GLI "SPACCHIOSI" - Parte I
Il Regio Decreto del 29 novembre 1858 annunciava l'emissione dei francobolli del Regno di Sicilia. Anche i siciliani - dall'1 gennaio 1859 - avrebbero utilizzato l'oggetto ormai standard per regolare la spedizione della corrispondenza.
Il Decreto Reale dell'emissione dei francobolli di Sicilia.
L'articolo 1 fissava il perimetro di applicazione della nuova norma:
"Dal primo di gennaio 1859 in poi le lettere o pieghi che si spediscono
per l'interno delle due parti del Regno, e per l'Estero,
saranno francati mercé l'applicazione di un bollo di posta
rappresentate il valore della tassa postale pagata con anticipazione.
L'uso del bollo sarà facultativo.
La francatura col mezzo dei bolli sarà obbligatoria
per la spedizione e l'invio dei giornali e delle stampe di ogni maniera,
per l'interno del Regno e all'Estero.
L'articolo 2 definiva i francobolli "figurine quadricolori portanti la Nostra effigie".
L'articolo 7 precisava le incombenze per gli impiegati postali:
"Affinché di un bollo di Posta già usato non possa farsi uso fraudolentemente per la seconda volta
gli impiegati a ciò addetti apporranno all'atto della spedizione o piego
un marchio in nero sul Bollo di Posta secondo l'apposito disegno da Noi approvato".
I successivi articoli 8 e 9 diffidavano da comportamenti impropri:
"Gli impiegati [...] che stacchino dalle lettere i bolli [...] per farne oggetto di privata speculazione
[...] saranno considerati come malvessatori".
L'articolo 1 fissava il perimetro di applicazione della nuova norma:
"Dal primo di gennaio 1859 in poi le lettere o pieghi che si spediscono
per l'interno delle due parti del Regno, e per l'Estero,
saranno francati mercé l'applicazione di un bollo di posta
rappresentate il valore della tassa postale pagata con anticipazione.
L'uso del bollo sarà facultativo.
La francatura col mezzo dei bolli sarà obbligatoria
per la spedizione e l'invio dei giornali e delle stampe di ogni maniera,
per l'interno del Regno e all'Estero.
L'articolo 2 definiva i francobolli "figurine quadricolori portanti la Nostra effigie".
L'articolo 7 precisava le incombenze per gli impiegati postali:
"Affinché di un bollo di Posta già usato non possa farsi uso fraudolentemente per la seconda volta
gli impiegati a ciò addetti apporranno all'atto della spedizione o piego
un marchio in nero sul Bollo di Posta secondo l'apposito disegno da Noi approvato".
I successivi articoli 8 e 9 diffidavano da comportamenti impropri:
"Gli impiegati [...] che stacchino dalle lettere i bolli [...] per farne oggetto di privata speculazione
[...] saranno considerati come malvessatori".
Ma talia chi trafficu dietro all'ultima emissione degli Antichi Stati Italiani!
A metter bocca, mani e ingegno sui francobolli siciliani semu quant'a Gemmania. Pittori e incisori, tipografi e professori, e poi ingegneri e politici si districarono con pazienza e maestria tra decreti, lastre, carte, inchiostri e stampe, ognuno per contribuire a suo modo a un passaggio nodale della vita del Regno, ognuno per lasciare una testimonianza delle proprie abilità tecniche, della propria sensibilità istituzionale.
C'era da aspettarselo che non sarebbe stato facile conciliare i gusti di tutti, contemperare una molteplicità di desiderata e stati d'animo, a iniziare dal tipo di stampa, se calcografica o tipografica.
Nel marzo del 1858 l'incisore Giuseppe Barone aveva sottoposto di sua iniziativa al Viceré di Sicilia alcuni "saggi" - di piccole dimensioni e vari colori, a stampa tipografica e rilievo, con corona e gigli borbonici - più che altro per aver soddisfazione sulla percorribilità di alcune soluzioni tecniche di stampa - a rilievo il centro, tipografica a colori la cornice - evidentemente ritenute a torto impraticabili.
Nel marzo del 1858 l'incisore Giuseppe Barone aveva sottoposto di sua iniziativa al Viceré di Sicilia alcuni "saggi" - di piccole dimensioni e vari colori, a stampa tipografica e rilievo, con corona e gigli borbonici - più che altro per aver soddisfazione sulla percorribilità di alcune soluzioni tecniche di stampa - a rilievo il centro, tipografica a colori la cornice - evidentemente ritenute a torto impraticabili.
L'insieme dei 17 "saggi Barone"
(dal catalogo d'asta della Filasta 123, del 18 novembre 1993, Collezione "Conca d'Oro").

Un "saggio Barone"
Re Ferdinando II accettò la proposta e per la sua attuazione le autorità borboniche avevano già da tempo allertato Tommaso Aloysio Juvara, "uno dei massimi incisori dell'ottocento italiano", nel giudizio retrospettivo del critico d'arte Federico Zeri.
