"PRIMO GIORNO" E DINTORNI

"Penny Black", 6 maggio 1840: il primo - vero, autentico - francobollo al mondo.
 
Un "primo giorno" è un documento - lettera, giornale, circolare, stampa - che ha iniziato a viaggiare per posta nel giorno di emissione dei francobolli utilizzati per affrancarlo.
 
Non servono troppe parole per far cogliere il fascino di un "primo giorno", persino a un profano: parliamo del primo classificato, e tra il primo e tutto quel che viene dopo - il secondo, il terzo, il quarto, ... - la distanza è ancora una volta di natura, non di semplice grado, la stessa che passa tra un unicorno e un cavallo, un distacco profondamente qualitativo, non meramente quantitativo.
 
Ora, sebbene il concetto di "primo giorno" appaia tanto fascinoso quanto semplice, le casistiche empiriche mostrano una varietà di sfumature che impongono di recuperare principî valutativi rigorosi e standard operativi - a iniziare dalla distinzione tra "primo giorno" teorico ed effettivo, tra "primo giorno" e "prima data nota", tra elementi "postali" e "para-postali", e poi tra "possibile", "probabile" e "praticamente certo" - per ben perimetrare il concetto, qualificarne l'esatta natura e non dilatarne impropriamente i confini, e più in generale per analizzare con metodo scientifico uno dei capitoli più intriganti della filatelia.

Perché qui - in questo Blog - vogliamo smentire Ernest Rutherford ("nella scienza esiste solo la Fisica, tutto il resto è collezione di francobolli") e quindi dobbiamo essere i primi a ragionare intorno ai francobolli (e a collezionarli) col rigore caratteristico della Fisica.
 
 
Francobolli dedicati a Ernest Rutherford.


"Primo giorno": teorico vs effettivo

Il "primo giorno" teorico è il giorno di emissione del francobollo, il giorno in cui il francobollo è ufficialmente entrato in circolo, ed è diventato potenzialmente idoneo ad affrancare la corrispondenza.

Il "primo giorno" effettivo è il giorno in cui il francobollo ha realmente viaggiato per posta per la prima volta, per assolvere la funzione istituzionale di pagamento anticipato del servizio di spedizione della corrispondenza.

"Primo giorno" teorico ed effettivo spesso coincidono, ma si osservano anche casi in cui differiscono.

Un esempio è offerto dai francobolli del Regno di Napoli: il "primo giorno" teorico è l'1 gennaio 1858, l'effettivo il 2 gennaio.

Un perito filatelico ha dato una spiegazione altamente verosimile per lo scarto tra teoria (1 gennaio) e pratica (2 gennaio).

La linea d'argomentazione è chiara nell'esposizione, precisa nei contenuti, basata su elementi oggettivi, e di conseguenza dobbiamo ritenere vere le conclusioni a cui conduce (sino a prova contraria) salvo un emendamento nominalistico per blindare il processo di verifica.

In tutte le scienze - perché qui vogliamo conferire uno status "scientifico" alla filatelia - non si può verificare "quel che non c'è", non si può "osservare l'inosservabile", ma solo prendere atto di ciò che sta sotto i nostri occhi.

Quindi l'onere della prova sta ora in capo a chi volesse smentire le conclusioni del perito, e l'invito (che non una "provocazione", ma una precisa linea metodologica) è nel trovare delle lettere con bolli datati 8, 15, 22, etc. gennaio (non già nel "verificare che non [ne] esistano") e fin quando non se ne avrà evidenza si darà per vero che l'uso dei francobolli di Napoli nel giorno dell'1 gennaio 1858 non era congruente col funzionamento del servizio postale dei dominî al di là del Faro.

Ritorna - alla fine - il caro, vecchio Karl Popper: non potremo mai sapere cosa è vero, ma solo scoprire ciò che è falso, perciò proponiamo la miglior verità provvisoria possibile - la più aderente con la teoria e le osservazioni a oggi disponibili - e la teniamo per buona fintantoché non arriverà un elemento - teorico o empirico - a smentirla.
 
 
"Una teoria che non può essere confutata da alcun evento concepibile non è scientifica.
L'inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto"
(Karl Popper)
 
Un altro esempio è il pregiato 40 centesimi celeste del Ducato di Modena: appartiene a una serie di cinque valori (gli altri esemplari sono da 5, 10, 15 e 25 centesimi) emessa l'1 giugno 1851 in risposta alla Lega postale Austro-Italica, ma la sua prima data di utilizzo è il 2 giugno, che diventa quindi il "primo giorno" effettivo.
 
2 giugno 1852: il primo giorno effettivo del 40 centesimi celeste del Ducato di Modena.
Ex Collezione Caspary.
 
Per informazione: il "primo giorno" dell'emissione modenese (1 giugno 1852) è stato sinora riscontrato sui valori da 10, 15 e 25 centesimi; il "primo giorno" effettivo del 5 centesimi - come per il 40 centesimi celeste - è il 2 giugno; per il 40 centesimi azzurro - una variante di colore successiva, poi divenuta lo standard - deve invece parlarsi di "prima data nota" (12 giugno).
 

"Primo giorno" vs Prima data nota

"Il francobollo fin dall'inizio non è stato soltanto un mezzo per affrancare una lettera, ma la dichiarazione del potere di uno Stato. E’ una dichiarazione di proprietà: qui comando io". 

La prosa smagliante di Franco Filanci ci richiama un dato di fatto che tutti già conosciamo, ma che spesso dimentichiamo: l'emissione di un francobollo (o di una serie) è un atto ufficiale di un Governo, perciò documentato sotto il profilo formale.

Il "primo giorno" - a esprimersi con rigore - deve quindi avere dietro di sé un decreto, una legge, un regolamento, con cui si consegna una veste istituzionale al francobollo. Raccontato in altro mondo: l'emissione di un francobollo ha in sé un ineliminabile dimensione burocratica.
 
Per conferma: quando Emilio Diena si propose di studiare la cosiddetta "terza emissione" di Parma - gli esemplari dal "piccolo scudo", col richiamo alla vignetta - si diede come obiettivo preliminare il rintracciare un riferimento normativo (peraltro senza successo).

"Nel numero 118 di 'The London Philatelist' dell'ottobre 1901 (volume 10) pubblicai un breve studio sull'interessante emissione 'piccolo scudo' del Ducato di Parma. [...]. Nell'articolo sopracitato rilevai che nessun decreto ufficiale per l'emissione di questi francobolli mi era noto. In seguito, volli assicurarmi meglio della cosa ed esaminai accuratamente alcune annate della Gazzetta di Parma, il giornale ufficiale del Ducato. La mia speranza era di trovare almeno qualche avviso della Direzione delle Poste che annunciasse l'adozione di quel tipo anche in assenza di un Decreto Ufficiale per questo speciale proposito. Ma anche tale ricerca diede esito negativo, cosicché si può ora affermare con più sicurezza che l'emissione non fu né preceduta né seguita da alcuna notificazione. Dobbiamo perciò limitarci a registrare le più antiche date trovate sugli esemplari obliterati dei tre valori".

Sembra ovvio, detto così, eppure si sente spesso parlare di una "seconda emissione" di Parma (riferendosi al diverso colore della carta) o di Toscana (con riguardo alla diversa filigrana) e sino a qualche anno fa una famosa casa d'asta nominava una immaginifica "seconda emissione" di Modena (caratterizzata dalla presenza del punto dopo le cifre del valore facciale).

Si tratta di un abuso di linguaggio (nel migliore e più benevolo dei casi, per Parma e Toscana) o di una manifesta ignoranza (per i Modena, ché i valori "con punto" e "senza punto" si possono trovare su uno stesso foglio).

E' ovvio, al limite del banale, del tautologico: un'emissione di francobolli è un atto formale, quindi formalizzato.

 Il Real Decreto del 9 luglio 1857 per l'emissione dei francobolli delle Due Sicilie,
nei dominî al di qua del Faro (Napoli).
 
 
 
 Il Real Decreto del 29 novembre 1858 per l'emissione dei francobolli delle Due Sicilie,
nei dominî al di là del Faro (Sicilia).
 
Da questa prospettiva, un cambio di carta, di filigrana, e persino di vignetta, non configura di per sé una nuova emissione, ma solo una variante tecnica - più o meno evidente - sul tema istituzionale a suo tempo codificato (dopodiché, se si vuol continuare a parlare di "emissione" anche per francobolli sprovvisti di un riferimento normativo - perché non si saprebbe come altro identificarli - lo si può fare come un matematico userebbe la scrittura  1/0=∞ - di per sé erronea - per ragioni di rapidità).
 
In questi casi - seguendo Emilio Diena - la dizione "primo giorno" è impropria, e si dovrebbe piuttosto parlare di "prima data conosciuta" (per i valori su carta bianca, nel caso di Parma; per la filigrana a linee ondulate, nel caso della Toscana).

