KU FU? DALLA SICILIA CON FURORE


Nessuno immagina oggi un viaggio in un paese straniero, senza saper parlare almeno la lingua inglese. Come fare altrimenti a comunicare con le persone del luogo, a capirle e farsi capire? Il viaggio per la Sicilia - ahinoi - è più complesso: non pretende - e rende inutili - le conoscenze linguistiche oggigiorno più diffuse, e ne impone altre che sembrano invece desuete. L'inglese non vi serve, in Sicilia; ma non vi serve neppure l'italiano.

La Sicilia è appartenuta a tanti, ma non è mai diventata di nessuno. La quantità e la varietà dei suoi conquistatori ha ostacolato l'affermazione esplicita di una identità nazionale, ma l'ha anche dotata di un caleidoscopico patrimonio di esperienze che ne ha reso impossibile l'integrazione in realtà più vaste.
 
Ma la Sicilia, volendo, avrebbe tutti i requisiti per proclamarsi indipendente, per avocare la sovranità propria di una nazione, a cominciare dalla sua estensione territoriale, la più grande isola del Mediterraneo, la quarantacinquesima al mondo; e in fondo, se esiste una storia di Sicilia, è proprio perché l'autonomia della Sicilia va ben oltre lo statuto speciale riconosciutogli dopo la Seconda Guerra Mondiale.
 
Non importa se poi, nei fatti, la Sicilia è oggi solo una regione italiana tra le tante. I siciliani non la vedono così. I siciliani vivono la loro terra, la Sicilia, come una patria, una nazione, uno Stato.


Noi siamo siciliani, viviamo in Sicilia e come succede in ogni nazione, noi abbiamo la nostra lingua.
 
 
Noi siamo siciliani, perciò…


Dobbiamo trasmettervi qualche rudimento del nostro linguaggio, per quanto velleitario sia il tentativo in questi pochi minuti che ormai mancano all'approdo sull'Isola.
 
Nuautri parramu sicilianu, solo u sicilianu e nessun'altra lingua, anche perché tante lingue abbiamo accolto, per creare quel che voi chiamate sbrigativamente dialetto.
 
Nuautri parramu sicilianu e voi non avete scelta.


A


Abbiare: Lanciare, in senso sia fisico che figurato. Abbiaci vuci, lanciagli una voce, fatti sentire, richiama la sua attenzione.

Abbissati semu: Siamo negli abissi, siamo inguaiati come peggio non potremmo, e non sappiamo neppure come tornare in superficie, come risolvere anche solo in parte i guai in cui ci troviamo. Lo stesso concetto è a volte espresso - con ironia, per sdrammatizzante - con l'espressione appostu semu, siamo apposto, da intendere in senso esattamente contrario alla formulazione testuale. Curiosamente, la parola abbissare - singolarmente considerata - significa sistemare, mettere a posto, ordinare. L'abbissai comu si reve, ho sistemato tutto come si deve, a regola d'arte.






Addubbarsi: Mangiare molto, in abbondanza. M'addubai, sono più che sazio, ho mangiato di più, molto di più, di quanto serviva a saziarsi.

Addumare: Accendere la luce.

Addunare: Rendersi consapevoli. E sapi unni me ne addunai?, e sai da dove l'ho capito, sai come ho fatto a comprenderlo? Il termine - probabilmente - è un derivato di addumare (v.), il cui signficato è traslato all'illuminazione che si ha quando si comprende qualcosa che prima sfuggiva.

Allicchittare: Sistemarsi a modo, farsi belli, curando a fondo ogni singolo dettaglio. T'allicchitasti tutta, ti sei vestita proprio bene, truccata perfettamente, pettinata con estrema cura, e così via.

Allippare: Appiccicare, avvolgere, stringere, con gran trasporto emotivo; frequentemente usato per indicare l'atto del baciare a là francese (con la lingua). Il verbo ha una vaga assonanza con l'italiano allappare, produrre sui denti o in bocca, sulla lingua o sul palato, l'effetto astringente proprio delle sostanze acide o di sapore aspro: l'uva acerba - o la banana non ancora matura -  mi allappa la bocca.

