SVOLAZZI

          
                                       






                   






Il classico timbro postale del Regno di Napoli è il cosiddetto annullato "in cartella" (la parola "ANNULLATO", tutta a lettere maiuscole, era collocata dentro un rettangolo, la cartella) e la sua apposizione sul francobollo (da realizzare lasciando libero il tassello del valore) ne certificava l'uso e ne avrebbe dovuto impedire il reimpiego.

Real Decreto N. 4210 (Decreto di emissione dei francobolli del Regno di Napoli).

Real Decreto N. 4454 (Regolamento Postale), Titolo primo, Capitolo secondo.

Il timbro non era forse tra i più felici sul piano istituzionale - la parola "ANNULLATO", su oggetti di emanazione sovrana, poteva suonare come una propaganda anti-borbonica - ma tecnicamente sembrava compiere bene il suo dovere: marcava pesantemente il francobollo (creava un esiziale contrasto cromatico tra un ammasso di nero e un delicatissimo rosa) e possedeva pure una notevole forza comunicativa ("ANNULLATO": non più validoinutilizzabilefuori uso).

Tre nitide impronte dell'annullato "in cartella", su un pezzo mitico del Regno di Napoli.
Ex Collezioni Principe Doria e "Pedemonte",
firmato Giulio Bolaffi  e Renato Mondolfo.

Senonché, la particolare conformazione del timbro - una scritta indistinta, lineare e riquadrata - se da un lato permetteva l'immediato riscontro di eventuali usi impropri di altri bolli annullatori, dall'altro faceva anche da sponda a facili raggiri, pur di incrociare la compiacenza dell'ufficiale postale.

Le possibilità di frode erano molteplici. Era sufficiente, a esempio, staccare il francobollo dalla lettera originaria, ricollocarlo sulla nuova e chiedere la "gentilezza" di timbrarlo assicurando la continuità tra la sequenza delle lettere rimaste sul francobollo e quelle del nuovo annullo. Se il francobollo, una volta rimosso dal suo primo supporto, recava la scritta parziale "ANNULLA", si poteva collocarlo su una nuova missiva e domandare all'impiegato la "cortesia" di apporre il nuovo timbro in modo da far cadere la scritta "TO" sulla lettera, per dar l'impressione di un francobollo regolarmente "ANNULLA-TO". Oppure l'impiegato stesso poteva rimuovere il francobollo non ancora timbrato e sostituirlo con uno già usato, per lucrare il valore facciale. Se il timbro colpiva i francobolli, ma non passava sulla lettera - una situazione probabile per i multipli, blocchi o strisce - i pezzi potevano esser rimossi e riutilizzati una seconda volta.

Gli abusi furono in effetti numerosi, tanto sui piccoli quanto sugli alti valori, al punto da esser notati anche a far finta di non accorgersene.








Il timbro "ANNULLATO" è apposto in modo molto marcato,
per coprire una prima impronta già presente sul francobollo.



L'esemplare reca due impronte:
la seconda, in nero, ricopre quasi esattamente la prima, di colore grigio.




Un probabile caso di prevenzione di una possibile frode.



L'eccezionale documentazione di un tentativo di frode... scoperto e sanzionato!

L'Amministrazione delle Poste acquisì consapevolezza degli abusi sin dal marzo del 1858 e volle coinvolgere l'Agenzia del Contenzioso per sapere se la normativa legittimasse un'azione penale contro i responsabili.
 
L'Agenzia - attenta più alla lettera che non allo spirito delle norme - rilasciò un parere negativo, suscitando parecchie perplessità nell'Amministratore delle Poste, Federico Cervati, manifestate in una comunicazione al Ministro delle Finanze. "Quanto all'uso la seconda volta fraudolentemente fatto dei bolli, non mi rimango persuaso delle osservazioni dell'Agente del Contenzioso [...] non senza ripetere essere l'affare di grande importanza da meritare la considerazione e maturo esame".

La lettera del 13 aprile 1858
dell'Amministratore Generale delle Poste al Ministro Segretario di Stato delle Finanze.

