RITORNO ALL'INNOCENZA

Il futuro è sulla ginocchia di Giove (nella mitologia greca); la sua imprevedibilità sconsiglia di preoccuparsene ("chi vuol essere lieto sia, del doman non c'è certezza", con la saggezza di Lorenzo de' Medici); e anche la religione diffida dal sovraccaricarsi di paure ("a ciascun giorno basti la sua pena", Matteo 6:34).
Ma congetturare sull'avvenire rimane una pulsione difficile da contrastare, e se proprio non le si può resistere, si può almeno indirizzarla verso interrogativi stimolanti, da usare come trampolino per raggiungere livelli più elevati di consapevolezza.
Come sarà la filatelia del futuro?
Sarà polarizzata, nella mia previsione: radicalizzerà l'antico adagio per cui si tratta dell'hobby dei Re e del Re degli hobby.
Sarà l'hobby dei Re, centrato su pochi oggetti carichi di significati (non solo tecnici o postali) e con una loro storia alle spalle (un pedigree), degli autentici semiofori ad appannaggio di una élite culturale e sociale, dotata di potenti mezzi finanziari.
Sarà il Re degli hobby, coltivabile senza angosce né polemiche, per l'abbondanza di materiale a disposizione e la gran facilità a entrarne in possesso, in qualunque momento lo si desideri (ma che andrà comunque cercato e ricercato).
Il tratto comune - all'hobby dei Re e al Re degli hobby - sarà l'irrilevanza della dimensione monetaria.
Le spese filateliche dei Re, per quanto elevate, rimarranno comunque una frazione minima del loro patrimonio, così trascurabile da non suscitare alcuna preoccupazione sulla futura sorte commerciale della collezione (che non altererà mai la ricchezza del suo possessore, anche se, al limite, si rivelasse un fondo perduto).
Le spese del popolino saranno per loro stessa natura così irrisorie da non essere neppure percepite, e quindi, specularmente, nessuno si preoccuperà della sorte commerciale che potrà toccare alla collezione (ché a conti fatti vi avrà impegnato una quantità di denaro paragonabile al costo di una colazione giornaliera al bar).
Che sia il Re degli hobby, o l'hobby dei Re, la filatelia tornerà così a essere quel che a rigore sarebbe sempre dovuta essere: un hobby, semplicemente un hobby, nient'altro che un meraviglioso e ineguagliabile hobby.
E il Re degli hobby - il collezionismo popolare - riscoprirà centrale quel filone storicamente negletto, guardato con malcelata sufficienza: la filatelia tematica.
In un mondo interconnesso, in cui siamo costantemente bombardati dalle immagini più disparate, il francobollo potrà riaffermare e far valere la sua natura di "mezzo figurativo più stringato e concentrato" - argutamente segnalata da Federico Zeri - il suo essere "un manifesto murale ridotto ai minimi termini", una porta d'ingresso privilegiata verso un tema, un argomento, un filone di indagine, in accordo con la migliore interpretazione della cultura e dello spirito di Renato Mondolfo: "partire dall'oggetto filatelico come da uno spunto per capire, per apprendere, per saltare a campi ben diversi dalla filatelia, insomma per arricchirsi dentro".
Questo Blog punta a un collezionismo di alto livello; è stato impostato - sin dalle origini - su una visione antiquariale della filatelia; è pensato e realizzato per la filatelia dei Re, e per chi ambisce a farne parte, nel senso chiarito nell'intervista al Signor Fabiani.
Ciò però non significa snobbare l'altra metà del cielo (che poi non è metà, ma almeno tre quarti, e forse pure nove decimi, se non ancora di più). Al contrario. Qui - in questo Blog - il francobollo lo si rispetta in ogni sua forma - aristocratica o popolare - sotto l'unica, elementare condizione che lo si intenda come uno spunto per apprendere, per saltare a campi ben diversi dalla filatelia, per arricchirsi dentro.

Emissione irlandese dedicata alle percezione sensoriali:
cinque francobolli, ognuno realizzato con una tecnica speciale
per richiamare concretamente la rispettiva percezione
(gomma aromatizzata alla fragola, in quello dedicato al gusto;
inchiostro è termo-cromico in quello del tatto;
l'autoadesivo è trasparente in quello della vista;
c'è una fragranza alla menta in quello dell'olfatto;
ci si avvale della termografia in quello per l'udito).

Emissione filatelica per l'infanzia, di Hong Kong, dedicata ai cinque sensi,
anch'essa realizzata in modo da richiamare concretamente le caratteristiche di ognuno di essi.
Udito, vista, olfatto, gusto e tatto: sono i cinque sensi, la nostra porta di accesso al mondo, e non servono troppe spiegazioni sulla loro centralità per orientarci nella realtà di ogni giorno.
La realtà di ogni giorno, appunto, la vita pratica quotidiana, fatta di tante piccole cose per lo più routinarie: alzarsi, lavarsi vestirsi, andare a lavoro, sbrigare le pratiche, chiacchierare con i colleghi, pranzare, spostarsi da qua a là, tornare a casa, cenare, leggere un libro o guardare una serie Netflix, o magari rilassarsi sfogliando la propria collezione di francobolli, per poi andare a dormire e ricominciare il giorno dopo - allo stesso modo, con lo stesso ritmo - sino alla fine dei giorni.
Questa realtà è costantemente filtrata e modulata dai nostri sistemi percettivi, che operano a meraviglia finché rimaniamo confinati nell'immediatezza di una singola giornata. Ma talvolta smettono di funzionare, e possono addirittura rivelarsi ingannevoli, se decidiamo di compiere un passo oltre le piccole incombenze giornaliere.
Chi crede solo a quel che vede - chi attribuisce alla vista un primato di realtà, di verità - dovrebbe allora credere a un Sole in movimento intorno alla Terra, perché i suoi occhi è questo che gli rimandano: un Sole che sorge, si alza nel cielo, discende e infine tramonta (per ricominciare con lo stesso ciclo il giorno successivo).
Chi crede solo a ciò che può sperimentare con i propri sensi - chi fa delle percezioni sensoriali un monarca assoluto - deve per coerenza negare l'esistenza degli ultrasuoni, che sfuggono alle sue orecchie.
E si potrebbe proseguire con infiniti altri esempi, se il punto di vista non fosse già chiaro: chi si affida solo ed esclusivamente ai sensi dovrebbe almeno riflettere su quanto poco basti a turbarli, sul fatto che tutta la sapienza umana consiste nel diffidarne.
Poi - ovvio - l'esistenza o meno degli ultrasuoni non influenza la prossima rata del mutuo, e nulla cambia nella vita pratica di ogni giorno se si crede a un Sole in movimento intorno alla Terra (tant'è che per secoli l'umanità è stata convinta che fosse così, e nessuno ha mai avuto gravi problemi da questa falsa credenza).



A dirla tutta, la disputa su cos'è che ruotasse - se il Sole intorno alla Terra o viceversa -
portò l'Inquisizione a minacciare Galileo di prigione e torture, se non avesse abiurato la sua tesi eretica.
La questione era diventata maledettamente pratica!
E allora perché avventurarsi in sottigliezze, se all'atto pratico non cambia nulla in tutto ciò che ci occupa e preoccupa ogni giorno, e che assorbe già parecchio tempo e sin troppe energie?
Ammettiamolo: non c'è alcun beneficio materiale, nessun tornaconto immediato, a ricercare una comprensione più estesa e profonda dei meccanismi di funzionamento del mondo intorno a noi.
Quest'attività - alla fine - serve solo a marcare la differenza tra coloro che si abbandonano a "viver come bruti" e chi invece desidera "seguir virtute e canoscenza".

Se osservate il mondo con un minimo di attenzione, se anche solo per un minuto indirizzate il vostro ingegno a concettualizzare ciò che vi circonda, realizzerete che la cosiddetta "realtà" è mappabile in due tipi di elementi: i corpuscoli e le onde.
I corpuscoli - o particelle - sono riconoscibili in tutto ciò che è materiale, solido: un pallone da calcio, una penna, un i-Phone, un computer, un gatto, un'automobile, un pomodoro, una cravatta, un granello di sabbia, e fermatemi pure, se avete afferrato il concetto.
E poi ci sono le onde: quelle mare, ad esempio, ma anche i suoni - la nostra voce o il verso di un animale, la musica di un pianoforte o di un violino, i rumori per strada - così come i terremoti e la "ola" allo stadio. Chiaro cos'è un'onda? Sì, chiaro.
La distinzione tra corpuscolo e onda è ben presente al senso comune, e non sembra occorra nulla di più dell'intuizione per capirla: un cavallone del mare apparirà ben diverso da un granello di sabbia persino a chi vive come un bruto.
Tutti - sia bruti che virtuosi - colgono la differenza tra una qualsiasi onda e un qualsiasi corpuscolo. Almeno fin quando chi ha deciso di seguire la conoscenza non s'interroga sulla natura della luce, la realtà più prossima al divino.

Isaac Newton (a sinistra, su un francobollo francese): la luce è fatta di corpuscoli.
Christiaan Huygens (a destra, su un francobollo olandese): no, la luce è un'onda.
Cosa accade quando schiacciamo l'interruttore di una lampadina o accendiamo una candela?
E' come se venissero lanciate delle microscopiche biglie luminose che si sparpagliano in ogni direzione o è come se si propagassero dei cerchi sulla falsariga di ciò che averrebbe lanciando un sasso in un lago?
La luce è fatta di corpuscoli o di onde?

Il dibattito sulla natura della luce è databile intorno al XVII secolo e vede contrapposte l'ipotesi corpuscolare di Newton all'ipotesi ondulatoria di Huygens, ognuna sostenuta da osservazioni empiriche e argomenti teorici, entrambe bisognose di completare i fatti col pensiero, di ricostruire col puro ragionamento ciò causa cui i dati di realtà rimanevano silenti.
La spunterà la visione corpuscolare, più per l'autorevolezza di Newton (era pur sempre colui che aveva razionalizzato la Fisica: dalla mela che cade ai pianeti che orbitano, tutto s'inquadrava in un unico schema, grazie a lui) che non per evidenze chiare o ragionamenti incontrovertibili.
Per quasi un secolo la luce fu così vista come un raggio di minuscoli proiettili che sfrecciavano nello spazio, fin quando un esperimento tanto semplice quanto devastante invertì il paradigma interpretativo: Thomas Young - nel 1801 - mostrò che la luce andava soggetta ai fenomeni cosiddetti di interferenza e diffrazione, tipici e caratteristici delle onde, e l'ipotesi ondulatoria - la luce come vibrazione - diventò il nuovo standard, corroborato dall'elettromagnetismo di Maxwell.


Thomas Young e James Clerk Maxwell,
rispettivamente su francobolli di Mali e San Marino.
Trascorse un altro secolo, e a inizio '900 Max Plank e Albert Einstein - due futuri Premi Nobel - rimisero tutto in discussione, rispettivamente con lo "spettro del corpo nero" e "l'effetto fotoelettrico" (poi convalidati dal cosiddetto "effetto Compton"): i nuovi esperimenti sulla luce ne mostravano comportamenti che rianimavano l'idea di un'entità paragonabile ai corpuscoli, a un fascio di particelle (le avrebbero poi chiamate fotoni) ciascuna suscettibile di trasportare una certa quantità d'energia.

Foglietto delle Maldive commemorativo di Max Planck:
sul francobollo si staglia la lettera "h", la costante di Planck.
sul francobollo si staglia la lettera "h", la costante di Planck.
Avete presente la lunghezza di centimetro?
Prendere un righello, se non siete del tutto sicuri:
la distanza fra la tacca "0" e la tacca "1" è un centimetro (1 cm).
Sul righello ci sono poi nove tacche più piccole, tra 0 e 1:
la distanza loro distanza è un millimetro, 0,1 cm, 10 elevato a -1, in breve 10-1.
E sapete quanti micron (μm) ci sono in un millimetro? Mille!
Guardate il righello e immaginate altre mille tacca, fra le due che delimitano il millimetro.
Se lo vogliamo esprimerci in centimetri, 1 μm è uguale a 0,0001, cioè 10-4.
E non siamo che all'inizio del nostro cammino verso il microcosmo.
Procedendo oltre troviamo il nanometro (nm, 10-7) e poi il picometro (pm,10-10)
e poi... "there's plenty of room at the bottom", per dirlo con Richard Feynman,
e proprio al fondo troviamo il numero "h", la costante di Planck, nell'ordine di 10-34,
l'unità di misura del mondo atomico, la scala minima di azione in natura.
Per dirlo in modo semplice e vivido:
così come l'euro misura la realtà commerciale in Europa,
il dollaro l'analoga realtà in America, e lo yen in Giappone,
il numero h è la misura della realtà infinitamente piccola.
Nelle trattazioni matematiche ricorre peraltro il rapporto h/2π,
che si è deciso di indicare sinteticamente con ħ ("h tagliato").

Lettera del primo giorno (First Day Cover)
affrancata con valori celebrativi di Max Planck,
con annullo speciale per il centenario della nascita.