Allisciare: Lusingare, adulare, compiacere, non spontaneamente, ma con un secondo fine.


Ammaronare: Dare buca.

Ammucciare: Nascondere, occultare, in senso figurato mettere in sordina, in secondo piano.


Ammuccalapuni: Persona ingenua, creduolona, totalmente priva di malizia, di quelle che non solo credono a ogni cosa che gli si racconta, ma per di più ne rimangono scioccati, a bocca aperta, spalancata, al punto che... ci entrarano dentro le api - ammucca: mangiare; laupuni: api - senza che lui se ne accorga, per quanto è meravigliato da quella notizia.
 


Ammuninni: Andiamo, in senso sia fisico che metaforico. Ammuninni carusi, andiamo ragazzi, sia nel senso di andare via da un certo posto, sia nel senso di lasciar perdere una discussione, di abbandonarla, di non continuare a controbattere.

Ammuttare: Spingere con forza.

Annacarsi: Sbrigarsi, nel significato tradizionale. Annachiti!, sbrigati! La parola possiede però anche un senso diverso, che si potrebbe rendere con dondolare, cullare. Si annaca la carrozzina del neonato, per farlo addormentare. Questa accezione del termine conosce un senso figurato, non proprio elegante, ma molto caratteristico. Me la puoi annacare (sottinteso: la minchia, v.), per raffigurare il gesto di una mano che culla dolcemente l'organo sessuale maschile, a voler marcare la propria superiorità - fisica, intellettuale o di altro tipo - su una persona con cui si è in competizione (in italiano, in un contesto calcistico, sarebbe equivalente a "mi puoi allacciare gli scarpini").

Anticchia: un po', quanto basta, appena poco di più del minimo indispensabile.

Arraggiatu: Arrabbiato, parecchio arrabbiato.

Arricogghiti i pupi: Raccogli i tuoi pupi, i tuoi pupazzi, i burattini (e, sottinteso, vai via). L'espressione è un invito energico a togliere il disturbo, a zittirsi, a metter da parte le proprie pretese, giudicate stupide o inconcludenti, come lo può essere un "pupo", una marionetta, dalle apparenze magari anche attraenti, ma nei fatti pur sempre nelle mani del "puparo".


Arancina(o): Specialità della cucina siciliana, inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole, col nome di arancini di riso. E' una palla (a Palermo) o un cono (a Catania) impanato e fritto, dal diametro di circa 8-10 centimetri, farcito con ragù, piselli e caciocavallo oppure con dadini di prosciutto cotto e mozzarella. Il nome deriva dalla forma (se a palla) e dal colore tipico, che richiamano un'arancia. Il nome è oggetto di una vexata quaestio tra Catania e Palermo: arancino (maschile) o arancina (femminile)? Sembra che sulla questione si sia pronunciata persino l'Accademia della Crusca: "Il gustoso timballo di riso siculo deve il suo nome all'analogia con il frutto rotondo e dorato dell'arancio, cioè l'arancia, quindi si potrebbe concludere che il genere corretto è quello femminile: arancina".


Arricriarsi: Divertirsi molto, godere assai, provare piacere. Non è sinonimo di spacchiarsela, anche se il significato sembra prossimo. Arricriarsi è usato spesso - ma non in modo esclusivo - per chiosare positivamente una bella abbuffata (mentre l'uso di spacchiarsela sarebbe in questo caso fuori luogo).

Asciuppiare: Farsi male, infortunarsi. Carusi, m'asdirrubai e m'asciuppiai troppu fotti!, Ragazzi, sono caduto di brutto e mi sono fatto troppo male!

Assicutare: Inseguire, rincorrere.

Avaia: Parola intraducibile, a mio parere, ma v. qui.

Azzuppa viddanu: Espressione riferita alla pioggia. Piove ad azzuppa viddunu. Una pioggia leggera, fine, appena percettibile, e tuttavia incessante, cosicché, a restarci sotto, ci si ritrova zuppi. E' la pioggia con cui il contandino (u viddanu, il villano) lavora comunque nei campi, per non perdere la paga del giorno, ritrovandosi però a fine giornata completamente bagnanto (inzuppato).