La questione arrivò alla "Commissione Consultiva de' Presidenti della Gran Corte dei Conti", discussa nella seduta del 6 maggio 1858. L'esito fu un lunghissimo rapporto, utilizzato come base per l'emanazione di un nuovo Real Decreto  (N. 5417 del 3 dicembre 185) di due soli articoli, di cui solo il primo di effettivo interesse: "Il novello uso de' bolli di posta, già usati senza che nulla siasi oprato per far sparire il marchio annullato, costituendo un reato di frode, l'ammenda da applicarsi [...] sarà quella di Polizia nella quale s'incorre col sol fatto di essersi immessa nella buca o nell'uffizio postale la lettera col bollo già usato".

Figurarsi, però, se potevano bastare quattro righe in croce - ancorché firmate da Re Ferdinando - ad arginare un modo di fare divenuto abituale, consueto, al punto, forse, da non esser più percepito nemmeno come un reato. Gli abusi continuarono a verificarsi, soprattutto a Napoli, senza alcuna conseguenza per i colpevoli, e fu allora che dalle disquisizioni filosofiche in punta di diritto si passò all'azione di contrasto sul campo.

Se c'era voluta poca fantasia nel beffare l'annullato "in cartella", se l'inventiva napoletana non era poi stata messa a così dura prova, la reazione istituzionale si caratterizzò invece per la più originale delle contromisure: i "più fantasiosi bolli postali del mondo", gli "incredibili annullamenti 'a svolazzo' del Regno di Napoli" (Alberto Diena), "il più ampio complesso organico di bolli postali mai creati al mondo" (Enzo Diena).

Abbiamo notizia della nascita degli annulli "a svolazzo" - come li battezzò l'Ingegner Vittozzi, in una pubblicazione del 1916 - in uno scambio epistolare del giugno 1860 tra l'Amministratore delle Poste e il Ministro delle Finanze, documentato da Emilio Diena, che ci informa su "chi concepì l'idea dei nuovi annullatori, chi ne eseguì i disegni e poi le incisioni, quanti ne vennero preparati ed anche quanto venne a costare ciascuno".



L'Amministratore delle Poste Federico Cervati incaricò dunque l'incisore Luigi Porta di realizzare i nuovi timbri, dalle fogge estrose e con diversi stili - stampatello maiuscolo e minuscolo, bastardo, corsivo inglese e corsivo bastardo, rondino - per un totale di 36 annulli diversi (cui se ne aggiunse uno preparato in seguito, impiegato a Benevento e Tagliacozzo) distribuiti tra le varie località in modo che fossero il più distante possibili quelle con lo stesso annullatore.

1: Gioia (ha usato anche il n. 28), Piedimonte, Popoli Rosarno. 
2: Barletta, Paola, Sora.
3: Lecce, Pozzuoli, Torre del Greco.
4: Avellino, Gallipoli, Montesarchio, Vallo.
5: Città Ducale, Cosenza, Cropani, S. Severino.
6: Arce, Arienzo, Postiglione, Prignano.



7: Bisceglie, Mignano, Reggio, Salvia.
8: Brindisi, Campi, Castrovillari, Larino.
9: Chieti, Lanciano, Manduria, Morano.
10: Morcone, Ostuni, Rogliano, Venafro.
11: Aversa, Casal S. Michele, Civitella Del Tronto, Lama, S. Maria, Sessa.
12: Caserta, Cirignola, Giulia, Melfi, Spezzano Albanese, Tricarico.



13: Altamura, Lauria, Taranto, Ischia.
14: Arpino, Campagna, Isola, Polla.
15: Avezzano, Casoli, Giovinazzo, Sala.
16: Eboli, Foggia, Maddaloni, Nocera, Sepino.
17: Casal Nuovo, Dentecane, Portici, Potenza.
18: Carpenzano, Città S. Angelo, Gerace (ha usato anche il n. 22), Grottaminarda, Lagonero.



