IL MAGNIFICO INTRECCIO - I francobolli nella Storia, le storie dei francobolli




                         




                    






                           




                    




                                
"Io sono napoletano, nato tra voi,
non ho respirato un'altra aria,
non ho visto altri paesi,
non conosco altro suolo che il suolo natale.

Tutte le mie affezioni sono nel Regno;
 i vostri costumi sono i miei costumi,
la vostra lingua è la mia lingua,
le vostre ambizioni sono le mie ambizioni"
(Re Francesco II di Borbone, Gaeta, 8 dicembre 1860)
 
L'umanità racconta da sempre le proprie avventure, perché il racconto mette ordine, dà un senso a eventi e personaggi che altrimenti sarebbero un susseguirsi incomprensibile di fatti slegati e figure inerti.

La narrazione giunge a noi attraverso i libri di Storia, ma anche tramite le cose dell'epoca, che reificano il racconto, lo rendono tangibile, e dal racconto acquistano significato e ricevono valore.

Ogni oggetto è piatto e effimero, finché rimane schiacciato nella sua dimensione materiale: un quadro è solo una disposizione di colori su una tela, anche se sotto c'è la firma di Van Gogh; una sinfonia è solo una successione di onde sonore, un mero fenomeno fisico, anche se riposa su uno spartito di Mozart; un monumento è soltanto un pezzo di marmo, anche se a scolpirlo è stato Michelangelo. E' il racconto - la Storia - a conferire spessore e profondità alle cose, a localizzarle nel tempo e nello spazio, e ogni cosa può parlare solo se inserita in una storia, se il suo senso è narrato dentro una storia.

I francobolli degli Antichi Stati Italiani sono oggetti impregnati di Storia e di storie; aprono uno scorcio su luoghi, personaggi e episodi di una fase cruciale della nostra Italia, ricostruiscono gli eventi dell'unità nazionale da una prospettiva privilegiata; sono ineguagliabili cronisti dei fatti di un'epoca, e con i loro stemmi e le effigi, gli annulli e i colori, intrisi di significati politici e sociali, scandiscono l'incalzare di accadimenti avvincenti e drammatici, ne trasmetteno il pathos e lo fanno rivivere.

Collezionare Antichi Stati significa conoscere la storia del francobollo e il francobollo nella storia, addentrarsi nell'incantevole connubio tra le piccole storie dietro i francobolli e la capacità dei francobolli di raccontare la grande Storia in un modo unconventional e unpedantic.

Collezionare Antichi Stati vuol dire scrivere un libro di storia e geografia, di politica, costume e società, ma anche tenere un diario di sentimenti e stati d'animo, per "quell'oscura smania che spinge tanto a mettere insieme una collezione quanto a tenere un diario, cioè il bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate fuori dal flusso continuo di pensieri", con le belle parole di Italo Calvino, pizzicate dalle sue "Collezioni di sabbia".

Mario Robatto, "L'anima dei francobolli - Visser le ninfe vissero e un divino talamo è questo",
articolo pubblicato su un giornale filatelico di Napoli,
e citato da Arturo De Sanctis Mangelli, se pur con sarcasmo,
nella prefazione al volumetto "6 periti e un francobollo", di Gaetano G. Garofalo
(Edizioni del "Bollettino Filatelico Commerciale", Roma, 1934). 

I francobolli di Napoli sono un caso paradigmatico di questo seducente intreccio, di eventi particolari innestati su situazioni generali, di tante piccole storie ambasciatrici della grande Storia.

L'intraprendenza di un architetto di origini svizzere, per ammodernare il servizio postale del Regno, frustrata da usi e costumi a cui non si può certo rimproverare la fretta; l'incarico al Cavalier Masini per la stampa dei primi francobolli, all'improvviso revocato a favore del più economico Gennaro De Masa; i tentativi del Masini di riconquistare la fiducia, con conseguenze imprevedibili e grottesche, degne di un alto pezzo di teatro napoletano; l'azione dei falsari e la reazione delle autorità, in un sofisticato gioco di mosse e contromosse capace di colorare un fenomeno biasimevole di una poesia tutta partenopea; il corporativismo degli editori dei giornali - oggi diremmo la lobby - all'arrivo di Garibaldi; e poi la rocambolesca lotta di potere tra Napoli e Torino, per la primazia sui francobolli del nuovo Re, anch'essa con dinamiche bizzarre e sbocchi inimmaginabili.
 
