CASTROVILLARI 1809-1878 - Conversazione con l'architetto Francesco Civale


Cos'è una collezione? E' un mondo dentro il mondo, la ricostruzione di una realtà altrimenti inaccessibile - attraverso una lotta eroica contro la dispersione - da cristalizzare tra le pagine di un album, sugli scaffali di una libreria, dietro i vetri di una teca.
 
Certo, oggi siamo distanti da Giambattista Bodoni - il protagonista del romanzo "La misteriosa fiamma della regina Loana" di Umberto Eco - che torna nella casa d'infanzia per recuperare la memoria, e s'imbatte nella sua vecchia collezione di francobolli, da cui riaffiorano episodi di gioventù. "Favoleggiavo su un paesaggio del Guatemala, sul rinoceronte della Liberia, su un'altra imbarcazione selvaggia che dominava nel grande francobollo (più piccolo lo Stato, più grande il francobollo, stavo imparando) di Papua, e mi chiedevo dove fossero il Saargebiet o lo Swaziland".
 
Difficilmente, oggi, un ragazzino ci racconterà di aver "passato serate e serate a sognare sul Madagascar o sulle isole Figi, su rettangolini multicolori, sicuramente non rari, ma favolosi", come ricordava Bodoni dopo aver sfogliato il suo album "rilegato in tela, in formato oblungo", "con i fogli mobili", "organizzato per paesi, in ordine alfabetico", a cui "i francobolli erano attaccati con una linguetta".
 
Ma sarebbe un'approssimazione intollerabile - indice di un grave deficit percettivo della realtà - decretare la fine del collezionismo filatelico solo perché il francobollo è uscito dalla vita di ogni giorno, e ogni luogo è ormai alla portata di un click su Google, se non già fisicamente raggiungibile a costi sempre più abbordabili.
  
"I ragazzi scriveranno sempre più al computer e al telefonino" - annotava Eco, nei suoi "Pensieri in bella copia" - "Tuttavia l'umanità ha imparato a ritrovare come esercizio sportivo e piacere estetico quello che la civiltà ha eliminato come necessità. Non ci si deve più spostare a cavallo ma si va al maneggio; esistono gli aerei ma moltissime persone si dedicano alla vela come un fenicio di tremila anni fa; ci sono i trafori e le ferrovie ma la gente prova piacere a scarpinare per passi alpini; anche nell'era delle e-mail c'è chi fa raccolta di francobolli".
 
Sì, nell'era delle e-mail c'è ancora chi colleziona francobolli, perché il progresso non toglie automaticamente fascino a quegli oggetti che rende inutili nella pratica di ogni giorno. Al contrario, è proprio la perdita d'utilità che permette di recuperarli su un piano più nobile, di trasformarli in una porta magica verso il mondo della fantasia, del sogno.

Perché oggi come ieri - come in ogni forma di collezionismo - ad attrarre è ancora un sogno, solo non più legato all'esotismo di luoghi fisici, ma alla rievocazione del passato, all'affascinante miscela di lontananza e vicinanza, di conoscenza e mistero, caratteristica di una realtà sospesa tra il visibile e l'invisibile.

E allora, sì, nell'era di internet e delle intelligenze artificiali c'è ancora spazio per quel "ricettacolo di immagini oniriche" - tipico di una collezione di francobolli - di cui parlava già il Bodoni di Umberto Eco; c'è ancora occasione per ripetere con lui che "un ardente fervore mi assaliva a ogni figura", perché una bella collezione filatelica sarà sempre suscettibile di traghettare entusiasmi e ricordi, di incuriosire e attrarre.
 
Collezionare lettere e francobolli per riscoprire le nostre radici - come era l'obiettivo ultimo di Bodoni - per ritrovare sotto una nuova luce i luoghi della nostra infanzia, che ci hanno accolto, allevato e protetto, in cui potremo sempre riconoscerci e a cui non smetteremo mai di essere legati, ovunque la vita ci abbia portato.
 
Dal romanzo "Il teorema del pappagallo", di Denis Guedj.
 
Le città, per l'amor del cielo, le città! Nel mondo reale, fuori dalle carte geografiche, ci sono solo le città.
 
E allora lasciatevi condurre dentro una città che oggi è un comune italiano in provincia di Cosenza, ieri era un dominio borbonico del Regno di Napoli, ed è anche stata un distretto a guida del territorio, sotto il Governo francese.
 
Smarritevi in Castrovillari, la città - la collezione - di Francesco Civale.
 
 


- Parlare di una collezione significa avventurarsi in una realtà circolare: non c'è un "prima" e un "dopo", non si può partire dall'inizio, proseguire sino alla fine e poi fermarsi, come suggeriva il Re al Coniglio Bianco, in "Alice nel Paese delle Meraviglie". Possiamo solo scegliere un punto d'ingresso, per poi iniziare a girare, e forse non vi è attacco migliore di  un'istantanea dell'uomo che sta dietro la collezione, seguendo l'esempio di Alberto Bolaffi nel presentare la "Pedemonte". Allora, chi è Francesco Civale?
 
Sono un regnicolo ormai da tempo emigrato nello Stato Pontificio, se mi passi la battuta.
 
Sono nato a Castrovillari nel 1975, e vi sono rimasto sino alla conclusione del liceo scientifico; mi sono poi trasferito a Roma per studiare Architettura, ma la tesi di  laurea - nel 2000 - ha rappresentato un ritorno ideale nella mia città; l'ho incentrata sulla riqualificazione urbana del centro storico di Castrovillari, che gravita intorno all'attuale Corso Garibaldi, dove è ubicato un palazzo speciale, non solo perché ospitava la sede ottocentesca della Stazione di Posta - da cui venivano inoltrate le lettere che sarebbero poi state oggetto della mia collezione - ma soprattutto perché la piazza antistante era il luogo di ritrovo della mia comitiva di amici, durante l'adolescenza.
 
E' quindi un luogo impregnato di tanti bei ricordi, che mi accompagnano ancor oggi, che continuo a vivere a Roma con la mia famiglia.
 
Corso Garibaldi, a Castrovillari,
e a destra Palazzo Miglio, sede dell'antica Stazione di Posta.
 
- In pratica siamo coetanei. Presumo allora che hai iniziato a collezionare francobolli più o meno a metà degli anni '80, com'è accaduto e me e a tanti altri ragazzini di quell'epoca.
 
Sì, ho iniziato intorno ai dieci anni; più che collezionare, però, semplicemente raccoglievo; selezionavo i francobolli per paese d'origine, anno e tipologia, e poi li scambiavo con i miei amichetti, tra un gioco e l'altro.
 
Ricordo nitidamente ogni cosa, come se fosse davvero ieri: luoghi, spazi, visi, luci, colori, forme, odori, suoni, gesti, emozioni. Tutto.
 
- Effettivamente, in quell'epoca, a quella età, non si avevano così tanti svaghi quanti ne hanno i ragazzini di oggi; ma era un mondo, quello dei francobolli, che bastava a sé stesso, e se visto in retrospettiva ci ha segnato nel profondo, sino a diventare un tutt'uno con le nostre esperienze. Io vi sono rimasto dentro fino al primo anno d'università, per poi essere attirato altrove, da altri interessi, e ritornarvi intorno ai 40 anni.
 
Grosso modo è il mio stesso percorso.
 
Gli impegni della vita avevano pian piano sopito la mia passione per la filatelia, finché nel 2010, per il mio compleanno, una collega mi regalò dei francobolli a "tema arte", ben conoscendo la mia passione per la materia artistica, e ha così riaperto un cassettino della memoria con dentro tanti ricordi di gioventù, che hanno risvegliato il mio spirito filatelico.

- E
 questa fiamma riaccesa all'improvviso che cosa ha illuminato? Dove si è indirizzata la passione ritrovata?
 
L'anno successivo ricorreva il 150° anniversario dell'unità d'Italia, e tra le numerose iniziative celebrative vi fu l'emissione di una serie di francobolli commemorativi. Acquistai l'intera annata, ed ero felice come un bambino, perché mi sembrava di possedere un meraviglioso ricordo delle travagliate vicende risorgimentali.

Completai poi il periodo della Repubblica, e per un paio d'anni collezionai i francobolli del Regno d'Italia, affascinato soprattutto dagli aerogrammi delle trasvolate di Italo Balbo.  
 
- Dalla Repubblica a ritroso verso il Regno, dunque. Quand'è avvenuto l'ultimo balzo indietro nel tempo, verso il Regno di Napoli, verso ciò che sarebbe poi diventata "Castrovillari"?
 
L'idea in realtà covava già nel 2011, durante gli eventi dedicati all'unità nazionale: mostre, eventi, pubblicazioni... ovunque si respirava un'aria impregnata di storia risorgimentale, e i francobolli e la Storia postale ne erano i più autentici testimoni. Io ne ero profondamente colpito.
 
- C'era un aspetto in particolare della filatelia classica che ti impressionava più di altri? Qualcosa che magari ti ha accompagnato anche dopo.
 
Ero folgorato dal passaggio storico - altamente simbolico - dai francobolli borbonici a quelli delle Province Napoletane e dalla successiva transizione alla IV emissione di Sardegna, verso la prima emissione dentellata del Regno d'Italia del 1862, per approdare infine alla serie De La Rue.
 
Mi affascinava anche la varietà dei sistemi di annullamento, un'espressione del tutto particolare dei diversi passaggi storici e delle loro commistioni.
 
Era come se l'ormai decaduta dinastia dei Borbone non si volesse rassegnare a uscire di scena, sebbene l'Italia dei Savoia fosse ormai bell'è fatta.

- Però di entrare attivamente nel settore degli Antichi Stati non se parlava, se capisco bene.
 
Avevo ripreso da poco il mio contatto con la filatelia, partendo dai francobolli per così dire "più facili", come Repubblica e Regno, e poi non potevo certo definirmi un collezionista; ero solo un "riempitore di caselle d' album", con fogli auto-costruiti, per giunta.
 
- Insomma, gli "Antichi" incutevano timore.
 
Sì, all'inizio mi spaventavano.
 
