TESTONI "SPACCHIOSI"
1 gennaio 1859: anche nei dominî al di là del Faro iniziano a circolare i francobolli, quando al di qua del Faro giravano già da un anno, dall'inizio del 1858.
Era una situazione singolare. Perché
non utilizzare i francobolli di Napoli anche in Sicilia, se il Regno era uno
solo? Perché le Due Sicilie, in ossequio al proprio
nome, avevano due distinte amministrazioni postali, e persino due diverse monete, entrambe denominate "grano", ma col napoletano di valore doppio del siciliano (anche se la monetazione dei francobolli siciliani era parametrata sul grano napoletano). Due Sicilie, due di
ogni cosa, duplicazioni istituzionali che lasciavano intravedere fratture ben più profonde all'interno del Regno.
Il soggetto del francobollo siciliano è Re Ferdinando II di Borbone,
il suo austero profilo rivolto a sinistra, incorniciato su tre lati dalle
diciture "BOLLO DELLA POSTA DI SICILIA", e con l'indicazione
del valore nel quarto in basso, il tutto in dimensioni superiori alla media, da
cui presumibilmente il nome di "Testoni".
L'emissione contava sette esemplari, dal ½ grano al 50 grana, inframmezzati dai valori da 1, 2, 5, 10 e 20 grana, tutti di colore diverso.
Sui "Testoni" aleggia parecchia mitologia, sulla scia di tanti altri miti intorno alla Sicilia.
Fu scritto - dal Ministro Cassisi al Luogotenente di Sicilia - che nella scelta dei colori dei francobolli si dovevano evitare "combinazioni di colore che non sono graditi dal governo del nostro Reame", attribuendo indirettamente a Re Ferdinando la volontà di inibire sequenze cromatiche evocative del tricolore italiano. Semmai la policromia italiana abbia preoccupato Ferdinando II, sicuramente non se ne curò chi fu poi chiamato a realizzare le stampe definitive. L'1 grano verde e il 5 grana rosso - due tra i valori più diffusi - ben si prestavano a ricordare l'avversato tricolore, se apposti su un normale foglio bianco.
E' però più probabile - maggiormente verosimile, anche se meno suggestivo - che le
inquietudini sull'annullo, così come sui colori, abbiano
afflitto più le figure intorno al Re - oltremodo preoccupate di non offenderlo
o indisporlo - che non il Re in persona.
Comunque sia, chiunque abbia percepito all'epoca un potenziale problema nel contatto tra l'annullo e il volto del Re, merita oggi l'incessante e entusiastico applauso dei collezionisti. Perché la soluzione escogitata fu più ingegnosa e spettacolare della risposta della contadina furba di Calvino, al Re che le ordinò di presentarsi a corte né di giorno né di sera, né nuda né vestita, né a piedi né a cavallo, né sazia né digiuna. La risposta fu il celeberrimo annullo "a ferro di cavallo", un colpo di genio e di arte, senza uguali al mondo.
E' controverso quale sia l'effettivo "ferro di cavallo" ispiratore della forma dell'annullo, se il ben noto "ferro" inchiodato allo zoccolo, come viene spontaneo pensare, oppure il cosiddetto "morso", situato in bocca, con i ganci dietro la vestitura, come pure sarebbe possibile.
Poco importa, in fondo. Il risultato rimane. Un'impronta a forma di "U" capovolta, artistica, rifinita, coreografica, che si adagiava su francobolli anch'essi raffinati, eleganti. La vulgata afferma che fossero previste severe sanzioni, per gli impiegati incauti o distratti nel collocare l'annullo, ma probabilmente era solo l'eco delle originarie preoccupazioni sulla tutela del volto reale, e semmai queste sanzioni siano state astrattamente contemplate, rimasero poi lettera morta, a giudicare dalla quantità di francobolli annullati in maniera "non conforme".
Il "ferro di cavallo" mostrò anzi una natura double-face. Ideato per rispettare il Re, per esaltarne il profilo e valorizzarlo, se collocato correttamente, evocava invece irrispettosamente un paio di corna, se apposto al contrario, e diventava allora uno strumento di propaganda anti-borbonica: "quei maledetti liberali" - scrive Nino Aquila nella prefazione alla "Sicilia" della "Mormino" - "sembrava avessero il dono dell'ubiquità e del saper strumentalizzare ai loro fini ogni Reale iniziativa".
"Corna al Re":
copia del giornale "IL VAPORE", del 12 luglio 1859,
affrancata con coppia orizzontale del ½ grano, annullata al contrario.
L'effige reale subì ben più gravi oltraggi, sebbene involontari: un francobollo sfuggito all'annullo al di là del Faro, da dove la missiva era partita, veniva invalidato col classico timbro per i domini al di qua del Faro, creando il più irriguardoso e intollerabile degli accostamenti.
5 grana del Regno di Sicilia,
Registriamo pure casi in cui quei francobolli, concepiti con le più grandi attenzioni, per ossequiare Sua Maestà si tramutarono in oggetti per umiliarlo, deriderlo, una valvola di sfogo per il sentimento rivoluzionario.