B


Bedda matri: Bella madre. Esclamazione siciliana di meraviglia, tipica delle situazioni in cui lo sconvolgimento per un evento drammatico è per certi versi mitigato dalla grande sorpresa del suo accadimento.


Bottana (anche buttana): In Sicilia non esistono le prostitute, le puttane, le escort, le mignotte, le meretrici, le olgettine o anche solo le donne di facili costumi o anche solo un po' troppo disinibite. In Sicilia ci sono solo bottane.



C

Cabbanna: Di qua, da questa parte. Il Regno di Napoli è cabbanna.

Cafuddare: Picchiare con forza, in senso proprio ma anche traslato. 'Sta serata cafuddau, questa serata è andata alla grande; e, ancora, calcare la mano, inserire, introdurre, piantare, incastrare, infilare a pressione, con determinazione e gusto. Quanta pasta c'ha a caliri? Cafudda, cafudda! Quanta pasta devo calare? Buttane tanta, assai!

Caliare: Marinare la scuola.

Camurria: Tecnicamente intraducibile, per i puristi del dialetto. Si può provare con "fastidio", "preoccupazione", "seccatura", "rottura di scatole", perché la camurria è un po' tutto questo, ma è anche tanto altro ancora. La camurria nasce dalla sproporzione tra l'entità della scocciatura, di per sé modesta o comunque ancora sopportabile, e le azioni da compiere per liberarsene, spesso impegnative. Quanto più questa sproporzione è pronunciata, tanto più fastidi, preoccupazioni e seccature sono camurrie. Minchia che camurria, spiegare cos'è una camurria!


Canciari: cambiare, mutare, in un senso o nell'altro, in positivo o in negativo.


Ca parratu e nun a stato sevvutu?: Hai forse parlato e non sei stato servito? Hai mai manifestato un desiderio che non io non abbia poi esaudito all'istante? No, vero? E allora, per favore, smettila con questa lagnusia (v.). La frase è regolarmente pronunciata in simultanea con l'evasione della richiesta che ci era stata fatta.

Cara cummari, l'ossa cu sale v'ata manciari, i cose belle sannu a taliari: Cara compare, le ossa con il sale vi dovete mangiare [nel senso che potete rodervi dentro, "rosicare" si direbbe a Roma], le cose belle si devono guardare. La frase appartiene a Mastru Austino (Mastro Agostino), in una vecchia pubblicità regionale che conobbe varie versioni, e che in Sicilia diventò un "cult" (qui ne potete vedere una, con una battuta leggermente diversa da quella riportata).

Caruso: Bambino, ragazzino, rimanendo vaga l'età che legittima tale qualifica (orientativamente, comunque, non oltre i 12 o 13 anni). Il termine è la contrazione di carenza di uso, mancanza di esperienza, di pratica, com'è tipico dei bambini e dei ragazzini. La parola va incontro ad abusi, trovandosi riferita anche a persone che, con tutta evidenza, carusi non sono, come quando un quarantenne, un cinquantenne, se non persone ancora più anziane, qualifica se stesso e i suoi coetanei come di ragazzi.

Casa e putia: Casa e bottega.

Cassariato: Confuso, sconnesso, disordinato. Minchia mi cassariai, è l'onesta confessione di chi si è avventurato in un discorso di cui, strada facendo, ha completamente smarrito la consecutio, il senso, la logica.


Ciauru: profumo, buon odore (di regola riferito a pietanze gastronomiche)


C'ha quagghiare a mennula: E' solo un ragazzo, è troppo piccolo per capire, deve ancora maturare.


Comu finisce si cunta: Appena finisce, si racconta. L'espressione - impregnata di una certa fatalità - è un invito ad attendere serenamente il corso degli eventi, che andranno come devono andare, com'è già scritto che vadano, e solo allora a prendersi l'onere di raccontarli, di narrarli, senza avventurarsi in inutili anticipazioni su come potrebbero andare.

Cuccare: Andare a dormire. O cucchiti (fig.), togliti di mezzo, non farti più vedere, vai a dormire, che è meglio. Fatti a nomina e vo' cucchiti, costruisciti una buona reputazione con poche azioni convincenti (fatti a nomina) e poi vivi serenamente di rendita (e vo' cucchiti).

