Quel che vedete è stato a lungo l'oggetto più indecifrabile della filatelia degli Antichi Stati Italiani: una proposta di francobollo - un "saggio", senza indicazione del valore - con una vignetta ripresa dagli stereotipi del Cavalier Masini, ma con l'effigie di Re Vittorio Emanuele II in luogo dei simboli di Napoli, Sicilia e dei Borbone (oltre a una leggera modifica nella dicitura: "FRANCO BOLLO POSTALE NAPOLETANA" - peraltro con un errore di concordanza - invece dell'originario "BOLLO DELLA POSTA NAPOLATANA").
Ne fa menzione per la prima volta Alfredo Fiecchi, in un numero della rivista "La Gazzetta Filatelica" databile tra il settembre del 1957 e il gennaio del 1961.
Un altro accenno lo troviamo nel numero 44 di "FILATELIA" del maggio 1967, nell'articolo "I francobolli di Francesco Matraire", di Piero Damilano.
L'autore parla di una prova realizzata da uno "sconosciuto litografo in possesso di mediocri capacità artistiche", nell'ambito di una possibile iniziativa per la creazione nuovi francobolli a seguito del Decreto dittatoriale n. 13 del 9 settembre 1860 (che imponeva "lo stemma della real Casa di Savoia" ai suggelli dello Stato).
Uno stralcio (pagina 9) dell'articolo di Piero Damilano.
Circolano infine - in rete - annotazioni dattiloscritte del collezionista che lo ha posseduto (Fausto Casiraghi, nel 1991) e un certificato del
perito filatelico Enzo Diena (del 13 luglio 1983).
Molto rumore per nulla, viene da dire.
Tante parole altisonanti ("
unico conosciuto", "
patrimonio familiare CASIRAGHI", "
unico esemplare noto") accoppiate ad altrettante affermazioni vaghe e generiche ("
sconosciuto litografo", "
modeste capacità artistiche") e al rinvio a riferimenti neppure consultati ("
non sono in possesso di detto articolo"); e - per non farsi mancare nulla - un bel cortocircuito una volta messi assieme i pezzi, con Fiecchi che parla di un esemplare "
molto difettoso" (di cui ha dovuto "
ricongiungerne i tre pezzi in cui era stato ridotto"), il collezionista che se lo auto-descrive come "
splendido" (non avendo mai letto l'articolo di Fiecchi) e infine il perito, che con la
leggendaria ambiguità gergale delle certificazioni filateliche, si astiene da qualsiasi dichiarazione sullo stato qualitativo, pur citando l'articolo di Fiecchi (che chissà se ha mai consultato davvero).
Qual è il più grande problema di questo oggetto? Semplice: la mancanza di un contesto, di uno sfondo d'ambientazione, di un prima, di un dopo, di un dove e un quando, di un come e un perché.
Nulla - nella vita - ha valore di per sé, ma tutto può acquistare scopo e significato se opportunamente contestualizzato, se messo in relazione - spaziale e temporale - con tutto ciò che logicamente può esservi attinente.
Il grande problema di questo oggetto è (era) la mancanza la mancanza di collegamenti con tutto il resto, perché sono i collegamenti tra le cose, e non le cose in sé, gli unici elementi comprensibili e processabili dalla mente umana.
Questo oggetto è stato a lungo l'equivalente filatelico della particella di sodio nell'acqua Lete.
E, no, per anni, per lustri, per decenni, non c'è stato nessuno: nessun contesto, nessuna informazione utile, nessuna connessione, niente di niente, nulla di nulla.
Con la massima obiettività: di un oggetto così - fieramente isolato dal mondo (filatelico) - cosa mai ce ne possiamo fare? Niente di niente e nulla di nulla.
Non sorprende che diversi collezionisti ed esperti di settore siano arrivati a metterne in dubbio l'originalità, avanzando perplessità sia storiografiche che filateliche, che hanno trovato credito e verosimiglianza proprio nella mancanza di un discorso narrativo intorno a questo oggetto.
Si è andati avanti così, per anni, per lustri, per decenni, fin quando Aurelio Di Noi - un appassionato collezionista, col piglio dello storico di professione - ha ritracciato una lettera del 6 novembre 1860 indirizzata dal
Cavalier Masini al Ministro dei Lavori Pubblici della
dittatura garibaldina, di cui mostro la riproduzione unitamente alla trascrizione realizzata dallo stesso collezionista.
Questa lettera ha prima di tutto un valore alto e generale, perché svela alcune piccole vicende individuali dietro i grandi eventi della Storia
(filatelica e non solo) e per questa via chiarisce - sottointeso: nella versione del Masini - una dinamica sinora sconosciuta relativa all'
emissione napoletana del 1858.
Il contenuto della lettera ci dice che - nelle intenzioni originarie - Masini sarebbe stato l'incisore dei conî e il De Masa (che il Masini identifica come Masi) avrebbe dovuto invece procedere alla stampa, una situazione del tutto simile a quella che si sarebbe poi registrata per i
francobolli di Sicilia, con
lo Juvara responsabile delle incisioni e i tipografi Lao e La Barbera della stampa. E invece - a quanto riferisce il Masini - il De Masa non produsse nulla di apprezzabile, e fu quindi lo stesso Masini a farsene
carico, "
lavorando giorno e notte" per assicurare l'entrata in circolo dei francobolli nel gennaio 1858.