Fu solo per caso che compresi come la mia città potesse avere molto da raccontare sul periodo risorgimentale: una lettera con un francobollo borbonico, inoltrata da Castrovillari, mi diede l'ispirazione per narrare gli eventi dell'unità nazionale dalla prospettiva di un paese che aveva pur sempre ospitato Re Ferdinando II, e poi Giuseppe Garibaldi, nel suo passaggio dalla Calabria, lungo la sua risalita dalla Sicilia verso Napoli.

Anche Castrovillari - a suo modo - aveva vissuto il trambusto del cambio di sovranità.
 
Il passaggio da Castrovillari di Re Ferdinando II di Borbone,
raccontato da Raffaele de Cesare, in "La Fine di un Regno", Volume I.
 
Alla fine il fascino dei francobolli di "Napoli", l'evoluzione della loro iconografia e dei timbri postali, hanno prevalso sulle mie incertezze, così ho approfondire lo studio della Storia Postale, e da qui è nata "Castrovillari".
 
Però devo anche dire - su un piano strettamente personale, più intimo e profondo - che è stato forse il desiderio inconscio di preservare il ricordo degli anni più belli e innocenti della mia vita, dall'infanzia all'adolescenza, a invogliarmi a creare un ponte spazio-temporale con la mia terra d'origine: tornare indietro nel tempo e sognare - attraverso lettere e francobolli - è una delle tante magie della filatelia.
 
- Qual è la stata la logica costruttiva di "Castrovillari", il criterio di filtraggio di pezzi, come mi piace dire.
 
"Castrovillari" è stata costruita con l'obiettivo che dovrebbe avere ogni collezione: raccontare una storia che susciti emozioni in chi la osservache abbia il potere di trasportarlo in un "altrove" come potrebbe fare un'immaginifica macchina del tempo.

Volevo immergere me stesso e gli altri nel mondo della collezione, per rivivere e far vivere a tutti la transizione dai Borbone ai Savoia - rievocare quelle atmosfere, quei fatti, quei personaggi - attraverso una storia locale rivisitata in termini storico-postali.

Non sta a me dire se ho centrato l'obiettivo, ma posso sicuramente indicare la mia visione, la metodologia usata per edificare "Castrovillari".

- Mi hai messo parecchia curiosità...

Mi sono avvalso della stessa logica usata in architettura per connotare un edificio perfetto.
 
- Sul serio voi architetti avete inchiodato la perfezione in una formula?
 
Il riferimento è agli elementi della cosiddetta "triade vitruviana": firmitas, utilitas, venustas, ossia solidità costruttiva, funzione, bellezza.
 

Questi tre elementi devono essere equilibrati, bilanciati, trovarsi in simbiosi, senza che nessuno prevarichi l'altro, in architettura come in una collezione.
 
L'aspetto strutturale ha un'importanza primaria; impone la spasmodica ricerca e l'acquisizione di quei pezzi che rappresentano "i pilastri e le travi della collezione", senza i quali la costruzione manca di solidità e rischia di implodere.

L'aspetto funzionale documenta il ruolo e gli usi dei francobolli, i sistemi di bollatura, le tariffe, gli instradamenti, le destinazioni delle missive.
 
L'aspetto estetico - la bellezza, per concludere - non risiede tanto o solo nel singolo pezzo, quanto piuttosto nella visione d'assieme, che deve risultare unitaria e armonica, denotare buon gusto, eleganza, equilibrio.
 
Questi obiettivi parziali concorrono tutti a un unico obiettivo finale: trasmettere in ogni momento una sensazione di "completezza" della propria collezione, anche quando non lo fosse davvero o non si riuscisse a completarla mai, nel senso che l'importante è restituire sempre all'osservatore un'idea esaustiva di ciò che si custodisce nella propria mente.
 
- E' meraviglioso sentir riecheggiare nella collezione tutta la cultura del collezionista che l'ha realizzata. Devo essere sincero, però: se da un lato è una rivelazione incantevole e pedagogica, dall'altro appare anche astratta e generale. E' possibile essere più specifici, dare indicazioni puntuali sulla declinazione dell'idea?
 
In pratica sono partito dall'individuazione di un semplice indice degli argomenti, una primordiale "ossatura scheletrica", se così vogliamo dire, ben limitata nella scansione cronologica e articolata in capitoli storico-postali, opportunamente gerarchizzati.
 
All'interno di ciascun capitolo, poi, ho tentato innanzitutto di acquisire i "documenti chiave", ad esempio una prefilatelica che mostrasse la genesi dell'officina di posta, che coincideva con l'anno di inizio delle bollature napoleoniche nel 1809 nella rara tonalità giallo-acquosa; o, in periodo filatelico, la prima data d'uso di una lettera affrancata; l'uso degli svolazzi, sia sull'emissione borbonica che su quella delle Province Napoletane; e poi i documenti che mostrassero le prime date d'uso, i periodi di commistione filatelica, che come  dicevo mi hanno sempre affascinato, o l'applicazione di  normative di particolare rilevanza, come la Riforma Postale del 1863.

Questa operazione - prioritaria, fondante - ha comportato inevitabilmente e naturalmente l'approfondimento dell'aspetto funzionale, attraverso l'analisi e la descrizione di tutti i cambi dei sistemi di bollatura e annullamento avvenuti nell'arco temporale prescelto, ricercando e presentando - quando possibile - tariffe, instradamenti, tragitti e destinazioni 
particolari e inconsuete.

La ricerca della bellezza richiede una notevole sensibilità collezionistica, caratteristica che necessita di tempo per evolversi e affinarsi. E' stata condotta contestualmente alla cura degli altri due profili - strutturale e funzionale - di cui dicevo prima. L'ho ricercata nei singoli pezzi, laddove possibile, sostituendoli quando il mercato ne ha proposto di "più belli"; e poi nei singoli fogli, attraverso il posizionamento dei pezzi; e anche nelle didascalie, che ho cercato di rendere tanto snelle quanto esaustive; ho curato in particolar modo la grafica, a partire dall'ideazione di un apposito logo, quella "C" con la forma di un corno di posta, che è anche - e soprattutto - l'iniziale di Castrovillari e del mio cognome; e infine ho sempre tenuto a mente l'equilibrio compositivo delle singole categorie e dell'insieme.
 
- Queste appassionate  spiegazioni mi evocano le parole del drammaturgo Enrique Poncela: "quando qualcosa può essere letto senza fatica, grande fatica è stata fatta per scriverlo". E se "Castrovillari" si può leggere senza fatica, se l'occhio viaggia con naturalezza da un pezzo all'altro, da un pagina all'altra, c'è da supporre che una grande fatica sia stata necessaria per realizzarla.

Il prodotto finito può dare la sensazione di naturalezza, sì, e spero che anche altri, come te, abbiano avuto la stessa impressione.

Ma è una naturalezza costruita a tavolino, per quanto l'espressione possa sembrare una contraddizione.

Non è affatto scontato o banale individuare chiaramente la struttura di una collezione, e rappresentarla poi con semplicità ed efficacia. Richiede tempo, studio, applicazione.

- L'aspetto tecnico è sicuramente fondamentale: una collezione sprovvista di una tecnica, semmai può nascere, alla lunga non ha prospettive, non esiste. "Solo la tecnica può aiutare a risolvere i problemi reali e a evitarne di immaginari", metteva in guardia Giuseppe Pontiggia a proposito della scrittura, per rimanere sul binomio "collezione-narrativa". Poi però c'è l'aspetto emozionale: Enzo Diena, nella prefazione alla "Mormino", parlava dei francobolli come di oggetti verso cui si prova qualcosa di simile all'affetto, e molti collezionisti raccontano le loro acquisizioni come ricongiungimenti con una persona amata. Se volessimo paragonare i francobolli alle donne, sicuramente ci sarà stato il primo amore, la grande delusione, la donna della vita... 
  
Ognuno di noi ha certamente svariati amori collezionistici.
 
La mia prima cotta filatelica, peraltro, non riguarda "Castrovillari", ma un oggetto tanto conosciuto quanto vituperato: il "Gronchi rosa".
 
Era il mio sogno fin da bambino, per quell'errore nei confini geografici del Perù e per tutte le vicende postali, politiche e sociali che ne erano seguite, e che nel bene o nel male lo hanno reso unico.
 
Nel corso degli anni l'ho studiato a fondo, affascinato soprattutto dal suo "uso postale", per quanto il termine possa disturbare i puristi.
 
Ne ho acquisito uno nuovo con angolo di foglio superiore destro, e poi ho ricercato un aerogramma trasportato col volo presidenziale recante lo stesso angolo di foglio, in modo che se ne potessero apprezzare le cime sbordanti rosa, nonostante la ricopertura del "Gronchi grigio". E credo di aver realizzato una gran bella pagina d'album.
 
Il primo amore filatelico di Francesco Civale:
il "Gronchi grigio" ricopre per intero il "Gronchi rosa",
che però dà chiari segni della sua presenza attraverso il colore delle linee dell'angolo di foglio,
oltre che con l'indicazione del controvalore in lire (8.200) del foglio di 40 esemplari.
 
Il secondo amore è stato il "Penny black", di fatto la genesi del collezionismo filatelico. Lo considero di grande fascino e perciò l'ho ricercato in ogni possibile stato di conservazione: usato sciolto, su frammento, e su busta dei primi mesi d'uso.

Possono sembrare due amori ovvi, lo so, ma per me è stato così.
 
- Caspita! Parli del "Gronchi rosa" e del "Penny black", due "must" per ogni collezionista, oggetti impossibili da ignorare per un filatelico. Hanno in sé tutta la poesia dei primi amori, delle infatuazioni giovanili. Poi, però, arriva la passione della vita, arriva "Castrovillari". Quando vi siete incontrati?
 
Ricordo perfettamente - con grande emozione - la prima acquisizione: una lettera con un francobollo borbonico da 2 grana con l'annullo "a svolazzo".

In quel periodo studiavo ossessivamente tutti gli "svolazzi" - così variegati e affascinanti - e l'acquisto di quella lettera fu ancora una volta la realizzazione di un sogno.
 
Castrovillari ha avuto inizio così, con questa lettera!
 
La "numero uno" della Collezione "Castrovillari".

- E dopo questo ideale, dolce "primo bacio" ce ne saranno stati tanti altri, alcuni probabilmente anche più appassionati.