Cunotto: Consolazione, conforto. Cunottarsi, auto-consolazione, modo per rasserenarsi, per risollevarsi. Cunottati!, fattene una ragione, datti da pace in qualche modo, anche semplice e banale. Il cunotto è un piatto umile, semplice, facile da preparare, con ingredienti poveri e genuini, e tuttavia più che sufficiente a dare un senso di sazietà e appagamento.


Cunzare: Condire.
 

Cuttigghio: Pettegolezzo. Il cuttighiaro (cuttighiara) è il pettegolo (la pettegola), colui o colei che ama abbandonarsi al cuttigghio, al pettegolezzo. Il cuttigghio non è un pettegolezzo come ce ne possono esser tanti, una chiacchiera che si fa, più o meno passeggera, innocua o pericolosa, che poi però va via. Il cuttigghio è un pettegolezzo sistematico, con una dose di veleno decisamente superiore alla media, caratterizzato da un perfido piacere nel praticarlo. Cuttigghiari! è l'esclamazione denigratoria rivolta a un gruppo di persone impegnate nel cuttigghio, per invitarle, senza troppa delicatezza, a farsi i cazzi e gli stracazzi loro.

D

Dabbanna: Di là, da quella parte. Il Regno di Sicilia è dabbanna.

E

Può sembrare strano, ma non conosco parole siciliane che iniziano con la lettera "E", né sono stato capace di rintracciarne su internet.

F

Fimminaru: Casanova, Don Giovanni, libertino, gran corteggiatore e conquistatore di donne.


Finiu a schifiu: E' finita male, veramente male, come peggio non poteva finire. Equivalente a finiu a fetu, è finita "a puzza", per dire che la conclusione della storia ha dato un senso di fastidio, di nausea, e voltastomaco, simile a quello che si proverebbe sentendo l'odore di una serie ripetuta di peti particolarmente forti e maleodoranti.


Fozza di docu: Forza, (passiamo) di là, letteralmente. L'espressione è un invito a darsi da fare, a sbrigarsi, a muoversi, per superare un ostacolo o una difficoltà, grande o piccola, materiale o concettuale.

Futtamaninni: Fregiamocene, non diamogli importanza, non arrabbiamoci per queste cose. La parola, volendo, va ben oltre l'invito a non angustiarsi per la specifica situazione contingente - che non merita ansie e preoccupazioni -, per diventare un vero e proprio stile, una filosofia di vita, un abito mentale, un modus vivendi: futtitinni!

G

Gira, stocca e furria: Gira, storciti e corri. Espressione idiomatica utilizzata per descrivere una situazione di gran confusione, di gran movimento, di grande agitazione collettiva, che sfocia in esiti tutto sommato semplici, se non banali. Da non associare assolutamente al napoletano facite ammuina, dove la confusione è voluta, cercata, per nascondere l'insulsaggine delle cose, mentre qui la fatica e le apprensioni sono reali, effettive, anche se poi conducono a situazioni ordinarie, quando non riconducono addirittura al punto di partenza.

H

Nella lingua siciliana non esistono parole che iniziano per "H", a mia conoscenza.

I

Incucchiare: Darla a bere, tentare di ingannare, voler far credere una cosa per un altra. Il termine viene da "metter tutto dentro un cucchiaio", con l'idea che ciò che sta nel cucchiaio si dovrà poi farlo inghiottire in un sol boccone a qualcun altro, mandarglielo giù tutto d'un colpo, affinché arrivi rapido allo stomaco per esser digerito, in analogia con le cose che "si vogliono dare a bere", per le quali è essenziale la compattezza e velocità del processo persuasivo.


L


Liscia: Intraducibile, con una sola parola. Hai la liscia quando inizi a ridere di gusto, per lo più senza motivo, o comunque per un motivo non commisurato al fragore e alla persistenza delle tue risate, e per quanto ti sforzi non riesci a smettere (anzi, ogni tentativo di calmarsi non fa altro che stimolare ulteriormente le tue risate, che devi esser lasciar andare per conto loro, se vuoi sperare di esaurirle).