19: Auletta, Matera, Nicastro, Nola, Teramo. 
20: Antrodoco, Atri, Maglie, Penne.
21: Catanzaro, Gravina, Mola di Gaeta, Roccasecca, Tropea.
22: Castel di Sangro, Gerace (ha usato anche il n. 18), S. Angelo dei Lombardi, Vasto, Venosa
23: Capri, Gaeta, Tagliacozzo (ha usato anche il n. 37), Trani.
24: Canosa, Cava, Chiaromonte.



25: Fasano, Fondi, Vietri (di Potenza), Vietri (di Salerno).  
26: Manfredonia, Molfetta, Monteparano, Pescara, Tiriolo.
27: Casoria, Crotone, Salerno. 
28: Capua, Cardinale, Isernia, Gioia (ha usato anche il n. 1).
29: Agnone, Ariano, Monteleone, Rotonda.
30: Mola di Bari, Rossano, Solmona.



31: Bovino, Roccagloriosa, S. Germano, Villa S. Giovanni. 
32: Aquila, Atessa, Campobasso, Palmi.
33: Cantalupo, Otranto, Pizzo, S. Severo.
34: Casamassima, Marigliano, Mesagne, Scilla. 
35: Castellamare, Castelluccio, Ferrandina, Pontelandolfo, Roccaraso.
36: Bari, Civitacampomarano, Lucera, Massafra, Monopoli.
37: Benevento, Tagliacozzo (ha usato anche il n. 23).

L'aritmetica degli "svolazzi" - numero di timbri e località d'uso - è piuttosto elementare, sulla carta: 138 Officine Postali - esclusa Napoli - utilizzavano l'annullato "in cartella" e il bollo circolare; 16 uffici secondari - istituti nei primi mesi del 1860 - avevano a disposizione l'annullato "in cartella" e il bollo lineare nominativo; la loro somma è 154 - le località cui consegnare l'annullatore "a svolazzo", in sostituzione della "cartella" - esattamente il numero di timbri richiesti dal Cervati nella sua lettera del 7 giugno 1860.

La pratica degli "svolazzi" fu però meno banale. E' l'estate del 1860, la spedizione garibaldina si è già impossessata della Sicilia e si appresta a incalzare Napoli, e non è così facile dar corso a un'azione amministrativa, se si sta subendo un'azione bellica. Sicuramente vi furono ritardi e inefficienze nella distribuzione dei timbri e ancor'oggi non si ha notizia degli svolazzi di ben cinque località, che pure erano Officine Postali (Bagnara, Bojano, Gioia di Calabria, Ponza, Ventotene) e di uno di un ufficio secondario (Irti).

Alberto Diena si è avventurato in una ricostruzione dell'accaduto. "Ritengo che Gioia di Calabria non abbia mai ricevuto lo 'svolazzo', perché quasi certamente per l'omonimia, ne furono inviati due (dei tipi n. 1 e n. 28) a Gioia del Colle nella provincia di Bari; ne usò due (dei tipi n. 18 e n. 22) anche Gerace ed è probabile che uno dei due fosse destinato proprio a Bagnara; infine azzardo l'ipotesi che lo svolazzo destinato a Bojano sia stato arbitrariamente trattenuto dalla Cancelleria comunale di Sepino che in qualche occasione aveva utilizzato come annullatore il suo bollo ovoidale del secondo tipo a stampatello diritto. Assumendo come valide queste ipotesi [...] gli svolazzi noti sarebbero 151 distribuiti in 149 località". Rimarrebbe perciò sconosciuta - al netto della congettura di Diena - la sorte degli svolazzi di Itri, Ponza e Ventotene. "E' probabile che questi tre svolazzi, pur essendo stati inviati alle suddette località, che erano tutte situate in zona di operazioni militari, o non siano arrivati a destinazione o, pur essendovi pervenuti, non abbiano mai potuto essere usati e comunque che siano andati smarriti".