Mi batte il cuore quando penso alla lettera con data manoscritta del 4 gennaio 1858, nata a Cassano allo Ionio e postalizzata a Castrovillari, perché in quel periodo Cassano non disponeva di un ufficio postale: è una delle prime lettere affrancate partite dall'officina della mia città!
 
Lettera da Cassano allo Ionio per Napoli del 4 gennaio 1858, postalizzata a Castrovillari,
affrancata con un esemplare da 2 grana dell'emissione borbonica.
 
E sono particolarmente legato anche alla lettera con lo "svolazzo sul Re d'Italia", perché un annullo "a svolazzo" su un francobollo delle Province Napoletane rappresenta pur sempre un'anomalia storica: è un timbro borbonico che s'imprime su un francobollo dalla curiosa genesi sabauda, che reca sì il profilo in rilievo del nuovo Re, ma che conserva la monetazione in grana, una singolarità filatelica in cui è sintetizzata la difficile commistione tra culture all'intero della penisola.
 
Lo "svolazzo" su Vittorio Emanuele II, Re d'Italia.
 
- Ogni grande amore è spesso segnato anche da delusioni e amarezze.
 
Non ho delusioni filateliche in senso proprio, se guardiamo ai pezzi economicamente inarrivabili, perché - appunto - non li avrei potuti raggiungere, e quindi non c'è nulla da rammaricarsi.
 
Penso ad esempio alla lettera che rappresenterebbe l'ultima data d'uso di un'affrancatura mista tra francobolli borbonici e francobolli Province Napoletane, passata in asta qualche anno fa: mi sarebbe piaciuta acquistarla, ovvio, ma "ogni collezionista deve sapere controllare i propri limiti", ci ammonisce Nino Aquila, e questa lettera era oggettivamente oltre le mie possibilità.
 
"Mista risorgimentale", da Castrovillari a Gessopalena (Lanciano) dell'1 febbrario1862. 
(l'affrancatura da 3 grana copriva la tariffa delle lettere di un foglio e mezzo).
La lettera documenta l'ultima data nota dell'uso dei francobolli borbonici
(posti ufficialmente fuori corso dal 31 dicembre 1861,
e poi raramente tollerati, su lettere non tassate, anche in date più avanzate).
Passò in asta da Vaccari il 9 novembre 2019, come lotto n. 200, con una base di € 20.000.
Rimase invenduta al martelletto, per trovare poi un acquirente nel post-asta. 

Per parlare di delusioni in senso proprio, in senso stretto, dovrei riferirmi a oggetti che erano alla mia portata, ma che non ho nemmeno tentato di raggiungere, per l'insufficiente consapevolezza della loro importanza: stelle comete che temo non si presenteranno più, oggetti per me preziosi, anche quando non di grande valore economico.

- Ci sono casi simili, nella tua esperienza?  

Ho avuto una sola grande delusione: una lettera del 17 dicembre 1870, partita da Castrovillari e affrancata con una coppia di francobolli "Vittorio riquadrato", indirizzata da un medico al figlio Vincenzo Rotondaro, anch'egli medico e chirurgo della Reale Marina presso il piroscafo "AUTHION" stazionario ad Algeri.
 
La "AUTHION", una nave storica:
partecipò a numerose battaglie nel periodo preunitario, tra cui la Guerra di Crimea;
fu inviata a Palermo, alcune settimane prima della "Spedizione dei Mille",
per valutare l'entità delle forze in campo nelle rivolte scoppiate in Sicilia;
all'inizio del 1861 prese parte alle operazioni contro la piazzaforte di Gaeta;
incorporata infine nella Marina Militare, presidiava tutte le zone del Mediterraneo
prestando un'intensa attività incentrata in missioni umanitarie, di pace e di polizia marittima.

La lettera fu erroneamente instradata da Napoli a Torino, ritenendo che la sede del Ministero della Marina fosse ubicata lì. Poi venne inoltrata a Marsiglia - come mostra il timbro del 21 dicembre - e infine giunse ad Algeri il 30 dicembre 1870.

Nella lettera il padre teneva aggiornato professionalmente il figlio, descrivendo le patologie rilevate durante le visite.

E' una di quelle lettere che - come mi piace dire - "parla quando la si contempla", con i suoi segni, il suo contenuto, la sua storia.
 
 
Ho contattato gli eredi del collezionista che la possedeva - ormai da tempo defunto - senza purtroppo ricevere risposta.

Ma sogno ancora di poterla avere un giorno in collezione.

- Interessante questo approccio alle acquisizioni. Di regola si pensa che un pezzo varca la soglia della collezione provenendo da vendite pubbliche, siano aste o cataloghi a prezzi netti. Però, in effetti, c'è pure il canale sotterraneo dei contatti privati. 
 
In teoria sì, ma è un canale che non produce risultati apprezzabili, almeno nella mia esperienza.

Ho contattato diversi collezionisti che posseggono lettere per me di particolare interesse, ma delle quali purtroppo non si privano, anche quando di scarso valore venale, e persino quando - per loro, nelle loro collezioni - rappresentano solo dei granelli di sabbia.

- "E ci si trova faccia a faccia con avversari che difendono la selvaggina!", esclamerebbe il cugino Pons, il personaggio di Balzac. Però ti capisco: un oggetto che sentiamo nostro, e non possediamo, "è, come nelle fiabe, una principessa prigioniera di un mago", per dirlo sempre col cugino Pons. Si fa di tutto per liberarla, perché la libertà di certi oggetti consiste nel trovarsi da qualche parte nel nostro album, parafrasando Walter Benjamin.
 
Sono stato assalito sempre da un senso di impotenza e sconforto tutte le volte che ero a conoscenza di pezzi "incedibili" collocati in altre collezioni, tanto più che a volte non erano neppure "collezioni" nel senso proprio del termine - e lo dico senza nessuna polemica, solo per marcare delle differenze oggettive - ma semplicemente "raccolte" e a volte addirittura "accumulazioni".
 
Sentivo profondamente che quei pezzi appartenevano a "Castrovillari" - per natura, per diritto, per sangue - e, sì, vivevo la loro presenza altrove come un "furto", anzi un "rapimento". 
 
Col tempo ho imparato ad attenuare questo stato d'animo, per potervi convivere con relativa serenità, per non permettergli di rovinare tutto ciò che di bello avevo comunque fatto, e alla lunga l'ho trasformato in una forza propulsiva, in un incentivo a ricercare altri oggetti, se possibile ancora più importanti e significativi.

- Di là degli esiti - esteriori e interiori, favorevoli o meno - rimane però un fatto per me della più grande importanza: quante avventure si vivono, quante persone si conoscono, quante scoperte si fanno, mentre si dà la caccia ai propri tesori!

Proprio nell'ultimo periodo ho acquisito due lettere prefilateliche di difficile reperimento, e che mi suscitano un'emozione del tutto particolare, anche se hanno un modesto valore commerciale.

Furono scritte a Mormanno, paese d'origine della mia mamma, e postalizzate a Castrovillari; e sono entrambe indirizzate a Lodovico Romano, personaggio insigne di Mormanno, che in quel periodo lavorava a Trieste, all'epoca territorio austriaco.

Sono lettere di grande importanza, sia perché gli invii dalla Calabria verso l'estero erano del tutto insoliti in quel periodo, sia per la centralità del destinatario nella comunità mormannese.
 
Ludovico Romano,
illustre personalità di Mormanno dell'800.
 

 
Lettera del 1822 indirizzata a Ludovico Romano.
 

Lettera del 1843 indirizzata a Ludovico Romano.

- E' sorprendente scoprire quanti pezzi importanti possano orbitare intorno a un'unica officina di posta: dà quel piacere ineguagliabile delle situazioni inattese.
 
La lista dà la vertigine: c'è una lettera con affrancatura mista Regno di Napoli-Province Napoletane, nella Collezione De Marchi (custodita dal Comune di Milano); un paio di lettere di Mormanno affrancate con un francobollo borbonico annullato con uno "svolazzo" diverso dal tipo 8 (che si usava a Castrovillari e fu in dotazione anche a Mormanno); un altro pezzo speciale - direi unico - è una lettera con un francobollo borbonico annullato col circolare piccolo; e poi c'è una lettera affrancata con un francobollo borbonico nel giorno successivo alla loro cessata validità, un oggetto di grande valore storico-postale custodito nella collezione di Francesco Melone.

Lettera da Mormanno per Cerchiara dell'8 maggio 1861,
affrancata per il circondario con 1 grano, II tavola, annullato "a svolazzo".
Compare il datario nero di Castrovillari perché l'anologo timbro non era disponibile per Mormanno.  
 
Ma se dovessi indicare un solo pezzo che mi avrebbe fatto davvero piacere acquisire, uno soltanto, allora direi senz'altro la lettera affrancata con un 2 grana, scritta a Spezzano Albanese il 30 dicembre 1857 e probabilmente postalizzata a Castrovillari, che rappresenterebbe la prima data d'uso in assoluto dei francobolli borbonici.

- Che vuol dire "prima data d'uso in assoluto"? Preciso l'ovvio - e mi scuserai - ma i francobolli borbonici furono emessi l'1 gennaio 1858, e la prima data d'uso nota è il giorno successivo, il 2 gennaio. Siamo sicuri della genuinità di questa lettera? 

La lettera è stata oggetto di una critica serrata da parte di quel grande collezionista che è stato Vito Mancini, a cui peraltro l'Ingegner Merone - il proprietario - ha replicato punto su punto.
 
Vi sono delle "anomalie", è vero: se la lettera è stata davvero spedita il 30 dicembre 1858, allora avrebbe dovuto pagare ancora 3 grana, anziché 2, e quindi ricevere una tassazione, di cui però non si ha alcun segno; inoltre esistono altre lettere da un foglio, non tassate, appartenenti allo stesso archivio, affrancate col valore da 1 grano anziché da 2, applicando la tariffa per il circondario; e infine c'è da dire che manca il bollo ovale di partenza, un fatto che, se può pure accadere, dà spesso fastidio a un cultore di Storia postale.
 
Ma rimane un pezzo di grande interesse, per quel che mi riguarda, e mi sarebbe piaciuto farlo entrare in collezione, anche se probabilmente sarebbe rientrato tra gli inarrivabili, semmai fosse stato immesso sul mercato.