La parola "quanto" (dal latino "quantum", piccola quantità)
è usata in Fisica per contrapporre il discreto al continuo:
l'acqua che fuoriesce da un rubinetto è un flusso continuo
(è possibile metterne un quantitativo arbitrario in un contenitore);
un distributore automatico può invece fornire solo un numero intero di bottigliette,
(e ogni bottiglietta esprime l'unità d'acqua a cui si può avere accesso:
la fornitura d'acqua è quantizzata e la bottiglietta è il quanto d'acqua).
Sino al XX secolo la Fisica lavorava sull'idea di grandezze continue,
ma il 14 dicembre 1900, a Berlino, presso la Società tedesca di Fisica,
Max Planck parlò per la prima volta dell'energia in termini quantizzati.
Quattro semplici lettere, mai viste prime, destinate a cambiare la storia:
l'energia non è arbitrariamente divisibile, ma fatta di granelli, di pacchetti,
procede a multipli (n) del prodotto tra una costante e la frequenza (h×f).
L'uditorio è sbalordito, perplesso; qualcuno accenna a un sorriso beffardo,
ma è lo stesso Planck a tranquillizzare tutti:
"non vi preoccupate, è solo un artificio matematico",
come a dire che è solo un ipotesi ad-hoc, una finzione del pensiero,
per venire a capo di un problema - cosiddetto "del corpo nero" - sin allora irrisolto.
Le ultime parole famose: E=n×h×f è l'inzio della rivoluzione quantistica
- dopo l'energia anche la carica elettrica, il momento della quantità di moto,
e tante altre grandezze ancora saranno riconosciute "quantizzate",
aprendo la via alla visione di un mondo fatto di pixel,
di unità fisse di riferimento, che messe assieme restituiscono la realtà -
e Max Planck andrà a irrobustire il club dei rivoluzionari riluttanti,
quelle figure che per prime esitarono ad accettarne le loro stesse idee
- come accaduto anche a Charles Darwin e Martin Lutero -
ma che ugualmente stravolsero la scienza, la società, la religione.

Isacc Newton aveva formalizzato la grande macchina dell'Universo,
Albert Einstein l'aveva espansa sino ai limiti dello spazio e del tempo,
ma dall'invisibile realtà microscopica arrivò un urlò così forte
da far vacillare tutto ciò che sembrava solido, fisso e immutabile.
da far vacillare tutto ciò che sembrava solido, fisso e immutabile.
Persino Einstein ne rimase sconvolto, attonito e interdetto:
non riusciva a credere a un Dio che giocasse a dadi col mondo...
Ma - insomma - cos'è la luce? Un'onda o un corpuscolo? E fatta di cerchi che si propagano o di sferette che viaggiano?
La risposta corretta è la numero tre: nessuno dei due.
Semplicemente ci sono situazioni in cui la luce si comporta come se fosse un'onda, e ce ne sono altre in cui è come se fosse un corpuscolo. E il come se è fondamentale per averne l'esatta comprensione: è la philosophie des als ob del neokantiano Vaihinger - as if, in inglese; come se, in italiano - secondo cui la realtà - sia essa scientifica, sociale, morale o religiosa - non è conoscibile se non attraverso finzioni di pensiero in grado di ordinare la molteplicità di esperienze sensoriali (con processi di astrazione e ordinamento,
di schematizzazione, approssimazione e generalizzazione) per conseguire il migliore adattamento alle situazioni di vita.
Quindi, se la realtà ultima della luce è destinata a sfuggirci in eterno, possiamo ancora trarre profitto dal sapere che a volte sembra essere un corpuscolo e altre mostra invece un comportamento ondulatorio, ma guardandoci bene dal dire che è tutte è due le cose - un'onda e un corpuscolo contemporaneamente - solo perché le nostre percezioni non conoscono altre categorie classificatorie.
Raffiguratevi un cilindro, un normale, ordinario, tranquillo oggetto cilindrico: potrebbe essere un tubo, un salame, una colonna, un torrione, o qualunque altra cosa che si risvegli in voi un'immagine di forma cilindrica.
Il cilindro è... un cilindro, per noi che ne osserviamo direttamente la natura (o - per meglio dire - per chi può effettuare numerose osservazioni parziali, da
diverse angolazioni, ognuna rivelatrice di un profilo, e in seguito ricomporle per arrivare all'esatta configurazione
dell'oggetto).
Ora, però, immaginiamo di esser stati mutilati nella nostra percezione tridimensionale, di poter vedere soltanto in modo piatto, di apprezzare solo ciò che si può proiettare su un foglio. Cosa vedremo, allora, quando saremo messi di fronte a un cilindro? Dipende dalla proiezione a cui avremo accesso: alcuni vedranno un cerchio, altri un quadrato, perché effettivamente il cilindro assomiglia sia a un cerchio (comportarsi come se fosse un cerchio, quando proiettiamo la base) che a un quadrato (comportarsi come se fosse un quadrato, quando proiettiamo i bordi).
E tuttavia la domanda "il cilindro è un cerchio o un quadrato?" rimane priva di senso: il cilindro non è né l'uno né l'altro, né cerchio né quadrato; il cilindro è un cilindro - tautologicamente - com'è evidente a chi può percepirlo nella sua interezza.
Men che mai ha senso dire "il cilindro è contemporaneamente sia un cerchio che un quadrato", solo perché cerchi e quadrati sono le uniche figure percepibili da chi non può andare oltre la visione su un foglio.
Noi - oggi - sappiamo che luce mostra un comportamento ora ondulatorio e ora corpuscolare (allo stesso modo con cui il cilindro ci mostra talvolta la sua natura circolare e talaltra la quadrata) ma non è possibile osservare le due nature contemporaneamente, durante lo stesso esperimento (così come i nostri ipotetici esserei con "visione piatta" si possono osservare simultaneamente la natura quadrata e circolare del cilindro).
E' come se l'universo giocasse con le carte segnate - e a seconda delle situazioni scegliesse di essere una cosa o il suo opposto, ora un'onda ora un corpuscolo - o a volerla raccontare in positivo, è come se Madre Natura ci sollecitasse a transitare da un pensiero esclusivo (questo o quello) a uno inclusivo (questo e quello).

"Io mi era tenuto tanto inhabile a poter penetrare che cosa sia il lume,
che mi sarei esibito a stare in carcere in pane e acqua
purché io fussi assicurato di conseguire una da me tanto disperata cognizione"
(Galileo Galilei)
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"Anche Dio ha il senso dell'umorismo: prendete l'ornitorinco".
Il disclaimer al film "Dogma" ci porta a contatto con un dualismo del mondo animale.
I primi esploratori dell'Australia si trovarono davanti strani animali che abitavano nei ruscelli:
avevano un becco da papera e i piedi palmati, se osservati di fronte;
mostravano invece un corpo peloso e una coda, se osservati da dietro.
Li soprannominarono "talpanatre", per riassumerne la somiglianza alle talpe e alle anatre.
E le bizzarrie erano solo all'inizio, ben oltre il dualismo talpa-anatra:
questo strano animale aveva delle zampe da anatra, con delle unghie che secernono del veleno;
non aveva il collo, e aveva il pelame morbido, la coda piatta e un becco che sembrava appiccicato.
Si pensò addirittura a uno scherzo, a un falso, all'opera di un abile imbalsamatore,
quando il primo esemplare di ornitorinco impagliato arrivò al British Museum nel 1798.
Si provò allora a inquadrarlo in una categoria nota:
qualcuno volle farne un mammifero, fingendo di non vedere che deponeva le uova;
altri lo volevano oviparo, e dovevano fingere di non vedere le mammelle,
con cui secerneva il latte da spargere nell'acqua per nutrirei cuccioli.
"Nulla v'ha di più singolare della organizzazione di questo animale
che partecipa dell'Uccello, del Pesce, del Rettile, del Mammifero,
e che sembra creato per far disperare i classificatori",
osservò lo scrittore e divulgatore scientifico Louis Figuier.
Ma la stranezza dell'ornitorinco - in fondo -
derivava dalla limitatezza delle categorie (mammifero vs oviparo)
utilizzate per classificare il mondo animale:
l'ornitorinco era reale, il problema erano le nomenclature,
che andavano allargate e perfezionate - per arrivare a nuovi concetti -
se si voleva capire la realtà che si aveva davanti.
Ma come si fa a stabilire - con rigore - se un ente fisico è un'onda o un corpuscolo? Come si fa a indagarne la natura, sapendo che può essere anche duale?
Poche chiacchiere. Entriamo in un laboratorio e vediamo come lavorano (e ragionano) i Fisici.

I quattro francobolli ordinari italiani, emessi nel 2014,
inclusi nella serie tematica "Le eccellenze del sapere",
dedicati ai laboratori dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).
Come si distingue un corpuscolo da un'onda, di là dell'intuizione percettiva, volendole dare un minimo di precisione formale? Quali sono le proprietà degli uni e delle altre, a cui riferirsi per battezzare la natura di un determinato ente fisico? Cos'è che caratterizza i corpuscoli, e solo i corpuscoli, e cosa invece è specifico delle onde, e solo delle onde?
La prima contrapposizione è tra localizzazione e diffusione: i corpuscoli sono localizzati, le onde diffuse.
Immaginiamo di verniciare di bianco una biglia e di lanciarla contro uno schermo nero: vedremo un punto bianco sullo schermo là dove la biglia l'ha colpito; abbiamo localizzato (sullo schermo) il nostro corpuscolo, la biglia.
Immaginiamo ora - con un po' di fantasia - che la nostra voce abbia il potere di verniciare di bianco tutto ciò che incontra, in proporzione alla sua altezza, e mettiamoci a parlare davanti al solito schermo nero: lo vedremo colorarsi, con tinte più accese in un intorno della zona di fronte a noi e via via più tenui man mano che ci si sposta sui lati; l'onda si è diffusa (sullo schermo) lasciando segni di sé ovunque.
Possiamo perciò domandarci "dove" si trova un corpuscolo (formalmente identificabile all'interno di un sistema di coordinate spazio-temporali) ma non ha senso chiedere "dove" sia l'onda (che non ha una posizione, ma si diffonde ed è in più posti contemporaneamente, è sparsa dappertutto, all'interno dello spazio in cui si propaga).
Localizzazione e diffusione chiamano a loro volta i concetti di indipendenza e interferenza.
Immaginiamo di lanciare un biglia verso l'alto e di lasciarne un'altra a mezz'aria. Cosa accadrà? Banale: quella lanciata verso l'alto salirà (tanto più in alto quanta più forza abbiamo messo, per poi tornare giù) e quella lasciata per aria cadrà a terra (per effetto della gravità). Le due biglie hanno seguito traiettorie indipendenti, i loro movimenti non si sono influenzati. I corpuscoli possono spostarsi nello spazio in cui si trovano in modo indipendente l'uno dall'altro.
Non è così con le onde, come sa bene chi ama giocare al mare con i cavalloni. Alcune onde promettono bene, viste da lontano, ma poi s'afflosciano e giungono a riva praticamente piatte. E ce ne sono altre che invece sembrano innocue e all'improvviso prendono quota, s'impennano e ci travolgono. Cosa è successo? Semplice: nel primo caso vediamo un'onda alta, o in un'interessante fase ascendente, che nel suo propagarsi incontra però un'onda bassa o in fase di discendente, che la trascina giù; nel secondo vediamo la cresta di un'onda bassa o poco interessante, che però si ritrova a un tratto in fase con la cresta di un'altra onda, e le due creste, sommandosi, producono un'onda alta.

Quando la cresta di un onda incontra il ventre di un altra,
si verifica un'interferenza distruttiva, che appiattisce il risultato
(come un credito viene annullato da un debito di pari entità).
Se invece si incontrano due creste (o due ventri) si ha un'interferenza costruttiva,
e l'onda che ne viene fuori si presenterà amplificata da entrambi i versi
(come due crediti - o due debiti - che si sommano, accrescendo l'esposizione finanziaria).
Queste caratteristiche di onde e corpuscoli sono alla base del citato esperimento di Young, che a inizio '800 aveva fatto propendere per la natura ondulatoria della luce. Non è un esperimento come gli altri. E' l'esperimento della doppia fenditura, il più bell'esperimento della Fisica.
Perché, sì, la bellezza non è solo estetica. La bellezza - nella scienza - è un metodo d'indagine, di ricerca e conoscenza, tra i più sicuri e affidabili.
Lo dici tu, ribatteranno i soliti polemici. No. Lo dice Paul Dirac, Premio Nobel per la Fisica nel 1933.


"C'è solo una roccia che può sopravvivere a ogni tempesta
e alla quale ci possiamo aggrappare strenuamente:
l'idea che le leggi fondamentali della Natura
siano espresse da una teoria matematicamente bella"
(Paul Dirac)
Muniamoci di un pannello, di una lastra, e pratichiamogli una fessura verticale di forma rettangolare (fenditura, feritoia, chiamatela come volete); posizioniamo quindi il pannello davanti a uno schermo nero a sensori, che quando viene colpito s'illumina in proporzione all'intensità del colpo ricevuto; e infine procuriamoci un cannoncino per sparare delle biglie.

Il nostro ambiente di laboratorio.
Il cannoncino spara le biglie muovendosi da destra a sinistra, dall'alto verso il basso e viceversa, insomma spara le biglie girando tutto intorno.
Cosa accadrà? Semplice: tutte le volte che una biglia colpirà il pannello (la lastra) arresterà la sua corsa e cadrà a terra; ma se la biglia passerà per la fessura, allora arriverà sullo schermo e lo illuminerà nel punto dove l'ha colpito.
Questo è ciò che osserveremo (sullo schermo) dopo aver sparato un buon numero di biglie: una striscia luminosa - fatta di puntini - in corrispondenza della fenditura della lastra.

Il risultato sperimentale, sparando biglie attraverso una fenditura.
Pratichiamo ora una seconda fessura nella lastra, parallela alla prima e delle stesse dimensioni, e ripetiamo l'esperimento.
Cosa otterremo? Banale: due strisce in corrispondenza delle fenditure, generate da tutte le biglie che sono riuscite a passare.