Si ha peraltro presente che nelle fasi più intense del processo risorgimentale, su finire del 1860, si riscontra la creazione di francobolli con modalità istituzionali che riflettono appieno tutto il travaglio della particolare fase storica: per la "Trinacria" e la "Crocetta" ce la si cavò con una stessa, scarna Notificazione delle Poste - senza data! - pubblicata sul "Giornale Officiale di Napoli" del 5 novembre.


Quindi - a esprimersi con intransigenza - non esiste una "Trinacria primo giorno", e meno che mai una "Crocetta primo giorno", ma solo una "prima data nota" (rispettivamente il 6 novembre e il 6 dicembre 1860) che poi, se proprio si vuole, si potrà qualificare "primo giorno" per estensione del termine originario (ancora tollerabile per la "Trinacria", ma palesemente forzata per la "Crocetta").

 

Elementi valutativi: postali vs para-postali

Un elemento postale è un segno (sulla lettera, sul francobollo) variamente riconducibile al funzionamento dell'istituzione "Posta", ai suoi oggetti tipici, ai suoi uffici, ai suoi regolamenti.
 
Sono elementi postali - ad esempio - i timbri annullatori (per invalidare i francobolli), di partenza (dalla località originaria), di arrivo (a destinazione), di transito (per uffici intermedi), di comunicazioni di servizio; ma sono elementi postali anche le cifre apposte dagli impiegati - a mano o a tampone - per quantificare la tassazione a carico del destinatario, oppure i segni (tipicamente delle sbarre, spesso incrociate) per indicare il fuori corso del francobollo.
 
 
Bollo "a griglietta", annullatore di un 40 centesimi celeste del Ducato di Modena.
Ex Collezione Caspary.
Collezione "Aquile e Gigli".
 
 
 
 
Tre segni postali (impressi in azzurro):
le "sbarre" annullatrici del francobollo da 40 centesimi azzurro di Modena;
il timbro a cerchio senza contorno, con l'indicazione della data;
l'indicazione "P.D." a testimoniare il pagamento integrale della tariffa.
 Ex Collezione Provera.
Collezione "Aquile e Gigli".
 
 
 
Due lettere - una da Massa Carrara ad Aulla, l'altra da Parma a Milano -
col bollo giustificativo a semicerchio "DOPO LA PARTENZA",
apposto sulle lettere presentate all'uffici postale quando il dispaccio era già partito,
così da motivare l'effettivo tempo di consegna.
Collezione "Aquile e Gigli".



Un bel trittico di segni postali, tuti apposti a destinazione (Messina):
timbro riquadrato "AFFRANCATURA INSUFFICIENTE" usato anche come annullatore;
bollo circolare "VAPORE CIRCOLARE POSTA DI MESSINA",
che informa sul mezzo di trasporto;
bollo lineare "MESA AGOS°" che localizza la lettera nello spazio e nel tempo.
 
 
 
 
Un mix di segni postali (timbri e manoscritti) su una lettera dell'ormai decaduto Regno di Napoli.
che rispecchiano meravigliosamente il trambusto del particolare momento storico.
La lettera è commentata nella pagina "Borboni d'Italia" della Collezione "Al di qua del Faro".
 
 
 
 
Un annullo apposto a mano dall'impiegato postale (presumibilmente nell'ufficio d'arrivo)
per surrogare la mancanza di un timbro annullatore ufficiale (nella Cancelleria di partenza).



Lettera da Vietri di Salerno, impostata a Napoli, e sbarcata il 25 agosto 1859 a Palermo,
dove le venne impresso il bollo a cerchio, in rosso, "PALERMO*ARRIVO";
il francobollo - non annullato in partenza - fu invalidato col timbro siciliano "a ferro di cavallo".




Francobollo del Regno di Napoli da 1 grano invalidato con doppi segni di penna incrociati
(per segnalare il fuori corso) e conseguente tassazione di 3 grana (segno "3" a penna).
Ex Collezione Provera.
 
 
 
 
col timbro "a ferro di cavallo" sugli esemplari siciliani,
l'annullato "in cartella"  sull'esemplare napoletano,
e il timbro "GIACENTE", apposto a Napoli,
in attesa di far ripartire la lettera per Genova.
 
 
 
 
E' possibile raccogliere dei frammenti di Storia postale Anche dai francobolli singoli,
purché si abbiano cultura e sensibilità nella selezione e nell'accostamento.
 Alla vostra sinistra c'è un esemplare da 2 soldi del Granducato di Toscana
annullato col timbro "a graticola", già in uso in epoca cosiddetta "pre-filatelica",
e che sulle prime si continuò a usare come annullatore dopo l'introduzione del francobollo.
Ben presto - tuttavia - si realizzò che la "graticola" produceva un'impronta lieve,
potenzialmente rimovibile, offrendo così la possibilità di un riutilizzo fraudolento del valore postale.
Il timbro fu perciò spianato e ricostruito con un'impronta "a mostaccioli", 
che vedete alla vostra sinistra applicata ancora a un 2 soldi (ex Collezione "Marzocco").

All'insieme degli elementi postali - ben delimitato dai crismi dell'ufficialità - si contrappone il vasto ed eterogeno mondo degli elementi para-postali, di tutto ciò che a vario titolo si può trovare su un documento viaggiato per posta.

Sono elementi para-postali la data manoscritta dal mittente all'interno della lettera (ad esempio "30 dicembre 1857"), il numero del giornale oggetto di spedizione (ad esempio "L'Omnibus" n. 113), i timbri privati dei mittenti, e anche i timbri istituzionali ma non collegati alla Posta, e più in generale ogni altro segno che non deriva dai meccanismi di funzionamento e tracciatura del servizio postale (ad esempio l'indicazione "Preme" - talvolta riscontrata sul frontespizio delle lettere - apposta dal mittente in un'ideale - e ingenua - sollecitazione alle Poste nella consegna).
 
lettera spedita dalla ditta Medina di Livorno - di cui compare il timbro privato, in basso a sinistra -
alla sua corrispondente ad Alessandria d'Egitto (la Medina Luzzatto).
 
 
   
Timbri istituzionali della dinastia dei Borbone e di Casa Savoia, 
su lettere viaggiate - rispettivamente - prima e dopo l'introduzione dei francobolli.
 
 
 
Lettera per Reggio, affrancata con un esemplare da 10 centesimi del Ducato di Modena.
Oltre ai classici segni postali (sbarre annullatrici, "P.D.", timbro della località di partenza)
è presente anche il bollo di riconoscimento del mittente (Parrocchia S. Lorenzo)
nonché dei segni (tagli ripetuti) di disinfezione.
 
 
 
Lettera del 22 maggio da Mantova su Mantova, affrancata per 15 centesimi,
laddove la tariffa per la spedizioni all'interno della città era 10 centesimi.
La sovraffrancatura voleva probabilmente segnalare l'urgenza nella consegna,
testimoniata anche dalla dicitura manoscritta "preme" in alto a destra.

 
La distinzione tra elementi postali e para-postali a volte sfuma e si fa vaga - più di quanto possano suggerire i precedenti esempi, volutamente netti - e di sicuro esiste uno spazio di confine d'incerta attribuzione.
 
Il frontespizio della lettera fu usato per annotare alcune informazioni sulla vicenda
("Mormile" è il cognome del ragazzino a cui l'operaio della tipografia regalò i fogli)
e per stilare una prima rendicontazione dell'accaduto
("Si trasmette al Sig.e Amministratore generale delle Poste per la manifesta frode.
Il Capo del serv.o: Pasquale Vallesi")
il tutto attestato dalla firma (Pasquale Vallesi) del funzionario borbonico.
Sono segni "di confine", non certo contemplati dalla normativa postale,
e tuttavia attinenti a un evento che coinvolge l'istituzione "Posta".
 
 
 
Lettera scritta l'8 ottobre 1861 a S. Spirito, rione di Bari,
diretta a Gioia di Colle e impostata a Giovinazzo l'11 ottobre 1861.
L'ufficiale postale doveva possedere uno spiccato sentimento patriottico:
 annullò il francobollo con le scritte a penna "Abolito - Annullato - di niun valore",
parole che sembrano rivolte al Re Borbone più che al francobollo
- o forse al Borbone attraverso il francobollo -
e tassò poi la lettera per 3 grana, come se non fosse stata affrancata,
sebbene i francobolli borbonici avessero validità sino al 21 novembre.
Si tratta quindi di segni tecnicamente errati - di là della loro colorazione politica -
per cui è complicato attribuirgli un significato postale genuino (ferma restando la rilevanza storica).
Ex Collezione Provera.



Una delle più belle lettere col 50 grana del Regno di Napoli
 col timbro della "Immacolata Concezione".
Sebbene questo timbro non sia di natura propriamente postale
- a differenza degli altri: "ANNULLATO" e "CIVITAVECCHIA DALLA VIA DI MARE" -
  dà comunque informazioni sul mezzo utilizzato per il trasporto della lettera,
che rappresenta un elemento d'interesse anche sul piano postale.
  