La (presunta) "prima data d'uso in assoluto" dei francobolli borbonici,
desumibile dall'indicazione manoscritta, all'interno, "30 dicembre 1857".
La critica di Vito Mancini è stata pubblicata sul "Vaccari Magazine" n. 35.
L'appassionata contro-critica dell'Ingegner Merone si trova qui.

A ogni modo, il mio sogno filatelico è qualcosa di formalmente molto semplice, ma sostanzialmente parecchio difficile da realizzare: una "banale" lettera affrancata con un francobollo borbonico con annullo borbonico del cosiddetto "quarto periodo", che ho ricercato senza successo per quindici anni, dovendomi accontentare di un frammento.

Si tratta di uno di quegli annulli non adeguatamente valorizzati nei cataloghi, visto il brevissimo arco temporale d'uso, peraltro in coincidenza con l'impiego dei francobolli delle Province Napoletane.
 
Lettera da Castrovillari a Napoli del 21 agosto 1861, affrancata con un 2 grana borbonico.
Il IV periodo parte dalla metà del 1861, secondo la classificazione della monografia di Emilio Diena:
"Solo verso la metà del 1861,
 e cioè quando da tempo erano in uso i francobolli delle Province Napoletane,
e vigevano le norme postali comuni alle varie province italiane,
quasi tutti i bolli a date erano impressi in nero
e servivano anche da annullatori di francobolli, come avveniva negli Stati Sardi.
Ricordo che era prescritto di annullare i francobolli con bollo a date
e di imprimere detto bollo sulle soprascritte".
  
- La scrittrice Ayn Rand vedeva nella filatelia "un hobby per persone impegnate, risolute e ambiziose". Il solito Balzac c'andava invece giù piatto, e la interpretava come il primo passo verso l'alienazione mentale. Quale che sia il punto di vista - politicamente corretto o abrasivo - rimane il fatto che il collezionismo filatelico è un'attività assorbente, come si intravede da queste tue narrazioni. Quanto tempo e impegno ha richiesto "Castrovillari"? 
 
Ho imparato -  nel tempo - ad avere per un rapporto misurato col collezionismo, sebbene vi siano stati periodi in cui "Castrovillari" mi ha assorbito parecchio, soprattutto in vista delle esposizioni.

Molti vedono nel collezionismo una realtà parallela, una sorta di "Matrix", un mondo in cui ci si immerge catarticamente, in cui i pensieri sono costantemente rivolti alla ricerca dei pezzi, alla creazione e al montaggio della propria collezione, col beneficio di trascorrere ore piacevoli, di evasione dalle difficoltà quotidiane.
 
Hai presente la scena iniziale del film "A good person"?
 
- Sinceramente no.
 
Si sente la voce fuori campo di Morgan Freeman:
 
"Nella sua opera sulle gioie di essere un collezionista di modellini di treni Herman Williams ha scritto: 'ho trascorso una moltitudine di ore beatamente smarrito in un mondo di mia creazione. Per l'appassionato di modellini di treni esiste un mondo segreto di ordine e simmetria. Rintanati negli angoli dei nostri seminterrati e soffitte padroneggiamo su un terreno su cui il collezionista gioca a fare l'onnipotente creatore. Lì, in scala 1:87, i vicini sono sempre gentili, gli innamorati finiscono sempre con lo stare insieme, e i treni vi portano sempre in quei luoghi lontani che vi eravate ripromessi di visitare'. Nella vita, naturalmente, niente è così preciso e ordinato".
 
- E' un'istantanea paradigmatica dello stato d'animo di ogni collezionista, davvero. Veicola sensazioni molto simili a quelle comunicate da Nino Aquila, a proposito dei francobolli: "pensiamo a ciò che può accadere - a qualunque età - quando occasioni di varia natura ci fanno incazzare e per rimediare puoi chiuderti nel tuo studio e sfogliare gli album della tua collezione... e vedi insensibilmente ma progressivamente sbollire il tuo malumore e ritrovando te stesso e la soddisfazione per quanto, almeno in quell'ambito, sei riuscito a realizzare. Non c'è di meglio nella vita [per] riconquistare la serenità perduta...". E' una visione dolce, romantica, che porta a contatto con la dimensione terapeutica del collezionismo, con il suo essere un balsamo per l'anima.
 
Sì, ma allo stesso tempo rischia di rivelarsi una trappola, se quel mondo si tramuta - per rimanere in ambito cinematografico - in una sorta di "Stranger Things": una valle delle ombre, un mondo sottosopra, una realtà priva di logica e regole, dove l'irrazionalità prevalere sul buon senso. Dove il collezionista non controlla più i propri limiti, e dunque - fatalmente ed erroneamente - li supera.
 
- Nelle tue parole si avverte l'eco dell'ammonimento di Alberto Bolaffi: "se una persona non ha un buon equilibrio può combinare disastri, è evidente".  

Il collezionismo - per come lo intendo io - dovrebbe sempre essere vissuto con "leggerezza", in senso calviniano: prendetelo con leggerezza, ché la leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.
 
- Ma per vivere il collezionismo come un gioco, "senza macigni sul cuore", serve sconnettersi ogni tanto da "Matrix", uscire da quella realtà perfetta "in scala 1:87". E fuori da quel "mondo segreto di ordine e simmetria", dove "i vicini sono sempre gentili", ci si scontra spesso con l'ostilità di chi, semplicemente, "non capisce". Giulio Bolaffi - per dire - definiva le mogli dei collezionisti "quelle della contraerea", per rappresentare simpaticamente un ostracismo sempre latente nelle consorti verso i nostri amati rettangolini di carta colorata. Come si è posta la tua famiglia rispetto alla tua passione filatelica?

Mia moglie ha sempre rispettato la mia passione, pur non comprendendola, e la capisco: il nostro mondo, se visto dall'esterno, può apparire pittoresco nella più benevola delle interpretazioni, e psicotico nella peggiore.

Però forse è meglio così, per noi collezionisti.

E poi - ti ripeto - il collezionismo è per me un divertimento, un gioco, un hobby a cui mi sono imposto di dare "il giusto peso" nella mia vita, e quindi di destinargli "le giuste risorse economiche", affinché non alterasse mai gli equilibri fondamentali, anche quando - per altri versi - mi ha assorbito costantemente.

- Hai accennato a un tempo maggiore in vista delle esposizioni. Chi o cosa ti ha spinto a entrare in mondo - quello espositivo - che visto da fuori trasmette sempre una certa soggezione?
 
Il suggerimento è arrivato da Francesco Melone, che con la sua "Naples" ha conseguito numerosi successi nazionali e internazionali. Col suo supporto e i suoi consigli sono stato "introdotto" nell'ambiente. Senza di lui - ne sono certo - non avrei avuto mai vissuto questa esperienza.
 
- Quante volte hai esposto "Castrovillari" in una manifestazione a concorso?
 
Tre volte, sempre nella sezione di Storia postale.

La prima volta - ad "APPIIPHIL 2018" - la collezione era di soli 16 fogli, ma riuscì comunque a conseguire 83 punti, corrispondenti alla "Medaglia Vermeil Grande": lo ricordo sempre con grande emozione.
 
- Nel collezionismo, come in amore, la prima volta non si scorda mai.

Sì, è stata un'esperienza indimenticabile, ricca di emozioni, incontri piacevoli e grandi soddisfazioni.

Anche perché già in quel contesto riuscii a dimostrare come lo studio e la ricerca - pur circoscritti a una singola Officina di posta e alle tre Cancellerie di appartenenza - potevano produrre risultati apprezzabili persino nel contesto competitivo delle esposizioni.
 
- I successi infondono fiducia, e la fiducia invoglia ad alzare la posta in gioco. Immagino che tu abbia cercato contesti via via più sfidanti.
 
Ho incrementato la collezione a 60 fogli, trattando anche i paesi limitrofi - Mormanno, Cassano, Sant'Agata di Esaro - con vicende postali connesse a Castrovillari, ed estendendo il periodo sino al 1870.
 
Ho presentato la collezione ampliata dapprima ad "AICPM.NET 2020", nella sezione di qualificazione, conseguendo 86 punti ("Medaglia d'Oro") e di recente all'esposizione nazionale "BERGAMOFIL 2023", dove sono stati toccati gli 88 punti.
 
"Castrovillari" alla manifestazione nazionale "BERGAMOFIL 2023".

I due punti aggiuntivi di Bergamo - un'enormità, ti assicuro, nella logica delle esposizioni - sono sicuramente dovuti a una revisione generale dell'impianto della collezione, alla presenza di lettere inviate oltre i confini del territorio borbonico, e soprattutto all’inserimento di diversi pezzi pregiati.
 
- Il richiamo ai "pezzi pregiati" mi fa ricordare la mia prima recensione di "Castrovillari", nel 2019: ne parlavo come di una collezione "semplice, fresca", dove magari non erano presenti grandi rarità, e tuttavia "col fascino particolare delle collezioni costruite con amore e scelte accurate". Da allora, però, la Collezione ne ha fatta di strada. Rimane un insieme "semplice, fresco, carico di storia", e ora anche "pesante", sul piano filatelico. 
 
E' stata una gioia aver avuto la possibilità di far scalare diverse marce a "Castrovillari".

Penso ad esempio all'unica Crocetta giunta a Castrovillari. Sapevo che riposava nella collezione del Professor Imperato, e quando la Bolaffi ha reso noto che ne avrebbe curato la dispersione, mi sono "preparato" ad affrontare l'asta.

Essermela aggiudicata mi ha dato una felicità che ogni collezionista può ben immaginare, amplificata dalla lunga attesa che ho dovuto sopportare, ma la sua acquisizione va ben oltre la soddisfazione personale, perché è un pezzo che ha cambiato l'ordine di grandezza di "Castrovillari", sino a quel momento monca di una testimonianza del periodo della Dittatura e della Luogotenenza.
 