Sicuramente, però, quando tutta andava com'era previsto che andasse - quando il "ferro di cavallo" cadeva sul francobollo come doveva cadere - l'impiegato postale dava anima e respiro a un corpo di stile e creatività, realizzava inconsapevolmente un'opera d'arte in miniatura, esteticamente insuperabile.
Lettera da Catania a Messina del 7 gennaio 1859, prima settimana d'uso,
affrancata con una coppia orizzontale dell'1 grano prima tavola, posizioni 55 (ritocco) e 56.
I francobolli recano chiari e voluti segni di sfregio all'effige di Ferdinando II,
con ogni probabilità realizzati in epoca successiva alla data di spedizione.
Sull'esemplare di destra è accentuata a penna la barba del Re,
mentre l'esemplare di sinistra è marchiato con uno "zero barrato",
il simbolo della scuola di una volta per evitare che lo studente impreparato lo tramutasse in un dieci,
e qui impiegato per dare un giudizio di "nullità assoluta" al Re delle Due Sicilie.
"... il timbro che doveva imprimerlo era lì sul tavolo, pesante ed ingombrante"
- scrive Nino Aquila, in "Quel sabato di capodanno del 1859", in "Sicilia Duemilanove, 1859-2009" -
e non è che si potesse apporre così come capitava;
era stato raccomandato che esso dovesse ricadere come una cornice
attorno alla 'Sacra Effige del Re', senza colpirne il profilo augusto,
il profilo di chi rappresentava in terra Dio, qualifica indiscutibile di un monarca assoluto.
Pena gravi sanzioni; e ci mancherebbe proprio questo.
In realtà, ammettevano i postini, che una volta applicato correttamente il 'marchio'
con i suoi ghirigori eleganti esso aggiungeva grazia alla bellezza del ritratto di Sua Maestà
che, stampato in quei sette differenti e bellissimi colori,
faceva pensare ad un uomo . un Re! - sereno, pacifico, paterno.
Però, lo avevano soprannominato 'Re Bomba',
per la ferocia con la quale aveva fatto bombardare Messina dopo i moti del '48.
Qual era il vero Re: quello del bollo o quello delle bombe?".
Nella domanda si avverte un retrogusto pirandelliano,
e il pensiero vola a "Uno, nessuno, centomila", Libro Terzo, Sezione V:
"Se vostro padre fosse boia, come si tradurrebbe nella vostra famiglia questo titolo
per accordarlo con l'amore che avete per lui e ch'egli ha per voi?
oh, egli tanto tanto buono, per voi, oh, io lo so, non c'è bisogno che me lo diciate;
me lo immagino perfettamente l'amore d'un tal padre per il suo figliuolo,
la tremante delicatezza delle sue grosse mani nell'abbottonargli la camicia bianca attorno al collo.
E poi, feroci domani, all'alba, quelle sue mani, sul palco".
con una coppia orizzontale del ½ grano I tavola, posizioni 39-40,
e non tassata, nonostante S. Agata e Messina non appartenessero allo stesso distretto.
Le affrancatura da 1 grano sono - in generale - tra le più interessanti e dibattute.
Questa tariffa si applicava ai giornali spediti in doppia copia,
alle lettere di un foglio all'interno del circondario
e alle missive ordinarie per cui mittente e destinatario si dividevano l'onere della spedizione
(affrancatura di 1 grano a carico del mittente, tassa di 1 grano a carico del destinatario).
La casistica di affrancature insufficienti e non tassate
(per disattenzione o complicità del funzionario delle poste)
sono i più controversi nella prospettiva rigorosa della Storia postale.
Non mancano i casi di frode collezionistica,
affrancata con una coppia del 2 grana I tavola, posizione 28-29.
I "ferri di cavallo" erano di fattura artigianale, e si differenziano da un'officina all'altra per particolari minuti, dettagli minimi. Nessun cultore dei "Testoni" si è sinora preso la fatica e il piacere di tentare un "plattaggio degli annulli", per mutuare il termine propriamente riferibile all'identificazione della posizione del francobollo nel foglio originario; nessuno si è cioè finora cimentato nella riconduzione di un annullo alla sua località.
Risalire all'officina di appartenenza di un "ferro di cavallo", avendo a disposizione solo il francobollo sciolto, è d'altra parte un'operazione maniacale, immaginabile solo per annulli eccezionalmente nitidi, i soli suscettibili di rivelare le più dettagliate particolarità.
Il colore dell'annullo può venire in aiuto, se diverso dall'ordinario nero: a Modica, Siculiana, Santa Caterina, Valleluga e Sciacca - a esempio - furono in uso annulli azzurri, che conferiscono ulteriore pregio all'estetica.
Ci sono poi i rarissimi annulli rossi, di Trapani, Casteltermini e Piazza.
Ma ovviamente il "Testone" non è il francobollo più bello del mondo per caso, per fortuna o per una accidente della storia.
I francobolli più spacchiosi al mondo lo sono per scelta precisa, immaginati e realizzati con un deliberato intento artistico, per avere un prodotto di pregevole fattura, con una spiccata valenza estetica.
Dietro a un francobollo spacchioso non potevano che esserci personaggi essi stessi spacchiosi.
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