Sono tutti fatti che ci raccontano un'epoca, tracciano l'identikit dei protagonisti che vi stanno dentro, tessono la trama che li lega, come in un romanzo d'avventura, con la differenza che invece è realtà, più immaginosa di ogni fantasia. E sullo sfondo delle piccole storie c'è la Storia, quella dei libri ufficiali, di cui i francobolli sono esegeti del tutto particolari.

"Gioacchinopoli" è uno dei toponomi dell'attuale Torre Annunziata,
in suo dal 1810 al 1815, sotto il Regno del francese Gioacchino Murat. 



"All'Eccellentissimo Signore
Il Ministro di Stato degli Affari Ecclesiastici della Istruzione Pubblica"



"Alle Sacre Mani di Sua Maestà Ferdinando 2° Re di Napoli"



"Al Signor Commendatore Lodovico Bianchini
Ministro Segretario di Stato degli Affari Interni e della Polinzia Generale"




"Commissione Patriottica Veneziana in Napoli"

Al di qua del Faro, mentre Garibaldi risaliva verso Napoli, la popolazione meridionale continuava a far uso dei francobolli borbonici, e avrebbe proseguito anche dopo l'unità nazionale.
 
I collezionisti di oggi hanno così  l'affascinante possibilità di raccontare la Storia attraverso la posta, con la selezione ragionata di lettere e documenti che recano delle "date simbolo", e a volte persino dei resoconti in tempo reale del trambusto di quei giorni, che mai potrebbe apprezzarsi in modo altrettanto vivido.
 
Sono tutte testimonianze del travaglio di quel periodo, che danno ragione della complessità del momento, ne testimoniano l'inerzia e le contraddizioni, gli restituiscono la drammaticità che gli è propria.

18 agosto 1860:
il giorno precedente lo sbarco di Garibaldi in Calabria,
l'ultimo giorno di vita del Regno di Napoli, dal punto di vista territoriale.



Giornale "L'Omnibus", da Napoli per Monopoli, dell'8 settembre 1860.
con la cronaca dell'entrata in Napoli di Garibaldi, e il testo dei proclami pubblicati per l'occasione.
"Noi non sappiamo donde cominciare, e dove finire"
- esordisce il redattore con emozione e sentimento patriottico -
"Sbalorditi dal sublime evento; oppressi da indivisibile gioia,
non sappiamo far di meglio che conservare l’ordine cronologico delle cose.
Ieri mattina il Ministro dell'Interno signor Liborio Romano riceveva il seguente dispaccio:
'In questo solenne momento vi raccomando l'ordine e la tranquillità,
che si addicono alla dignità di un popolo il quale rientra deciso nella Padronanza de' propri diritti'.
Salerno, 7 settembre 1860, ore 6,30 antemeridiane. Il Dittatore delle Due Sicilie Giuseppe Garibaldi".
Lo stesso giornale contiene la rassegna stampa straniera, che commenta gli avvenimenti; 
e poi il Proclama Reale di Re Francesco II, le comunicazioni del Prefetto di Polizia,
le notizie dagli Antichi Stati Italiani e dalla Francia, Spagna, Impero Austriaco, Gran Bretagna,
e infine gli atti del Governo Provvisorio e le "Ultime Notizie".



Giornale "L'Omnibus", da Napoli, del 22 settembre 1860.
"Mazzini è in Napoli, ma solo per visitare questa meravigliosa città...
per ritornare colla mente alle memorie della civiltà latina fra' ruderi di Pompei ed Ercolano...
Quanto alla sua idea politica, per bella che possa essere e direm quasi platonica,
è però al certo inattuabile nei tempi presenti,
onde il voler tentare di porla in atto riuscirebbe a grave danno e rovina della Patria comune.
La Repubblica non può essere che in paesi
dove la verginità dei costumi o l’incivilimento sono al più alto grado nella popolazione.
In Italia, non parlando nemmeno della verginità dei costumi, l'incivilimento non è certo al suo culmine.
Come è possibile che tanti popoli, appena usciti dall’ugne di tanti tiranni,
possano reggersi a repubblica?".