Levici manu: Levagli le mani, togli le mani. L'originaria espressione è rivolta a chi è stato beccato con "le mani nella marmellata" (in senso proprio o figurato), per invitarlo, appunto, a toglierle. L'espressione è utilizzata - nel lingiaggio comune - per dire "lascia perdere", "desisti", "rinuncia all'impresa".

M

Malacumpassa: Mala comparsa, cattiva comparsa, brutta figura. La malacumpassa non è però una brutta figura come se ne possono far tante, che poi passano e non ci si pensa più. La malacumpassa è una brutta figura particolarmente imbarazzante, di cui si sente tutto il peso e il disagio, che non si dimenticherà tanto facilmente, non tanto per le eventuali conseguenze pratiche (che possono anche essere irrilevanti), ma proprio per il puro senso di inadeguatezza. Maria, che malacumpassa!

Mangi pane scurdato: Mangi pane scordato, dimenticato. Il pane "scordato" è il pane dimenticato, perso da qualcuno e trovato da qualcun altro, che lo ha mangiato senza averne titolo, senza meritarlo. In italiano si direbbe "mangiapane a tradimento", per identificare chi si appropria di cose che non sono il frutto del proprio, onesto lavoro. L'espressione - nel parlato comune - ha smarrito la sua provenienza: mangi pane scurdato è usata per indicare una persona svampita, distratta, che dimentica tutto, che mangia pane "scordato", e che perciò non ricorda niente.

Mentre, vossia, cu è?: Mentre, lei, chi è? La traduzione letterale smarrisce molta della forza provocatrice implicita nella domanda, che appare tra l'altro connotata da un uso un po' curioso del temine "mentre". Volendone rendere approssimativamente il senso si è costretti a ricorrere a una frase italiana molto più lunga, perciò meno accattivante: "mentre - mentre questi fatti si svolgono, mentre certi drammi accadono, mentre ognuno è preso dai suoi pensieri e dai suoi affanni, mentre stiamo cercando di arrivare a una soluzione, se non ottima, almeno buona o almeno presentabile, mentre questo è il travagliato e problematico sfondo sul quale ci muoviamo - lei, di grazia, chi è, a quale titolo parla, quali cose interessanti ritiene di poter dire, o cosa pensa di poter effettivamente risolvere, e perché mai crede di riuscire laddove noi non siamo in grado?". Insomma, mentre, vossia, cu è?

Mi fai sangu: Mi fai sangue. Mi piaci, mi ecciti, quando ti guardo non riesco a trattenermi da certi pensieri, vorrei fare sesso con te, ora, adesso, subito.


Minchia: Organo sessuale maschile. La parola minchia, contrariamente a una diffusa credenza e alle stesse versioni siciliane, non è affatto un intercalare nelle discussioni tra siciliani, non è vero che i siciliani infilano otto minchie in una frase di cinque parole. Minchia è una parola molto volgare e pesante - molto più di cazzo, in italiano - e nessun siciliano minimamente educato la pronuncia senza accorgersene o per il semplice gusto di dirla. Sono i torinesi - sotto l'influsso dei figli dei migranti siciliani in Piemonte - a infarcire di minchie i loro discorsi, ignari dell'originaria pesantezza del termine, di cui non hanno mai avuto il sentore. E' pur vero che, in certi contesti, a furia di ripetere una parola la si annacqua, se ne depotenzia il significato, al limite se ne capovolge la percezione, senza però poterla mai affrancare dal senso originario. E' come il romano "mortacci tua", espressione di per sé abominevole, che tuttavia, in certi ambienti o in certi discorsi, diventa addirittura simpatica o divertente, e che però rimane al fondo abominevole. A ogni modo, se a casa mi fosse scappata anche una sola minchia, mia madre mi avrebbe dato una timpulata (v.) che ancor oggi girerei su me stesso. Non ho mai conquistato nessuna ragazza con minchie a profusione e non ricordo di aver mai avuto amici convinti di perdere un quarto di mascolinità se non dicevano minchia.


Minchiarura: Minchia dura, letteralmente. Di persona - implicitamente di sesso maschile - dal carattere forte, deciso, determinato, inflessibile, capace di tenere il punto in ogni circostanza e persuadere anche gli altri delle proprie ragioni.