Il risultato sperimentale, sparando biglie attraverso due fenditure.
Sin qui è tutto elementare. Ma ora cambiamo setting.
Immergiamo lo schermo e il pannello (con la sua fenditura) in una sostanza liquida (ad esempio l'acqua) e, generiamo un'onda, anziché sparare biglie. Cosa accadrà quando la nostra onda incontrerà il pannello con la fenditura?
Assisteremo a un fenomeno noto come diffrazione, che raccontato alla buona vuol dire che la fenditura diventerà essa stessa una sorgente di onde, dalla fenditura avrà cioè origine una nuova onda che si propagherà verso lo schermo sensoriale.
E cosa accadrà quando l'onda arriverà a destinazione?
Lo schermo si illuminerà con diverse intensità, in ragione dei diversi impatti con i diversi punti dell'onda: vedremo una bella striscia bianca al centro (in corrispondenza della fenditura, dove l'onda ha la sua cresta) e una luminosità che va via via a scemare man mano che ci spostiamo verso i lati (dove l'onda è più debole).

Il risultato sperimentale, mandando un'onda attraverso una fenditura.
E' un risultato che richiama in parte l'evidenza ottenuta sparando biglie, perché abbiamo pur sempre una striscia centrale (fatta di puntini, nel caso delle biglie, e più compatta nel caso delle onde).
Ma cosa accade se l'esperimento con le onde lo eseguiamo con un pannello a due fenditure?

Il nostro nuovo ambiente di laboratorio.
Ognuna delle due fenditure diventerà una sorgente di onde, e le onde - abbiamo detto - interferiscono tra loro: due creste possono incontrarsi e creare un'amplificazione, così come una cresta può essere smorzata, e al limite annullata, dall'incontro con una cavità, e via così, con fasi ascendenti e discendenti che si incrociano dando luogo a fenomeni costruttivi e distruttivi, a zone di rinforzo e ad altre di cancellazione, che consegnano potenza o la sottraggono alle onde risultanti.

Le onde si toccano, interferiscono, si accentuano o si smorzano.
Cosa accadrà quando questo complesso gioco di interazioni - di amplificazioni e smorzamenti - arriverà a toccare lo schermo sensoriale?
Il risultato non è più così scontato: l'intensità dell'illuminazione è proporzionale all'impatto delle onde, e sicuramente osserveremo ancora una bella striscia centrale, ma gli effetti d'interferenza restituiranno un'immagine striata, lo schermo s'illuminerà in corrispondenza degli effetti costruttivi (quando due onde, incontrandosi, hanno preso forza) e resterà nero in corrispondenza degli effetti distruttivi (quando due onde, incontrandosi, si sono smorzate o annullate).

Il risultato sperimentale, mandando un'onda oltre le due fenditure.
Per riassumere: quando spediamo un ente fisico oltre le due fenditure, sappiamo che otterremo due strisce nel caso dei corpuscoli e una figura striata nel caso delle onde.

A destra i corpuscoli, a sinistra le onde: non ci si può sbagliare... o no?
L'esperimento della doppia fenditura ha un elevato potere discriminante (e non a caso è il più bello della Fisica): quando mandiamo un ente fisico oltre le due fenditure - senza sapere che razza di ente sia - siamo confortati dal sapere la figura sullo schermo ci rivelerà un aspetto fondamentale della sua natura, vista la differenza manifesta tra le figure prodotte dai corpuscoli e dalle onde.
E cosa succede se - anziché biglie e onde d'acqua - spediamo un elettrone oltre le fenditure?

L'idea di una materia composta da particelle microscopiche e indistruttibili - da atomi: ἄτομος átomos, indivisibile - risale a tempi remoti: ne parlavano già i filosofi greci (Leucippo, Democrito ed Epicuro, tra il V e il III secolo a.C.) e romani (Tito Lucrezio Caro, I secolo a.C.) sebbene in modo puramente speculativo.
Servirà arrivare a inizio '800 (con Dalton) e soprattutto alla prima decade del '900 (con Einstein) per avere la riprova dell'esistenza di entità sempre più piccole, organizzate su livelli differenti, in una struttura gerarchica della materia in cui gli elementi di ogni livello entrano nel livello superiore e loro volta accolgono il livello inferiore, in accordo con formalizzazioni (di Thompson, Rutherford e Bohr) variamente concepite.
Servirà arrivare a inizio '800 (con Dalton) e soprattutto alla prima decade del '900 (con Einstein) per avere la riprova dell'esistenza di entità sempre più piccole, organizzate su livelli differenti, in una struttura gerarchica della materia in cui gli elementi di ogni livello entrano nel livello superiore e loro volta accolgono il livello inferiore, in accordo con formalizzazioni (di Thompson, Rutherford e Bohr) variamente concepite.

"Se in un cataclisma andasse distrutta tutta la conoscenza scientifica,
e soltanto una frase potesse essere trasmessa alle generazioni successive,
quale affermazione conterrebbe la massima quantità di informazioni nel numero minimo di parole?
Io credo che sarebbe l'ipotesi atomica secondo cui tutte le cose sono fatte di atomi,
piccole particelle che si agitano con un moto perpetuo,
attraendosi quando sono un po' distanti una dall'altra,
ma respingendosi quando sono schiacciate una contro l'altra.
In questa singola frase c'è un'enorme quantità di informazione sul mondo che ci circonda,
se soltanto ci si riflette sopra con un po' di immaginazione"
(Richard Feynman)

Il modello di John Dalton (1803) è l'anticamera della teoria della materia:
gli atomi - nella visione di Dalton - erano particelle indivisibili e indistruttibili,
identiche tra loro per dimensioni, massa e proprietà chimiche (a parità di elemento)
che si combinavano tra loro per formare elementi composti,
dando luogo a reazioni chimiche che ne implicavano una riorganizzazione.

Il modello atomico di Thompson, "a panettone" (1904).
E' il primo modello significativo, in cui si coglie l'idea che l'atomo era sì neutro,
ma la sua neutralità era data dalla somma di cariche positive e negative,
e precisamente tra la grande carica positiva dell'atomo,
e le tante cariche negative degli elettroni che vi erano immersi,
da cui l'analogia con la forma e i costituenti di un panettone:
l'atomo era la massa principale, nella quale si trovavano i canditi (elettroni).

Il modello atomico di Rutherford, in stile "sistema solare" (1910).
Colpendo delle lamine d'oro con delle particelle-alfa,
Rutherford capì che la materia era formata per lo più da spazio vuoto,
e quindi propose una rappresentazione dell'atomo analoga a un sistema solare:
la carica positiva al centro e gli elettroni che orbitano intorno.
Così come c'è una forza attrattiva gravitazionale tra il Sole e i pianti,
e i pianeti non cadono sul Sole in virtù della loro velocità,
allo stesso modo c'è una forza attrattiva tra cariche di segno opposto,
e la velocità di movimento degli elettroni gli impedisce di cadere nel nucleo.

Il modello atomico di Bohr, ancora in stile "planetario" (1913).
Lo schema di Rutherford approssimava meglio la struttura dell'atomo,
ma scontava un difetto grave e notevole:
una particella emette onde elettromagnetiche,
quando è in movimento circolare a gran velocità e piccolo raggio
- e quindi con grande accelerazione centripeta -
e di conseguenza perde progressivamente energia e velocità,
per cui dovrebbe cadere in breve tempo sul nucleo.
L'atomo di Rutherford era pertanto altamente instabile,
o per dirlo in modo semplice, se le cose fossero state davvero così,
allora il mondo intero e tutti noi non saremmo potuti esistere.
C'erano quindi dei punti dove la costruzione di Rutherford traballava,
e Bohr si diede appunto l'obiettivo di metterla in sicurezza,
attraverso tre postulati - due qualitativi, il terzo più tecnico -
per venire incontro alle osservazioni sperimentali e spiegarle al meglio.
Postulato 1: un elettrone può percorre solo orbite specifiche,
"stazionarie" o "quantizzate", in numero finito, discreto.
Postulato 2: un elettrone può spostarsi da un'orbita all'altra
- cosiddetto "salto quantico", senza mai poter stare nel mezzo di due orbite -
e la sua energia potenziale - in analogia al mondo macroscopico -
si riduce quando si colloca su orbite più vicine al nucleo.
Postulato 3: il momento angolare dell'elettrone
- la sua opposizione a cambiamenti nel suo movimento rotatorio,
come la massa è l'inerzia a cambiamenti nel movimento lineare -
è un multiplo interno della costante di Planck ridotta ħ ("h tagliato").
Rimanevano postulati basati su analogie piuttosto spregiudicate,
che permettevano però di prevedere meglio i risultati degli esperimenti.
Capiamoci, però. Cosa vuol dire "descrizione scientifica" (dell'atomo)? Significa - in parole semplici - "basata su osservazioni ripetute e replicabili", ma nessuno può osservare un atomo (né allora né ora) con la stessa immediatezza con cui osserva un qualsiasi ente del mondo macroscopico (una biglia, un pomodoro, un gatto, un'onda del mare) né poteva farlo in modo più elaborato, ad esempio filtrando l'osservazione attraverso un microscopio (alla maniera di un chimico).
Gli atomi non si possono "osservare" nel senso intuitivo del termine. "Osservare" - nel linguaggio della Fisica subatomica - significa interferire con gli enti di interesse (atomi, elettroni) attraverso un esperimento che restituisca risultati osservabili, su cui fondare ipotesi sulla loro natura (che di per sé rimane fuori dal nostro campo visuale). Conferire precisione tecnica a strutture e gerarchie rimane quindi
un atto audace, perché impone di intrepretare delle misure per
dare una forma a entità inosservabili, e tuttavia è proprio questo collegamento - tra un
ente non osservabile e un processo di misurazione - che
permette di passare da una speculazione metafisica a un'ipotesi
scientifica.
Ritorna l'als ob di Vaihinger, la logica del come se, della finzione: una volta registrati determinati risultati sperimentali su grandezze osservabili (frequenza, colore, intensità) è ragionevole fingere - comportarsi come se - la struttura dell'atomo fosse fatta in un certo modo: è la coerenza tra il set di osservazioni empiriche e l'ipotesi speculativa (tra ciò che osservo e ciò che immagino) a rendere "vero" - in senso lato - il modello.

Negli anni '70, all'Università di Roma,
il fisico Bruno Touschek tenne una conferenza dal curioso titolo "Hamsanxen?",
pronuncia viennese di una frase traducibile in "Lei ne ha mai visto uno?",
proferita come sfida a chi credeva negli atomi.
Qual era il problema? Che nessun modello (di Thompson, di Rutherford, di Bohr) era pienamente soddisfacente. Tutti avevano punti di forza (buona concordanza con le osservazioni) e di debolezza (mancata concordanza) e in alcuni casi dovevano ricorrere a ipotesi ben strane.
Il modello di Bohr - ad esempio - prevedeva bene la frequenza e il colore, ma falliva sull'intensità, e comunque - per funzionare laddove funzionava - pagava il prezzo di un'eccessiva rigidità (si doveva immaginare che gli elettroni orbitassero intorno al nucleo a distanze ben precise, su orbite ben definite, con energie anch'esse fissate, e che saltassero magicamente da un'orbita all'altra: "non posso immaginare che un elettrone salti qua e là come una pulce" - avrebbe borbottato Schrödinger - e "se questi dannati salti quantici dovessero esistere, rimpiangerò di essermi occupato di meccanica quantistica!").
C'era comunque un'intuizione di fondo che accomunava le varie modellizzazioni: se nel mondo macroscopico sappiamo calcolare la posizione e la velocità di un oggetto (di un corpuscolo, di una particella), allora, essendo l'oggetto formato da atomi, dovremmo essere in grado di misurare anche la posizione e la velocità di enti atomici e subatomici.
Per dirlo in modo più semplice: ci stiamo interrogando sui costituenti elementari della materia, che devono di necessità essere essi stessi materia, anche se non ne conosciamo la forma, e su cui vogliamo appunto formarci un'idea.
Fin quando nel 1923 non arrivò un aristocratico - Louis-Victor Pierre Raymond de Broglie, VII Duca di Broglie - con una delle idee più folli, poetiche e rivoluzionarie della storia della Fisica.
Per dirlo in modo più semplice: ci stiamo interrogando sui costituenti elementari della materia, che devono di necessità essere essi stessi materia, anche se non ne conosciamo la forma, e su cui vogliamo appunto formarci un'idea.
Fin quando nel 1923 non arrivò un aristocratico - Louis-Victor Pierre Raymond de Broglie, VII Duca di Broglie - con una delle idee più folli, poetiche e rivoluzionarie della storia della Fisica.

