FRODI, FALSI E ALTRE OPERE D'ARTE

I napoletani hanno sviluppato un feeling così particolare con le piccole e grandi truffe, da riuscire a conferirgli una sgargiante colorazione di simpatia: atteggiamenti e inclinazioni obiettivamente censurabili sono ammantati da una leggerezza spiazzante, che strappa a tutti la più beffarda delle risate.
 
Da Totò che vende la fontana di Trevi a un turista, alle confezioni di autoradio con dentro i mattoni (e alla sua versione ai tempi dell'i-Phone) alle magliette bianche con la striscia nera obliqua per simulare la presenza della cintura di sicurezza, sino ai 477.000 link restituiti dall'interrogazione di Google (che riconosce in automatico la chiave di ricerca "truffe napoletane", non appena si digita la "n") in tutto ciò Napoli riesce nell'improbabile impresa di donare un tocco di poesia ai suoi illeciti escamotage per tirare a campare.


Non voglio indulgere in stereotipi né mancare di rispetto a una città e a persone semplicemente meravigliose.
 
"Quando sento affermare che i Mongoli, i Tedeschi, i Napoletani, gli Ebrei hanno questo o quel difetto, mi sembra di sentir dire che i maiali di Parma sono più immondi dei maiali di York: e quando mi dicono che il Greco bara, che lo Scozzese è spilorcio, il Marsigliese è bugiardo, il Turco è corruttibile, rimango indifferente e incredulo come se mi dicessero che le mosche di Siviglia si posano sui letami o che i cani di Copenaghen fiutano gli angoli", scriveva Pitigrilli con ricercata ironia, nel suo romanzo "Dolicocefala Bionda".
 
Certe attitudini appartengono alla natura umana - proprio come tutti i cani fiutano gli angoli, qualunque sia la loro provenienza - anche se a volte, per chissà quali stratificazioni della storia, certi fenomeni si concentrano in alcuni luoghi più che in altri. La carne è debole per tutti, ma quella dei napoletani, a volte, sembra non opporre proprio resistenza.

"... da più d'uno osservatore questa veniva chiamata la 'Provincia dei Lazzaroni', 
e molti dei viaggiatori stranieri, a mano a mano che si accentuava il progresso meccanico dell'epoca, rimanevano affascinati e scandalizzati alternativamente dalla 'primitiva' parte della popolazione 
che non esitavano a definire, come fece il Dickens, 
'depravata, corrotta e irrimediabilmente congiunta alle bassezze della vita gaia'... 
Napoli era un paradiso popolato da demoni, fra i quali il Re eccedeva.
La legge era lettera morta, la giustizia irraggiungibile, i giudici corrotti e via di questo passo"
(Dalla prefazione al catalogo d'asta).

L'immagine del truffatore napoletano occupa un posto centrale nella storia dei francobolli borbonici. L'inseguimento tra guardie e ladri, il gioco d'astuzia tra le istituzioni del Regno e la parte più sbarazzina del suo popolo, sono all'origine di una serie azioni e reazioni, drammatiche quando si svolgevano, ma capaci di consegnare ai collezionisti alcuni dei più affascinanti fenomeni filatelici, oltre che rarità di prima grandezza e particolare suggestione.

Quei truffatori napoletani - a loro insaputa, senza volerlo - stavano scrivendo uno tra i più incantevoli capitoli di storia dell'arte.

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