 La lettera "Cecco Bombino", 
scritta a Napoli l'8 novembre 1860, spedita il 10 e giunta a Cittanuova (Palmi) il 14.

"... pioggia sfuriata, freddo umido ecc. ecc.
I poveri soldati e le Guardie Reali che facevano ala, furono alla lettera inzuppati d'acqua.
Ma comunque piovesse al suo comparire era una scena commovente
vedere un Re d'Italia entrare in Napoli senz'altro corteggio 
che i popolani con i rami d'ulivo intorno al cocchio, e poche guardie a cavallo,
e un agitare di fazzoletti e di bandiere che facevano le signore e signorine dai balconi,
ed un urtarsi, un pigiarsi della folla immensa a piedi, un batter di mani, 
un gridare, un piover di mazzolin di fiori, ecc.:
e Garibaldi seduto accanto al Re, commosso da tanti applausi,
e nello stesso cocchio Mordini e Pallavicino, i due prodittatori.
Ieri sera gran galà in S. Carlo, ma non abbiamo potuto andarci,
perché i biglietti trovansi da due giorni prima esauriti.
Le feste però saran prolungate fino a domenica,
perché l'inetto Municipio (tutti i Municipi sono gli stessi)
non aveva appronto gli apparecchi necessari.
Te ne continuerò in dettaglio in altre mie.
Assicurasi che Farini rimarrà in Napoli come Luogotenente ad organizzarci il governo,
e che il Re abbia intenzione di girare un poco per la Sicilia e pel continente napoletano.
E Cecco Bombino?
Sta rinchiuso ancora in Gaeta, ma credesi che tra pochi altri giorni ne partirà.
Auguriamo tutto il bene possibile e preghiamo Iddio fervidamente
che voglia benedire la grande, insperata, ricostruzione della nazionalità italiana"



Lettera del 9 novembre 1860, primo giorno della Luogotenenza di Luigi Carlo Farini.
"Il Re è a Napoli fin dal dì 7. Grandi feste a Napoli. A Mola di Gaeta grande macello",
riferito alla Battaglia di Mola del 4 novembre.
 
 
 
Lettera assicurata da Caserta per Napoli, indirizzata al "Generale Prodittatore Sig. Sirtoli",
Capo di Stato Maggiore di Garibaldi, da un capitano che chiede clemenza
dopo una condanna di dieci anni di carcere con testo datato nelle prigioni di San Giuseppe:
"sono stato appreso del Dittatore Garibaldi,
e il stesso Dittatore mi fè Capitano quando sbarcò in Sapri reduce dalla Calabria,
sono stato martire della Santa Causa del passato Governo".
 


1 marzo 1861: la nascita delle Poste Italiane, con l'uniformazione delle tariffe postali nel Regno.
Uno dei primi "istituti comuni" auspicati da Re Vittorio Emanuele II,
nel suo primo discorso al Parlamento italiano, il 18 febbraio 1861.
 "Il fatto che [la riforma postale] preceda di oltre due settimane la proclamazione formale del regno"
- annota il celebre filatelico Franco Filanci - 
"è solo indicativo dell'importanza attribuita in quell'epoca alla posta".
Le "nuove" tariffe, in realtà, erano la meccanica estensione delle tariffe del Regno di Sardegna,
e il tecnicismo postale precorre e simboleggia un atteggiamento di più ampio respiro.
 "La formula battesimale allude a Vittorio Emanuele II
e quel 'II' la dice lunga sull'idea che i vincitori hanno dell'Italia: 
non uno Stato nuovo, ma il prolungamento di quello vecchio,
le cui leggi vengono estese in modo automatico alle altre regioni
con conseguenze disastrose soprattutto al Sud"

(Carlo Fruttero e Massimo Gramellini)
 
 
 
17 marzo 1861: l'unità di Italia.
"L'Italia nasce a Torino, di domenica.
Battezzata dalla Camera per acclamazione e dal Senato con due voti contrari,
la creatura viene mostrata in pubblico per la prima volta sulla 'Gazzetta Ufficiale' del 17 marzo 1861
con questa frase: '
Vittorio Emanuele II assume per sé ed i suoi successori il titolo di Re d'Italia'.
I travagli del parto hanno attraversato le guerre d'indipendenza e l'epopea dei Mille
per sfociare nel bombardamento della fortezza di Gaeta, 
dove il Re borbonico ha tentato l'ultima resistenza.
Si è arreso il 13 febbraio, appena in tempo 
per non turnare l'inaugurazione del primo Parlamento italiano,
celebrata cinque giorni dopo nell'aula che l'architetto Peyron 
ha costruito a Torino nel Palazzo Carignano.
 