Il francobollo dedicato al Duca de Broglie (a sinistra)
e alla formula per la sua ipotesi di dualità (a destra).
In prima battuta ogni corpuscolo lo si può indentificare
con la sua massa m e la velocità v a cui si muove,
e le due caratteristiche si riassumono nel prodotto m×v,
che rappresenta la cosiddetta "quantità di moto"
(preferite essere investiti da un camion che va a 10 km/h,
o da una biglia che va a 100 km/h? Ecco, questa è la quantità di moto).
Il Duca de Broglie immaginò che ogni oggetto, di qualunque natura,
potesse portare con sé una componente ondulatoria di lunghezza l,
misurata dal rapporto tra la costante di Plank (h»10-34) e la quantità di moto (m×v).
E qui si crea il bivio tra gli oggetti macroscopici e le entità del mondo subatomico.
La costante di Planck - il numeratore di l - è un numero piccolissimo,
perciò il rapporto l/ (m×v) sarà praticamente nullo (non percepibile sensorialmente)
per gli oggetti ordinari della vita quotidiana (con m×v apprezzabile con i sensi).
Quindi, per palloni, quaderni, i-Phone e così via, l esiste ma tende a zero.
Ma quando ci sposta sulla scala subatomica, nell'infinitamente piccolo,
dove sono le masse a diventare pressoché nulle,
ecco la natura duale si manifesta e può essere rilevata.
Vantava un percorso accademico umanistico - si era laureato in Storia e Diritto, nel 1910 - ma poi, stimolato dal fratello, aveva intrapreso anche studi scientifici, conseguendo un'altra laurea, nel 1913. Si ritrova arruolato nell'esercito durante la Prima Guerra Mondiale, ma ancora grazie al fratello - un tipo piuttosto influente - se
ne sta appollaiato sulla Torre Eiffel a occuparsi delle comunicazioni
col telegrafo, e chissà se mandare e ricevere messaggi (onde) - anziché rischiare la vita sui
campi di battaglia - può avergli stimolato quelle riflessioni destinate a cambiare la storia.
In quegli anni si era tornati a discutere sulla natura della luce - onda o corpuscolo? - perché l'esito dell'esperimento della doppia fenditura (la luce è un'onda) era stato attutito da evidenze di altro genere (che invitavano a propendere per il corpuscolo).
Il Duca de Broglie - suggestionato dall'idea di simmetria di Madre Natura - osò
immaginare la dualità di tutte le entità fisiche, che ogni oggetto, cioè, portasse con sé un'onda, una frequenza, che il dualismo
non toccasse solo la luce, ma anche le persone, le montagne, i pianeti e - perché no? - gli elettroni: se la luce è un'onda - perché così dice l'esperimento della doppia fenditura - ma a volte si comporta da corpuscolo, allora - sostenne de Broglie - si può specularmente ipotizzare che ciò che si presenta come corpuscolo possa talvolta comportarsi come un'onda.
L'idea fu esposta nella sua tesi di dottorato, e apparve così bizzarra da indurre gli esaminatori a chiedere il parere vincolante di Einstein, prima di darle un bollino accademico. Il Grande Vecchio approvò - "ha sollevato un angolo del grande velo", così disse, anche perché l'ipotesi dava soluzioni brillanti a problemi complessi: smarcava con eleganza alcuni punti oscuri del modello di Bohr e si raccordava con la quantizzazione dell'energia di Plank - e il Duca conseguì il suo dottorato.

"Se mi si chiedesse una biografia di Einstein in un frase, direi:
era l'uomo più libero che io abbia mai conosciuto"
(Abraham Pais)
L'apparente follia del Duca de Broglie troverà una prima conferma sperimentale con Davisson e Germer - sì: gli elettroni producevano schemi di interferenza - e Borh inizierà a parlare di principio di complementarietà, per far acclimatare all'idea che il mondo subatomico potesse manifestare un comportamento ora ondulatorio, ora corpuscolare, a seconda delle situazioni, dello strumento d'indagine utilizzato negli esperimenti.
Ma - insomma - come sono fatti questi elettroni? Sono onde? Sono particelle? Tutt'è due? Nessuno dei due?

"C'è questo concetto - la complementarità - che Niels Bohr e i suoi discepoli
diffondono e di cui tutti fanno uso. Devo confessare che non lo comprendo.
Per me si tratta d'un'evasione. Non d'un'evasione volontaria.
Infatti si finisce per ammettere il fatto che abbiamo due teorie,
due immagini della materia che non si accordano,
di modo che qualche volta dobbiamo far uso dell'una, qualche volta dell'altra.
di modo che qualche volta dobbiamo far uso dell'una, qualche volta dell'altra.
Una volta, settanta o più anni fa, quando si verificava un tale fatto,
si concludeva che la ricerca non era ancora finita,
perché si riteneva assolutamente impossibile far uso di due concetti differenti
a proposito d'un fenomeno o della costituzione d'un corpo.
Si è inventata ora la parola 'complementarità',
e ciò mi sembra voler giustificare quest'uso di due concetti differenti,
come se non fosse necessario trovare finalmente un concetto unico,
un'immagine completa che si possa comprendere.
La parola "complementarità" mi fa sempre pensare alla frase di Goethe:
perché proprio dove mancano i concetti, si presenta al momento giusto una parola"
(Erwin Schrödinger)
Abbiamo a disposizione il più bell'esperimento della Fisica - la doppia fenditura - per formarci un'idea sulla natura delle cose - se onde o corpuscoli - e replicarlo con gli oggetti subatomici sembra la migliore linea d'azione per comprendere come siano fatti, se li si debba assimilare a dei corpuscoli o se posseggano le fattezze delle onde.
"Sparare elettroni" - ovviamente - non è come tirare biglie o creare vibrazioni nel mondo macroscopico: servono tecniche e tecnologie, oltre a parecchie accortezze operative, per poterlo fare e fare a modo, correttamente.
Ci volle un po' per disporre dell'armamentario necessario a replicare su scala microscopica ciò che si sapeva fare su scala macroscopica - il primo esperimento è datato intorno agli anni '60 del XX secolo - ma alla fine ci si riuscì: si potevano "sparare elettroni", uno a uno, uno alla volta, aspettando che ognuno di essi arrivasse a destinazione (sullo schermo sensoriale) prima di lanciare il successivo.
E cosa uscì fuori?
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"Prenderò questo solo esperimento
che è stato formulato in modo da contenere tutti i misteri della meccanica quantistica,
così da mettervi interamente di fronte ai misteri, ai paradossi e alle particolarità della natura.
Qualsiasi altra situazione della Meccanica Quantistica può sempre essere spiegata dicendo:
vi ricordate dell'esperimento delle due fenditure? E' la stessa cosa"
(Richard Feynman)
Più che riportare delle figure stilizzate, buone a rendere l'idea generale, converrà mostrare gradualmente l'effettiva evidenza empirica che si andava cumulando, a seguito dell'invio degli elettroni oltre le due fenditure.

C'è da dire che a intuito, a buon senso, i 10 punti appaiono eccessivamente dispersi rispetto alle due bande verticali che ci si aspetterebbe di vedere lanciando palline. Però abbiamo sparato elettroni, e vai a sapere come siano fatti davvero questi elettroni, quale forma fisica abbiano realmente. Ciò che conta - alla fine - è solo l'insieme di puntini localizzati: gli elettroni, sin qui, appaiono corpuscoli.
Proseguiamo, allora: continuiamo a sparare elettroni, una alla volta, secondo la stessa procedura (lasciare che l'elettrone colpisca lo schermo, prima di sparare il successivo).
Questo è lo schermo, dopo 200 lanci.

E gia qui l'evidenza si fa ambigua: vediamo ancora punti, singoli punti, come se avessimo lanciato delle minuscole biglie, ma la loro dispersione è troppo elevata per richiamare da vicino ciò che osserveremo con delle vere biglie.
Però, al solito, abbiamo lanciato elettroni, non biglie, e Dio solo lo sa come siano fatti gli elettroni, anche se noi continuiamo a percepirli come biglie (a prestar fede a ciò che lo schermo ci restituisce: singoli punti).
Non ci resta che andare avanti, continuare a sparare elettroni uno dopo l'altro, senza posa, e saltiamo subito alla fine, a ciò che si vede sullo schermo dopo 140.000 lanci.

Shocking in my town! - avrebbe detto Battiato: sullo schermo si è delineata la tipica figura d'interferenza.
I nostri elettroni, che al principio si presentavano come corpuscoli, ancorché altamente dispersi, a lungo andare hanno prodotto la classica figura striata generata dalle onde, e solo dalle onde.
E qui c'è il pattern più granulare, nel passare da 10 a 140.000 lanci.

Claus Jönsson dell'Università di Tubinga fu il primo, nel 1961,
a realizzare l'esperimento della doppia fenditura con un fascio di elettroni.
La sperimentazione fu ripetuta nel 1974 a Bologna
- da Pier Giorgio Merli, Gianfranco Missiroli e Giulio Pozzi -
inviando un elettrone alla volta sulla lastra fotografica.
Nel 1989 - in Giappone - la replicò il team di Akira Tonomura
(e il video si riferisce proprio a questa terza replica).
Nel 2002 la versione " a singolo elettrone"
fu votata come l'esperimento più bello di sempre
dai lettori della rivista divulgativa "Physics World".
I Fisici uscirono di testa, alla lettera. Più che di Fisica - di cose vere e reali, osservabili e misurabili - i loro discorsi presero un'intonazione metafisica: si iniziò a dire che l'elettrone si sdoppiava, una volta arrivato davanti alle fenditure, cosicché passava da entrambe (come avrebbe fatto un'onda) per poi interferire con sé stesso (proprio come le onde). Ma se pure le particelle subatomiche fossero state onde, cos'è che ondeggiava esattamente? Nelle onde del mare è l'acqua ad andare su e giù, nelle onde sonore è la pressione dell'aria a creare le vibrazioni, ma qui, nel mondo dei quanti, cos'è che si propaga? L'etere, forse?
Bisognava rimettere i piedi a terra, prima di finire in manicomio.
A intuito, una volta sparato l'elettrone verso lo schermo, o s'infrangeva sulla lastra oppure passava, e allora doveva farlo dall'una o dall'altra fenditura.
Le prime evidenze - ancora sino a 6.000 lanci - davano conto di una natura corpuscolare, di elettroni alla stregua di biglie infinitesime (sebbene la loro dispersione sullo schermo sembrava ben strana, se confrontata con gli esiti del mondo macroscopico). Ma da 40.000 lanci in poi si delineava in modo progressivamente più nitido la figura striata, che solo le onde sono in grado di produrre.
Il punto oscuro stava in ciò che accadeva al momento del passaggio per le fenditure. E per schiarirlo non rimaneva che "osservarlo". Che ovviamente è un'affermazione tutta da qualificare, visto che non vi è possibilità di "osservare" il mondo microscopico anche solo sulla falsariga delle osservazioni del mondo macroscopico.
"Osservare il passaggio" non vuol dire vedere direttamente da quale fessura passa l'elettrone - come potremmo percepire brutalmente l'analogo passaggio di una biglia su scala macroscopica - ma mettere a punto un tecnicismo di rilevazione che permetta di sapere se l'elettrone è transitato dalla fessura di destra o da quella di sinistra.
"L'occhio che osserva l'elettrone" - detto alla buona - è una luce che lo colpisce quando passa, e colpendolo lo illumina, e illuminandolo ci porta a conoscenza della fessura da cui è passato (e al limite ci dirà se sia vera la speculazione per cui l'elettrone si sdoppia e transita per entrambe le fessure).
I Fisici misero così "il loro occhio" a lato delle fessure: ora avrebbero saputo cosa accadeva al momento del passaggio.

Ricominciarono a sparare elettroni, ma stavolta con "l'occhio" accanto alle fenditure, per vedere cosa accadeva.
Ne spararono 10, 100, 1.000, ... e ogni volta li beccavano, li "vedevano" passare da una fessura o dall'altra (nessuno sdoppiamento, dunque, nessun passaggio contemporaneo per entrambe le fessure) proprio come avveniva con le biglie del mondo macroscopico.
E cosa videro sullo schermo, quando ebbero finito di sparare elettroni, sapendo dire per ognuno da quale fenditura fosse passato?
E cosa videro sullo schermo, quando ebbero finito di sparare elettroni, sapendo dire per ognuno da quale fenditura fosse passato?
Videro questo.
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Fermi tutti, ché qui è un attimo a finire risucchiati nella tana del Bianconiglio.

"Una volta si pensava che l'elettrone si comportasse come una particella
e si scoprì poi che, sotto molto aspetti, si comporta come un'onda.
Cosicché in realtà non si comporta in nessuno dei due modi.
Ora abbiamo lasciato perdere. Diciamo: 'non è né l'una né l'altra cosa'.
Fortunatamente c'è uno spiraglio: gli elettroni si comportano esattamente come la luce.
Il comportamento quantistico degli oggetti atomici (elettroni, protoni, neutroni e così via)
è lo stesso per tutti, sono tutti 'onde-particelle', o qualunque altro nome vi piaccia dar loro"
(Richard Feynman)
Volevamo capire che razza di enti fossero gli elettroni, se onde o corpuscoli, e abbiamo così declinato l'esperimento della doppia fenditura su scala microscopica; gli esiti iniziali ci hanno restituito l'impressione di fronteggiare dei corpuscoli (sullo schermo apparivano dei puntini), ma a lungo andare abbiamo osservato la tipica figura striata generata dalle onde (e solo dalle onde); ci siamo arrovellati per capire cosa diavolo stesse accadendo, e abbiamo allora spiato l'elettrone al momento del passaggio dalle fessure; ma a quel punto - quando abbiamo preso a spiarlo - l'elettrone ha iniziato a comportarsi come un corpuscolo, restituendoci sullo schermo le bande dirimpettaie delle due fenditure.
Mettiamola così.
Quando eseguiamo l'esperimento senza "il nostro occhio" sulle fenditure, è come se l’elettrone fosse un'onda lungo l'intero tragitto, finché non arriva a contatto con lo schermo (che è uno strumento di rilevazione, a tutti gli effetti un altro "occhio") allorquando si trasforma in un corpuscolo, posizionandosi in un punto in apparenza casuale, ma che a lungo andare è come se avesse una probabilità commisurata all'altezza dell'onda.
Quando invece eseguiamo l'esperimento spiando dalle fenditure, l'elettrone si comporta come se fosse un corpuscolo, come ci testimoniano le due bande sullo schermo.
Quindi - in conclusione - l'elettrone, di suo, finché non lo disturbiamo, è come se fosse un'onda; ma non appena interferiamo - quando piazziamo l'occhio accanto alle fenditure o quando sbatte sullo schermo - si trasforma (collassa) in un corpuscolo; e ciò che vediamo effettivamente sullo schermo dipende dal momento in cui noi lo abbiamo osservato, dall'istante in cui abbiamo interferito col suo cammino.
Quando eseguiamo l'esperimento senza "il nostro occhio" sulle fenditure, è come se l’elettrone fosse un'onda lungo l'intero tragitto, finché non arriva a contatto con lo schermo (che è uno strumento di rilevazione, a tutti gli effetti un altro "occhio") allorquando si trasforma in un corpuscolo, posizionandosi in un punto in apparenza casuale, ma che a lungo andare è come se avesse una probabilità commisurata all'altezza dell'onda.
Quando invece eseguiamo l'esperimento spiando dalle fenditure, l'elettrone si comporta come se fosse un corpuscolo, come ci testimoniano le due bande sullo schermo.
Quindi - in conclusione - l'elettrone, di suo, finché non lo disturbiamo, è come se fosse un'onda; ma non appena interferiamo - quando piazziamo l'occhio accanto alle fenditure o quando sbatte sullo schermo - si trasforma (collassa) in un corpuscolo; e ciò che vediamo effettivamente sullo schermo dipende dal momento in cui noi lo abbiamo osservato, dall'istante in cui abbiamo interferito col suo cammino.