Lettera da Venezia (Regno del Lombardo-Veneto) a Roma (Stato Pontificio)
con tagli di disinfezione e bollo di Sanità "NETTA/DENTRO E FUORI",
in un'epoca dove il colera colpiva ripetutamente le popolazioni
e si pensava che le lettere fossero un possibile veicolo di trasmissione
(la pratica - in Italia - terminò nel 1877, quando si capì che gli agenti d'infezione erano altri).
Ogni Stazione di Posta aveva i suoi timbri dedicati, con varie diciture
- "netta di fuori sporca di dentro", "netta di fuori e di dentro" e l'indicazione della località -
e il collezionismo delle cosiddette "lettere di Sanità" è oggi molto diffuso
(gli appassionati sono associati nel "Disinfected Mail Study Circle", fondato a Londra nel 1973,
che raccoglie adesioni da 25 paesi del mondo, e pubblica la rivista "Pratique").
Sono timbri che documentano l'adeguamento dell'istituzione postale alle contingenze storiche.
 
Serve ammettere che si può girovagare nell'universo filatelico senza sapere se - a un dato momento - si è transitati dal campo postale a zone para-postali, e viceversa, ma per l'economia del nostro discorso, ai fini dell'oggetto del post - "primo giorno" e dintorni -  si può presumere una separazione ben definita tra elementi postali e para-postali.
 
Con altrettanta certezza si può stabilire il primato dell'elemento postale su quello para-postale, o se si preferisce, possiamo statuire (e meglio sarebbe dire, prendere atto) di una gerarchia che subordina l'elemento para-postale a quello postale, l'invariabile preferenza dell'elemento postale (quando disponibile) su quello para-postale, al fine di far luce sulla storia dell'oggetto.
 
Quindi - per riportarci al tema del post, al concetto di "primo giorno" - converrà dirlo subito con la precisione e la chiarezza proprie delle scienze esatte: un "primo giorno" (eventualmente "effettivo") è un "primo giorno" se e solo se reca il timbro postale che ne certifica la genuinità.
 
Qualunque "primo giorno" inferito da elementi diversi dai timbri postali (ad esempio le date manoscritte all'interno) non ha - non può avere, se vogliamo vivere la filatelia con rigore metodologico - lo stesso status di un "primo giorno" attestato da un timbro postale: perché noi siamo filatelici, e siamo interessati primariamente ai segni ufficiali dell'istituzione postale (in questo caso i timbri).
 
Dopodiché non fatemi dire quel che non dico, semplicemente ripetendo le mie parole.
 
Qui non si sta dicendo che una datazione inferita da elementi para-postali non significhi nulla (nella Collezione "Al di qua del Faro", ad esempio, è presente un "primo giorno" del 2 grana dei De Masa, dedotto solo dal testo) o che gli elementi para-postali non possano essere di per sé interessanti (la pagina sulla resistenza di Gaeta - in "Al di qua del Faro" - è costruita su un intreccio di elementi postali e para-postali, entrambi con pari dignità e importanza).
 
Stiamo dicendo - con un richiamo al buon senso e alla disciplina - che se si pensa di far assolvere a un elemento para-postale lo stesso ufficio di un elemento postale - se si vuol fare dire a un elemento para-postale qualcosa di cui non si ha traccia negli elementi postali - si cade in un grave errore di prospettiva.


Possibile, probabile, praticamente certo

"Tutto è incerto e al di fuori di ciò nulla può affermarsi con certezza".
 
Bruno de Finetti apre il suo trattato "L'Incertezza nell'Economia" con un bagno di realtà: viviamo in un mondo incerto - di cui non conosciamo il futuro, di cui ignoriamo gran parte del passato - e per quanto ognuno si sforzi di trarre il massimo delle certezze dalle sue conoscenze, per migliorare la prevedibilità degli eventi d'interesse, l'ombra dell'incertezza continua a estendersi ovunque, e non vi è mai un conoscere "per cause" da cui sia eliminabile un elemento di pura accidentalità.
 
Perciò - ancora con de Finetti - "le questioni serie della vita sono, quasi sempre, solo problemi di calcolo delle probabilità", e la stessa Scienza - passando la parola a Poincaré - "non può limitarsi a teorizzare i fatti compiuti, ma deve prevedere", cosicché "il suo strumento veramente propulsivo non è la logica, ma il calcolo delle probabilità".
 
Per date premesse - che non si faticherà a condividere - serve almeno un chiarimento preliminare su quegli aspetti nominalistici che, se trascurati, rischiano di ingenerare equivoci sostanziali poi irrisolvibili.
 
La prima, fondamentale distinzione è tra "possibile" e "probabile": è "possibile" - altrettanto possibile, parimenti possibile - che in Sicilia nevichi a maggio e uno studente ben preparato superi l'esame; perché nel "possibile" - nel campo del logicamente possibile - non vi sono gradazioni, livelli o qualificazioni, che appariranno solo con l'introduzione del concetto di "probabile" (per cui è "molto probabile" che lo studente preparato superi l'esame, "poco probabile" la neve a maggio in Sicilia, ed è "più probabile" vedere lo studente superare l'esame che non la nevicata primaverile in Sicilia).
 
Ora - a meno di casi scolastici, riconducibili per lo più ai giochi d'azzardo - non solo tutto è incerto, ma tutto è anche "possibile".
 
E' sicuramente impossibile veder sortire il 93 in un'estrazione del lotto (dove le palle numerate nell'urna vanno dall'1 al 90) o avere il 7 in esito al lancio di un dado (con facce numerate da 1 a 6); ma per il resto - per tutto lo sterminato e problematico resto - lo spazio delle possibilità si allarga a dismisura e ci obbliga a probabilizzare tutte le alternative, dalle ortodosse sino alle più bizzarre, per poi deliberare di conseguenza.
 
Lo schema è semplice, nella sua idea di base: noi prendiamo una decisione - scegliamo di agire in un determinato modo - quando riteniamo che sia sufficientemente alta la probabilità di arrivare - con quella decisione, grazie a quella scelta - a un esito più che favorevole.
 
Nulla sfugge a questo protocollo d'azione, neppure le decisioni più routinarie, e si può anzi dire che nella gran parte delle cose della vita quotidiana noi ragioniamo - più o meno consapevolmente - per "altissime probabilità": quando decidiamo di attraversare la strada - col verde per i pedoni, sulle strisce - stiamo scommettendo (stiamo assegnando un'altissima probabilità) al fatto che in quel momento non ci sia un pazzo che passi col rosso senza fermarsi davanti alle strisce (e anche quando siamo fermi sul marciapiede - a sentire alcune drammatiche notizie di cronaca - stiamo scommettendo che un un pazzo non ci venga addosso, o che un incidente tra macchine in strada non finisca indirettamente per coinvolgerci).
 
L'altissima probabilità è ciò che - nel parlato comune - si designa come "pratica certezza", ovvero, declinandola in modo complementare, ci sono delle eventualità, sì possibili, ma giudicate così remote da viverle "come se" fossero impossibili (all'interno del processo decisionale).
 
La precisazione "come se" rimane peraltro dirimente per una corretta comprensione della realtà: la differenza quantitativa tra una probabilità dell'1% e una del 99% è ovviamente maggiore della differenza tra una probabilità del 99% ed una del 100% (99%-1%=98%, 100%-99%=1%) ma la seconda differenza è incommensurabile alla prima - sul piano logico - perché passando dall'1% al 99% la verosimiglianza cresce sì enormemente, ma si rimane pur sempre nell'incerto, laddove nel passare dal 99% al 100% si transita dal dominio dell'incerto al campo del certo (per usare un'analogia geografica: la distanza tra Palermo e Ventimiglia è maggiore della distanza tra Ventimiglia e Mentone, ma Palermo e Ventimiglia, per quanto lontane, sono comunque città italiane, laddove Mentone è francese, anche se prossima a Mentone).
 
Per venire a noi - all'argomento del post, al "primo giorno" degli oggetti postali - serve mantenere a ogni momento la consapevolezza di dove ci si trova (se nello sterminato dominio dell'incerto o nel ristretto campo del certo) e da dove provengano le eventuali certezze (se da elementi postali o para-postali) per qualificare le proprie affermazioni con la massima precisione possibile, per non trasformarle in un ginepraio di sofismi dove di ogni presunta verità può essere altrettanto probabile la verità contraria.   

 

Casi di studio

Abbiamo settato principî e standard di valutazione. Ora dobbiamo applicarli ai casi reali, per qualificarli, classificarli, comprenderli al meglio e regolarci di conseguenza, come avviene in ogni altro ambito scientifico.
 

#1: Parma, "primo giorno" (osservato)

L'1 giugno 1852 entrano in circolo di francobolli del Ducato di Parma (da 5, 10, 15, 25 e 40 centesimi) per dare pratica attuazione alla Lega postale Austro-Italica (e con ricadute sulle spedizioni all'interno del Ducato o dirette in Stati non inclusi nella Lega).
 
15 centesimi "primo giorno" del Ducato di Parma.
In fatto di "primo giorno" del Ducato di Parma - oltre alla lettera qui riprodotta -
ne esiste un'altra affrancata con una coppia del 15 centesimi e una terza col 5 centesimi.
Il "primo giorno" effettivo del 25 centesimi è il 2 giugno; quello del 40 centesimi il 3 giugno.
 