Minchiata: Errore, sbaglio, stupidaggine, tesi sballata, passo falso. Sarebbe la "cazzata" nel resto d'Italia. La parola minchiata è meno greve del termine minchia, in cui pure ha la sua radice. Minchiata, a casa, non avrei potuto dirlo, ma con gli amici o le ragazze sì, per capirci. La minchiata può derivare da decisioni istintive, affrettate, prese senza riflettere, ma anche da processi valutativi inutilmente lunghi e complessi.


Minne: Seno.




Mizzica: Parola intraducibile, a mio parere, ma v. qui.

'Mpare nun t'a siddiari: Amico mio, non ti devi arrabbiare, non devi sentirti offeso, non prendertela a male, non c'è nulla di personale nella mia critica, credimi, ma lo dico per te, nel tuo stesso interesse, perché proprio non posso esimermi dal farti osservare questa cosa, per un minimo di decenza, non per altro.
 

Muddica: Mollica.

N


Nuddu immischiatu cu nente: Nulla mischiato con niente. Espressione tipicamente rivolta a una persona con cui si è in conflitto, per farle intendere che non gli si riconosce nessuna autorità, nessun valore, nessun potere. Sii nuddu immischiatu cu nente, sei il nulla mischiato con il niente.

Ntzu: Espressione quasi onomatopeica, usata per negare, per dire noi. (nota bene: è fondamentale il suono e la mimica facciale; uno schiocco della lingua, un lieve movimento del capo verso l'alto, un'espressione lievemente corrucciata: nessuno, in Sicilia, dice "no", "non sono d'accordo", "non è così". Tutti dicono, semplicemente, ntzu).

Nzichitanza: Continuamente, a ripetizione, senza intravedere una fine. Nzichitanza accussì senza capiri nente, continuiamo pure così, ininterrottamente, senza capirci niente, mi raccomando, pronunciato chiaramente con un ironico tono di rimprovero, per invitare a darsi una svegliata.


'Nzittari: Indovinare, centrare il bersaglio, averci visto giusto. Si 'nzittassi i tridici comu 'nzittu 'sti cosi, uora sarei miliunario, se indovinassi i tredici (al Totocalcio) come indovino queste cose, a quest'ora sarei milionario.

O

Ogghiu: Olio.

Oria: Brezza.

P

Pacchio: Organo sessuale femminile, a Catania. (v. anche qui e v. anche sticchio).

Pani ruru con cuteddu ca nun tagghia: Pane duro con coltello che non taglia. L'espressione descrive l'unione inconcludente di due persone singolarmente inconcludenti: il "pane duro" non si può mangiare, il "coltello che non taglia" manca alla sua principale funzione; il "pane duro" accanto al "coltello che non taglia" è un accostamento che amplifica l'inutilità del tutto.


Pignata: Pentola.

Piscariare: Pasticciare, confondere, ingarbugliare, metterci le mani sopra per scombinare, scompaginare, spaiare e poi appaiare alla rinfusa... piscariare!
 
Priato: Inorgoglito, fiero, soddisfatto. Mi priai, sono compiaciuto, veramente appagato, orgoglioso di me. Attenzione allo slittamento di significato in frasi del tipo sugnu tutto priato, sono tutto priato, pronunciata con una certa insofferenza, per dire che quella situazione, quell'apprezzamento, quel complimento - che in teoria dovrebbero rendermi felice - in realtà mi lasciano del tutto indifferente; oppure talia chi preio, guarda che preio (guarda che pregio), per dire, sempre con sarcasmo, che una situazione astrattamente da apprezzare, nei fatti non ci procura nessuna emozione e, anzi, forse, ci dà anche un po' fastidio.

Pricchio: Avaro, taccagno (da notare l'assonanza con l'italiano "tirchio").

Puppo: In Sicilia non ci sono omosessuali, gay, lesbiche, transgender o travestiti. In Sicilia ci sono solo puppi.