Gli esiti dell'esperimento della doppia fenditura, con gli elettroni.
Se nessuno osserva il passaggio dell'elettrone dalle due fessure,
- se non si interferisce con l'elettrone quando le attraversa,
se l'unico momento di rilevazione è l'impatto sullo schermo -
allora a lungo andare si osserverà la figura d'interferenza,
tipica degli enti fisici che chiamiamo "onde".
Al contrario, se spiamo il passaggio dalle fenditure,
- se interferiamo con l'elettrone, per saper da quale delle due passa -
allora il suo comportamento replicherà quello dell'ente chiamato "corpuscolo".
E' come se l'elettrone fosse al principio disperso in una nebbia di possibilità,
e stesse aspettando uno sguardo umano per stabilizzarsi in un punto,
in un valore, una posizione, un evento, per stabilire cosa debba essere reale.


L'aspetto destabilizzante dello strambo mondo subatomico non era soltanto la curiosa ambivalenza onda-corpuscolo, ma soprattutto l'irruzione della probabilità in una disciplina - la Fisica - storicamente giudicata la roccaforte del determinismo.
Se lascio un oggetto per aria, l'oggetto cade; se metto una pentola d'acqua sul fuoco, inizia a bollire; se infilo una bottiglia nel freezer, il liquido congela; se apro la finestra, il calore esce; di un'automobile, un treno o un aereo se ne possono determinare - a ogni momento - la posizione e la velocità; un abile giocatore di biliardo, imprimendo la giusta forza e il corretto effetto alla palla, è in grado di produrre sul tavolo esattamente la configurazione desiderata; in generale, e in termini più astratti, di un sistema di cui si conosce la posizione iniziale e la legge del moto, se ne può determinare la posizione esatta in un qualsiasi istante futuro.
Questa è la Fisica classica, una disciplina fatta di certezze assolute... di cui si trova nessun analogo a livello microscopico!
Al principio si pensò a un limite temporaneo della teoria, che col tempo si sarebbe superato, grazie a una sua comprensione più profonda e a una migliore formalizzazione.
Al principio si pensò a un limite temporaneo della teoria, che col tempo si sarebbe superato, grazie a una sua comprensione più profonda e a una migliore formalizzazione.
Ma un bel giorno un ragazzo di 26 anni abbatté tutte le speranze con un solo e decisivo colpo: era tra gli studenti più brillanti di Bohr e aveva in tasca una disequazione, ricavata per una via a dir poco mirabolante, destinata a diventare la più conosciuta del XX secolo.
Dopo la celebre uguaglianza E=mc2, del ben conosciuto mondo macroscopico e deterministico, la Fisica si apprestava a scrivere un'altra formula per indagare l'intimità della natura, stavolta toccando il cuore di un mondo sconvolgente e misterioso, tutto da scoprire.
Quelle poche lettere in sequenza sarebbero diventate la base inattaccabile della Fisica moderna, sino ai giorni nostri.
Stiamo parlando - per chi non lo avesse ancora capito - del Principio di Indeterminazione di Werner Karl Heisenberg.
Dopo la celebre uguaglianza E=mc2, del ben conosciuto mondo macroscopico e deterministico, la Fisica si apprestava a scrivere un'altra formula per indagare l'intimità della natura, stavolta toccando il cuore di un mondo sconvolgente e misterioso, tutto da scoprire.
Quelle poche lettere in sequenza sarebbero diventate la base inattaccabile della Fisica moderna, sino ai giorni nostri.
Stiamo parlando - per chi non lo avesse ancora capito - del Principio di Indeterminazione di Werner Karl Heisenberg.


"Gli atomi o le particelle elementari in sé non sono reali
nello stesso senso in cui
lo sono gli oggetti della nostra vita quotidiana,
non sono oggetti nel senso comune della parola come gli alberi e le
pietre;
anziché di oggetti o dati di fatto, sono forme e idee,
costituiscono un mondo di
potenzialità o possibilità"
(Werner Karl Heisenberg)
Nel 1932 il Premio Nobel per la Fisica viene assegnato a un ragazzo di 31 anni: la motivazione è "per la creazione della Meccanica Quantistica".
Il ragazzo ha un nome - Heisenberg - che rimarrà scolpito nella storia, in uno con una relazione - tecnicamente una disequazione - tra le più citate al mondo e conosciuta dai più come Principio d'Indeterminazione (o d'Incertezza), .
Torniamo dunque indietro nel tempo, e posizioniamoci intorno agli anni '20 del XX secolo, agli albori di ciò che sarebbe poi stata chiamata Meccanica Quantistica, ma che era semplicemente Fisica, per chi se ne occupava sul momento (sebbene una Fisica di frontiera, sul bordo scivoloso tra il conosciuto e l'ignoto).
Heisenberg è il primo ad avere una visione del tutto innovativa sulla questione "atomo".
Tutti gli altri, prima di lui, avevano immaginato delle sovrastrutture teoriche per la realtà atomica - dei modelli - per venire incontro alle osservazioni empiriche nella misura del possibile E tutti i modelli in parte funzionavano e in parte no, spiegavano bene alcune cose, ma fallivano o zoppicavano su altre, e talvolta, per funzionare, avevano bisogno di invocare ipotesi piuttosto inusuali al senso comune.
Heisenberg ribaltò la prospettiva. Qualcuno l'ha mai visto un atomo? No! E allora smettiamola di arrovellarci su come sia fatto. Non cerchiamo nuovi leggi che giustifichino ciò che osserviamo. Partiamo da ciò che possiamo vedere, basiamoci solo su ciò che sappiamo con certezza e risaliamo a quel che vi sta dietro: usiamo le osservazioni empiriche come grandezze fondamentali, applichiamogli le leggi fisiche già conosciute, e lasciamo che sia la stretta coerenza interna a rivelare velocità, posizione, traiettoria, energia, quantità di moto e tutte altre tipiche grandezze fisiche.
Era una scalata folle - come dedurre le regole del tennis registrando le palline finite fuori campo - con cui si mandavano in soffitta suggestioni e fantasie, per dare rilevanza solo a radiazioni emesse o assorbite, a frequenze e intensità.

"Partiamo dall'errore più comune: visualizzare la particella come un pallina.
Ovviamente è molto efficace per spiegare molte cose,
funziona bene, è bello, è carino, ma non è così nella realtà.
Le particelle non sono delle biglie, d'accordo?
Per cui togliamoci dalla testa la pallina,
ricordiamo che ogni volta che la utilizziamo per visualizzare una particella
è solo una raffigurazione della particella, non corrisponde alla realtà:
gli elettroni non sono delle palline che girano intorno al nucleo,
fatto di palline aggregate, magari di colori diversi;
è bello, molto bello da vedere, molto comodo visualizzarlo così,
ma l'atomo non è fatto così"
(Alex Zamboni)
Il problema tecnico stava anzitutto nel formalismo matematico con cui impastare il discorso, ma Heisenberg - che era un genio, già da ragazzino a contatto con i mostri sacri della Fisica - s'inventò un metodo tutto suo, basato su "tabelle" - di fatto ricreò da sè il calcolo matriciale, all'epoca non così diffuso - e tirò su un impianto che non solo funzionava (rendeva ben conto della realtà) ma trasmetteva anche la bella e confortante sensazione di aver trovato una strada più vera, più sicura: ciò che prima si doveva imporre al modello dall'esterno - come ipotesi arbitraria, a -priori - nella costruzione di Heisenberg veniva prodotto all'interno della stessa modellistica, il cui rigore matematico fu in seguito blindato dai fondamentali contributi di Max Born e Pasqual Jordan.

"L'origine ultima delle difficoltà risiede nel fatto (o nel principio filosofico)
che siamo costretti a usare parole del linguaggio comune quando vogliamo descrivere un fenomeno,
e non con l'analisi logica o matematica, ma con un'immagine che stuzzichi la fantasia.
Il linguaggio comune è cresciuto con l'esperienza quotidiana e non potrà mai oltrepassare questi limiti.
La fisica classica si è adattata all'uso di concetti di questo tipo.
Analizzando i movimenti visibili ha sviluppato due modi di rappresentarli attraverso processi elementari:
particelle in movimento e onde.
Non esiste altro modo di fornire una descrizione per immagini del movimento,
e noi dobbiamo applicarla anche alla sfera dei processi subatomici, dove la fisica classica ci viene meno"
(Max Born)
Ma anche il nuovo approccio aveva le sue stranezze: la presenza fisica di un elettrone non era più descritta in senso classico (con l'indicazione del punto in cui si trovava e della velocità a cui viaggiava) ma attraverso una combinazione di cose che avrebbe potuto fare all'interno di una struttura d'interazioni (non più come ciò che era, ma come ciò che avrebbe potuto essere, come se il mondo - nel suo livello più profondo - non fosse fatto di cose ma di tendenze a divenire) e quando si provava a risalire ai paradigmi canonici (posizione, velocità) ci s'imbatteva in cose mai viste prima.
La giustificazione tecnica era evidente, a formularla con l'originario linguaggio delle tabelle (matrici): stava nel fatto che il prodotto matriciale, a differenza di quello numerico, non sempre è commutativo.
Possiamo calcolare p×q (ad esempio 7×3) o se preferiamo q×p (3×7) e arriveremo allo stesso risultato (27) perciò p×q-q×p=0; ma se ai numeri p e q sostituiamo due matrici, [p] e [q], allora il prodotto [p]×[q] potrebbe differire da [q]×[p], e quindi [p]×[q]-[q]×[p]≠0, come effettivamente accadeva ai calcoli di Heisenberg (che non sapeva dire perché ciò accadesse, a livello di interpretazione fisica).

La meccanica quantistica è tutta qui, in questa formula:
sono variabili (matrici) che non commutano.
Questa formula non esisteva, prima di Heisenberg,
e di questa nuova formula Heisenberg aveva uno stretto bisogno,
in aggiunta a quelle già note, per sviluppare l'intero ragionamento.
Per quanto il tutto fosse stato formalizzato al meglio possibile, Heisenberg, Born e Jordan sospettavano che si potesse fare ancora meglio, in modo meno oscuro. Ciò che non sapevano è che qualcuno lo aveva già fatto.
Max Born si trova Boston per un ciclo di conferenze, quando gli viene recapitato un plico. Lo apre e ci trova una trattazione della teoria di Heisenberg con una matematica completamente diversa, senza la pesantezza del calcolo matriciale, e con un'eleganza formale senza pari. La firma in calce - però - non gli dice nulla.
L'autore è un altro ragazzo, poco più che ventenne: si chiama Paul Dirac, e usa un linguaggio matematico più astratto, che però atterra sugli stessi risultati di Heisenberg, anche a livello sperimentale.
Il mondo scientifico va in subbuglio.
Heisenberg, muovendo dai soli dati osservati, era stato in grado di ricavare tutte le proprietà fisiche del sistema atomico, ma aveva pure trovato degli strani effetti non-commutativi. Dirac era giunto alle stesse conclusioni, per altra via. E lo stesso aveva fatto un altro grande fisico, Wolfgang Pauli, anche lui giovanissimo.