Rimane misterioso pure il criterio di raggruppamento degli "svolazzi" per località. Ciascun bollo fu usato in più località, da un minino di tre a un massimo di sei, ma non vi è stato modo di capire la logica di creazione dei gruppi, ammesso ve ne sia stata una. "Secondo la logica dello scopo per cui furono ideati [...] gli svolazzi avrebbero più logicamente dovuto essere divisi in gruppi di 4 e di 5 località [...] ma anche azzardando l'ipotesi che i tre 'svolazzi' non ancora noti appartengano a tre dei cinque tipi usati solo in tre località, non sono riuscito a capire perché comunque almeno due tipi siano stati usati soltanto in tre località, mentre almeno due tipi sono noti usati in ben sei località. [...]. Non sono neppure riuscito a determinare se fu usato un sistema per la distribuzione dei vari tipi di svolazzo alle località di uno stesso gruppo; ho tentato di controllare se la distribuzione fosse avvenuta secondo uno dei tanti possibili criteri razionali quali a esempio: evitare di mettere nello stesso gruppo uffici della stessa provincia, oppure quelli degli stessi 'cammini' postali, oppure raggruppando uffici di località molto popolose con altre località con pochi abitanti; ho anche tentato di seguire sistemi non razionali come ad esempio distribuendoli secondo l'ordine alfabetico, ma prime le 'officine' e poi gli uffici secondari [...] A questo punto non mi rimane che concludere  con la semplicistica ipotesi che siano stati distribuiti a caso, ma non essendo affatto soddisfatto di tale conclusione mi auguro che qualcuno più attento e più fortunato di me possa individuare la chiave del sistema, se mai ne fu usato uno".

Un recente, clamoroso ritrovamento: lo svolazzo n. 23 di Gaeta, su francobolli borbonici.
 Emilio Diena congetturava l'esistenza dello svolazzo di Gaeta,
ma dubitava della consegna all'Officina, e comunque del suo effettivo utilizzo,
non disponendo di nessun documento (lettera, frontespizio, frammento).
Suo figlio, Alberto Diena, ne aveva poi rintracciato uno,
una lettera affrancata con un esemplare della IV emissione del Regno di Sardegna,
per cui si ebbe certezza dell'utilizzo, ma non ancora su francobolli di Napoli.
Altri studiosi e collezionisti non ebbero miglior fortuna, nelle loro ricerche. 
Sin quando - anno 2015 - l'Ingegner Mario Merone ha mostrato il pezzo qui riprodotto.
"Il fortunato mio ritrovamento mi da l'occasione di mostrare
quanto è rimasto della parziale lettera spedita da Gaeta il 19 ottobre 1860 per Berna
dove giunse, per via di mare, con i Piroscafi Postali Francesi.
Sul  fronte della lettera fu apposto, in azzurro, il bollo circolare di Gaeta,
a grande dimensione, con fregi, 
mentre i francobolli, coppia orizzontale del 2 grana, prima tavola, e 5 grana, prima tavola,
entrambi rosa brunastro, furono obliterati con lo 'svolazzo' del tipo 23, nel colore nero.
Con il ritrovamento mi sovvennero le seguenti domande:
1) - Se lo svolazzo del tipo 23 fu regolarmente consegnato all'Officina di Posta di Gaeta,
come mai finora non ci è pervenuta alcuna lettera
con i francobolli del Regno obliterati con siffatto annullamento?
2) - Come mai, con l’assedio di Gaeta, tale lettera superò le linee nemiche?
In riferimento alla prima domanda posso concludere 
che il  bollo 'svolazzo' a  Gaeta venne  consegnato al locale ufficio di posta
ma non mi consente di precisare la data di detta consegna.
Posso, comunque, affermare che la consegna sia avvenuta
tra la metà e la fine del mese di agosto 1860.
All'epoca la corrispondenza da Gaeta era minima e la grave situazione storica del momento
non consentì  all'ufficiale postale il normale uso del bollo appena ricevuto.
Va anche detto, inoltre, che Sua Maestà il Re il 7 settembre 1860 lasciò la Capitale
e si rifugiò a Gaeta con le sue truppe.
Anche molti notabili, tra i quali Caracciolo di San Vito e l’abate Eicholzer,
il Nunzio Apostolico, Monsignor Giannelli  e diversi Ministri, Bermùdez de Castro,
il Cavaliere Frescobaldi, il principe Volkonskij ed altri, raggiunsero Gaeta.
Qui vi erano accampati anche circa ventimila soldati e molti generali ed ufficiali superiori
oltre un congruo numero di cavalli e muli.
Molti, inoltre, erano i volontari, e tra questi molti svizzeri,
che arrivavano per la difesa di Gaeta ed a sostegno della causa borbonica.
Le comunicazioni tra notabili e familiari avvenivano solo  a mezzo del telegrafo elettrico.
La truppa non aveva comunicazioni con i propri familiari
non soltanto per la linea di fuoco esistente prima al Volturno,
tra il 26 settembre 1860 e il 2 ottobre, e successivamente al Garigliano,
ma anche perché tanto la truppa che gli ufficiali percepivano a Gaeta
soltanto il "soldo semplice" come paga con la promessa reale che la differenza di paga
sarebbe stata loro data al termine della guerra.
I dispacci e i Proclami reali, oltre che con il telegrafo elettrico,
dal 14 settembre 1860 furono riportati soltanto sulla 'Gazzetta di Gaeta',
unico Organo di comunicazione tra i Reali e la truppa.
Copie di questi giornali circolarono anche nella Capitale del Regno di Napoli.
Esse furono portate da  alcuni soldati che, provenienti dal Nord,
le avevano cucite nei propri pastrani  per attraversare le linee di fuoco nemiche.
Non vi era altra via di comunicazione tra Gaeta e il resto del mondo nell'ottobre del 1860.
Ecco poi la spiegazione alla seconda domanda.
Il 15 ottobre 1860  gettò l'ancora nella rada di Gaeta
l'éscadre d’évolution francese al comando del Vice Ammiraglio Le Barbier de Tinan
e, sotto la sua protezione, anche diversi bastimenti commerciali francesi
andavano e venivano per far evacuare la popolazione dalla cittadina e per trasportare merci.
Ciò accadde per quasi un mese e mezzo.
Fu appunto con uno di questi  vapori francesi di commercio
che un volontario approfittò per inviare comunicazioni sulla guerra in atto ai propri familiari
che risiedevano a Berna in Svizzera come è riportato all'interno della missiva".