E sono orgoglioso che abbia fatto parte di "Castrovillari" un pezzo unico, e per molti versi inedito delle Province Napoletane, anch'esso appartenuto al Professor Imperato, al punto da non averlo mai esposto pubblicamente: una lettera partita da Castrovillari che reca il bollo "Interno" come annullatore dei francobolli, l'unico caso noto, che è quindi da considerarsi - seppur non ancora catalogato - il più raro annullo delle Province Napoletane.
 
 
- E chi ti ferma più, a questo punto?

Io stesso. Perché a un certo punto bisognerà pur fermarsi, non trovi?

- Stai dicendo che l'esperienza espositiva di "Castrovillari" finisci qui?

"Castrovillari" è nata against the gods, against the odds.

Nella fase embrionale, quando la collezione esisteva solo nella mia testa, chiesi dei consigli a un illustre collezionista di "Napoli" nonché perito specializzato nella filatelia borbonica. Mi disse chiaramente che la mia collezione - che ancora materialmente neppure esisteva - non avrebbe mai potuto aspirare alla "Medaglia d'Oro", a causa della ristrettezza del territorio di riferimento. Lo fece aprioristicamente, senza nemmeno visionare l'impianto che gli avevo sottoposto all'attenzione.

- Come a dire che la limitazione territoriale diventa automaticamente una limitazione all'importanza della collezione, una zavorra ineliminabile in uno dei profili valutativi in sede espositiva.

Esatto. Ma io andai comunque avanti per la mia strada, spinto dalla passione e dalla voglia di raggiungere i miei obiettivi.

- I fatti ti hanno dato ragione. 
 
In parte. Già ad "APPIIPHIL 2018", a conclusione della manifestazione, alcuni giurati mi avevano ribadito il concetto di fondo che hai richiamato tu: la limitazione territoriale si sarebbe sempre tradotta in una limitazione di importanza filatelica, avrebbe sempre costituito un limite strutturale alla valutazione della collezione.

- Ma estendere "Castrovillari" avrebbe significato snaturarla: non sarebbe più stata "Castrovillari", banalmente.

E proprio per ciò ho deciso di mettere un punto alla mia esperienza espositiva: "Castrovillari" ha raggiunto il massimo del punteggio che poteva raggiungere in ogni area valutativa -  "importanza", "svolgimento", "conoscenze, studio e ricerca", "rarità", "presentazione" - oltre non può proprio andare, e bisogna solo prenderne atto.

Quindi devo considerare conclusa la mia esperienza espositiva, per ovvi motivi logici, anche se con un inevitabile velo di malinconia.
 
La scalata di "Castrovillari", più forte degli dèi, contro ogni probabilità:
i 16 fogli di "APPIIPHIL 2018" totalizzano 83 punti, corrispondenti al "Vermeil Grande" (VG);
ad "AICPM.NET 2020" i fogli sono saliti a 60, e totalizzano 86 punti, conseguendo un "Oro" (O);
a "BERGAMOFIL 2023" è ancora una volta "Oro", ma il punteggio è salito a 88.

- Ho sempre percepito la collezione come una realtà dinamica, anche quando apparentemente immobile. Può accadere di non acquistare nulla per anni, perché nulla di ciò che il mercato offre è strumentale a farla progredire, e tuttavia avere la testa affollata di pensieri su questo o quel pezzo, che, semmai si presentasse, dovrebbe essere assolutamente acquisito, e magari imporrebbe una rivisitazione delle pagine. La dinamicità è più un fatto interiore, rispetto al quale gli eventi esterni costituiscono uno stimolo. Mi chiedo quindi quali siano le conseguenze pratiche della conclusione dell'avventura espositiva di "Castrovillari", venendo a mancare, appunto, un incentivo alla dinamicità.  

Lasciami usare le belle parole di Nino Aquila, in occasione della dispersione della sua "Sicilia", da Bolaffi, nel 2011: "ho messo insieme una collezione che ho amato profondamente e dalla quale mi separo per motivi razionali, ma con grande emozione".

Io ho sposato la stessa tesi, calzandola ovviamente al mio caso.

- Quindi hai in programma di smontare "Castrovillari", di disperderla?

Non si tratterà della vendita di tutti i pezzi, e dunque della "fine di un amore". 

Coglierò piuttosto l'occasione per reinventarla in modo più libero, se possibile più intimo e introspettivo, avendo sempre a riferimento le grandi collezioni del passato.

- Alcuni pezzi però li venderai, giusto?

Molti pezzi sono già confluiti negli album di altri collezionisti, alcuni peraltro amici.

Ho infatti la convinzione - tra l'altro parecchio diffusa - che la dismissione di una collezione non si debba mai demandare agli eredi, ma vada gestita e controllata dal collezionista stesso.
 
- Il vero collezionista - insomma - deve sopravvive alla sua collezione, magari con la precisione chirurgica di Nino Aquila, che ha mandato in asta la sua "Sicilia" due anni prima di lasciarci, come se avesse intuito che da lì a poco sarebbe arrivato il suo momento.

Sì, esatto.

Quel che posso dirti, in base alla mia esperienza, è che la gestione diretta della dispersione è un'operazione che richiede pazienza e determinazione.

E se è vero che ci si ritrova in un vortice di sentimenti contrapposti, di sicuro non c'è mai alcun rimpianto. La malinconia che ti assale nel privarti di un pezzo, magari ricercato per anni, viene superata dalla soddisfazione della vendita. L'amarezza del passaggio di un pezzo a un collezionista "ignoto" è superata dalla contentezza, dalla consolazione, nel caso in cui il passaggio avvenga a un collezionista "amico", che saprà capirlo, custodirlo, amarlo proprio come hai fatto tu.

Bisogna pensare - in fondo - che i pezzi non si possiedono mai completamente, ma semplicemente si custodiscono e si tramandano.

- D'altra parte, il celeberrimo caso di Philippe de La Renotière von Ferrary ci mette in guardia contro un'ingenuità tanto più grande quanto più dettagliate sono le disposizioni impartite a soggetti terzi sulla gestione della propria collezione.

Non foss'altro perché - alla fine - cosa ne sappiamo di quel che sarà la filatelia tra dieci, venti o trent'anni? Se ci saranno dei nuovi appassionati e come saranno fatti questi immaginari collezionisti del futuro; come funzionerà il mercato, da quali tendenze sarà pilotato, e quali gusti e interessi dovrà assecondare; alcuni pezzi - magari - si riveleranno investimenti redditizi; su molti altri - probabilmente la maggioranza - si pagherà lo scotto di costi di intermediazione magari ancora più elevati degli attuali; chissà se ci sarà qualcuno in grado di capire certi oggetti - lasciami dire, di sentirli - come li capiamo e li sentiamo noi, oggi; se spiriti affini si parleranno come stiamo chiacchierando noi, adesso. 

Quel che conta è il presente, l'oggi, il qui e ora. E che ognuno si diverta sprigionando tutte le emozioni possibili, su ogni versante possibile, assecondando il proprio istinto, il proprio cuore.
  
- Di regola, quando si chiude un capitolo della propria vista, se ne stila un bilancio. Qual è, alla fine di giochi, la tua opinione sul mondo delle esposizioni filateliche?
 
Penso sia utile rimarcare la bontà delle esperienze espositive, rivolgendosi in particolare ai collezionisti "giovani" come me, col desidero di mettersi in gioco attraverso la competizione, o che semplicemente vogliono vivere un’esperienza diversa, e però non trovano il coraggio necessario per compiere il passo decisivo.
 
Esporre significa sottomettersi volontariamente a regole precise e spesso diverse - a volte spettacolarmente diverse - da quelle che il collezionista si auto-conferisce in ambito privato. Se da un lato, sulle prime, si può avere la sensazione di un'insopportabile privazione di libertà, ben presto si capisce che è proprio quella limitazione a spingere verso uno sviluppo ordinato della propria collezione, a incentivare lo studio mirato del settore di riferimento, sia esso la Storia postale - come nel mio caso - la filatelia tradizionale o tematica.

Quando si espone ci si colloca in una dimensione pubblica, ci si sottopone al giudizio - distaccato e oggettivo - di una commissione di esperti, sulla base di parametri valutativi dichiarati. Serve quindi conoscere perfettamente le regole del gioco, per scegliere il giusto tema e i conseguenti giusti pezzi. Bisogna rappresentare la collezione nel modo migliore per valorizzare i pezzi, e fornire ai giurati le informazioni adeguate col giusto livello di dettaglio, evitando la sovrabbondanza, che spesso degenera in una generalità inespressiva, ma anche quell'eccesso di specialismo che può essere compreso solo dall'espositore stesso.

Solo per fare l'esempio più semplice, una collezione che gareggiasse nella categoria di Storia postale non potrebbe accogliere dei francobolli nuovi, a differenza di una in Filatelia tradizionale; e gli stessi usati sciolti andrebbero selezionati con criteri più rigidi del normale.

Ad "APPIIPHIL", ad esempio, mi fu contestata l'impostazione del foglio 7, in cui presentavo un francobollo sciolto e un frammento i cui svolazzi annullatori non erano di pertinenza di Castrovillari, tanto che poi ho sostituito quel frammento con uno con lo svolazzo di Castrovillari.
 
Alla vostra sinistra: l'esemplare sciolto del 2 grana presentato ad "APPIIPHIL 2018",
 con un annullo "a svolazzo" di cui rimane dubbia la riconducibilità all'Officina di Castrovillari.
Alla vostra destra: il frammento che ha sostituito l'esemplare sciolto a "BERGAMOFIL 2023",
sicuramente usato a Castrovillari il 29 dicembre 21860, come testimonia il timbro circolare,
e con lo "svolazzo" capovolto, nella tipica apposizione dell'officina postale di Castrovillari.
 
 - Non sembrano limitazioni da poco per chi - come me - è stato allevato nel grembo di "Scilla e Cariddi", una collezione che tra le righe introduce lo standard "sciolto-frammento-lettera" per la composizione della singola pagina.

"Scilla e Cariddi" è stata una musa ispiratrice anche per me: è una collezione insuperabile per logica di costruzione, bellezza dei pezzi e tecnica di montaggio, che però ciascun collezionista dovrebbe riadattare alle sue esigenze.

Io, ad esempio, ho imparato a sfruttare a mio vantaggio la limitazione imposta dalle norme espositive, con un espediente semplice, ma risolutivo: l'introduzione di frammenti col bollo della località di partenza.