Puttusu: Buco, pertugio, insenatura, e in senso traslato organo sessuale femminile, o, in modo più brutale e materiale, cavità presente nel corpo femminile, il cui riempimento dà sempre un certo piacere all'uomo: ogni bucu è puttuso, ogni donna dove infilare il mio pene mi dà soddisfazione, chiunque essa sia, bella o brutta, grassa o magra, alta o bassa, bionda o mora, giovane o vecchia.

Q

Quariari: riscaldare (riferito al cibo).

R

Rannula: Grandine. L'espressione idiomatica sii tuccatu da rannula - letteralmente: sei toccato, colpito, intaccato dalla grandine - è tanto politicamente scorretta, quanto incredibilmente fantasiosa. E' utilizzata per adombrare il sospetto che qualcuno sia gay: sii tuccatu da rannula, secondo me sei gay (puppo, v.). Cosa c'entra l'omosessualità con la grandine? Bisogna prenderla alla larga, per capirlo. Il classico gesto per etichettare un omosessuale - ormai fuori moda - era passarsi una o due dita sull'orecchio, distendendolo. Questa distensione dell'orecchio è ciò a cui si andrebbe potenzialmente incontro se, per avventura, ci si ritrovasse sotto la grandine (con i chicchi di grandine che cadono a ripetizione e battendo sull'orecchio lo allargano, lo distendono).


Ristari in tridici: Restare in tredici, letteralmente; rimanere fregati, delusi, sfaccendati, inoperosi, in stand-by, a seconda delle situazioni. Molto vagamente imparentato con il romanesco "siamo daccapo a dodici" - ricominciare dal principio, dal primo dei dodici mesi dell'anno - e di più incerta decifrazione. Il riferimento al numero 13 - che per varie ragioni si pensa porti sfortuna - lascia intravedere la sgradevolezza delle situazioni in cui ... si rista in tridici

S

Sa sente sucata: Se la sente succhiata, letteralmente, ma il significato è "sente di avere ragione, profondamente ragione, si sente sicuro del fatto suo e niente lo smuove". Il collegamento tra l'espressione letterale e il significato sostanziale è sfizioso (e facilmente intuibile). Quando si è certi di avere ragione, quando ci si sente intimamente dalla parte del giusto, quando si ha la ferma convinzione di sostenere una tesi incontrovertibile o vantare un diritto inalienabile, quando tutto questo accade, allora si avverte una forte sensazione di piacere, di soddisfazione e felicità, un godimento paragonabile a quello di chi "se la sente succhiata", e non c'è bisogno di precisare "cosa", tanto più se si pensa che in Sicilia l'organo sessuale maschile si declina al femminile.

Scafazzare: Schiacciare.

Scantare: Sentire paura, avere timore. Maci, mi scantu! Mamma mia, ho paura, mi spavento.

Sciarriare: Litigare. Ci sciarriammu, ci siamo sciarriati, abbiamo litigato.


Scunchiurutu: Sconclusionato, stupido, scemo, senza valore o significato, inutile (sia di cose che di persone).

Semu quant'a Gemmania: In Sicilia - in particolare a Catania - non siamo tanti, non siamo troppi, non siamo di più, di gran lunga di più, di quanti pensavamo di essere, ma... semu quant'a Gemmania, siamo tanti quanto l'intera Germania, una moltitudine incalcolabile.


Siddiarsi: Essere annoiati, svogliati, apatici, indolenti, inerti. In altra accezione, essere seccati, arrabbiati, offesi (v. 'Mpare nun t'a siddiari).


Spacchioso: v. qui.

Spaddere: Spargere. C'hai 'na testa bbona solo pi spaddiri sciampo! La tua testa è buona solo per spargere shampoo, come a dire che non sei particolarmente intelligente.

Spettu: Di persona che si crede "esperta", più furba, scaltra, astuta o sveglia delle altre, a volte a ragione, ma per lo più facendo leva sulla onestà degli altri, contrapposta alla propria "furbizia".




Spatti: Per giunta, addirittura. Non solo sei arrivato tardi all'appuntamento, spatti ti lamenti pure.