"La fisica è ormai troppo difficile.
Preferirei essere un attore comico
o qualcosa del genere, che un fisico"
(Wolfgang Pauli)
Si fatica a interpretare in senso fisico tutti questi risultati matematici, formalmente ineccepibili e giustificati con impostazioni tecniche così diverse.
Il sistema sta in piedi, ma nessuno sa spiegarne il motivo.
In quell'alba della nuova Fisica - all'epoca chiamata "la Fisica dei ragazzi", per la giovane età di gran parte dei suoi attori - arrivò un nuovo personaggio, non più giovane, non più ragazzo, ma con una chiave interpretativa all'apparenza suscettibile di rimettere ogni cosa al suo posto: si chiamava Erwin Schrödinger.
Era figlio unico in una delle ultime famiglie nobili dell'Impero austro-ungarico. In casa si parlava anche inglese, e così crescerà bilingue. Studente brillante, si laurea e fa un solo anno di militare (perché privilegiato). Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale - forte del suo status aristocratico - rimane lontano dai campi di battaglia. Nel 1917 torna a Vienna, e inizia a rimbalzare tra le più varie università, sino al 1927, quando sostituisce Plank, a Berlino.
Nel 1933 riceve il Nobel per la Fisica, ma nello stesso anno taglia la corda dalla Germania, quando i nazisti vanno al potere. Non è ebreo, e neppure tedesco, ma comunque preferisce andar via, a Oxford, dove viene accolto... bene, ma non benissimo: si presenta con la moglie e l'amante - loro vivevano serenamente così, e tra l'altro anche la moglie aveva una sua liaison - e l'amante era a sua volta la moglie di un collega, per di più incinta (di Schrödinger), e questo dualismo moglie-amante, questa sovrapposizione di stati (sentimentali) suscita diffidenza.
Schrödinger reagisce di pancia, in modo poco lungimirante: torna a Graz, in Austria, poco prima dell'annessione della Germania, che lo rende cittadino tedesco. E i nazisti se lo ricordano che nel 1933 aveva preferito andarsene, perciò - a scanso di equivoci - gli intimano di scrivere una bella lettera per manifestare la sua sua piena adesione al partito nazista. Schrödinger obbedisce, e butta giù la sua dichiarazione, e però non tira certo una bella aria.
Medita così di tornare a Oxford, ma gli inglesi arricciano il naso: Schrödinger... chi? Quello che aveva l'amante (incinta) e la moglie (a sua volta con un altro amante)? E - soprattutto - quello che si è dichiarato favorevole al nazismo? Vabbè! Facciamo che ve lo tenete.
Nel settembre del 1938 fuggirà dall'Austria - lasciando tutto, inclusa la medaglia del Nobel - con soli 10 marchi in tasca, destinazione Città del Vaticano, dove presenterà le credenziali di Enrico Fermi per saldare il conto dell’albergo. In seguito troverà posto in un'università di Dublino, per ritornare nella sua Vienna solo dieci anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Ebbene, quest'uomo dalla vita in continua sovrapposizione di stati - è il caso di dire - sembrò avere l'intuizione risolutiva per recuperare sobrietà, per ricondurre la trattazione del mondo subatomico sulla via più ortodossa della Fisica classica, dopo le bizzarrie venute fuori dal Principio di Indeterminazione: sulla scia della visione del Duca de Broglie - in ogni cosa è presente un'onda - Schrödinger propose di ragionare sulla scala subatomica come se si trattasse di un mondo ondulatorio, di vedere l'elettore alla stregua di un'onda - indicandola con la lettera greca Y - intorno al nucleo dell'atomo.

"Dobbiamo aver chiaro che, quando si tratta di atomi,
il linguaggio può essere usato solo come in poesia"
(Niels Bohr)
Heisenberg però detestava questo approccio: come può l'elettrone essere un'onda - diceva - se lo riveliamo in una zona precisa, alla stregua di un corpuscolo? L'approccio del fedifrago fisico austriaco - per lui - era solo nebbia. "Più penso alla parte fisica della teoria di Schrodinger e più la
trovo abominevole. Ciò che Schrodinger scrive sulla 'visualizzabilità' [anschaulichkeit] non ha alcun senso. In altre parole è spazzatura [mist]".
Per la scuola dei duri e puri, la Meccanica Quantistica era portatrice di una verità che si poteva comprendere soltanto abbandonando intuizioni ingenue e pregiudizi radicati. Schrödinger, Einstein e Plank - con tutto il loro seguito - erano dei
conservatori fuori tempo, incapaci di staccarsi da un'immagine del mondo divenuta obsoleta.
La rottura tra ortodossi e ribelli attraversò la comunità scientifica al pari di una crepa così profonda e strutturale da spingere il filosofo
Karl Popper a parlare di uno "scisma" nella disciplina, tra realisti-deterministi e antirealisti-probabilistici, tra un'incertezza gnoseologica (dovuta alla nostra ignoranza) e una ontologica (connaturata alla materia).

Finché qualcuno intuì che le diverse impostazioni conducevano alle stesse affermazioni, formulandole solo in modo alternativo, come due frasi identiche scritte in lingue diverse, una più familiare e conosciuta, l'altra straniera e apparentemente incomprensibile.
Fu Max Born a saldare l'approccio matriciale di Heisenberg con l'impostazione ondulatoria di Schrödinger, lanciando l'idea che la Y non si dovesse intendere come una massa o una carica fisicamente diffusa - non si stava cioè dicendo che l'elettrone fosse un'onda fisica - ma che quest'immaginifica onda, questa Y, andava vista come uno strumento di calcolo - "un'onda di probabilità", si disse - che informava su quanto fosse verosimile trovare un elettrone qua o là: la Y non era un'entità reale (fisica, concreta) ma un codice matematico strumentale alla previsione di un evento reale (e che spariva non appena l'evento si manifestava, così come le probabilità delle facce di un dado smettono di avere significato, non appena il dado ne mostra una, a seguito del lancio).

"Abbiamo due possibilità.
O usiamo le onde in spazi più che tridimensionali o rimaniamo nello spazio tridimensionale,
ma rinunciamo alla semplice immagine dell'ampiezza d'onda come un'ordinaria grandezza fisica,
e la rimpiazziamo con un concetto matematico completamente astratto al quale possiamo avere accesso"
(Max Born)
Si era slittati dal determinismo al probabilismo, in un senso sottile e tuttavia dirimente, al punto che gli stessi protagonisti non lo realizzarono sino in fondo. "Eravamo abituati a fare considerazioni di carattere statistico" - disse Bohr, quasi a giustificarsi - "e spostarle a un livello più profondo non ci pareva così importante".

Proprio così: la Fisica è (era) la roccaforte del determinismo, ma al tempo stesso i fisici hanno larga confidenza e gran dimestichezza con la statistica. Ce lo rivela una una battuta di spirito: se chiedi a un matematico quanto fa 2+2, ti risponde 4, ma se lo domandi a un fisico ti dirà "4 più o meno e", con quella lettera greca - la e - che richiama l'errore strutturalmente presente in ogni misura sperimentale.
La grandezza fisica ha sempre una misura sua propria - incorporata, per così dire - ma il processo operativo di misurazione sconta la precisione dello strumento, le accortezze d'uso dello sperimentatore, nonché una pluralità di fattori accidentali che intervengono inevitabilmente nell'atto del misurare: a fronte di uno stesso oggetto, con una sua misura di per sé ben definita, la ripetizione del processo di misurazione potrà quindi fornire una sequenza di valori diversi (ad esempio, una volta 1,062, un'altra 1,059, un'altra ancora 1,057, e via così).
L'errore di misura è un numero aleatorio (cambia imprevedibilmente a ogni misurazione) e una serie di considerazioni sia teoriche che pratiche lo suggeriscono statisticamente distribuito a forma di campana centrata sullo zero (se si calcola la media dei valori sperimentali ci si aspetta di neutralizzare l'effetto dell'errore): eccole qui le "considerazioni di carattere statistico" di cui parlava Bohr, e a cui si diceva abituato (e a cui la Germania ha dedicato una banconota, con accanto l'ideatore della distribuzione a campana, il princeps mathematicorum Carl Friedrich Gauss).
Ma ora si trattava di "spostarle a un livello più profondo", di passare dalla statistica dei numeri registrati alla probabilità di eventi aleatori.

Col Principio di Indeterminazione di Heisenberg capiamo che non tutto si può misurare.
Con l'Equazione di Schrödinger affermiamo che non vi è nulla di definitivo in ciò che non vediamo.
Col Principio di Esclusione di Pauli ci rendiamo conto che ogni cosa intorno a a noi è fatta di vuoto.
Con l'Equazione di Dirac riempiamo il vuoto: il mondo è ciò che accade ma anche quel che può accadere.
Quel che la disequazione di Heisenberg sta comunicando - in soldoni - è l'impossibilità di esprimere la quantistica in termini classici.
Quando su un elettrone si eseguono delle misurazioni di posizione e velocità (quantità di moto, a esser precisi) si commettono degli errori di misura - rispettivamente Dx e Dp - che presi assieme non possono scendere sotto la soglia definita dalla costante ħ/2.
Non si possono cioè misurare i canonici parametri fisici (posizione e velocità) con tutta la precisione desiderata, i loro errori di misura non si possono rendere arbitrariamente piccoli: se si vuole conoscere in dettaglio la velocità x, allora si potrà pure commettere un errore Dx piccolo a piacere, ma si dovrà parallelamente accettare un errore Dp sulla posizione p così grande, da portare il prodotto dei due sopra la soglia ħ/2; viceversa, se si vuole una precisione estrema sulla posizione p, minimizzando l'errore Dp, allora si dovrà accettare un'approssimazione Dx sulla velocità x con cui l'errore congiunto DxDp non potrà scendere sotto ħ/2.
Questo gioco di approssimazioni non dipende dalla qualità dello strumento di misura né da mancanze della teoria: è strutturale, connaturato al modo d'interfacciarsi con la realtà subatomica.
Quel che si sta affermando - in pratica - è l'impossibilità di osservare un ente fisico (subatomico) senza alterarlo nel profondo, sino a forzarlo ad assumere caratteristiche che non possiede, che non gli appartengono, e che perciò non si possono conoscere con precisione arbitraria, proprio perché non gli sono connaturate.
"Le osservazioni non solo disturbano ciò che dev'essere misurato, lo producono" - dirà Niels Bohr - "Noi costringiamo una particella quantica ad assumere una posizione definita", come a dire che siamo noi stessi a produrre i risultati delle nostre misurazioni, svanendo così l'immagine di una realtà oggettiva, indipendente dall'osservatore.

"Penso di poter affermare tranquillamente
che nessuno capisce la Meccanica Quantistica"
(Richard Feynman)

"La meccanica quantistica
non si capisce: ci si abitua"
(John von Neumann)
Proviamo a raccontarla così.
Cosa rispondereste se vi chiedessero qual è il colore del numero 5? Direste che il numero 5 non ha un colore, perché "avere un colore" non è una proprietà applicabile a un numero (né a nessun altro ente matematico). Giusto, corretto.
Ma ipotizziamo, ora, che io vi obbligassi a scrivere il numero 5 su un foglio. Dovreste di necessità prendere una penna e scriverlo, e il numero 5 - a quel punto - prenderà il colore della penna utilizzata per inchiodarlo sulla pagina. Se nell'astuccio ci fossero 4 penne nere, 3 blu, 2 rosse e 1 verde, le probabilità di avere un 5 nero, blu, rosso o verde saranno - rispettivamente - 40%, 30%, 20% e 10%. Il numero 5 - alla fine - avrà sì preso un colore, ma "possedere un colore" non una proprietà che gli appartiene, ed è solo l'atto della scrittura che gliela ha conferita a forza bruta, che lo fatto diventare colorato, con una nuance che recepisce la quantità e la qualità degli inchiostri disponibili.
Lo stesso - più o meno, tenuto conto dell'audacia di ogni parallelismo tra le scale macroscopiche e subatomiche - vale con gli elettroni: chiedersi quali siano le loro posizioni e velocità è come interrogarsi sullo spettro cromatico di una sequenza numerica - domanda priva di senso, chiaramente - ma se ci s'impunta nel conoscere a ogni costo la loro posizione e velocità, imbastendo un esperimento dedicato, ecco che l'osservazione imporra quelle proprietà - posizione e velocità - che l'elettrone di per sé non possiede.
E' piuttosto sconvolgente, perché nel nostro mondo - quello percepito attraverso i sensi - le cose non prendono forma solo se le osserviamo. "Mi piace pensare che la luna sia lì, anche se non la guardo" - ironizzava Einstei (che la meccanica quantistica non se la digerì mai del tutto: "io credo che questa teoria ci induca in errore, perché, secondo me, è una rappresentazione incompleta delle cose reali... una voce interiore mi dice che non è ancora la soluzione giusta").
Un bicchierino da caffè, in una cucina buia, non cambia forma se l'illuminiamo con una torcia: noi possiamo osservare le cose, tutte le cose, senza alterarle.
E poi, insomma, il bicchierino da caffè sarà pur formato da entità subatomiche dal comportamento strampalato, ma rimane pur sempre un bicchierino, un oggetto solido, materiale, e non certo un'onda. Perché se un ente subatomico può trovarsi in stati sovrapposti e un
bicchierino da caffè non può esserlo? Il bicchierino - in fondo - è
fatto di atomi, e gli atomi sono fatti di enti subatomici, che sono in
stati sovrapposti.
E se un elettrone ha uno stato di sovrapposizione, e un bicchierino da caffè invece no - perché il primo è infinitamente piccolo e l'altro è invece visibile - dov'è il confine?
Quanto deve essere piccolo un oggetto per restare in uno stato di sovrapposizione? O, specularmente, quanto deve essere grande per non esserlo più? Quand'è - esattamente - che lo stato di sovrapposizione collassa in uno ben determinato? Il confine è segnato da un muro o da una tenda? Lo si può oltrepassare?
Ma c'è poi davvero un confine, un punto prima del quale si è in sovrapposizione e superato il quale non lo si è più?
Se un team di fisici viennesi ha rilevato il comportamento ondulatorio delle molecole di
fullerene, una volta isolate
dall'ambiente - se ricominciano a vibrare persino queste entità gigantesche, rispetto agli standard quantistici, una volta che siano state congelate le interazioni esterne - perché lo stesso non potrebbe avvenire con un essere umano, purché accetti di dimenticare il mondo esterno, com'è tipico dei mistici, degli eremiti, degli ordini religiosi di clausura, col silenzio al centro della vita?
Se la Scienza è "il modo con cui andiamo incontro al lato oggettivo della realtà", laddove la fede religiosa è "l'espressione di una decisione soggettiva, con la quale stabiliamo quali debbano essere i nostri valori di riferimento nella vita", e se Heisenberg manifestava tutta il suo tormento per una contrapposizione così brutale - "non mi trovo a mio agio con questa separazione, dubito che alla lunga delle comunità umane possano convivere con questa netta scissione tra sapere e credere" - non sarà che la Meccanica Quantistica è proprio la cerniera tra i due più potenti motori del pensiero e dell'azione umana?