Anche perché - se non si mantiene viva la fantasia - ci si può scoprire schiavi delle regole, si rischia di appiattire la collezione su un rispetto puramente formale delle norme espositive, di creare fogli piatti e monotoni, e in definitiva di ritrovarsi con una costruzione anche molto diversa da quella che si sarebbe voluta creare privatamente, magari ispirati dal desiderio di replicare - a modo proprio - le grandi collezioni del passato.
 
Per parte mia, ho sempre tentato di impostare i fogli nel modo più variegato possibile, con l'inserimento, seppur contenuto, di francobolli e frammenti chiaramente riconducibili a Castrovillari, e poi di carte geografiche, immagini evocative, e riproduzione di bolli e segni postali.
 

- Gli oggetti postali sono "freddi e sublimi", per dirlo con Alberto Bolaffi, e sono poi i collezionisti a dargli un'anima. Perché alla fine, dietro lettere e francobolli, noi troviamo sempre le singole persone, con i loro pregi e difetti. Come ti sei trovano sul piano umano, nell'ambiente espositivo? In fondo è pur sempre una competizione, un "mors tua vita mea", o no?
 
Dipende da come si vive la competizione.

Le esposizioni - per me - rimangono un luogo magico. In quei giorni si è immersi in una dimensione fantastica, si respira un'atmosfera incantata, come dentro un film con una sceneggiatura scritta a misura di collezionista.
 
Si ha l'opportunità di incontrare altri appassionati come te, con cui scambiare idee e magari stringere amicizia: conservo un piacevole ricordo di ogni mia conoscenza, per quanto a volte limitata al poco tempo a disposizione.
 
E poi c'è l'emozione in attesa del verdetto, la pubblicazione delle valutazioni, il confronto con i giurati per qualificare i numeri e capire quel che si è fatto di buono, cosa non rifare la prossima volta, e dove si può migliorare.

- Stai raccontando un mondo da favola, ma in ogni favola c'è sempre un lupo cattivo, una strega o un orco. Qual è il "dark side of the moon" delle esposizioni?

Il maggior rischio - a mio giudizio - è che avvenga un'inversione di valori, superati certi livelli.

- Cosa intendi per "inversione di valori"? 

Che l'obiettivo del collezionista diventi esclusivamente la conquista di un punteggio più alto e sempre più alto, al quale vengono asservite le proprie scelte, anche a costo di far venir meno quella dimensione emozionale, strettamente privata, che rimane la linfa di ogni collezione.

Persino il Professor Saverio Imperato, il collezionista più medagliato della storia, ricordava a tutti che "uno deve fare la collezione per gusto", e io mi sento di precisare per proprio gusto, per la propria intima soddisfazione, prima di tutto e sopra a tutto.

- Sembra uno slittamento di significato piuttosto pernicioso. Puoi essere più preciso su questo ribaltamento di valori? Come si manifesta, in concreto?

Il punto è questo: il punteggio conseguito in una manifestazione non può mai essere considerato acquisito una volta per tutte, ma deve essere per così dire continuamente consolidato; in pratica, la collezione viene penalizzata, se non progredisce da un'esposizione all'altra, ma la progressione di una collezione - l'autentica progressione, intendo - non è pianificabile, perché dipende da ciò che offre il mercato, e se il mercato non propone nulla di valido, allora c'è poco da fare; e tuttavia, sapendo che da lì a uno o due anni la collezione dovrà essere nuovamente esposta, il collezionista può essere tentato di vedere un "plus" nei pezzi disponibili sul mercato, che hanno il solo pregio di poter essere acquistati e - forse - di poter soddisfare i giurati; la collezione viene così sbalestrata dal suo asse portante, e si innesca una spirale che può diventare distruttiva.
 
E permettimi ancora un'osservazione, per palesare un fatto semplice, forse ovvio, ma spesso sottaciuto.
 
- Prego.

Mi sono sentito ripetere continuamente che "Castrovillari" non avrebbe mai potuto conseguire determinati riconoscimenti perché - appunto - territorialmente limitata.

Però mi chiedo: cosa sarebbe successo se da Castrovillari fosse partita la più alta affrancatura nota con dei multipli del 50 grana, o se vi fosse stata - visto che stiamo fantasticando - una bella fascetta con una "Trinacria primo giorno", e io avessi avuto accesso a questi immaginifici pezzi? La cosiddetta "importanza" della mia collezione sarebbe stata ancora strutturalmente limitata dalla sua geografia? 
 
- Da Castrovillari non sarà mai partita una "Trinacria primo giorno" o una lettera con multipli del 50 grana, però intorno a Castrovillari girano tante curiose rarità.

Non so di cosa parli, a dire il vero.

- Sì che lo sai. Tu stesso ti sei cautelato con il condizionale, nel presentare la "primo giorno" postalizzata a Castrovillari e l'ultima "mista risorgimentale". Perché in effetti si tratta di oggetti da decifrare, a cui - per mettere ulteriore pepe - si potrebbe aggiungere la presunta prima data d'uso degli "svolazzi" (con ben due settimane di anticipo rispetto alla "data ufficiale" dell'11 agosto 1860) e una singolare mista risorgimentale con ben due Trinacrie accoppiate a francobolli borbonici (che occupava niente meno che la copertina di uno dei cataloghi della Phillips, nelle famose vendite della Collezione "Alphonse", e firmata dal più noto perito filatelico dell'epoca).
 
Li conosco molto bene. Cosa vuoi che ti dica?
 
Il mercato filatelico è un luogo seducente, dove è meraviglioso perdersi. C'è un'attrazione per ogni gusto: alcuni oggetti sono belli, altri brutti, alcuni interessanti e molti insignificanti; se ne trovano alcuni che godono di una meritata popolarità, e altri che meriterebbero attenzione ma passano in sordina; e poi ce ne sono altri ancora che vengono sospinti da chi governa la giostra, sapendo bene come si comporteranno gli avventori, cosa cercheranno per divertirsi, eccitarsi e così via.
 
Anche i desideri - a ben vedere - possono essere indotti. 
 
La (presunta) prima data d'uso dello svolazzo.
La lettera è stata offerta nel catalogo n. 93 della Ditta Vaccari,
con l'indicazione "P.a.R." (Prezzo a Richiesta).
Ha trovato un acquirente, in base a quanto dichiarato dalla stessa Vaccari.
 
 

 Una lettera che - se fosse genuina - sarebbe l'equivalente di un terno al lotto.
Cosa ci fa un annullato "in cartella" su una lettera del 16 gennaio 1861,
quando dall'agosto del 1860, per le province del Regno, erano in uso gli "svolazzi"
E cosa ci fa una Trinacria - anzi ben due! - ancora in circolo nel gennaio del 1861,
quando già nel dicembre del 1860 il suo utilizzo andava a esaurirsi, per il subentrare della Crocetta?
E poi - sebbene la cosa possa apparire marginale - perché una Trinacria è dritta e l'altra è coricata?
E ancora: come dobbiamo interpretare quegli annulli non passanti?
E perché la lettera non è censita Catalogo Bolaffi delle "Miste del Risorgimento" pubblicato nel 1991,
quando l'asta della Phillips - dove la lettera rimase invenduta - fu battuta nel 1988?

- Caveat emptor! 

Sì, appunto: la filatelia  - soprattutto degli Antichi Stati - è un mondo strutturalmente complesso, e con la sua complessità bisogna imparare a convivere.
 
Bisogna rimanere allerta, non abbassare mai la guardia: serve prestare attenzione a ogni acquisto, anche ai più semplici ed economici, proprio per sviluppare quell'attitudine critica che sarà necessaria di fronte ad acquisizioni più problematiche o controverse, o comunque economicamente impegnative; serve abituarsi a visionare gli oggetti dal vivo, ogni volta che è possibile; avvalersi di periti di fiducia, per avere un'opinione terza qualificata; e rapportarsi solo a case d’asta o commercianti di alta reputazione, che abbiano dato prova ripetuta di affidabilità e correttezza.
 
Eppure, anche tutto ciò può ancora non bastare, non essere sufficiente, perché la complessità del mondo filatelico è incomprimibile e dietro ogni angolo può esserci un'insidia.
 
Capisco che detto così può sembrare uno stress, ma in realtà è una componente del gioco, che per molti versi può insegnare ad auto-disciplinarsi in tutte le cose della vita.
 
- Il collezionismo - citando ancora Balzac - "tramuta l'uomo d'affari in un ingenuo credente, e fa sembrare un prodigio di accortezza il villico con la sua pignatta al piede dell'arcobaleno". A ogni modo l'argomento è scivoloso e non voglio certo metterti in imbarazzo, quindi non insisto. Per tornare a cose più leggere, puoi dirci qualcosa sul curioso posizionamento dello svolazzo di Castrovillari, sempre rovesciato rispetto al francobollo? Sei mai riuscito a capirne la ragione? 
 
Non ho mai trovato nessun supporto documentale che potesse, non dico spiegarlo, ma anche solo legittimare una congettura.

Bisognerebbe, qui davvero, prendere una macchina del tempo, tornare al 1858 e interrogare l'impiegato postale.

Chissà, forse si sentiva più sicuro con questa apposizione anomala, magari pensava così lo "svolazzo" colpisse meglio il francobollo o venisse impresso nella sua totalità, o forse - chi può dirlo? - era il suo personale atto di ribellione contro la dinastia borbonica, come si dice talvolta degli annulli siciliani "a ferro di cavallo" apposti al contrario per "fare le corna" a Re Ferdinando.

Mah! Vai a sapere...

Comunque rimane un aspetto folkloristico che dà un tratto distintivo a Castrovillari, di esclusività, perché non si riscontra in nessun'altra Officina. 
 

- "Castrovillari" è ormai consegnata alla storia: tutti possono ammirarla, dalla versione iniziale alla forma attuale e definitiva, per riflettere e imparare, o anche solo per godersela. Rimangono però pubblicazioni on-line, e per quanto simo abituati alla fruizione virtuale, il caro, vecchio libro stampato sembra ancora preferito dai più, e sicuramente preserva intatto il suo fascino. Hai mai pensato a una pubblicazione classica, a un libro vero e proprio che documenti la tua collezione? 
 