Questo "primo giorno" è self-explain, parla da sé: è in perfetta tariffa, ha ben impresso il timbro in rosso dell'1 giugno 1852, mostra un annullo passante "a griglietta", e - ad abundantiam - reca le rassicuranti firme per esteso di Renato Mondolfo ed Emilio Diena.

E' la situazione migliore in cui ci si può trovare, che funziona "da riferimento" per la valutazione di tutte le altre.


#2: Lombardo-Veneto, "primo giorno" (inferito)

Spostiamoci dal Ducato di Parma al confinante Regno del Lombardo-Veneto, per ammirare due "primo giorno" della Collezione "Testine", di Ottavio Masi.
 

Balza all'occhio una differenza, rispetto a Parma: l'assenza dell'indicazione dell'anno, nell'annullo (lo stesso Giulio Bolaffi, nel localizzare e datare la lettera affrancata col 15 centesimi, scrive l'anno tra parentesi, a indicare che l'informazione non si desume dall'annullo in partenza).
 
Qui vi saranno sicuramente altri elementi postali (timbri di arrivo al verso, presumo) o para-postali (date manoscritte all'interno, ammesso che il contenuto sia presente, come sembra esserlo nella lettera col 30 centesimi) che confermeranno che quel "1 GIU°" si riferisce all'anno 1850.
 
In generale, se un timbro postale è manchevole di un'informazione temporale (ad esempio l'anno) allora il "primo giorno" deve di necessità inferirsi da altri elementi (postali o para-postali) e potrebbe essere impossibile accertarlo su francobolli sciolti o su parte di lettera.
 

 
 
 
 
Qui abbiamo una situazione particolarmente istruttiva: una lettera e un frammento entrambi qualificati "primo giorno".
 
Sulla lettera c'è poco da dire: il "primo giorno" - ancora una volta -  sarà deducibile da elementi integrativi rispetto al timbro annullatore del francobollo (data manoscritta, timbro di arrivo). 
 
Il frammento si presenta invece venato da una certa ambiguità.
 
Il corsivo di Este - vi spiegheranno gli esperti di Lombardo-Veneto, Catalogo Sassone alla mano - risulta usato almeno fino all'agosto del 1852. Quindi - in prima battuta - abbiamo un caso a favore del "primo giorno" (1 giugno 1850) e due contro (1 giugno 1851 e 1 giugno 1852) cioè un'oggettiva probabilità del 33% di fronteggiare un "primo giorno". Pochino, direi.
 
Però abbiamo anche l'informazione sull'elemento tecnico "prima tiratura", che nell'opinione soggettiva del perito (ché una perizia filatelica è sempre e solo un'opinione) ha spostato la probabilità talmente in alto da trasformarla in pratica certezza.
 
Non si può escludere a priori - sul piano logico - che un francobollo della "prima tiratura" sia stato usato tardivamente - nel 1851 o addirittura nel 1852 - così come, per riportarci a evidenze certe, si riscontrano annulli a "svolazzo" (anno 1860) su francobolli di Napoli delle prime tavole (anno 1858), così come - più in generale - si registra la circolazione di esemplari delle prime tavole ancora nel 1860, con l'annullato "in cartella" (ve n'erano divesi nell'archivio Baronissi).
 
Parliamo in definitiva di probabilità, che alcuni potranno valutare in linea con l'opinione di Enzo Diena ("pratica certezza", al punto da stilarci sopra un certificato) e altri no.
 
Per la cronaca: il frammento "primo giorno" di Este era il lotto n. 30 della 12a asta Zanaria (9 novembre 2024); partiva da una base di 600 euro; è rimasto invenduto.


#3: Sardegna, fu vero "primo giorno"?

Il Regno di Sardegna emette i suoi primi francobolli - una serie di tre esemplari, da 5, 20, 40 centesimi - l'1 gennaio 1851.
 
"E' nota solo una lettera (affrancata con un 20 cent.) usata il primo giorno di emissione", ci informa il solito Sassone.
 
La prima immagine (parziale) dell'unico "primo giorno" di Sardegna compare sulla rivista "Il Collezionista", n. 12, del gennaio 1952.
 
 
Passano quasi quarant'anni e l'unico "primo giorno" di Sardegna ricompare sulla pubblicazione "VICTOR VICTORIA" della Bolaffi.
 
 
Non serve alcuno spirito d'osservazione per notare il diverso posizionamento del francobollo (coricato nell'originaria immagine parziale, dritto in quella completa e più recente).

Così come ci si accorge - aguzzando la vista giusto un minimo - che nella nuova versione l'annullo è stato reso passante (prolungandolo artificiosamente sulla lettera) come risulta evidente dall'accostamento delle due immagini.
 
 
Vediamo ora di mettere ordine, procedendo passo dopo passo.
 
Concentriamoci anzitutto sull'oggetto originario (immaginiamo che il "primo giorno" di Sardegna si trovi ancora nello stato in cui lo si vide la prima volta nel gennaio del 1952).
 
Cos'è che può disturbare? Due elementi tra loro interrelati: l'annullo a penna (anziché con un timbro postale) e il suo essere "non passante" (il fatto cioè di rimanere sul francobollo, senza passare anche sulla lettera).
 
Analizziamoli entrambi, senza pregiudizi, con la massima razionalità possibile, sulla base delle informazioni disponibili.
 
E' così anomalo trovare un annullo a penna, anziché con un timbro? In generale sì, ma qui siamo alla presenza di un caso specifico con tutte le sue particolarità, qui stiamo analizzando un "primo giorno". Lascio la parola a Lorenzo Oliveri, membro dell'Accademia italiana di Filatelia e Storia postale: all'inizio del 1851 entrarono in circolo i "bolli franchi" - come si diceva all'epoca - "distribuiti, comunque, col 'contagocce', e solo una parte degli uffici funzionanti venne dotata di apposito timbro obliteratore (il cosiddetto bollo a rombi)".
 
Dunque - ci dice Olivieri - "solo una parte degli uffici venne dotata di apposito timbro obliteratore" (per annullare i francobolli); quel "solo una parte" non viene qualificato, ma l'intonazione del discorso lascia presumere il sottinteso "solo una (piccola) parte". Se così stanno le cose, allora non è poi sorprendente trovare un annullo a penna (nella classica forma a "X") ad assolvere le funzioni di un timbro (a rombi) non ancora a disposizione.
 
Si può comunque essere infastiditi dall'annullo non passante, ma si dovrebbe anche recuperare un minimo di razionalità: sì, è vero, numerose falsificazioni (per frodare i collezionisti) giocano sugli annulli non passanti, ma per altro verso c'è una gran quantità di materiale sicuramente genuino e con annulli non passanti, così come vi è una discreta quantità di oggetti falsi con annulli passanti. Per stagliare il concetto: l'annullo - passante o no - non è di per sè dirimente.
 
L'osservazione fa da sponda a una considerazione più generale.
 
Mutuiamo dalla matematica il ragionamento "per assurdo", e ipotizziamo che il "primo giorno" di Sardegna (nella versione originaria) sia l'opera di un falsario. Ma è un'ipotesi verosimile? Quanto è probabile? Poco, direi.
 
Dobbiamo immaginare che l'ipotetico falsario disponesse di una busta timbrata e non affrancata (?) su cui ha poi collocato un 20 centesimi, annullato a penna da lui stesso, per far apparire un "primo giorno" inesistente. Ma perché collocarlo storto? A che pro? Sarebbe stato più logico piazzarlo dritto, per aumentarne l'attrattiva. E perché - poi - non si è dato la pena di rendere l'annullo passante - vista la semplicità dell'operazione, essendo dei semplici tratti di penna - così da accrescere la verosimiglianza dell'insieme? Questo ipotetico falsario - se mai è esistito - doveva essere piuttosto svampito.
 
Non possiamo avere la certezza, e a rigore nemmeno la "pratica certezza", della genuinità del "primo giorno" di Sardegna, ma gli elementi a favore sono di più e più pesanti - più logici, più verosimili, maggiormente aderenti alle informazioni certe - di quanto non lo siano gli elementi contrari, al punto da consentirci di avvicinarci all'oggetto con relativa serenità.
 
Almeno sin quando non è stata compiuta una (scellerata) opera di maquillage per consegnargli un'estetica allineata alle preferenze moderne, scrivendo così un altro triste capitolo del libro nero "Forbici e delitti" .
 
Perché ora al gioco dei "pro" e dei "contro" si aggiunge una nuova domanda: ammesso pure (come sembra ragionevole) che il "primo giorno" di Sardegna fosse originale, si può ancora ritenerlo tale dopo le alterazioni a cui è andato incontro?
 
Procediamo con ordine, ancora una volta passo dopo passo.
 