Squarare: Essere molto accaldati, ben oltre il sopportabile. Stai squarannu, sto morendo di caldo. La parola ha anche altri significati. Vuol dire pure "accorgersi di", quando qualcuno ha provato a ingannarci (o noi abbiamo provato a ingannare lui) e ce ne siamo accorti (o siamo noi a esser stati scoperti). S'a squarau, se l'è squarata, l'ha capito, se ne accorto, accidenti, non sono riuscito a dargliela a bere. Una variante minima attribuisce al termine il significato "ti immagini...", evocando sempre capacità percettive superiori alla media. T'a squari se..., ti immagini se (succede questa cosa, o quest'altra, al momento improbabili o inverosimili).  

Sticchio: Organo sessuale femminile, a Palermo (v. anche pacchio).

Susiti: Svegliati, alzati dal letto.


T

Taliare: Guardare (sottinteso: con attenzione, con insistenza, con interesse).


Talia chi trafficu: Guarda che traffico. L'espressione non si riferisce al traffico cittadino delle automobili, ma è usata per chiosare, con ironia, su quei casi in cui grandi travagli e interminabili discussioni si associano a operazioni giudicate di per sé modeste o comunque di non difficile attuazione.

T'immucchi quattro: Te li mangi quattro, restando il soggetto rigorosamente vago (nessuno sa cosa siano queste quattro cose che dovrei mangiarmi). L'espressione è rivolta ai vanitosi, ai vanagloriosi, a chi si sente stupidamente soddisfatto o si vanta inutilmente. Se l'atteggiamento persiste, col deliberato intento di metterci in una condizione di inferiorità, allora l'espressione si trasforma in un invito, ancora pacato, ma proprio sul confine della buona educazione, a smetterla immediatamente, nello stesso e primario interesse del vanitoso, perché sarà senz'altro lui ad avere la peggio, in un eventuale scontro a cui manca veramente un passo.

Ti pistassi comu a racina: Ti pesterei come l'uva, ti riempirei di botte, allo stesso modo con cui pesterei l'uva nel tino.


Torna parrino e ciuscia: Ritorna il parroco e soffia, tradotto letteralmente. Sarebbe l'equivalente dell'italiano "il lupo perde il pelo, ma non il vizio". Espressione anche usata per dire "siamo punto e daccapo", "commettiamo sempre gli stessi errori", "non impariamo mai".


Tumpulata (anche timpulata): Schiaffo molto forte, energico, dalle conseguenze inimmaginabili.

   
Tuppuliare: Bussare alla porta (con un battente o con le mani).


U

Unni mi chiovi mi sciddica: Da qualunque parte mi piove, mi scivola. Non importa quali sfortune possano accadermi, quali cattiverie possiate dire sul mio conto, in quali situazioni sgradevoli mi possa trovare. Qualunque presunta cosa brutta mi accada, io rimarrò beatamente indifferente. L'espressione ha ispirato una canzone, che ne rende il senso come meglio non si potrebbe.


Ultimu scogghiu ra Trizza: L'ultimo scoglio di Aci Trezza. L'ultimo scoglio è lo scoglio più brutto, deforme e insignificante (e sì che non esistono scogli particolarmente belli e attraenti). Aci Trezza è un paesino in provincia di Catania, celebre per la mitologia di Ulisse e Polifemo. Sii l'ultimu scogghiu ra Trizza è un'espressione poco elegante, che uomini essi stessi poco eleganti rivolgono alle donne che non incontrano i loro gusti estetici.

V

Vasari: Baciare.


Vastasu: Volgare, osceno, maleducato, che non sa stare al mondo, che non sa comportarsi.


Vossia: Appellativo di cortesia, ossequio e rispetto, tipicamente riservato a persone autorevoli o anziane. In alcune situazione è impiegato con ironia in senso opposto, per veicolare una scarsa considerazione (v. mentre, vossia, cu è?).

Z

Zaurdo: Una degenerazione del vastaso (v.).

Zoccuegghiè: Quel che è, qualunque cosa sia. Oh, carusi, zoccuegghiè, ammuninni, dai, ragazzi, quel che è, è, non importa chi ha ragione, smettiamola, suvvia.

 
Siamo arrivati, siamo in Sicilia. Qualcosa, ora, dovreste riuscire a dire e a capire...

Commenti

Post popolari in questo blog

SEMIOFORI

LE DUE SICILIE - Normanni e Svevi