"Siamo stati, tanto mia moglie che io lusingati, incantati e lieti
della ospitale accoglienza fattaci dai generosi palermitani di ogni classe [...]
Cosa diremo però a voi cortese ed affettuoso amico?
Mia moglie racconta a tutti della deliziosa visita della Conca d'Oro
delle sue belle strade sparse di fiori nel bel mezzo di Gennaro,
della celebre chiesa Madre di Monreale, resa più interessante dalle vostre erudite spiegazioni
sul merito e sulle diverse epoche della sua costruzione e dei suoi mosaici.
Fu quello un bello e divertito giorno che passammo in vostra compagnia"
(Lettera di Tommaso Aloysio Juvara a "l'antico amico" Agostino Gallo).
della ospitale accoglienza fattaci dai generosi palermitani di ogni classe [...]
Cosa diremo però a voi cortese ed affettuoso amico?
Mia moglie racconta a tutti della deliziosa visita della Conca d'Oro
delle sue belle strade sparse di fiori nel bel mezzo di Gennaro,
della celebre chiesa Madre di Monreale, resa più interessante dalle vostre erudite spiegazioni
sul merito e sulle diverse epoche della sua costruzione e dei suoi mosaici.
Fu quello un bello e divertito giorno che passammo in vostra compagnia"
(Lettera di Tommaso Aloysio Juvara a "l'antico amico" Agostino Gallo).
Tommaso Aloysio Juvara veniva da una famiglia ordinaria - il padre era parrucchiere - ma vantava una nobile ascendenza per parte di madre, sorella dell'architetto Filippo Juvara - che aveva servito Casa Savoia e ridisegnato lo stile di Torino nel '700 - e Tommaso aveva voluto tenere il cognome materno proprio per preservare il legame con l'illustre zio.
Ambizioso e irrequieto, talentuoso e perfezionista, era stato educato nel tempo dai più affermati maestri dell'epoca e non smise mai di studiare e perfezionarsi, in Italia e in Europa - a Roma e a Parma, a Londra e Parigi - là dove si trovavano gli artisti più rinomati. Conseguì numerosi e prestigiosi premi e riconoscimenti, il primo già all'età di 18 anni.
Esprimeva inoltre una sincera e genuina devozione per la dinastia borbonica, testimoniata da una sua incisione - "Entrata di Ferdinando II a Messina", del 1838 - che commemorava l'arrivo del Re dopo un'epidemia di colera, quando un diffuso sentimento anti-borbonico attribuiva proprio al Re la volontà di contagiare la Sicilia.
Era professore d'incisione al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, quando fu allertato per la realizzazione dei francobolli siciliani, un'investitura impegnativa, che lo portò a declinare l'analogo invito per la produzione dei bolli napoletani: "l'incisore Cav. Aloysio ha accettato, a mio solo riguardo, di incidere il conio dei francobolli di Sicilia [...] essendosi affatto negato per le piance che qui si fecero pe' bolli della Posta di Napoli", si legge in una lettera del 16 marzo 1858, indirizzata dal Ministro Cassisi al Luogotenente di Sicilia.
Lo Juvara incise la matrice originale con l'effige del Re, i punzoni con l'indicazione del valore e il bollo a "ferro di cavallo"; preparò inoltre i saggi definitivi, le cosiddette "prove di artista".
"Preparato il disegno che si vuol riprodurre [...]
l'incisore con segnarne (incavarne) i contorni ed alcune parti principali
sopra un blocco di acciaio non temprato di cui la superficie è bruinita,
e via via continua a incidere con bulini di vario taglio le rimanenti,
prendendo ogni tanto delle impronte, a misura che il lavoro procede,
e ciò sino a che l'esecuzione sia compiuta;
dopo di che ne ricava delle impronte su carta per lo più porosa o patinata o su cartoncini levigati.
Tali prove sono chiamate [...] prove di conio o prove di artista
e se stampate con cura e con la dovuta pressione,
riproducono l'incisione originale in tutti i più minuti particolari"
(Emilio Diena)
l'incisore con segnarne (incavarne) i contorni ed alcune parti principali
sopra un blocco di acciaio non temprato di cui la superficie è bruinita,
e via via continua a incidere con bulini di vario taglio le rimanenti,
prendendo ogni tanto delle impronte, a misura che il lavoro procede,
e ciò sino a che l'esecuzione sia compiuta;
dopo di che ne ricava delle impronte su carta per lo più porosa o patinata o su cartoncini levigati.
Tali prove sono chiamate [...] prove di conio o prove di artista
e se stampate con cura e con la dovuta pressione,
riproducono l'incisione originale in tutti i più minuti particolari"
(Emilio Diena)
La staffetta proseguì con la consegna del testimone ai tipografi
Giuseppe La Barbera e Francesco Lao, che acquisirono l'intera produzione
dello Juvara, per dar materialmente corso alle stampe ufficiali.