"Proprio perché fenomeno essenzialmente collettivo,
la scienza
ha potuto progredire con continuità
nel corso dei quattro secoli che ci
separano dalla nascita di Galileo;
e - fatto estremamente significativo - i suoi progressi sono stati resi possibili
non già dall'accettazione
unanime delle teorie di volta in volta elaborate,
ma dalle critiche cui
tali teorie venivano costantemente sottoposte,
dalle obiezioni che
sorgevano all'interno di esse in virtù del loro stesso coerente sviluppo"
(Ludovico Geymonat)
(Ludovico Geymonat)
La Scienza - con tutta evidenza - non è soltanto una sequenza ininterrotta di esperimenti, equazioni e calcoli. Assomiglia piuttosto a un vortice di disagi, di inquietudini, di stupore, di rotture. E di domande.
E sono domande insidiose, perché le risposte possono ridefinire il significato stesso della conoscenza scientifica e i correlati limiti, e persino obbligare a ripensare l'intero vocabolario sulla realtà e le categorie con cui strutturiamo l'esistenza (corpo, mente,
tempo, spazio, identità).
Se da un lato gli esperimenti sono inequivocabili, e le formule matematiche funzionano a meraviglia nel prevederne gli esiti, dall'altro la Meccanica Quantistica marca una differenza fondamentale con la Fisica classica: il formalismo della Fisica classica è in uno col suo significato concreto (due facce di una stessa moneta) laddove le formule della Meccanica Quantistica reclamano a gran voce un'interpretazione, per averne un correlato sul piano della realtà fisica, e siccome una stessa formula ammette diverse chiavi di
lettura (lo stesso formalismo è compatibile con diverse realtà fisiche) le dispute tecniche sconfinano fatalmente nella filosofia più avanzata, il confine tra il fisico e il filosofico si dissolve, e fisici, filosofi e persino mistici si ritrovano tutti a dire cose piuttosto simili.
Già Niels Bohr annotava che "la Fisica non è una descrizione della realtà, ma una costruzione del nostro pensiero", prospettando un dilemma ontologico ben oltre la sfida tecnica, ché se vi è una svolta nella disciplina non è nelle nuove formule, ma nel messaggio che portano con sé, nel riconoscimento del mistero come parte
integrante della natura, nell'obbligo morale a interpretarlo; e "per ogni interpretazione" - multiversi, realtà ramificate, coscienza universale, decoerenza - "c'è un prezzo da pagare", avrebbe detto Rovelli ai giorni nostri.
"I numerosi risultati sperimentali che hanno sondato e confermato la validità della Meccanica Quantistica" - ha sostenuto Abner Shimony - "possono di fatto essere considerati come contributi ad una metafisica sperimentale".
Le risposte sono scarse, i dati mettono a dura prova le teorie, e le teorie sfidano l'intuizione, in un processo che rivela la dimensione estetica della scienza: c'è una ineguagliabile bellezza poetica nel sapere che il mondo intorno a noi non è reale, che gli oggetti tangibili sono fatti di vuoto, che la rigidità del pavimento proviene da campi che vibrano nell'invisibile, che in questo momento non sono seduto su una sedia ma ci sto galleggiando sopra...

Serve essere brutali: qualsiasi tentativo di capire il mondo microscopico attraverso un parallelo col mondo macroscopico è temerario, nel migliore dei casi, e di regola fallimentare.
Gli stessi concetti (macroscopici) di onda e corpuscolo possono rivelarsi fuorvianti, tant'è che le moderne impostazioni accademiche ne parlano più per omaggiare la tradizione e dar conto del cammino delle idee, che non come categorie tecniche a cui appoggiarsi per sviluppare il formalismo (nella consapevolezza che le parole "onda" e "corpuscolo" portano con sé immagini fuorvianti).
O - se si vuole - è un ritorno alla complessità delle origini, quando si capì che il formalismo era destinato a divenire progressivamente più astratto, che il linguaggio naturale sarebbe andato a scemare, e con esso la possibilità di costruire immagini familiari, di visualizzare i fenomeni subatomici e persino di inquadrarli in una cornice spazio-temporale. "Non esiste un mondo quantistico. C'è solo una descrizione fisica astratta quantistica" - aveva chiarito Niels Bohr, sin dal principio - "E' sbagliato pensare che lo scopo della fisica sia scoprire come è fatta la natura. La fisica riguarda solo quello che possiamo dire della natura". E persino Schrödinger - che pure intendeva il "capire" come "vedere" e "intuire" - doveva riconoscere i limiti delle rappresentazioni convenzionali. "La realtà si oppone all'imitazione mentale mediante un modello... abbiamo perso la nostra innocenza intuitivo-realistica".
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"Non è affatto sorprendente che il nostro linguaggio
sia incapace di descrivere i processi che avvengono negli atomi,
visto che ce lo siamo inventati per descrivere le esperienze della vita quotidiana
e queste riguardano oggetti di grandi dimensioni.
Per di più, è molto difficile modificare il nostro linguaggio
in modo tale da renderlo adatto a descrivere i processi atomici,
visto che le parole possono solo descrivere cose di cui possiamo formarci immagini mentali;
e anche questa è una capacità che ci viene dall'esperienza quotidiana.
Per fortuna la matematica non ha queste limitazioni
ed è possibile inventare uno schema matematico - la teoria quantistica -
che sembra del tutto adatta alla trattazione dei processi atomici;
per quel che riguarda la visualizzazione, quindi,
ci dobbiamo accontentare di due analogie incomplete
- l'immagine ondulatoria e quella corpuscolare"
(Werner Karl Heisenberg)
E però il fatto rimane: l'intelligenza umana procede per analogie, per paragoni e similitudini, per metafore e altre figure retoriche, con cui lo sconosciuto viene ricondotto al già noto, e così governato, anche solo in via approssimata. "I fisici che hanno a che fare con la meccanica quantistica sono anche costretti a usare un linguaggio preso dalla vita di ogni giorno" - annotava già Heisenberg - "Noi ci comportiamo come se veramente esistesse una cosa come la corrente elettrica (o la particella) perché, se proibissimo tutti fisici di parlare di corrente elettrica (o di particelle), essi non sarebbero più in grado di esprimere i loro pensieri".
Fu Schrödinger tra i primi a collegare il micro col macro per una via manifestamente paradossale, attraverso il celeberrimo esperimento mentale del gatto chiuso dentro una scatola insieme a un dispositivo quantistico, e che - a ragionare per categorie formali - dovrebbe essere al tempo stesso sia vivo che morto.


Estratto dalla traduzione di italiana di "Die gegenw¨artige Situation in der Quantenmechanik"
("La situazione attuale della Meccanica Quantistica") di Erwin Schrödinger, anno 1935.
Ma - paradosso nel paradosso - un'analogia nata nel corso del carteggio con Einstein, per demolire l'interpretazione eretica della meccanica quantistica, per far crollare il fortino di fisici quantistici duri e puri, finì invece col rappresentare la bandiera di Bohr&Co., e ha persino travalicato l'ambito scientifico per entrare di prepotenza nella politica, nella società, nel costume.

Barack Obama, 20 gennaio 2009, primo discorso da Presidente degli Stati Uniti:
"Si vince e si perde allo stesso tempo, in politica funziona come per il famoso gatto".
Steve Jobs, 30 settembre 2011, ultima conferenza prima di morire:
"gli oggetti che abbiamo, se non li tocchiamo, esistono e non esistono alla stesso tempo,
esattamente come per il celebre gatto di Schrödinger".
Max Spencer, editorialista "New York Times",
in un articolo a tutta pagina parla di Mitt Romney
come del primo "politico-gatto di Schrödinger".

L'abbiamo già detto, anche più volte, ma non sarà mai abbastanza ripetuto: qualsiasi retorica macroscopica di fenomeni subatomici fallisce l'obiettivo della piena ed esatta comprensione tecnica (che può aversi solo spostando il ragionamento dal piano fisico a un puro livello matematico-formale) ma a un livello più grossolano, con le opportune accortezze, può ancora restituire una vaga fragranza delle cose.
Proviamo a inchiodare l'idea con uno slogan: l'universo subatomico è ondulatorio, in un livello di realtà non osservabile.
Se vogliamo un immagine familiare - al solito: è solo un'immagine, non la realtà delle cose - possiamo raffigurarci il mondo subatomico alla stregua di un dado in continua rotazione. Se ci chiedessero su "quale faccia riposa il dado", la nostra risposta sarebbe "il dado non riposa su nessuna faccia, il dado rotea, gira"; e se qualcuno insistesse perché - accidenti! - vuol proprio sapere il numero da associare al dado (avendo in testa un dado fermo) non potremmo che rispondere che il dado è in sovrapposizione di stati, che contiene in sé tutti i numeri da 1 a 6; e se la risposta non andasse ancora bene, se - accidenti! - il nostro interlocutore volesse proprio un numero preciso, allora non ci resterebbe che dare una manata al dado, bloccarne la rotazione, e vedere quale faccia ci restituisce, tra le 6 possibili. Dobbiamo interagire col dado, per conoscere il numero da associargli, ma interagendo (=osservandolo) ne stravolgiamo la sua intrinseca natura rotativa, che con la nostra manata (=osservazione) collassa in uno stato di immobilità.
Ecco perché - in che senso - il gatto di Schrödinger è sia vivo che morto, finché rimane chiuso nella scatola col dispositivo atomico. Lo è allo stesso modo per cui il dado ha in sé tutte le 6 facce possibili, finché ruota. Ed ecco perché diventa o vivo o morto - solo uno dei due, determinando la realtà delle cose - solo aprendo la scatola. Perché solo dando una manata al dado (=aprendo la scatola) si può conoscerne lo stato puntuale (=o vivo o morto).
Ed è ecco perché, sì, gli oggetti ci appaiono solidi anche se sono formati da enti subatomici di per sé ondulatori: perché la nostra realtà è in una continua interazione, così intensa, serrata e caotica da distruggere ogni vibrazione prima che i nostri sensi la
possano percepire, perché noi viviamo dando continue manate a un'infinità di dadi in rotazione, che quindi si fermano, mostrano ognuno la propria faccia e determinano il pattern numerico sotto i nostri occhi (la storia, la nostra vita) percepito come solido, reale.
E' comodo pensare a una realtà che esiste a prescindere - come diceva il caro, vecchio e polveroso Newton - ma oggi sappiamo che non è così. L'idea di un mondo là fuori indipendente da noi - di cose che sono dove sono e sono quel che sono, e che noi semplicemente osserviamo, decidendo tra loro - è una cornice illusoria. Le cose, tutte le cose, esistono - sono percepibili attraverso i sensi - solo perché interagiscono di continuo.
La luna sta lì, anche se non la guardiamo - per riprendere la provocazione di Einstein - perché interagisce col Sole e le altre stelle, con l'intero universo, e così le sue entità subatomiche si concretizzano, si fissano in una precisa sequenza numerica di dadi fermi (con la nostra analogia). Le cose non hanno alcuna caratteristica intrinseca, e le cosiddette "caratteristiche" sono tali soltanto rispetto agli elementi con cui interagiscono (allo stesso modo con cui la posizione di un elettrone è conoscibile solo in rapporto all'intensità della luce con cui lo si colpisce per osservarlo) .
Esistiamo - nella dimensione dei cinque sensi - perché interagiamo, e se abbiamo la sensazione che alcune interazioni non alterino lo stato di cose - come il bicchierino da caffè che rimane tale e quale, quando lo guardiamo o l'illuminiamo - è solo a causa della "sproporzione di forze" tra lo strumento di rilevazione e l'oggetto da rilevare: i nostri occhi e la luce sono "troppo deboli" rispetto al bicchierino, per pensare di provocargli un'alterazione percepibile dai nostri sensi.
Ma se immaginiamo il bicchierino in una cucina buia, e di poterlo localizzare solo lanciando delle palle da tennis, allora l'atto stesso dell'identificazione (la palla che colpisce il bicchierino) cambierà la posizione dell'oggetto (il bicchierino si sposterà o cadrà, a seguito dell'urto) e potrebbe persino alterarne la forma (se il bicchierino si rompe, dopo l'urto). Qui si potrebbe migliorare la situazione (ridurre l'interferenza) con l'uso di biglie di vetro al posto delle palle da tennis, ma nel caso delle particelle subatomiche non esiste uno strumento di rilevazione "più debole" dell'ente rilevato, cosicché persino i nostri occhi non sono più finestre ma sensori.
"Che vuol dire 'reale'? Dammi una definizione di 'reale'.
Se ti riferisci a quello che percepiamo,
a quello che possiamo odorare, toccare e vedere,
quel 'reale' sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello"