Il periodo d'uso degli "svolazzi" varia da un minimo di sette mesi a un massimo di undici. La prima data nota è l'11 agosto 1860. Successivamente, sull'esempio della Direzione di Napoli - che dal 16 marzo 1861 iniziò a usare il bollo circolare nominativo come annullatore - diverse Officine Postali presero l'autonoma iniziativa di mandare in soffitta gli "svolazzi". Proprio la Capitale - probabilmente per i disordini di quel periodo - trovò modo di evitare l'adozione dei nuovi annullatori e di continuare pertanto a perpetrare le frodi.

D'altra parte, se lo "svolazzo" rendeva la frode obiettivamente più complessa, non per ciò il popolo napoletano s'intimorì, e l'idea dell'Ingegner Cervati - nel giudizio di Alberto Diena - "si dimostrò un'illusione perché i francobolli continuarono ad essere usati due e anche tre volte su francobolli già annullati da altri svolazzi e perfino anche dall'annullato 'in cartella' ".
 



La tariffa di 2 grana fu regolarmente pagata solo per 1 grano (francobollo con annullo passante)
e per il resto assolta fraudolentemente con una coppia del 2 grana  (annullo non passante), 
col risparmio di 1 grano e la creazione di una fittizia sovra-affrancatura di 5 grana.   




Una frode postale ampiamente documentata dall'Ingegner Mario Merone.



Esemplare da 2 grana su frammento,
già timbrato con l'annullato in cartella,
e nuovamente obliterato con lo svolazzo.






Un documento genuino, nonostante le apparenze.
E' il 12 agosto 1860 e gli svolazzi sono da poco entrati in circolazione.
L'impiegato postale, probabilmente, accussò l'imbarazzo proprio di ogni fase di transizione,
e nel dubbio, per non sbagliare, annullò il francobollo con entrambi i timbri a sua disposizione.
Questa lettera era ritenuta una "primo giorno", negli anni '30 del secolo scorso,
prima del ritrovamento di diverse altre lettere datata 11 agosto.