La parola "originale" - vocabolario alla mano - significa "come era in origine, che risale alle origini ", e allora - a rigore di significato - la lettera non è più originale, perché la sua forma attuale non è più conforme a quella che gli era stata conferita all'epoca: "ora" non è più com'era "allora"; e non lo è non già per l'effetto di elementi accidentali o incontrollabili, o per l'inesorabile trascorrere del tempo, cioè per quei fattori esogeni che agiscono strutturalmente sugli oggetti filatelici e che bisogna giocoforza accettare come fisiologici (per quanto ci si sforzi di limitarne gli impatti con una conservazione appropriata); la lettera non è più come si trovava in origine per una precisa volontà umana, per un intervento consapevole - diretto, mirato - finalizzato ad alterarne l'estetica.
 
Ora, se l'intervento si fosse limitato a riposizionare il francobollo - a raddrizzarlo anziché lasciarlo storto - si sarebbe ancora potuto alzare il livello di tolleranza quel minimo necessario per continuare a qualificare l'oggetto come "originale", visto che - sostanzialmente - non sarebbe cambiato nulla: originale il francobollo, originali i tratti di penna che lo annullano, originale la lettera col suo timbro dell'1 gennaio 1851, solo che il francobollo ha ora un diverso posizionamento (un elemento tutto sommato irrilevante in chiave storico-postale).
 
Per quanto l'operazione possa  infastidire potentemente gli spiriti più sensibili - e qui, personalmente, mi annovero tra gli intransigenti - c'è da dire che far passare gli oggetti filatelici da un chirurgo estetico - il sottoporli a ritocchini per renderli più gradevoli a vedersi - se non proprio una prassi, è sicuramente un'attività contemplata.
 
Qui però si è andati ben oltre: qui si è reso passante un annullo che in origine non lo era, si è cioè introdotto un elemento spurio (il prolungamento del tratto di penna) che a tutti gli effetti ha inquinato l'oggetto (su cui ora si trova apposto un segno che non gli appartiene, che non è coevo dell'epoca).
 
Possiamo continuare a definirlo "originale", sposando una visione globale dell'oggetto, che per altro verso tradisce però parecchia approssimazione, scarsa sensibilità e bassa cultura (collezionistiche e non solo).

 

#4: Sicilia, fu vero "primo giorno"?

Il Catalogo Sassone fornisce il quadro completo e dettagliato delle "primo giorno" del Regno di Sicilia.
 

Nel censimento rientra la seguente lettera, presentata come "primo giorno" anche nel volume "1859-1860 Storia Postale dei francobolli di Sicilia", di Gaetano Gatto e Giuseppe Antonio Natoli.
 

Qui il "primo giorno" dovrebbe desumersi dal timbro a datario, collocato capovolto e inclinato, sulla destra della lettera.
 
Il condizionale è d'obbligo: per quanto si possa osservare il timbro, per quanti confronti si vogliano fare con timbri "primo giorno" inequivocabili, rimane un margine di dubbio sulla data effettiva, se 1 gennaio 1859 o 4 gennaio (i collezionisti di Antichi Stati conoscono l'avvincente narrazione di Nino Aquila su un ½ grano "primo giorno", in cui un timbro del 4 era stato inizialmente scambiato per un 1).
 
Mostro di seguito uno zoom sull'annullo, raddrizzato, ingrandito e con uno sfondo a contrasto che dovrebbe farlo apprezzare meglio. Risultato: non si capisce niente comunque.
 

La lettera - precisiamolo - vanta un discreto track record (oltre al riconoscimento ufficiale del Sassone e alla citazione sul Gatto-Natoli): proviene dall'archivio della famiglia Diena, passò in asta alla Investphila spuntando 26.000 euro (più diritti d'asta e d'esportazione, per un costo finale superiore ai 33.000 euro) e reca le firme di due periti (Alberto Diena e Raffaele Diena) e il certificato di un terzo (Giorgio Colla).

Nessuno deve venire qui - in questo Blog - a spiegarci il fascino dell'ex e la centralità del pedigree (tra i riferimenti culturali della Collezione "Al di qua del Faro" - per dire - c'è una corposa pagina interamente dedicata alla storia dei pezzi della collezione).
 
Ma proprio perché qui conosciamo bene tutto ciò, sappiamo anche a quali limiti tutto ciò va incontro: la prima linea di difesa di un oggetto filatelico - la più salda e rassicurante - è negli elementi certi di natura tecnica e postale, che non si possono in alcun modo surrogare con narrazioni più o meno vivaci e colorate, in una sconsolante riproposizione dell'anacronistico sophisma auctoritatis.
 
Il timbro postale di partenza non permette di discriminare con "pratica certezza" tra la data dell'1 e la data del 4 gennaio (sfido chiunque a dire il contrario), la lettera non ha un timbro di arrivo (che possa convalidare l'ipotesi "primo giorno") e manca il testo interno (con cui avvalorare l'ipotesi "primo giorno" per via para-postale, attraverso l'eventuale data manoscritta). E questo è tutto. 

Per la cronaca: la lettera era il lotto n. 1714 dell'asta 5 di Ferrario (14-15 dicembre 2016); partiva da una base di 20.000 euro; rimase invenduta e dopo di allora non è più ricomparsa.

 

#5: Sicilia, la prima data nota del 50 grana

Il 50 grana del Regno di Sicilia non è conosciuto utilizzato nel giorno d'emissione (1 gennaio 1859); il "primo giorno" effettivo è il 10 gennaio, riscontrato su una lettera della collezione di Francesco Lombardo.

Senonché, sul n. 26 della rivista "Vaccari Magazine", anno 2001, il collezionista Gabriele Serra sollevava più d'una perplessità sul corretto censimento dell'effettivo "primo giorno" del 50 grana di Sicilia, e la stessa rivista - a seguire - ospitava la contro-replica di Lombardo.
 
Riproduco i due articoli, e ringrazio l'architetto Civale per avermi omaggiato di questo numero - come di tanti altri - della rivista della Ditta Vaccari.


Ogni lettore - arrivato qui - potrà trarre da sé le sue conclusioni di merito, o meglio, potrà aderire alla linea d'argomentazione che più s'attaglia con la sua sensibilità, con la sua cultura.
 
Per parte mia mi limito a un avvio di generalizzazione - che possa essere d'aiuto anche in altri casi - contrapponendo due diverse forma mentis.
 
Scrive Gabriele Serra:
 
 
 
E risponde Francesco Lombardo:
 
 
Di là degli elementi contingenti, specifici del particolare caso di studio, non ho dubbi sul partito da prendere: si deve ragionare di filatelia "con la logica e la tecnica dei raffronti e dei dati certi", come avviene in ogni altro ambito scientifico, senza invocare "un qualche evento straordinario" - sempre possibile, ma per definizione altamente improbabile - per sostenere una convinzione, un'idea - e più corretto sarebbe dire un pregiudizio - di cui ci si è innamorati e a cui si vuole rimanere attaccati a ogni costo (anche a prezzo di apparire ridicoli). 


#6: Napoli, la prima data nota del 50 grana

Il Sassone qualifica la seguente lettera come "primo giorno" del 50 grana napoletano e la colloca tra le maggiori rarità del Regno di Napoli (al 19° posto).

Al fronte e al verso della lettera non compare nessun timbro napoletano con la data di partenza, quindi, a rigore, non si può avere la certezza (probabilità pleonastica del 100%) che la lettera abbia iniziato a viaggiare il 2 gennaio ("primo giorno" effettivo dei francobolli borbonici per i dominî al di qua del Faro).
 
Tuttavia, la ricchezza di timbrature presenti - e in particolare il bollo del 4 gennaio di Marsiglia - rende "praticamente certo" che la lettera sia partita proprio il 2 gennaio: il gioco delle probabilità è tutto a favore dell'ipotesi "primo giorno" (effettivo) perché è immensamente più verosimile che la lettera abbia impiegato due giorni per arrivare in Francia (e quindi che abbia iniziato il suo viaggio il 2 gennaio) anziché un giorno solo (partenza il 3 gennaio). 
 
Non aveva dubbi il Professor Imperato, che in ogni manifestazione a concorso la esibì come un "FIRST DAY of ISSUE".
 

Il Professore - lo sappiamo - era uno spirito audace, provocatorio e battagliero, e amava giocare spesso al confine tra il possibile e l'impossibile, tra il probabile e l'inverosimile.
 
Qui - però - la sua scelta appare metodologicamente impeccabile: non abbiamo l'evidenza empirica di timbro napoletano del 2 gennaio, ma tutto il resto - proprio tutto - ci suggerisce una data del 2 gennaio, senza che - nella lettera sotto i nostri occhi - si percepisca anche solo un sussurro contrario. 

 

#7: Napoli, un "primo giorno" improbabile

Il 2 gennaio 1858 è il "primo giorno" (effettivo) dei francobolli del Regno di Napoli. Lo si trova attestato - di regola - da un timbro su due linee ("NAPOLI 1858 - 2 GEN.") apposto al verso della lettera, che peraltro si presenta spesso mal impresso.
 
 
Una delle migliori impronte della data del 2 gennaio 1858.
 