Ho in cantiere la realizzazione di un piccolo libro sulla Storia postale di Castrovillari, anche se gli impegni attuali ne complicano la stesura e al momento non vedo una data precisa per l'ultimazione del progetto.
 
Però rimane un mio sogno, che spero davvero di poter realizzare.

- Parli di impegni e ritornano allora le parole di Ayn Rand: "la filatelia è un hobby per persone impegnate", che però impegnate lo sono su tutti i fronti, a 360 gradi. Rimane spazio - tra gli impegni della vita -  per altri interessi oltre la filatelia?
 
Da tempo pulsa in me una passione gli orologi meccanici: sono oggetti speciali, dotati di un "cuore" che li fa muovere e gli conferisce una "vitalità" loro propria; e tu devi "nutrirli", caricandoli (i manuali) o muovendo il tuo polso (gli automatici) con un gesto quotidiano che ti accompagna per la vita, e può diventare lo spunto per tramandare la stessa passione ai figli; e poi l'orologio lo porti sempre con te, fa parte di te, lo senti battere, lo puoi contemplare, toccare, sfiorare.
 
- Sembrano oggetti parecchio diversi dai francobolli.

Meno di quanto possa apparire, credimi: entrambi - orologi e i francobolli - sono un'espressione dell'ingegno e dell'estro dell'uomo e si possono collezionare con tante modalità diverse.

C'è chi semplicemente accumula e chi lo fa in modo sapiente; c'è chi si indirizza verso una sola tipologia e la declina in tutte le sue varianti; c'è chi lo fa solo per investimento, chi solo per passione; chi per entrambi.

Ci sono - in entrambi i settori - grandi collezionisti, grandi esperti e studiosi, e inevitabilmente anche grandi pericoli.
 
- Ma quindi hai pure una collezione di orologi?
 
No, non li colleziono. Però mi incuriosiscono e mi appassionano da tutti i punti di vista: finitura, calibri, movimenti, tiratura, anni di produzione, meccanica.
 
Trovo affascinante, ad esempio, la storia delle Maisons, l'evoluzione delle forme delle casse degli orologi, la complessità della meccanica interna, la grafica dei quadranti, l'accostamento a importanti avventure della storia umana.
 
Potrò sembrare enfatico - lo riconosco - ma per me alcuni orologi, così come certi oggetti filatelici, sono autentiche opere d'arte, oggetti dotati di un'anima, e questo elemento comune è uno dei motivi che me li ha fatti amare entrambi.
 
Il "cuore pulsante" di un orologio meccanico di fine anni '60,
con movimento cronografico Valjoux.
 
- Non li collezioni, però dal trasporto con cui ne parli, scommetto che vi è almeno un orologio che popola i tuoi sogni.

Il mio Sacro Graal è il Rolex Daytona cosiddetto "Paul Newman", così soprannominato perché indossato dalla star hollywoodiana: è il più bel orologio mai realizzato, un "panda dial" prodotto in pochi esemplari, sul finire degli anni 60, con un'esotica grafica del quadrante, bicromatica a contrasti.
 

 
- Se anche per gli orologi vale ciò che avviene in filatelia quando un francobollo prende il nome del suo proprietario - come il "3 lire Rothschild", il " 3 lire Farouk", il "3 lire Champions" - c'è da presumere che il suo prezzo sia inarrivabile per i più.
 
Il costo di un "Paul Newman" oscilla tra le centinaia di migliaia e i milioni di euro.

I collezionisti lo ricercano anche con le sue varianti - colori e piccoli dettagli della grafica del quadrante, cassa in oro, e così via - un po' come i francobolli, se ci pensi.
 
 
Quello che è effettivamente appartenuto all'attore americano è stato venduto all'asta Phillips del 27 ottobre 2017 per la cifra stratosferica di 17,8 milioni di dollari.

 
 
 
Il video dell'asta Philipps del Daytona Rolex "Paul Newman" Ref. 6239.
Al minuto 2.05 il banditore annuncia un'offerta di 1 milione di dollari sul proprio registro.
La prima controfferta telefonica arriva cinque secondi dopo: 10 milioni di dollari!
Uno dei commenti al video fotografa perfettamente la dinamica: 
l'offerta di 10 milioni è stata formulata da una persona seria
("The ten million bid was a super power move")
che a colpi di pale ha allontanato i contadinotti ingenui
("to remove the peasants with paddles")
che speravano di pagare tra i 2 e i 6 milioni
("who were hoping to pay 2 to 6 million").
 
- Qui però non si parla più di pezzi "inarrivabili", per riprendere la tua espressione sugli oggetti filatelici; qui siamo proprio oltre le stesse capacità immaginative.

Sì, se guardiamo solo ed esclusivamente al prezzo, che chiaramente si colloca su un ordine di grandezza che inibisce persino di sognare.
 
Però la questione ha alcune sfumature che la rendono interessante anche per i comuni mortali, per i normali collezionisti.
 
- Perdonami, ma 17,8 milioni di dollari non mi sembra che lascino tanto spazio a sfumature, dettagli o distinguo: sono 17,8 milioni, punto e basta.
 
Permettimi di spiegare.

- Ci mancherebbe!
 
Io non ho 17 milioni di euro né 1,7 milioni, e a dirla tutta neppure 170 mila euro e neanche 17 mila, da spendere per un orologio.
 
Ma posso ancora spendere una cifra alla mia portata per un orologio in cui riecheggiano tutte le principali caratteristiche tecniche di un "Paul Newman": posso acquistare un orologio di fine anni '60, con un quadrante prodotto dalla stessa fabbrica che produceva i quadranti dei Rolex, e con movimenti identici a un Rolex perché determinati dallo stesso produttore che all'epoca serviva la Rolex.
 
La parola chiave è in proporzione: mantenere la stessa realtà di base, riportandola però su una scala ridotta, compatibile con le proprie possibilità economiche.
 
- Così ti seguo, sì: quando non si ha la possibilità di costruire una "Scilla e Cariddi", quando non si dispone della potenza di fuoco di un Bernardo Naddei, ci si può ancora riferire ai migliori esempi disponibili e realizzarne un calco "su misura", in ragione delle proprie possibilità. Guardiamo a un singolo oggetto, per rendere immediatamente l'idea: in pochi possono permettersi un francobollo del Lombardo-Veneto con una "Croce di Sant'Andrea" completa, ma tutti possono ancora acquistarne uno che mostra tanti millimetri di croce quanti sono i suoi denari a disposizione.
 
Possiamo anche intenderla così, se vuoi, per essere massimamente chiari; e può anche essere una visione corretta, che trovo però limitativa. Perché io parlo proprio di riprodurre la stessa realtà su scala ridotta, mentre il tuo esempio della "Croce di Sant'Andrea" rischia di trasmettere l'idea di doversi accontentare di una realtà mutilata, che non è ciò che io intendo.
 
Anche perché in filatelia - a differenza degli orologi - si potrebbe persino avere la possibilità di sovra-perfomare l'equivalente di un "Paul Newman" originale.
 
- E ora, di nuovo, non ti seguo più: sovra-performare significa "fare meglio", "superare", e come si può andare oltre l'originale, che per definizione è in scala 1:1, e di cui un collezionista può dare solo approssimazioni inferiori?
 
Immagina di voler inserire in collezione una lettera con francobolli borbonici indirizzata "alle Sacri Mani di Sua Maestà Re Ferdinando II", perché magari la tua collezione dà enfasi alla dimensione storica degli oggetti postali, e il destinatario di una lettera ha perciò - per te - grande rilevanza.
 
- Sul magnifico intreccio tra Storia e Filatelia, non sfondi una porta aperta, ma un portone già spalancato, per quel che mi riguarda.
  
Perfetto. Però c'è un problema: i francobolli borbonici sono stati emessi nel gennaio 1858 e Re Ferdinando II è morto il 22 maggio 1859. Quante lettere potranno mai esserci indirizzate "alle Sacre Mani di Sua Maestà", in un periodo così breve? Poche, e magari si tratta di semplici "sopra-coperte", senza testo interno. E però quelle poche lettere costano comunque parecchio, perché magari corrispondono a tariffe elevate realizzate con affrancature multi-valore.
 
- Già. Ma alla fine si può collezionare solo "ciò che esiste", e non "ciò che si vorrebbe esistesse, ma non c'è". Altrimenti - come pare ironizzasse Renato Mondolfo davanti alle lagnanze degli insoddisfatti cronici - prendi pure la macchina del tempo e costruisciti da te gli oggetti come meglio ti aggrada.
 
Precisamente: si colleziona solo ciò che esiste, e sicuramente - per un semplice fatto statistico - esisteranno molte più lettere indirizzate "alle Sacre Mani di Sua Maestà" in periodo prefilatelico.

Il periodo che va dall'8 novembre 1830 (la salita al trono di Ferdinando) all'1 gennaio 1858 (data di emissione dei francobolli borbonici) è venti volte più esteso del periodo che va dall'1 gennaio 1858 al 22 maggio 1859.

Sarà o no più facile rintracciare questa agognata lettera "alle Sacri Mani di Sua Maestà"? 
 
- Ed essendo più facile da reperire, sarà anche meno costosa.
 
 "Meno costosa" suona male, la fa sembrare "meno pregiata", e non è così. Diciamolo bene, con un'intonazione positiva: sarà alla tua portata, potrai inserirla in collezione, e magari chiudere una pagina.

E se sei fortunato - e la statistica è dalla tua parte - riuscirai a trovarla completa di testo: saprai chi stava scrivendo a Re Ferdinando e perché; potrai così documentare qualcosa che ti era precluso dalla lettera affrancata.
 
Siamo allora ancora così sicuri che una lettera affrancata valga di più di una prefilatelica?
 
Sì, certo, vale di più dal punto di vista economico, perché serve una maggior quantità di denaro per acquistarla, ma non è forse vero che la prefilatelica "parla meglio" all'interno della collezione, e che quindi il suo valore squisitamente filatelico è superiore?
 
