglie numerosi pezzi da museo, ma uno si stacca da tutti gli altri: il "Saggio Masini" passato per posta.
 
Attenzione, però. La "Mormino" non era (non è) propriamente una collezione. Assomigliava più a un'accumulazione, prestigiosa quanto si vuole, ma pur sempre accumulazione, "un progetto di raccolta, per robusto e impressionante che fosse" - con le parole di Enzo Diena dalla prefazione a "Scilla e Cariddi" - ma soltanto un progetto, appunto.

Il senso della differenza tra tra la "Mormino" e "Scilla e Cariddi" si coglie emblematicamente nel confronto tra le pagine dedicate a uno dei francobolli mitici di Napoli, la Croce di Savoia.
 
Nella "Mormino" ci sono tante, tantissime Crocette, sciolte o su frammento - e diciamo pure troppe, addirittura 35 - tutte per così dire "uguali", senza apprezzabili segni distintivi, e nessuna di qualità superba. Vi riecheggia lo stile di un trapassato remoto, del tempo in cui la Collezione Tapling ne contava 18 nuove e 69 usate e Achillito Chiesa ne presentava 10 nuove e 104 usate all'esposizione di Vienna del 1911, in ossequio a una logica e una sensibilità - basate sulla bruta quantità - ormai del tutto sorpassate.
 
La pagina di "Scilla e Cariddi" è invece un capolavoro immortale. Dieci Crocette, una nuova e nove usate. Le usate sono accuratamente assortite: ve ne sono col classico annullato nero "in cartella", altre con annulli rossi (circolare e "in cartella") e poi, ancora, il circolare nero, lo "svolazzo" e l'annullato "non riquadrato". E' la magia - che non svanisce mai, che oltrepassa spavaldamente i secoli - di una serie di oggetti contemporaneamente uguali e diversi.  

Se mai potessi avere il privilegio di scegliere un pezzo di "Napoli", uno solo, tra tutto ciò che è presente nella "Mormino", risolverei l'indecisione piuttosto in fretta: il lotto numero 183, la Trinacria annullata in rosso.

Il lotto 183 della "Mormino".

L'appuntamento per la dispersione della "Mormino" era stato fissato a Roma, venerdì 30 e sabato 31 ottobre 1981, alle ore 22.00 a Piazza Mignanelli, civico numero 3, la prestigiosa sede della Italphil.

Ma... c'è sempre un ma nelle storie più interessanti.

Accadde qualcosa di simile alle conseguenze delle puntuali, sterili polemiche artatamente scatenate intorno ad argomenti di politica, economia e società, in cui tutti si sentono in diritto di parlare, e per colmo d'impostura avvertono quel diritto tanto più forte quanto meno sarebbero titolati a esprimersi, una variante sociale della Legge di Greshaml'opinione cattiva scaccia la buona - con quei pochi che sanno davvero che scelgono di restare in silenzio, perché non hanno in canna il colpo di teatro, la battuta a effetto - diciamo pure il qualunquismo imperante - di cui può invece avvalersi la controparte.

Si innescò un distruttivo meccanismo circolare - e chissà quale sia stato il punto di inizio - per cui a ogni giro si diffondeva e si rafforzava l'idea che il Banco di Sicilia stesse dismettendo il suo archivio storico o qualcosa di sostanzialmente equivalente, che stesse cioè dando via qualcosa che gli apparteneva da sempre, che ne segnava la sua storia e indirettamente la storia della Sicilia.

Un giornale isolano arrivò a scrivere che la vendita avveniva "a scorno della storia della Sicilia", e questa assurda convinzione si auto-alimentò sino a raggiungere una certa risonanza mediatica. Quel che in definitiva - banalizzando un po', ma neanche troppo - potremmo anche leggere come le "pulizie di Pasqua" nello stock di Giulio Bolaffi (nella "Mormino" sono pochissimi gli esemplari di qualità straordinaria) dapprima spedì in galera il mercante torinese, e poi diventò - nel sentire comune - niente meno che uno scippo alla terra di Sicilia.

La Italphil aveva già redatto il catalogo, lo aveva mandato in stampa e inviato ai collezionisti. Tutto era pronto per dar vita al gioco delle palette e del martelletto, ma proprio all'ultimo tutti gli attori cedettero alle pressioni esterne: prima il Banco di Sicilia, che volle ritirare il mandato a vendere, e poi la Italphil, che assecondò quell'irrituale richiesta per un discorso d'opportunità "politica", accontentandosi di un congruo indennizzo a fronte della risoluzione del contratto.

Rimane a noi, oggi, un catalogo realizzato dalla Italphil "con tutto il proprio impegno" - ben "oltre il giusto e doveroso impegno di valorizzare un eccezionale complesso di materiale di gran pregio" - con l'obiettivo meritorio "di lasciare a collezionisti e studiosi una preziosa documentazione, che sia anche contributo alla conoscenza di capitoli che sono fra i più affascinanti della nostra filatelia classica e invito alla raccolta di questi splendidi francobolli".

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