PRIMA CONVERSAZIONE SUL COLLEZIONISMO - Filtrare

 
Collezionare vuol dire filtrare.
 
Ogni collezionista filtra, persino il più sprovveduto, perché solo una minima parte del mondo degli oggetti finisce dentro l'album, quindi un filtro è sempre all'opera, che se ne sia o no consapevoli.
 
Ma possiamo giudicare il filtro?

Non solo possiamo, ma anzi dobbiamo giudicarlo, se pensiamo che il collezionismo (filatelico) sia una cosa seria, se vogliamo fare della filatelia una disciplina rigorosa.
 
Rinunciare a giudicare il filtro - in nome di un malinteso diritto alla libertà di collezionare come si vuole - equivale a mettere una chitarra nelle mani di un principiante, e invitarlo a muovere le dita sulle corde come meglio crede, come più desidera, purché si diverta. Cosa volete che accada? Che la chitarra sarà abbandonata, dopo qualche strimpellata.
 
Tutte le cose serie nella vita si fondano sulle regole e sull'abilità di usarle al meglio. Le cose fatte a caso perché sì, assecondando ipotetiche intuizioni senza riflessione, non permettono di scrivere la Divina Commedia né di progettare un impianto a pannelli solari né di salvare vite in sala operatoria. Perché mai dovrebbero consentire di collezionare francobolli?

 
Il filtro - che crea la collezione - si giudica, e lo si giudica dalla sua comunicabilità al pubblico e dalla qualità degli oggetti che restituisce.

Capire la qualità (in filatelia)

Commenti

  1. Partiamo dalle definizioni "da vocabolario".

    "Setacciare": passare al setaccio una sostanza in polvere o in grani per eliminare scorie o per separare le parti più fini da quelle più grosse; in senso figurativo, esaminare minuziosamente, specialmente alla ricerca di qualcosa; vagliare, analizzare.

    "Filtrare": far passare un fluido attraverso un mezzo o diaframma permeabile capace di trattenere le eventuali particelle solide contenute in sospensione; in senso figurativo, sottoporre a una rielaborazione interiore.

    Per dati significati formali, la scelta della parola-chiave sembra indirizzata verso "setacciare".

    La Treccani, tuttavia, tra i signicati figurativi di "filtrare" mette pure "sottoporre ad attenta analisi e valutazione, per separare elementi validi e meno validi", e sebbene la definizione sia riferita a "cose astratte", a esempio a notizie o informazioni, io l'ho trovata particolarmente calzante anche per il nostro caso (riferito ad oggetti, a "cose concrete").

    Pure - vado a memoria, ma non credo di sbagliarmi - in ingegneria si parla di "processi di filtraggio" per separare il segnale dal rumore (o per ricostruire la forma originale di un segnale dopo che è stato sporcato dal rumore) e questo significato tecnico, specialistico, è perfettamente centrato rispetto al nostro tema, e spinge a "ingegnerizzare" il più possibile il processo collezionistico, per sottrarlo all'arbitrio, al capriccio, all'incoerenza.

    Il mondo degli oggetti - come dico nel video - si presenta come un mondo confuso, caotico, disordinato, come un mondo "rumoroso", insomma. Il collezionista deve filtrare questo mondo per depurarlo dai "rumori" e far avvertire così il "segnale" (della collezione) nel modo più nitido possibile (e il filtro bisogna costruirlo, metterlo a punto, perfezionarlo di continuo).

    Queste sono le ragioni che mi hanno indotto a preferire la parola "filtrare"; ma, come dicevo, se è vero che le parole-chiave sono importanti, bisogna evitare di trasformarle in dei feticci; l'attenzione va prima di tutto rivolta ai ragionamenti sottostanti alle parole-chiave, e solo dopo aver compreso i ragionamenti si potrà - per comodità e immediatezza - veicolarli attraverso l'uso di singole parole che ne forniscono la sintesi estrema.

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  2. Guardate che belle queste parole di Edward Knoblock, come fotografano nitidamente la figura del collezionista, di chi filtra il mondo degli oggetti.

    "A forza di pratica riesce a guardare un negozio di antichità dall'altra parte della strada, e notare i pezzi autentici che 'lo chiamano ad alta voce' tra mezzo il ciarpame e le imitazioni. Che soddisfazione redimere un buon oggetto in tutta la sua purezza dalla contaminazione di una compagnia bassa e degradante! ... Io son convinto, fantasie a parte, che i mobili [ma anche i francobolli, le monete, i libri, i quadri, gli orologi ... NdB] si sentono meglio fisicamente e stavo quasi per dire spiritualmente, quando sono collocati nel loro ambiente".

    E poi la celeberrima frase che Balzac fa dire al personaggio del cugino Pons.

    "Perché mai sono andato a cercare un ventaglio in rue de Lappe, nel negozio di un alverniate che vende rame, ferro vecchio, mobili dorati? Io credo all'intelligenza degli oggetti d'arte; essi conoscono gli intenditori, li chiamano, dicono loro: «Ehi, tu!»" (in una traduzione alternativa, il passaggio finale è: "Io credo all'intelligenza degli oggetti d'arte, essi riconoscono l'amatore, lo chiamano, gli fanno: «Pss! Pss!»").

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