Giuseppe La Barbera era già introdotto nell'ambiente istituzionale, avendo svolto un'indagine in Francia su metodi e tecniche di stampa, per conto del Ministro Cassisi, e coadiuvato lo Juvara nell'esecuzione dei lavori preparatori dei "Testoni".
Anche Francesco Lao poteva vantare una larga frequentazione con le istituzioni siciliane. Aveva iniziato l'attività col padre Domenico, nella tipografia al civico 86 della Salita Crociferi, assumendone la direzione nel 1836, all'età di 29 anni. Collaboratore del Ministro e della Real Segreteria di Stato prima, e appaltatore delle regie stamperie dopo, trovò definitiva consacrazione con l'incarico alla stampa dei francobolli siciliani, l'epilogo più glorioso della sua tipografia, segnata da numerosi successi, ma anche fonte di occasionali e pur gravi preoccupazioni.
L'8 luglio 1853 Lao aveva indirizzato un'accorata supplica al Principe di Satriano, all'epoca Luogotenente di Sicilia, preoccupato di perdere l'esclusiva di
stampa del "Giornale Ufficiale" - con conseguenze nefaste sia a livello personale che per i cinquanta impiegati della sua
tipografia - a seguito della decisione di costituire una tipografia apposita per questo genere di stampa. "La determinazione di istallare una tipografia propria del Giornale
Uff.le è stata dettata dalla necessità e sarà irrevocabile" - scriveva il Principe di Satriano il 7 agosto - "Lao però
deve star certo che sarà sempre agevolato da me". E l'indicazione conclusiva del Luogotenente trovò seguito nella concessione dell'appalto per la fornitura delle stampe e dei
generi di scrittura bisognevoli al Ministro e Reale Segretario di
Stato, dall'1 gennaio 1854 al 31 dicembre 1857.
Lao coltivò la passione per le donne, e soprattutto nella fase conclusiva della sua vita fu un vero fimminaru. Finì i suoi giorni l'1 settembre 1875, a 78 anni, dopo una dose di cantaride, una sorta di viagra dell'epoca. La tipografia proseguì l'attività per altre due generazioni, col figlio Domenico e il nipote Francesco - da notare la ricorrenza dei nomi, in ossequio a una tipica tradizione siciliana - sino al 1940.
"Né i nostri tipografi al tutto si ristanno, cercando di uguagliare le stampe all'estero,
e modellare i loro tipi dei classici, sino a introdurre le stampe policrome o a differenti colori:
sopra che si è vantaggiato a di nostri un Francesco Lao,
imperciò decorato dal Re della medaglia d'oro del merito civile di Francesco I,
e premiato con medaglia pur d'oro dal Real Istituto d'incoraggiamento
[...] i differenti giornali han fatto eco alle laudi di questo nuovo tipografo
senza ciò ne dicono a bastanza le splendide edizioni da lui eseguite".
(Alessio Narbone, gesuita e storico)
e modellare i loro tipi dei classici, sino a introdurre le stampe policrome o a differenti colori:
sopra che si è vantaggiato a di nostri un Francesco Lao,
imperciò decorato dal Re della medaglia d'oro del merito civile di Francesco I,
e premiato con medaglia pur d'oro dal Real Istituto d'incoraggiamento
[...] i differenti giornali han fatto eco alle laudi di questo nuovo tipografo
senza ciò ne dicono a bastanza le splendide edizioni da lui eseguite".
(Alessio Narbone, gesuita e storico)
Sembravano esserci tutte le premesse per una felice e gratificante finalizzazione dell'iniziativa, ma in ogni storia stuzzicante... c'è invariabilmente un ma.
'Mpare nun t'a siddiare, ma le prime prove di stampa - uscite nel settembre del 1858, in piccoli fogli da 25 esemplari - sembravano l'ultimu scogghiu ra Trizza: i francobolli erano venuti fuori male, davvero male, con un profilo del Re sfocato, oltraggiosamente grossolano.
Altro che spacchiosi, quei prototipi erano nuddu immischiatu cu nente.
Prove La Barbera del ½ grano, di vari colori.
Sono note anche prove dell'1 grano.
La Barbera e Lao provarono a rimediare, a sistemare in fretta le cose al meglio che potevano. Mostrarono al Ministro come una nuova lastra - predisposta all'occorrenza - consentisse di avere risultati migliori e obiettivamente soddisfacenti, ma l'opera persuasiva non sortì gli effetti sperati.
Sul finire del settembre del 1858, per non lasciar nulla di intentato, il Concilio dei Direttori del Dipartimento di Stato incaricò l'Ingegner Antonio Pampillonia, di una missione esplorativa a Parigi, alla ricerca di un metodo di stampa appropriato, che rendesse giustizia agli sforzi sin allora compiuti per avere un francobollo esteticamente superiore a tutti gli altri.
E qui iniziarono le camurrie...
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