L'affermazione del Masini - per quanto enfatica - è coerente con ciò che il Ministro degli Affari di Sicilia e Napoli riferì al Viceré di Sicilia, nel discutere dell'emissione per i dominî al di là del Faro: "II signor Cervati" - Amministratore delle Poste napoletane - "non ebbe alcun ritegno a confidarmi che [...] nulla trovò preparato per un servizio che doveva attuarsi immancabilmente al I° dello imminente gennaio". E ben si raccorda con quanto documentato ancora da Di Noi in una precedente ricerca, e precisamente col fatto - per ricorrere alla sintesi dello stesso autore - che "la realizzazione delle tavole e la stampa dovevano essere eseguiti in
un'officina appositamente realizzata in locali della medesima
amministrazione e curata dalle loro maestranze che, però, ad un certo
momento si rivelarono assolutamente inadatte: si dovette pertanto
ricorrere al Masini per alcune correzioni sulle tavole e per la stampa
di un primo quantitativo di francobolli, per riuscire a tagliare il
traguardo dell'1 gennaio 1858. Il Masini fu, poi, subito liquidato, come
scrisse lui lui stesso nel documento del 1860".
Nel merito del nostro oggetto misterioso, poi, la lettera fornisce finalmente uno scenario plausibile in cui collocarlo, e quindi gli consegna un valore - storico, filatelico, culturale - che lo rende degno di essere collezionato (al netto dell'estesa riparazione - segnalata dal Fiecchi - che ne deprezza il valore commerciale).
E' perciò verosimile che, per dar forza alle proprie istanze, il Masini abbia prodotto dei "saggi" da sottoporre a chi di dovere, di
cui è arrivato a noi l'esemplare in discorso; e non è poi così dirimente che il Masini - all'epoca del
fattaccio del "saggio" passato per posta - si fosse premurato di consegnare alle autorità anche il punzone originale per dimostrare la sua buona fede, giacché Garibaldi entra a Napoli il 7 settembre e la lettera del Masini è datata 6 novembre, quindi vi era tutto il tempo per approntarne uno nuovo (sulla falsariga del precedente); da questa prospettiva, inoltre, il marchiano errore di concordanza ("FRANCOBOLLO POSTALE NAPOLETAN
A") è
un indizio di genuinità dell'oggetto, perché - probabilità alla mano - è più verosimile che nella foga del momento il Masini si sia sbagliato a realizzare l'incisione (nek rendere la scritta
più simile a quella dei francobolli sardi) che immaginare un falsario così svampito da aver qualificato al femminile un soggetto maschile.
Aurelio Di Noi va persino oltre, arriva a dire che "è probabile" che il Masini abbia "allegato anche un
esempio di come sarebbero venuti questi francobolli, come era la
consuetudine del tempo", e quindi presume che il "saggio" accompagnasse la proposta di contrattualizzazione che ha rinvenuto; e qui - forse - la sua congettura si fa un filo più audace, perché se davvero il "saggio" si fosse trovato allegato alla lettera, allora ne avremmo verosimilmente trovato menzione all'interno del testo (giacché era una cosa troppo rilevante per sottacerla
o lasciarla implicita).
Sarebbe straordinario trovare una corrispondenza del Masini (o
una risposta a una sua comunicazione) dove si fa menzione esplicita del
"saggio" in discorso, ma lo stesso collezionista tende a escludere l'eventualità: "purtroppo non ho trovato nient'altro e tantomeno su ciò che ho scritto
sull'origine di quel saggio".
Aurelio Di Noi documenta che il Ministro dei Lavori Pubblici, seppur dimissionario, prestò notevole attenzione alla proposta del Masini, e si premurò di inoltrala al Barone Bellelli, con un chiaro comando: "Riferisca sulla offerta di Masini per la confezione di francobolli. Urgente".
La minuta del Ministro dei Lavori Pubblici,
con l'indicazione di riferire - con urgenza - sulla proposta del Masini.
Ma il Bellelli - commenta Di Noi - "dalla sua solida poltrona di tecnico, osservava gli eventi e rifletteva su come portare avanti i suoi interessi", che evidentemente non combaciavano con i desiderata del Masini, tant'è che non vi è traccia del riscontro richiesto dal Ministro (probabilmente giocando sul fatto che da lì a pochi giorni avrebbe lasciato la posizione) e che il Bellelli - anche qui documenti alla mano - aveva già avviato delle iniziative personali per la produzione di nuovi francobolli, autorizzando tra l'altro una spesa di ben 8.000 ducati per l'acquisto delle attrezzature di stampa (per dare il senso delle proporzioni: nel 1841 un feudo baronale, con tutte le terre intorno, valeva all'incirca 20.000 ducati).
"
Purtroppo per Masini" - conclude Di Noi - "
la scelta dei tempi del suo rientro fu particolarmente sfortunata: la sua proposta arrivò tra la fine della Dittatura e l'inizio della Luogotenenza; un 'periodaccio' diremmo oggi, in cui i riferimenti politici e decisionali del governo erano in pieno rimescolio e con poca voglia di impegnarsi o prendere iniziative di qualunque tipo. [...].
E così il Cavalier don Giuseppe Masini, già incisore della Real Casa e autore dei primi, pregevoli francobolli del Regno di Napoli, ritornò mestamente e definitivamente nell'oblio della storia".
Ma su quest'ultima affermazione - sul mesto e definitivo ritorno del Masini "
nell'oblio della storia" - devo simpaticamente dissentire: perché dopo oltre 160 anni siamo ancora qui a parlare di lui, del Cavalier Masini, dei suoi pregevoli francobolli, del suo scrupolo e della sua dedizione, degli indefessi tentativi per riappropriarsi di ciò che sentiva appartenergli, e, non ultimo, della più
spettacolare delle rivincite di quelle sue opere che all'epoca incontrarono così tanta sfortuna.
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