Questa è da sempre la conventional wisdom del "primo giorno" di Napoli (se si eccettua un accenno di sfuggita di Emilio Diena - mai suffragato - a un ipotetico 1 gennaio, nella sua monografia sui francobolli napoletani).
 
Finché, nel dicembre del 1995, il perito filatelico Mario Merone afferma di aver trovato un documento postale che anticipa di "ben tre giorni" la data del 2 gennaio "fino ad oggi ritenuta la prima data d'uso" dei francobolli del Regno di Napoli.   
 

 
Sulle prime è comprensibile l'eccitazione di chi si ritrova tra le mani un oggetto con cui può sovvertire un intero sistema di credenze - la stessa dello scienziato quando scopre che è la Terra a girare intorno al Sole (e non viceversa, come si credeva) o che la materia (contrariamente alle apparenze) non è solida bensì formata da onde - ma subito dopo occorre richiamare all'ordine la propria emozione, per accertarsi che abbia un fondamento, se non proprio solido, almeno non troppo precario, o ancora più modestamente, che un fondamento purchessia esista davvero, e tutto quell'ardore non poggi sul nulla.
 
Stralcio un passaggio dell'articolo dell'Ingegner Merone.
 
 
 
E un altro ancora:
 
 
Questa premessa - ripetuta due volte, forse più per persuadere sé stesso che per convincere i lettori - è fallace, anzi doppiamente fallace, è fallace nel metodo e nel merito: è fallace nel metodo, perché assegna a un elemento para-postale (in questo caso la data manoscritta) lo stesso rango di un elemento postale (un timbro), quando l'elemento para-postale può al più convalidare l'elemento postale (come avviene con il "primo giorno" del Lombardo-Veneto) ma non sostituirlo; è poi fallace nel merito, perché non esiste nessuna necessità logica per cui una lettera scritta il giorno x si affidata alla Posta (e inizi a viaggiare) lo stesso giorno x (potendosi avere - in generale - scarti temporali più o meno estesi o ridotti, ma comunque presenti).
 
Un ragionamento basato su premesse fallaci è esso stesso fallace - per definizione - per quanto ci si industri a dargli delle apparenze di logicità.
 
D'altra parte, il presunto "primissimo giorno" di Napoli -  che retrocede di "ben tre giorni" la data ufficiale del 2 gennaio - si trova su un documento piuttosto traballante, se interpretato in chiave storico-postale.
 
L'Ingegner Merone ne è consapevole - non potrebbe essere altrimenti, vista la sua profonda conoscenza dei francobolli napoletani - e per tenere in piedi la sua argomentazione è obbligato a ricorrere a ipotesi e congetture che non possono avere conferma e neppure smentita, e sono quindi prive di qualsivoglia valore scientifico.
 
 
Vito Mancini - celebre collezionista e studioso dei francobolli napoletani - aveva gioco facile a smontare la tesi di Merone, in un articolo sul "Fascino del primo giorno" apparso sul "Vaccari Magazine" (numero 36, anno 2006).
 
Riporto uno stralcio della contro-replica dell'Ingegner Merone, su un forum di filatelia (anno 2009) a cui era iscritto col nickname "borbone0".


Spiace dirlo, ma la difesa estrema del presunto "primissimo giorno" è irritante come i capricci di un bambino intenzionato a farsi comprare il gelato a ogni costo: l'Ingegner Merone risponde alle domande di Vito Mancini con altre domande (non avendo risposte); alle sue stesse domande dà poi le risposte che più gli aggradano (senza poterle provare o anche solo avvalorare); e infine si appoggia - per la terza volta - alla fallace equivalenza tra una data manoscritta e un timbro postale (come se ripetere una falsità all'infinito la rendesse vera).
 
Ma del resto il suo pregiudizio era già nelle premesse.
 
 
Quindi, non solo la rigorosa critica di Vito Mancini non gli aveva fatto sorgere un pur minimo dubbio (il che è già indice di scarsa capacità d'ascolto, quanto meno in questo frangente) ma gli si era "viepiù radicata [...] la convinzione che la lettera, in assoluto, deve essere ritenuta come prima data d'uso".

Potrebbero resuscitare i morti, e voi non credereste comunque - ammoniscono i Vangeli: il piacere di credere di aver sovvertito un storico sistema di credenze è così intenso e pervasivo, da travolge tutto e tutti, e l'illusione di avere  in mano un "primissimo giorno" è così inebriante da sembrare più vera di qualsiasi realtà tangibile.
 
E allora sarà il caso di ritornare sul precetto metodologico di Francesco Lombardo  (caso di studio #6): si deve ragionare di filatelia - francobolli e Storia postale - come si ragiona in qualsiasi altro ambito scientifico, "con la logica e la tecnica dei raffronti e dei dati certi", e non sulla base di "qualche evento straordinario" - o di congetture basate su altre congetture, in un regressus ad infinitum senza costrutto, come in questo caso - solo perché si è deciso di sposare un'idea affascinante e di restarvi fedeli per tutta la vita, qualunque cosa avvenga. 

 

#8: Napoli, un "primo giorno" convalidato

 
Non servono troppe parole - arrivati qui - per qualificare il caso in esame, forti del background teorico e della discussione degli altri casi di studio.
 
Abbiamo un elemento para-postale (la data manoscritta, 2 gennaio) che viene convalidato da un elemento postale (timbro di arrivo al verso, 4 gennaio, secondo la descrizione del banditore d'asta) e il combinato disposto dei due elementi rende praticamente certa la datazione al 2 gennaio dell'inizio del viaggio postale ("primo giorno" effettivo dei francobolli dei dominî al di là del Faro) perché è praticamente impossibile che la lettera abbia impiegato solo un giorno per raggiungere Napoli partendo da Nola.

 

#9: Napoli, "primo giorno" impossibile

Agli "svolazzi" di Napoli si applicano in blocco - pressoché inalterate - le considerazioni svolte a proposito di quei francobolli che - impropriamente o per estensione del termine - attribuiamo ad emissioni specifiche, quando in verità esprimono solo varianti tecniche rispetto a un tema istituzionale invariato.
 
Non esiste - per recuperare un gergo rigoroso - il "primo giorno degli svolazzi", perché non esiste nessun documento ufficiale - emanato da un'autorità governativa o anche solo da un organo tecnico - in cui si possa leggere "dal giorno x saranno in uso dei nuovi timbri annullatori".
 
Quel che possiamo registrare - a esprimerci con rigore - è la "prima data d'uso", che è un concetto empirico, quindi soggetto a revisione, e la prima data degli "svolazzi" è effettivamente slittata dal 12 agosto (secondo la prima ricostruzione di Emilio Diena) all'11 agosto (nel successivo studio di Alberto Diena).
 
La comunità filatelica concorda oggi nel qualificare l'11 agosto 1860 come prima data d'uso degli annullatori "a svolazzo", nonostante un celebre commerciante abbia a lungo sponsorizzato - e da ultimo venduto "a un incauto collezionista", con le parole di Francesco Melone - un documento che sembra retrodatare il primo utilizzo di quasi due settimane, al 29 luglio 1860.  
 

 
Trovate qui un'analisi puntale dell'oggetto - effettuata "con la logica e la tecnica dei raffronti e dei dati certi", per riprendere ancora le parole di Francesco Lombardo - da cui risulta evidente che tutti gli elementi oggettivi a disposizione spingono verso la data del "29 DIC", e non già del "29 LUG", sebbene possa subentrare un'illusione ottica simile a quella che porta a vedere alternativamente una donna giovane e una vecchia, in una stessa immagine.
 
 
Inutile - qui, in questo post - ripetere cose già spiegate dettagliatamente altrove.
 
Va piuttosto rimarcato il curioso argomentare del commerciante, offeso dalla qualifica di "occasionale" (attribuito dalla Sassone al presunto uso anticipato dello "svolazzo") il voler declassare l'11 agosto ("solo supposizioni") e la sicumera nell'affermare il 29 luglio come nuova prima data conosciuta ("è una certezza!", con tanto di punto esclamativo).
 
Fronteggiamo una vera e propria inversione metodologica: si ribalta impropriamente l'onere della prova, si chiede ad altri di smontare una tesi che non è mai stata costruita, il cui unico elemento a favore è un'illusione ottica, e sconfessata da una molteplicità di fatti osservabili e di affermazioni "praticamente certe".
 
Su questi presupposti nessuna discussione costruttiva sarà mai possibile, tutto si ridurrà a uno scontro tra opposte fazioni di ultrà delle proprie idee (deviate da interessi non del tutto genuini) e allora tanto vale astenersi in partenza, perché ne verrebbe fuori solo una zuffa, di cui nessuno sente la necessità.

 

#10: Napoli, "primo giorno" inventato

Serve tenere standard alti e rigorosi, quando si parla di "primo giorno", altrimenti - di concessione in concessione - si rischia di arrivare ad assurdità imbarazzanti. 
 