Capiamo di vedere un qualsiasi oggetto nel mondo esterno
perché i nostri occhi raccolgono gli sciami di fotoni emanati dagli oggetti
e tramite il nervo ottico invia i segnali al cervello,
che ne crea una raffigurazione corrispondente.
Ma i segnali - di per sé - non significano nulla:
i suoni, gli odori, i colori, il caldo e il freddo, la luce e il buio,
non sono nel mondo, ma nella nostra coscienza percettiva,
nel senso che i nostri organi di senso (vista, udito, olfatto, gusto, tatto)
raccolgono sollecitazioni esterne (radiazioni luminose, onde sonore, molecole gassose)
e le trasformano in segnali chimico-fisici da inviare al cervello,
che li processa per trasformarli in rappresentazioni di nostra comprensione,
attraverso cui possiamo interfacciarci agli altri, in uno scambio informativo fondamentale.
E poi - separata ma correlata con la realtà percepita e condivisibile -
c'è una realtà inconoscibile, destinata a sfuggire in eterno,
perché inafferrabile dai nostri sensi e dalle correlate capacità di elaborazione.
E' "reale" - secondo i nostri sensi - solo ciò che interagisce.
Esistiamo perché interagiamo, e prima di interagire siamo in sovrapposizione di stati, una situazione in cui tutto, ma proprio tutto è possibile, perché i dadi quantistici non hanno solo sei facce, ma infinite, e nulla ci è precluso, nel momento in cui li blocchiamo in una sequenza precisa, fatta di pensieri, parole e azioni con cui determiniamo la nostra vita e - per interferenza - quella di tutti gli altri, con cui perdiamo la fluidità del
possibile, chiudiamo percorsi e diamo forma a ciò che verrà.
In questo momento magari non stai guardando un elettrone passare attraverso una fenditura. Però stai decidendo se inviare o meno un messaggio WhatsApp, se vendicare un'offesa o perdonarla, se cambiare lavoro o restare dove ti trovi, e con tutte queste e tante altre decisioni - con ogni giudizio, ogni convinzione, ogni scelta, ogni gesto, per quanto in apparenza individuale - partecipi alla costante costruzione di ciò che tutti noi chiamiamo "realtà", secondo schemi che forse non saranno formalmente sovrapponibili alle strutture invisibili del mondo subatomico, ma di cui la Meccanica Quantistica - coi suoi fenomeni e le sue regole - è ben più che una semplice metafora, una sorgente di insegnamenti per la nostra crescita personale, anche perché non se ne può escludere l'estensione e l’influenza su scala macroscopica.
Non è una licenza per il misticismo a buon mercato né una boutade che rende la coscienza un pennello cosmico capace di dipingere il
mondo a piacimento. E' un argomento profondo, sottile e impegnativo, che porta il peso di riflessioni secolari:
forse non creiamo il mondo col pensiero, ma di sicuro l'universo risponde al nostro sguardo, perché non siamo in un teatro dove si svolgono eventi fuori dal nostro controllo, ma fronteggiamo uno
specchio in cui proiettiamo intenzioni, aspettative e limiti, che tornano a noi.
Non è magia, bensì meccanica, con implicazioni etiche ed esistenziali ben oltre gli esperimenti in laboratorio. Perché se il mondo non è fatto di entità fisse, ma di onde che collassano a seguito dell'interazione, se siamo parte attiva di ciò che chiamiamo "realtà", allora abbiamo la responsabilità di ciò che chiamiamo "reale", per come lo percepiamo, su come lo scegliamo, di ciò che lasciamo crollare e di quel che manteniamo in sovrapposizione: la realtà è negoziata, relazionale, non quel che è, ma ciò che si rivela a seguito dell'animo - pensieri, parole, azioni - con cui vi interagiamo.

"Noi non possiamo vivere soltanto per noi stessi.
Le nostre vite sono connesse da un migliaio di fili invisibili,
e lungo queste fibre sensibili, corrono le nostre azioni come cause
e ritornano a noi come risultati"
(Herman Melville)
Da grembo a tomba siamo legati ad altri, passati e presenti.
E da ogni crimine, e ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro"
"Tutto ciò che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato" - ammoniva Siddhartha Gautama, il Buddha per eccellenza - "La mente è tutto. Ciò che pensiamo diventiamo".
"Scrittura tramite un battito di ciglia? Possibile! Muovo la mano e comunico con qualcuno dall'altra parte del pianeta? Possibile! Robot che vivono con noi e provano sentimenti? Possibile! Teletrasporto? Possibile! Mi mandano un fotone e nessuno lo può intercettare, perché se lo intercetta lo distrugge. Pensa che rivoluzione stiamo per vivere. Onde celebrali che fanno muovere cose. Penso, mi concentro, emetto onde-beta. Posso alzare la tapparella, posso guidare... posso fare qualsiasi cosa!".
E a parlare - adesso - è Gabriella Greison, laureata in Fisica nucleare alla Statale di Milano con una tesi sullo studio sperimentale della propagazione degli elettroni, e poi ricercatrice a Palaiseau dell'École Polytechnique di Parigi, e - ancora - direttrice del primo Festival della Fisica in Italia, inserita nel 2024 tra le "100 donne di successo" dalla rivista "Forbes".

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"A tutti gli effetti" - scrive Ian Stewart, nel commentare l'equazione di Schrödinger - "noi rappresentiamo l'universo, dal punto di vista quantomeccanico, come una combinazione di tutte le cose possibili che un universo può fare".
La cosiddetta "realtà" non è pertanto cio che abbiamo, ma come quel che resta di
tutto ciò che avremmo potuto avere - è l'emergere di un residuo, il resto di ciò
che era possibile ed è andato in pezzi - e la Fisica diventa allora un avvertimento: quel che chiamiamo "verità" è solo abitudine, quel che riteniamo "impossibile" è solo ignoranza, perché se tutti noi - nel profondo - siamo fatti di possibilità, quante ce ne siamo precluse solo perché pensavamo che la
realtà fosse già predefinita?
La realtà è ciò che è stato scelto, o spinto a essere, da un groviglio d'interazioni i cui esiti non hanno alcuna preclusione (che non sia imposta dalla nostra ignoranza) e in cui riecheggiano a ogni momento le potenzialità di un unico essere, indistruttibile e immortale. "Perché ciò che esiste non è che esiste perché lo conosciamo, perché lo vediamo, gli parliamo; e ciò che non esiste non è che non esiste perché non lo vediamo mai, non lo sentiamo mai" - si trova scritto sulla tomba di Schrödinger, accanto alla sua equazione - "Esistiamo perché siamo perpetui: ogni essere è un solo essere".

"Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati,
non possono più essere descritti come due sistemi distinti,
ma in qualche modo, diventano un unico sistema.
In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l'altro,
anche se distanti chilometri o anni luce"
(Paul Dirac)

Un osservatore vede due pesci distinti su altrettanti monitor,
e si accorge che quando uno compare di fronte l'altro è di profilo,
che i due pesci non appaiano mai entrambi di fronte o di profilo:
quando uno cambia la sua posizione (ad esempio da frontale a di profilo)
l'altro - istantanemante - cambia la sua (da profilo a frontale).
E' piuttosto misterioso, inspiegabile, perché è come se i due pesci fossero collegati:
quando uno si mette di profilo, l'altro capisce di doversi mettere frontale, e viceversa,
con un cambio di posizione istantaneo, senza ritardi temporali,
una "spooky action at a distance" - avrebbe detto Einstein - un'inquietante azione a distanza
come se i due pesci fossero in realtà un unico pesce...

... come in effetti è, e come diventerebbe evidente,
se solo l'osservatore avesse accesso a un livello superiore di realtà,
se potesse capire che le differenti immagini visibili negli schermi
altro non sono che diverse prospettive di un'unica realtà.

vedranno uno spazio vuoto tra loro, si percepiranno separati, distinti,
e vivranno la loro esistenza nel loro mondo piatto come se fossero indipendenti.
Ma se solo avessero accesso a un livello di realtà superiore,
se potessero oltrepassare le loro immediate percezioni sensioriali,
si accorgerebbero di essere parti diverse di un unico essere circolare,
e vivrebbero la separazione per quello che è: un illusione.
"Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo 'universo',
una parte limitata nel tempo e nello spazio" - osservava Albert Einstein -
"Sperimenta sé stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto,
in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali
e all'affetto per le poche persone che ci sono più vicine.
Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione,
allargando in centri concentrici la nostra compassione
per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza".

questa sala, il nostro essere uno di fronte all'altro,
queste spiegazioni che do e che tu ascolti, tutto questo è un sogno.
Tutti i tuoi piaceri e difficoltà, i tuoi sentimenti di felicità e miseria,
la tua presenza qui e l'ascoltare queste mie spiegazioni,
non sono altro che un sogno vacante da parte mia e tua.
C'è questa unica differenza:
io sono consapevole che il sogno è un sogno,
mentre tu credi di essere sveglio.
Ogni notte vai a dormire e fai diversi tipi di sogni,
ma ogni mattina ti svegli e rivivi lo stesso vecchio sogno
che hai sempre sognato dalla tua nascita nella tua presente vita illusoria.
Dirai: 'Baba, siamo completamente svegli; ti vediamo seduto davanti a noi;
possiamo seguire quello che ci stai spiegando'.
Ma ammetterai che diresti la stessa cosa se, in un sogno, scoprissi di essere vicino a me
e mi sentissi dire che tutto ciò che hai ascoltato, visto e sentito era un sogno.
Finché non ti svegli da un sogno, sei obbligato a sentirlo come nuda realtà.
Un sogno diventa un sogno solo quando ti svegli"
(Meher Baba - nato Merwan Sheriar Irani - maestro spirituale indiano)

poi immaginando il Sogno dietro a quel sogno.
Bisogna uscire dal sogno dei mondo,
perché la gioia nasce nel Sogno
che ha concepito il gioco dei sogni e dei mondi.
Comprenda chi vuole comprendere.
Dorma chi si compiace nel lamento dei sogni.
Vi dico questo: L'Uno sta nel risvegliarsi al Sogno"
(Dal Vangelo di Maria Maddalena)

"La sola possibilità è di accettare l'esperienza immediata
che la coscienza è un singolare di cui non si conosce plurale;
che esiste una sola cosa, e ciò che sembra una pluralità
non è altro che una serie di aspetti differenti della stessa cosa, prodotta da un'illusione;
la stessa illusione è prodotta da una serie di specchi,
e allo stesso modo Gaurisankar e il monte Everest
risultano essere la stessa vetta vista da differenti vallate.
Questa tua vita che stai vivendo, non è soltanto un pezzo di questa intera esistenza,
Questa tua vita che stai vivendo, non è soltanto un pezzo di questa intera esistenza,
ma in un certo senso il tutto; soltanto che questo tutto
non è fatto in modo da poter essere abbracciato in un singolo colpo d'occhio.
Questo, come sappiamo, è ciò che i bramini affermano in quella sacra, mistica formula
che è tuttora davvero così semplice e chiara; 'tat tvam asi': questo sei tu.
O, ancora, in parole quali: io sono a est e a ovest, io sono sopra e sotto, io sono questo intero mondo"
(Erwin Schrödinger)

"Cominciate con il porvi in Lui. Non andate nelle spaccature.
Perché, in verità, non vi è frontiera.
Vi annuncio: non separate, spostatevi fra le separazioni.
E' in questo modo che voi vi porrete in voi.
Questa è la via della quiete.
La separazione è un gioco, come la sofferenza,
e la sofferenza nasce dall'orgoglio fondamentale che gioca a separare"
Perché, in verità, non vi è frontiera.
Vi annuncio: non separate, spostatevi fra le separazioni.
E' in questo modo che voi vi porrete in voi.
Questa è la via della quiete.
La separazione è un gioco, come la sofferenza,
e la sofferenza nasce dall'orgoglio fondamentale che gioca a separare"
(Dal Vangelo di Maria Maddalena)

Distanza, separazione, divisione, scissione e distacco,
sono idee e percezioni tipicamente diaboliche:
il diavolo - già nel nome, dal verbo greco διαβάλλω, diabàllo -
è colui che separa, che divide, che pone frattura.



"Tutto ciò che è nato, tutto ciò che è creato,
tutti gli elementi della natura sono embricati e uniti tra loro"
tutti gli elementi della natura sono embricati e uniti tra loro"
(Dal Vangelo di Maria Maddalena)
Nulla è reale, se preso singolarmente - "tutto è vuoto di esistenza intrinseca", avevano già intuito i buddisti - perché tutti noi siamo alfine un solo essere, eterno e immortale, che fronteggia lo sterminato mondo del possibile: dobbiamo solo decidere la forma da consegnare al nostro universo - con pensieri, parole e azioni, con le nostre interazioni - e ogni cosa cosiddetta "reale" sarà solo la prova di quanto "realmente" la desideriamo.
Non è forse scritto - in Luca 11, 5-13 - "chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto"? Non è forse detto - Matteo, 17, 20 - "se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo
monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà
impossibile"? E non troviamo forse la stessa indicazione nella ricostruzione apocrifa di Maria Maddalena? "Chiedete, se avete intenzione di ricevere. Quando la terra ha sete tocca a lei chiamare la pioggia".
E allora, se vuoi davvero assistere a un miracolo, non hai che da realizzarlo da te: i Vangeli - e la Meccanica Quantistica - ti dicono che puoi, se solo lo vuoi.
"Le persone vogliono che faccia tutto io,
e non si rendono conto che sono loro ad avere il potere"
Divulgazione quantistica su YouTube

"Quelli che non rimangono scioccati,
la prima volta che s'imbattono nella Meccanica Quantistica,
non possono davvero averla capita"
(Niels Bohr)

"Se credete di aver capito la Meccanica Quantistica,
allora vuol dire che non l'avete capita"
(Richard Feynman)
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