Anche se all'epoca gli "svolazzi" non risposero pienamente allo scopo, c'è però da dire - con Alberto Diena - che "quella idea ha dato la possibilità di formare delle collezione di annullamenti nel loro genere assolutamente uniche che hanno continuato ad attrarre i collezionisti con interesse sempre crescente".
 
Pure, se riguardati sotto l'odierna lente filatelica, gli "svolazzi" sono la giusta misura risarcitoria al collezionista, per avergli inflitto il dolore dell'annullato "in cartella" (che raramente riesce a esser nitido e non deturpante).
 
Il francobollo di Napoli acquista tutta un'altra poesia, quando lo svolazzo è ben impresso su esemplari con incisioni nitide; se poi è pure su un documento completo e ben conservato, allora il pezzo diventa un autentico quadro d'autore.

2 grana, III tavola, su lettera del 2 ottobre 1860, da Monopoli a Napoli.
Svolazzo n. 36 accoppiato a un bollo a cerchio di colore azzurro.
"Alla scala di rarità espressa con un numero,
di solito corrisponde una valutazione [in euro] crescente.
Questa deve tener conto [...] del complesso di elementi
che costituiscono la qualità di una lettera tipo che dovrebbe essere:
ben conservata, meglio se completa del testo, con indirizzo scritto chiaramente,
con svolazzi ben impressi meglio se passanti dal francobollo alla lettera,
con francobolli privi di difetti meglio se apposti negli angoli superiori delle lettere"
(Alberto Diena) 

Ci sono poi casi di bellissimi annulli a svolazzo in rosso o in azzurro, che conferiscono musicalità agli esemplari su cui si adagiano.


"Soltanto gli svolazzi di colori diverso dal nero
permettono di individuarne la provenienza anche senza bollo nominativo
e cioè da frammenti o semplicemente da francobolli sciolti".
(Alberto Diena)

I timbri "a svolazzo" furono un prodotto artigianale, incisi su ottone uno a uno, separatamente, per cui sarebbe in teoria possibile risalire all'Officina di appartenenza, anche in assenza di ulteriori elementi informativi, identificando le pur minime differenze.
 
Questa operazione di riconoscimento - analoga all'ambizione di battezzare i "ferri di cavallo" di Sicilia - è tuttavia fattibile solo in pochi casi e alla presenza di impronte particolarmente nitide. "Le lettere che più si prestano per ricercare queste piccole differenze sono indubbiamente la 'A' maiuscola e le due 'nn'" - scrive Alberto Diena - "Per queste ricerche sarebbe necessario poter disporre di foto a colori di lettere complete con tutti i bolli nominativi con i relativi svolazzi chiaramente impressi. Posso però affermare che nessuno è mai arrivato a dei risultati certi se non in rari casi evidenti come ad esempio il tipo 16 di Foggia inconfondibile soprattutto per la sua forte inchiostratura , e il tipo 23 di Trani per la doppia chioma superiore della A, caratteristica controversa anche perché non si nota sempre".

Quel che invece sappiamo con certezza - e possiamo documentare - è l'uso degli "svolazzi" su tutti i valori dell'emissione napoletana del 1858.











                








                       



                     



L'emissione di Napoli del 1858 annullata "a svolazzo".

Voglio chiudere con una notazione squisitamente commerciale, con un passaggio tratto dalla monografia sugli "svolazzi" di Alberto Diena (capitolo 9, pagina 37).


Lo segnalo per dare un'ulteriore testimonianza della centralità dei meccanismi non-lineari in filatelia, dell'importanza, per il collezionista, di saper maneggiare la parabola della qualità.

Commenti

  1. Le citazioni di Alberto Diena - qui e altrove - provengono dal volumetto "Alberto Diena, un filatelista - La sua vita, una sua opera inedita", interamente dedicato agli annulli "a svolazzo".

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