 
Quel "1° giorno" seguito da un punto interrogativo (sic!) - che ho cerchiato in rosso per vostra immediata evidenza - mi ricorda una strofa della canzone "Grande Raccordo Anulare" del Guzzanti-Venditti, all'epoca in cui si rischiava di trovare nella carne un virus colloquialmente chiamato "mucca pazza", e i macellai tranquillizzavano la clientela appendendo un cartello in negozio, con la scritta "QUI NON C'E' LA MUCCA PAZZA".   
 
E allora vieni con me, amore,
sur Grande Raccordo Anulare, che circonda la capitale...
dietro ar bar de Enzo ce sta 'n centro commerciale,
dice Tiziana che nun ce sta a mucca pazza,
ce sta er cartelloooooo, vatte a fidà,
sò boni tutti a mettece 'na scrittaaa,
sur cartellooo, sò boni tuttiiiiii

 
Vieni con me, collezionista, nel grande bazar filatelico, fatto di luci, colori e forme strane, dove c'è chi scrive "1° giorno" sulle lettere; ma vatti a fidare: sono capaci tutti a metterci una scritta... sono capace persino io!
 
Avete poco da ridere. Questa è la realtà: c'è gente convinta di creare un "primo giorno" semplicemente scrivendo "1° giorno" sulla lettera. Ah, già, ci si è cautelati mettendo un punto interrogativo. Apposto così, allora.
 
Ma poi - in pratica - su cosa si baserebbe la presunzione di un ipotetico "primo giorno"?
 
"La data della registrata deve essere quella di 28
e non già otto come vi ho avvisato"
 
L'annullo rosso è illeggibile e non si capisce in che modo l'annotazione manoscritta (elemento para-postale) dovrebbe far sorgere il fumus di un "primo giorno".
 
Forse quel "di 28" viene sottinteso come "di dicembre", contrapposto al "non già otto", riferito a gennaio, e quindi - seguendo la logica dell'Ingegner Merone - qui avremmo non un "primo" e neppure un "primissimo", ma addirittura un "primissimissimo giorno": il 28 dicembre, che retrodata di ben cinque giorni la prima data d'uso dei francobolli di Napoli! 

Per la cronaca: questo "1° giorno?" era il lotto n. 192 dell'asta Bolaffi del 6-7 aprile 2023; partiva da una base di 150 euro e realizzò 300 euro più diritti (quando un "primo giorno" di Napoli, in asta, non va mai sotto i 5.000 euro, e se acquistato da un mercante old-style si aggira intorno ai 15.000 euro). Sarà mica stata colpa del punto interrogativo?

 

#11: "Trinacria primo giorno"

La "Trinacria" è il più iconico francobollo risorgimentale. 

Non abbiamo un atto ufficiale del Dittatore Garibaldi che ne certifichi la nascita, ma disponiamo di una Notificazione delle Poste, che, pur senza data, fu pubblicata sul "Giornale Officiale di Napoli" del 5 novembre 1860; è comunque un documento formale - della stessa natura di quello che Emilio Diena cercò invano per la cosiddetta "terza emissione " di Parma - a cui ci si può legittimamente riferire; e poi i tempi tornano, nel senso che la pubblicazione su "Giornale Officiale" è del 5 novembre, e la prima data riscontrata è il 6 novembre.

Gli intransigenti forse storceranno il naso nel sentir parlare di "primo giorno" (a cui preferirebbero la dizione "prima data nota") ma in questo caso - considerata la peculiare fase storica - non sarebbe neppure logico attendersi la formalizzazione di ogni atto di un governo dittatoriale, ed è già tanto disporre di una comunicazione da parte dell'organo tecnico (l'istituzione "Posta").
 
Parleremo quindi di "Trinacria primo giorno", senza troppe remore. A oggi ne sono state censite cinque.
 
 
"Trinacria primo giorno" su fascetta.
 
 
 
"Trinacria primo giorno" su giornale.
 
 
 
Un primo piano sulla "Trinacria primo giorno" dell'archivio Baronissi 
e l'associata perizia filatelica di Massimo Manzoni.
 
Vi ho mostrato le "Trinacrie primo giorno" certe, sicure, le tre "primo giorno" al 100%, perché certificate dal timbro postale del 6 novembre 1860.
 
E le altre due (di cui una ex Collezione Imperato)? Cosa possiamo dire delle altre due "primo giorno"? Nulla, a mia conoscenza, nel senso che le immagini pubblicamente disponibili mostrano solo il francobollo applicato al giornale "L'Omnibus" n. 100 (del 6 novembre) su cui però - stando a quel che si vede - non c'è il timbro postale. Il timbro del 6 novembre è presente o no, su questi due ulteriori giornali? Al momento non ci sono risposte, nemmeno nell'opera di De Angelis e Pecchi (che pure è generosa di immagini d'ogni tipo).

Se il timbro postale del 6 novembre fosse presente su entrambi i giornali, allora potremmo senz'altro parlare di cinque "Trinacrie primo giorno"

Se invece il timbro non vi fosse (su una o su entrambe) allora dovremmo recuperare una distinzione di rango tra le "Trinacrie primo giorno" attestate da elementi postali e le altre (una o due) per le quali il "primo giorno" si inferisce da elementi para-postali (il numero 100 del giornale).
 
Ritorna la frattura fondamentale: sono i timbri postali - e non le narrazioni intorno a elementi para-postali - a certificare le affermazioni, a presentarle come certe, spendibili con sicurezza.  
 
Non sarà del tutto inutile ricordare che nell'agosto del 1860 - a ridosso dello sbarco di Garibaldi nella parte continentale delle Due Sicilie - gli editori sollecitarono il Ministero delle Finanze al rispetto della puntualità nella consegna dei giornali (ché tutta la loro attrattiva stava nella freschezza dei fatti narrati), che l'Amministrazione replicò col richiamo all'obbligatorietà dell'affrancatura (laddove molti giornali non recavano il francobollo, per cui erano giustamente in giacenza) e che la la querelle proseguì senza costrutto; e che anche in periodo garibaldino si riscontrano dei giornali con uno stacco tra la datazione del giornale e la data del timbro postale che vi si trova impresso (e che ne attesta l'effettivo viaggio postale).

 

#12: "Crocetta", prima data nota

Se per la "Trinacria" si può ancora parlare di "primo giorno" - trovandoci ampiamente entro margini di tolleranza di per sé ridotti - nel caso della "Crocetta" siamo obbligati a ricorrere al concetto di "prima data conosciuta".

Sul piano formale - infatti - il certificato di nascita della "Croce" è lo stesso della "Trinacria", con la decisiva differenza se ne fa menzione indirettamente, e per di più soltanto nel "nota bene" finale, senza dare indicazioni temporali anche solo largamente approssimate (e senza poterle neppure inferire retrospettivamente sulla base di altri documenti).
 
 
Non abbiamo quindi nessuna informazione - né a priori né a posteriori - che ci localizzi con "pratica certezza" l'entrata in circolo della "Crocetta"; ogni data successiva al 6 novembre - per quel che ne sappiamo - è logicamente possibile, anche se le più vicine sono "praticamente impossibili", per poi diventare via via più probabili; possiamo solo procedere per via empirica, osservare i fatti e trarre le conclusioni (giocoforza parziali); e i fatti ci dicono che la prima data nota della "Crocetta" è il 6 dicembre 1860.   
  


Qui vedete tutte le "Croci" del 6 dicembre 1860, a oggi note. O meglio: vedete 4 frontespizi (più o meno grandi) e 2 giornali "L'Omnibus" completi, tutti n. 113 (del 6 dicembre); e poi una letterina di cui è nota la data interna manoscritta (del 6 dicembre).
 
E dov'è il timbro postale "6 DIC. 1860"? Non c'è, o quanto meno le immagini dei due giornali - gli unici documenti dove potrebbe stare - non lo mostrano (e pure qui il volume di De Angelis e Pecchi non aiuta a far chiarezza).

Se vi fossero dei documenti affrancati con una "Croce", e con sopra il timbro postale del 6 dicembre, allora gli andrebbe riconosciuta la primazia della prima data nota, e servirebbe isolarli dagli altri, perché in generale - e a parità di altre condizioni - l'elemento postale è invariabilmente preferibile all'informazione para-postale.
 
Se invece non esistono documenti con l'accoppiamento ["Croce", "6 DIC. 1860"], e la prima data nota si può desumere solo dal numero 113 del giornale "L'Omnibus", o dalla data manoscritta, allora - che piaccia o no - si deve scalare una marcia verso il basso, e consegnare all'elemento para-postale il compito di informarci sulla prima data nota, visto che - piaccia o no - non vi sono alternative.

 

Piccolo glossario tecnico-metodologico

per evitare equivoci banali e pur esiziali


Logica dell'incerto: sistema formale per la valutazione coerente delle credenze parziali, degli argomenti non conclusivi, finalizzato a dare una base razionale per l'azione in condizioni di incertezza.
    