Ovviamente, in generale, tra valore economico e valore filatelico c'è una correlazione positiva, ma una correlazione positiva è solo una relazione statistica che ti dice come vanno le cose "in media"; e tutta l'abilità sta nel capire cosa succede "fuori dalla media", perché è proprio lì - al di fuori da ciò che ci si aspetta - che si trovano quelle sorprese capaci di far progredire la propria collezione, spesso al di là delle nostre stesse aspettative.

- "Si sa che la gente da buoni consigli, se non può più dare il cattivo esempio", cantava De André. Di cattivi esempi, in filatelia, ve ne sono fin troppi; e di consigli, spesso interessanti, se ne sentono di continuo. Ma da questa tua finezza di ragionamento c'è davvero da imparare tanto. Volendo fare un passo indietro, per riacquistare una visione più ampia, quali suggerimenti generali ti senti di dare a chi volesse addentrarsi in questo mondo o a chi è appena entrato e magari si sente sperduto?

A un neofita, in primis, suggerirei di costruirsi una sua piccola biblioteca con i testi fondamentali, da studiare, senz'altro, ma soprattutto da intendere come manuali da consultare a ogni momento, per rinfrescare un argomento, chiarirsi un dubbio, avviare un approfondimento.
 
Non dovrebbe però limitarsi ai "testi sacri". Ogni canale informativo è potenzialmente valido - ci sono ad esempio parecchie risorse on-line - purché ogni fonte sia approcciata con un vigile senso critico, per capire cosa possa effettivamente restituire in termini di conoscenza aggiuntiva, non reperibile sui riferimenti più ortodossi.
 
- Bisogna "settare la scena", si direbbe in scrittura. Questo è il primo passo, parziale e preliminare, rispetto alla costruzione della collezione. Poi cosa viene?  
 
Consiglierei di chiarirsi quanto prima l'obiettivo da raggiungere, e di costruirsi un accurato database del materiale esistente, relativo al proprio campo di interesse. Si potrà così sapere cosa esiste realmente, quali sono gli oggetti effettivi potenzialmente a disposizione per la collezione. E poi si dovrà partizionare l'insieme in due classi: i pezzi raggiungibili da un lato, quelli fuori portata dall'altro.
 
Serviranno buon senso e intelligenza collezionistica, per non lasciarsi sfuggire quelli della prima categoria, soprattutto se contribuiscono alla firmitas della collezione, e al contempo bisognerà disciplinarsi per non superare i propri limiti, pur di raggiungere quelli della seconda categoria.

- Sì, d'accordo, in linea di principio è così; ma come si fa in pratica a tracciare una linea di demarcazione? Spesso si viene risucchiati da una "cattiva infinità": se posso spendere 1.000, allora posso anche arrivare a 1.001 pur di non perdere il pezzo desiderato, e se posso spendere 1001 vuol dire che anche 1002 è un costo accessibile, e allora lo sono anche 1.003 e 1.004, e "la mattina successiva al monte dei pegni non fa parte di questa storia", con la drammatica immagine di Walter Benjamin.

Proprio per ciò ho parlato di buon senso e intelligenza collezionistica, che non sono parametri codificabili, ma rinviano alla capacità del domino di sé, di preservare il proprio equilibrio interiore.

E' fondamentale, ad esempio, mantenere una visione di lungo termine, non finalizzare mai l'acquisto all'immediata e fatua sensazione di appagamento per la vittoria in un'asta. 

- Ancora una volta annoto una coincidenza pressoché perfetta con l'opinione di altri grandi collezionisti. "Chi partecipi a un'asta deve tenere in conto [gli oggetti] come i concorrenti nonché mantenere i nervi saldi per non accanirsi nella lotta" - è l'indicazione del solito Walter Benjamin - "Capita spesso di ritrovarsi costretti a un pagamento eccessivo per aver offerto più di tutti, non tanto per acquistare il libro quanto per vincere l'avversario".
 
Vincere sull'avversario - la vittoria di per sé, intendo, decontestualizzata dal resto - è sempre e solo una vittoria di Pirro, sebbene si deve ammettere che possa dare sul momento una forte scarica di adrenalina, a cui è difficile sottrarsi. Ho vissuto la sensazione sulla mia pelle, e so bene cosa si prova.

Però occorre aver sempre chiaro il ruolo del pezzo nella collezione, quanto sia effettivamente funzionale al suo sviluppo, e quale sia la contropartita economica che possiamo mettere sul piatto pur di averlo, e - se possiamo permettercelo - non avere esitazioni nel per portarlo là dove deve stare, nel nostro album, nella nostra collezione.

Sicuramente ci si muove all'interno di un tumulto di sensazioni sfaccettate, spesso agli antipodi.

- Stai tratteggiando un dialogo interiore simile a una conversazione tra due artigiani al banco da lavoro: uno parla, l'altro ascolta, uno fa la sua proposta, l'altro ci riflette, uno agisce, l'altro controlla; e attraverso questa collaborazione si definiscono i problemi, e si suggeriscono, si respingono e si accettano le soluzioni.

Credo sia fondamentale imparare a osservare questa concitata collaborazione "tra artigiani dentro la nostra testa", come dici tu, perché ci fa sentire meno soli e con molte più risorse.
 
Ed è altrettanto importante avere un moderatore, un'ulteriore figura che disciplini il dialogo tra i due artigiani.

- A cosa ti riferisci?
 
Ai cataloghi di vendita del passato, ad esempio, che spesso documentano intere collezioni, e sono uno strumento eccezionale per ricostruire la storia dei pezzi, per conoscerne le caratteristiche.
 
E poi, ovviamente, sarebbe auspicabile un contatto diretto con i collezionisti più esperti, di lungo corso, tra i quali trovare magari una guida fidata, un maestro, che lealmente ci accompagni nel percorso.
 
Rimane il fatto, per appoggiarmi ancora alle parole di Nino Aquila, che "anche i consigli degli esperti vanno accettati con accortezza, e valutando a fondo le proprie opinioni personali, che ovviamente vanno maturando con l'esperienza".
 
Però, se posso, c'è una cosa che terrei particolarmente a dire a un giovane collezionista.

- E' già in ascolto, ne sono sicuro.

Gli direi che incontrerà difficoltà, e certamente andrà incontro a delusioni, che però deve vivere come il banco di prova della propria passione: dalla capacità di superare gli ostacoli e metabolizzare le amarezze dipenderà il successo della sua opera.

Gli direi - in una parola - di perseverare.

- Perseverare! La capacità di tener duro, quando tutto intorno a te - cose, persone, situazioni - ti suggerisce di mollare. A volte, in effetti, si vedono collezionisti smantellare le proprie collezioni,  magari costruite a fatica, con lungo studio e grande amore, proprio per l'incapacità di perserverare. Ne parlava anche Rodolfo Reiner nelle sue "Memorie", per ricordare che non si possono raggiungere risultati significativi senza perseverare: "Noi frattanto, o collettori Italiani, duriamo costanti nel lavoro intrapreso e ricordiamoci che sopra i nostri albums sta scritto - 'perseveranza' ". Nulla al mondo ha il potere della perseveranza, e nulla può prenderne il posto: non il talento né il genio né l'istruzione...

Il film "A good person" non lo conoscevi, ma "The Founder" sì, a quanto pare.

- Diciamo che l'ho visto su consiglio di un amico. Le gioie del collezionismo giustificano e meritano la perseveranza, sicuramente. Ma il collezionismo lascia anche un retrogusto amaro. Alberto Bolaffi raccontava che suo padre - l'inarrivabile Giulio Bolaffi - sentiva di non avere realizzato tutto ciò che voleva; e Renato Mondolfo ammetteva di aver dovuto cedere dei pezzi pregiati, per arrivare a degli oggetti ancora più prestigiosi. Aleggia ovunque un'amarezza di fondo, per quel che poteva essere e non è stato. Perciò ti pongo la domanda più imbarazzante: di là dei riconoscimenti pubblici, dell'escalation dei punteggi acquisiti in campo espositivo, qual è la tua personale valutazione di "Castrovillari"? E voglio la risposta più difficile: quella sincera e crudele. 
 
Non sta a me dire se "Castrovillari"  sia riuscita a emozionare la maggior parte dei suoi osservatori, se i più abbiano percepito la sua anima, la sua essenza, la liaison tra i singoli pezzi e tra le  pagine.

Ma se - come mi auguro - anche altri hanno intravisto quel fil rouge che collega ogni cosa e dona un senso a tutto l'insieme - quel filo rosso che naturalmente vede il collezionista, ma che non si può dar per scontato sia percepito da un osservatore terzo - semmai tutto ciò sia avvento, se davvero si è prodotto questo piccolo miracolo, allora mi sento dire che qualsiasi collezione "X" ha in potenza le stesse possibilità di "Castrovillari".

Ogni collezione realizzata col cuore, la passione, lo studio e la giusta sensibilità consentirà a ciascuno di lasciare una traccia che tenga vivo il ricordo della persona che è stata e di ciò che ha realizzato in questo mondo.
 

Cos'è una collezione? E' un mondo dentro il mondo, da costruire con pazienza, amore e competenza, e da perimetrare con "massima precisione e addirittura spietatezza" - secondo l'indicazione di Georgij Kostakis - consapevoli che la propria impresa "non può avere ragione dell'impossibile".
 
La magia di "Castrovillari" - la sua unicità - è nell'aver realizzato in un sol colpo tutto ciò che è imposto dallo statuto di ogni collezione.
 
E' un trionfo - against the gods, against the odds - che si staglia emblematicamente nella sfaccettata interpretazione del logo della collezione: un corno di posta che richiama la "C" di Castrovillari e di Civale, a fondere idealmente - tra le pagine dell'album - un flusso di vicissitudini esistenziali, di ricordi e passioni.
 
 
"Ciò che mi sta a cuore" - dichiarava Walter Benjamin, in apertura della sua "Conversazione" - "è darvi un'idea del nesso fra un collezionista e la sua raccolta, un'idea del collezionismo", di quel "rapporto con le cose che, slegato dal valore funzionale, le studia e le ama come la scena, il teatro del loro destino", con la sensibilità propria di un collezionista, di chi sa che non sono le cose a vivere in lui, "bensì è lui ad abitare in loro".

La stessa ambizione l'avevamo noi, qui, in questa conversazione con l'architetto Francesco Civale.
 
Spetta a voi stabilire se ci siamo riusciti.

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