Vittorio Emanuele vi è giunto fra due ali di folla e squilli di fanfara.
E ha letto ai 443 rappresentati della nuova nazione il discorso preparatogli da Cavour:
'Signori senatori! Signori deputati! L'Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra!'.
Illusioni di gioventù"



30 marzo 1861: uso di francobolli borbonici, in periodo di Regno d'Italia.
  Re ittorio Emanuele II ha accettato il titolo di Re d'Italia, "per sé e per i suoi successori".
Centouno colpi di cannone - nelle principali città - hanno annunciato la proclamazione del Regno,
me nella vita di ogni giorno continuano a rimanere in circolo i simboli borbonici. 

L'arrivo a Napoli di Garibaldi segna l'entrata in scena della Trinacria - con i simboli borbonici intinti nell'azzurro di Casa Savoia - superata di lì a poco dalla Crocetta, che avrebbe dovuto raschiar via un'araldica da ancien régime, senza però riuscirci del tutto.

 
La Trinacria,
"il francobollo che più di ogni altro è assurto a simbolo dell'unificazione risorgimentale italiana",
come si legge nel volume "Capolavori Filatelici della Collezione Pedemonte".
L'esemplare riprodotto è il migliore noto 
e ha una storia straordinaria tanto quanto il suo stato di conservazione.
Rimase sconosciuto agli operatori italiani sino alla metà degli anni '80 del secolo scorso,
quando apparve sommessamente, senza clamore, a un convegno filatelico a New Jork,
 proposto da un collezionista anonimo a un commerciante locale che l'osservava perplesso.
Il perito italiano Fiecchi si intromise in quella surreale contrattazione,
 dichiarandosi decisamente disponibile a finalizzare l'acquisto.
Il francobollo era letteralmente "appoggiato" sulla fascetta di un giornale d'epoca
e miracolosamente era sfuggito all'annullo.
Rimuovere l'esemplare dal documento richiese lo sforzo di un soffio.
Era nata la più bella Trinacria nuova, con gomma integra.
Il francobollo finì nelle mani di Renato Mondolfo, per poi passare a Giacomo Avanzo,
 che gli dedicò la copertina del suo Catalogo n. 7, dell'aprile 1992.
Trovò presto un nuovo proprietario, disposto a pagarlo più della quotazione di catalogo,
per poi essere riacquistato nuovamente dall'Ingegner Avanzo,
che non faticò troppo a ricollocarlo a un nuovo, temporaneo custode. 
 Il francobollo è tornato sul mercato un paio di anni fa,
senza peraltro apparire in nessuna vendita pubblica.
La richiesta economica era attestata intorno ai 300.000 euro.



La Crocetta,
un francobollo che "assomma in se talmente tanti motivi di interesse
da farne un caso unico non solo nella filatelia italiana, ma mondiale",
come si legge nel volume delle "Cento Croci" di Enzo De Angelis e Mauro Pecchi.
  Il 6 settembre 1860 Garibaldi è alla porte di Napoli Re Francesco II di Borbone si rifugia a Gaeta, 
per "garantire questa illustre città dalle rovine della guerra e salvare i suoi abitanti".
  Garibaldi assume la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II,
e nel suo ruolo di potere asseconda la richiesta degli editori di ridurre il porto di stampe e giornali.
La tariffa viene dimezzata da  ½ grano a ½ tornese,
ma l'emissione borbonica del 1858 non contemplava nessun francobollo con quel valore facciale.
La tavola dell'esemplare da  ½ grano viene allora re-incisa per metà,
limitatamente all'iniziale del valore, alterata dalla "G" di grano alla "T" di tornese,
e il nuovo francobollo è stampato in azzurro anziché in rosa.
Era nata la Trinacria, che ben assolveva l'esigenza pratica di ampliare lo spettro dei valori facciali,
ma presentava l'inconveniente istituzionale di mostrare ancora gli emblemi dei Borbone.
Una nuova e più invasiva raschiatura della tavola produsse la Crocetta,
un nuovo francobollo, ancora da  ½ tornese, che riproduceva ora la Croce di Savoia.
I Borbone erano stati definitivamente seppelliti... o quasi.
Le operazioni di raschiatura non sempre riuscirono alla perfezione
e in alcuni esemplari della Crocetta - come in quello mostrato -
scorgiamo ancora chiaramente i residui - i gigli - del precedente stemma reale.
Una vendetta ideale dei Borbone, una loro simbolica sopravvivenza agli eventi,
una testimonianza visiva delle complesse frizioni nel fluire della Storia.  