Metodo scientifico: processo iterativo per l'acquisizione di verità (parziali, momentanee) basato sulla dimostrabilità, l'osservabilità e la ripetibilità. In linea di principio il processo è circolare, quindi non ci sono un "prima" e un "dopo": si può avere in testa una teoria, verificarne la tenuta sul piano empirico ed eventualmente ritoccarla in base alle evidenze raccolte, così come si può partire dall'osservazione della realtà e risalire alla sua concettualizzazione per poi testare la teoria su nuove osservazioni. Va peraltro precisato che l'osservazione dei fenomeni - in ambito scientifico - non è mai riducibile a una bruta presa d'atto dell'evidenza che cade sotto i nostri occhi, e richiede sempre - in misura più o meno estesa e formalizzata - la definizione di modello di lettura e registrazione dei dati, di un quadro d'assieme che funzioni da sfondo per le osservazioni (che suggerisca cosa vale la pena osservare e come rilevarlo). Per riassumerlo in uno slogan: i dati empirici non sono certo muti, ma non possono neppure parlare da soli.

Principio di falsificabilità: protocollo di comportamento che impone di formulare ogni affermazione in modo da offrire alla controparte la possibilità di smentirle, di dimostrarne la falsità. E' un prerequisito del "metodo scientifico" (vedi). Se affermo che "tutti i cigni sono bianchi", dopo averne osservati 100 di colore bianco, sto ancora lasciando ad altri l'opportunità di confutare la mia affermazione: gli basterà mostrarmi un cigno di colore diverso (ad esempio nero) per provare che mi sbaglio. Se affermo che il pianeta Terra gira su sé stesso grazie a un gigante divino (inaccessibile alle percezioni umane) che se lo fa roteare su un dito (stile giocatore di basket) di sicuro non posso dimostrarlo, ma non posso neppure essere smentito, e la mia affermazione - restando nel limbo delle suggestioni - non ha valore scientifico. In generale, secondo il principio di falsificabilità, non possiamo mai sapere cosa è vero, ma solo cosa è falso, perché 10, 100, 1.000, ..., 1.000.000 e più osservazioni concordi con la nostra affermazione non provano (logicamente) che abbiamo ragione, ma ne basta una sola contraria a dimostrarci che siamo in torto. In numerose situazioni sociali, peraltro, ci si deve accontentare di conclusioni più deboli, si deve far ricorso alla "pratica certezza" (vedi).

Possibile: insieme delle alternative potenzialmente realizzabili, in una fissata situazione; elenco esaustivo di tutto ciò che - in teoria - può accadere; spazio delle eventualità. Nel "possibile" non vi sono giudizi di valore individuali (o meglio: sono spesso così ridotti e marginali, da essere irrilevanti); il "possibile" non ha gradazioni, livelli o qualificazioni. Nel campionato italiano giocano 20 squadre, e all'inizio è "possibile" - altrettanto possibile - che la vincente sia l'Inter come il Monza; e il "Monza campione d'Italia" rimane un'eventualità possibile fin quando il distacco di punti dalla prima in classifica non lo rende matematicamente irrealizzabile (logicamente impossibile). Per verifica: era "possibile" che la modesta squadra inglese del Leicester City vincesse la Premier League nella stagione 2015/16 (come è poi effettivamente avvenuto).

Probabile: è un giudizio di valore introdotto da un soggetto sullo spazio delle possibilità, che fa apparire quelle gradazioni (quei livelli, quelle qualificazioni) che di per sé le possibilità non posseggono: ogni possibilità viene così ad avere un suo grado di plausibilità, di verosimiglianza, una probabilità che qualifica l'aspettativa (soggettiva, dell'individuo) sul suo verificarsi. Non importa quanto sia valutata bassa la probabilità di un evento possibile: il suo verificarsi rimane possibile. Per verifica: nel 2015 i bookmakers inglesi quotavano "1 a 5.000" il Leicester campione d'Inghilterra, quindi scommettendo 1 sterlina sull'evento "Leicester campione" se ne sarebbero vinte 5.000 nel caso in cui quella squadra miracolosamente scampata alla retrocessione nella stagione precedente avesse vinto il nuovo campionato; la quota "1 a 5.000" equivale a una probabilità (di vedere Leicester campione) dello 0.02%; l'evento si è poi verificato, sebbene fosse valutato "praticamente impossibile".  
 
Pratica certezza: è una valutazione così elevata della probabilità di un evento (per convenzione, superiore al 99%) da spingerci a comportarci "come se" l'evento contrario fosse impossibile (pur sapendo che rimane logicamente possibile, e quindi empiricamente osservabile: si veda il caso dell'evento "Leicester campione d'Inghilterra", valutato di probabilità 0.02%, quindi "praticamente impossibile", ma poi accaduto). Non importa quanta "pratica certezza" si riversi su un evento: un individuo razionale accetterà comunque di assicurarsi contro il verificarsi dell'evento contrario, purché gliene venga offerta l'opportunità a un prezzo sufficientemente ridotto.

Probabilità 100%: espressione formale - nella logica dell'incerto (vedi) - per indicare una certezza assoluta, senza riserve, senza sottintesi, senza "se" e senza "ma". La certezza assoluta - la probabilità pleonastica del 100% - è di regola conseguibile solo nel campo della pura logica, della matematica. Nelle scienze sociali ci si deve accontentare di alte probabilità o di regolarità statistiche, e talvolta - nella più favorevole delle situazioni - si può ambire a una "pratica certezza" (vedi). La Storia postale (vedi) offre alcun lodevole eccezione: vi sono casi (fortunati) in cui la storia di un oggetto viaggiato per posta può essere ricostruita perfettamente, in tutti e solo i suoi dettagli significativi, senza il residuo di alcun dubbio, per quanto minimale.

Primo giorno teorico: è il primo giorno da cui - in forza di un atto formale (un decreto dell'autorità governativa, o al limite una deliberazione di un organo tecnico dello Stato) - un francobollo può entrare in circolo nel sistema postale ed essere utilizzato per affrancare la corrispondenza; che poi il francobollo sia effettivamente utilizzato, oppure no, è un fatto secondario (se non irrilevante) nell'identificazione del suo primo giorno teorico, perché questo concetto è interamente derivato dalla presenza di un documento di emanazione statale.
 
Primo giorno effettivo: è il primo giorno in cui un francobollo ha effettivamente viaggiato per posta, per assolvere la sua funzione istituzionale di pagamento anticipato della spedizione della corrispondenza; può coincidere o no col primo giorno teorico, perché il fatto che potenzialmente il francobollo lo si poteva utilizzare a partire da un determinato giorno non implica che lo si sia effettivamente impiegato.
 
Prima data nota (o conosciuta): è il primo giorno d'uso riscontrato su francobolli sprovvisti di un atto formale per la loro creazione, che si differenziano da quelli originari (legittimati dal citato atto formale) per varianti tecniche più o meno evidenti (carta di diverso tipo o colore; differente filigrana; e, al limite, anche diversa vignetta). 
 
Postale: qualsiasi elemento (francobollo, timbro, annotazioni manoscritte dai funzionari, etc.) direttamente riconducibile all'istituzione "Posta", per mezzo di decreti, regolamenti o anche prassi di funzionamento del sistema postale.
 
Para-postale: qualsiasi elemento che - pur insistendo su un elemento postale (lettera, francobollo) - non è un'emanazione diretta e formalizzata del sistema postale.
 
Sistema postale: insieme delle istituzioni (pubbliche o private), delle strutture e infrastrutture (materiali, tecniche, tecnologiche), delle nome (leggi, regolamenti, procedure, istruzioni) e delle risorse umane finalizzate alla gestione della corrispondenza (accettazione o raccolta, trasporto, smistamento, distribuzione e consegna) in un assegnato territorio.

Storia postale: disciplina sociale - nelle intenzioni impostata con "metodo scientifico" (vedi) - finalizzata a una ricostruzione certa (vedi "Probabilità 100%") o "praticamente certa" (vedi) delle vicende di un oggetto viaggiato per posta (lettera, circolare, giornale, stampa, cartolina, ricevuta di ritorno, etc.) in termini di luoghi di spedizione e destinazione, giorni di partenza e arrivo, tariffa, modalità con cui è stata assolta ed eventuali tassazioni, cammini seguiti e mezzi utilizzati per il recapito. La disciplina tende peraltro a dilatare i propri confini, nel tentativo eroico di dare piena ragione del ruolo istituzionale, politico, sociale e di costume che la il sistema postale (vedi) ha rivestito per svariati secoli (e che oggi va attenuandosi, sotto l'incalzare di tecnologie di comunicazione che hanno azzerato spazi e tempi). In questa prospettiva a tutto tondo, a 360 gradi, la Storia postale include anche lo studio dell'evoluzione dell'organigramma delle Poste, il censimento delle uniformi dei portalettere e degli strumenti di cui si avvalevano, e poi l'analisi della modulistica in vigore, dei servizi postali e para-postali offerti al pubblico, e via così, senza che si possa mettere un punto fermo, giacché la Posta finiva col ramificare i suoi effetti un po' ovunque.

Commenti

Post popolari in questo blog

KU FU? DALLA SICILIA CON FURORE

LO STRANO CASO DI BENEVENTO E PONTECORVO

LE DUE SICILIE - Normanni e Svevi