Arrivano infine i francobolli delle Province Napoletane, in curioso ibrido che ne fanno probabilmente un unicum filatelico: sotto la faccia del nuovo Re c'è il valore facciale del vecchio monarca, l'effige di Vittorio Emanuele II si accompagna a una denominazione in valuta borbonica. Questo singolare incrocio acquista ulteriore fascino quando i francobolli delle Province sono colpiti dai più classici annulli del periodo borbonico e, ancor più, se si trovano affianco ai francobolli borbonici, in affrancature miste di grande suggestione.
 
16 marzo 1861: il giorno precedente l'unità d'Italia.
"All'Onorevole Signore Giuseppe Verdi Deputato Parlamento Italiano"
 


Il francobollo da ½ tornese in affrancatura con il francobollo ½ grano,
una delle bicolori più rare delle Province Napoletane.
Le tariffe del Regno di Sardegna - introdotte dal primo marzo del 1861 -
prevedevano per le fascette un'affrancatura di 1,5 grana
e solo i giornali continuavano a beneficiare della tariffa ridotta da ½ tornese (e suoi multipli).
 Molti uffici postali, tuttavia, continuarono ad assimilare tra loro stampe, circolari e giornali,
e perciò a considerare regolari le affrancature con i multipli del ½ tornese,
come si vede in questa combinazione che assolveva il triplo porto delle circolari.
Un'altra testimonianza - dalla storia della posta e dai suoi oggetti - 
del problematico fluire della Storia, qui esaltato dalla presenza del timbro "ANNULLATO",
caratteristico delle obliterazioni dei francobolli borbonici, impresso nell'inusuale colore rosso. 



La transizione politica - dal Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia - in pochi centimetri quadrati.
Lettera assicurata, l'equivalente della nostra raccomandata,
spedita il 28 marzo 1861, da Chiaromonte verso Potenza.
Il costo è espresso ancora in moneta borbonica:
6 grana, 3 per l'invio più 3 per il servizio aggiuntivo dell'assicurata.
L'affrancatura è assolta con un esemplare del 5 grana del Regno di Napoli
e un esemplare da 1 grano delle Province Napoletane.
L'araldica borbonica convive con l'immagine nuovo Re, stemmi e simboli tanto diversi,
sotto il colpo di un unico annullo "a svolazzo", ancora del periodo borbonico.
  Re Vittorio Emanuele II ha da poco accettato la corona d'Italia, "per sé e i suoi successori",
 ma questa lettera testimonia quanto la nuova realtà geo-politica sia ancora per lo più formale,
perché non basta cambiar titolo a un capo di Stato, né piallare i confini tra territori,
per poter propriamente parlare di una nazione unita.



Lettera inizialmente affrancata per 8 grana,
tariffa delle assicurate di due fogli per l'interno, in base alla normativa borbonica.
Successivamente integrata con altri 6 grana, per soddisfare le nuove tariffe postali sarde.

I francobolli borbonici continuarono a circolare anche dopo la caduta del Regno, e nonostante gli atti formali per la loro soppressione, per tutte quelle complessità proprie delle cose concrete, che rendono gli accadimenti storici molto più intricati di quanto possano apparire nella narrazione lineare dei testi ufficiali.

Il 21 novembre 1861 segna il "fuori corso" ufficiale dei francobolli borbonici.
Eventuali utilizzi in date successive avrebbero dovuto essere invalidati,
con l'apposizione di freghi di penna sui francobolli.




Genova, 7 febbraio 1863.
Utilizzo di un francobollo borbonico da 5 grana, oltre un anno dopo il fuori corso,
e per di più in un territorio dell'ex Regno di Sardegna. 
 
Questi sono i francobolli di Napoli, questo sarà il nostro viaggio in loro compagnia.





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