DA NAPOLI A MILANO E RITORNO: LA RIVINCITA DEL CAVALIER MASINI, 165 ANNI DOPO

 

Napoli, 1857-1860

Nel gennaio del 1857 il Governo borbonico istituisce una Commissione per valutare "tutti gli immegliamenti che sia necessario od utile di arrecare nell'Amministrazione Generale delle Regie Poste e de' Procacci".

Il Real Decreto N. 4210 del 9 luglio 1857 ufficializza l'introduzione del francobollo nei dominî al di qua del Faro e ne fissa la data di utilizzo al primo gennaio 1858.

Il 12 agosto 1857 il Ministro delle Finanze invia istruzioni operative al Ministero della Guerra, all'Amministrazione delle Poste, alla Zecca e all'Amministrazione di Contabilità affinché ognuno - per la propria parte - si adoperi per l'entrata in circolo dei francobolli all'inizio del nuovo anno. Raccomanda - in particolare - la "massima urgenza di procedersi, nel Gabinetto di Incisione della Regia Zecca, alla formazione di sette cunei o punzoni necessarii per la incisione dei bolli di posta stabiliti con Real Decreto del 9 luglio ultimo [...] dovendo i suddetti punzoni esser pronti fra un mese".

Nelle intenzioni, quindi, i conî si dovrebbero realizzare nella Regia Zecca (verosimilmente per ragioni di sicurezza) ma il 22 agosto la stessa Zecca comunica l'incapacità di procedere in autonomia, e di aver pertanto contattato l'Istituto Belle Arti di Napoli - nelle persone dei professori Tommaso Aloysio Juvara e Francesco Pisante - per l'esecuzione dei lavori.

Tre giorni dopo, il 25 agosto, l'Amministratore delle Poste informa il Ministro delle Finanze che lo Juvara e il Pisante hanno declinato l'incarico "senza nemmeno indicare da chi dovesse farsi capo". Fornisce allora le referenze del "Cavaliere Giuseppe Masini, persona di piena mia fiducia e della quale si servono in tutte le occorrenze i Principi Reali essendo incisore della Real Casa", e il 28 agosto riceve l'autorizzazione a ingaggiarlo.

Il 31 agosto 1857 il Cavalier Masini - un figlio d'arte (il padre era incisore) di notevole esperienza (39 anni d'età) - firma il contratto per la realizzazione dei conî.

Lo stralcio della parte finale del contratto tra le Poste napoletane e il Cavalier Masini.

Nel laboratorio del Masini, al civico 46 di via Santa Caterina a Chiaia, vedono così la luce i francobolli del Regno di Napoli: la prima provvista viene fornita il 12 dicembre 1857, la seconda l'8 febbraio 1858.
 
Le stampe dei francobolli procedono a gran ritmo, ma intanto nelle stanze dei Ministeri ci si interroga sui possibili risparmi di spesa: sui costi di produzione "pendono le superiori risoluzioni dell'E.V." scrive l'Amministratore delle Poste al Ministro delle Finanze, il 2 febbraio 1858; e nella stessa lettera accenna a un "nuovo Calcografo" che "è stato da me convenuto per grana 5 al foglio", anziché gli 8 pagati al Masini.

Il passaggio di consegne viene ufficializzato nella lettera dell'Amministratore delle Poste del 18 marzo 1858. "Con rapporto del 2 febbraio, n. 143, informando io V.E. di aver convenuto col calcografo (Gaetano de Masa) il prezzo di grana 5 a foglio, invece di grana otto [...] per la confezione dei bolli".

Il Cavalier Masini deve suo malgrado rassegnare l'incarico, ma già l'istante dopo si è rimesso all'opera per riaverlo: se è soltanto un problema di costi, allora l'appalto si può riconquistare privilegiando la stampa tipografica, a minor spesa rispetto alla calcografica.

Nel secondo trimestre del 1858 il Masini predispone dei "saggi", eseguiti con un punzone unico per tutti i valori. Realizza dapprima una prova di conio - di colore nero, senza indicazione del valore - e in seguito allestisce 100 stereotipi dei diversi valori - dal ½ grano al 50 grana, in un'unica tavola variamente colorata - riservandosi di provvedere alla composizione ordinaria, da 200 riproduzioni, in caso di approvazione del contratto di fornitura.

Nella tipografia Cattaneo di Napoli - incaricata delle stampe - lavora l'operaio Achille De Cristofaro, che con inopportuna leggerezza regala uno dei fogli a un ragazzino, Carlo Mormile, che perpetuando una questionabile disinvoltura passa una dozzina di francobolli ad alcuni amici. Un esemplare da 5 grana finisce nelle mani di tal Gabriele Costa, che tocca l'apice dell'irresponsabilità utilizzandolo per affrancare una lettera, imbucata a Napoli il 10 giugno 1858.

La lettera con il "saggio Masini" da 5 grana passato per posta.
E' indirizzata a Pietro Salmieri, del 9° battaglione Cacciatori a Palermo.
Porta sul lato sinistro, sotto il "saggio", la scritta a penna "Mormile",
il cognome del ragazzino a cui l'operaio della tipografia regalò i fogli.
In alto a destra, in lapis rosso, la denuncia di frode:
"Si trasmette al Sig.e Amministratore generale delle Poste per la manifesta frode.
Il Capo del serv.o: Pasquale Vallesi".
La firma  - Pasquale Vallesi - è a penna.

La frode - se la parola è lecita -  è subito scoperta, e l'inchiesta avviata con gran rapidità. Le Autorità risalgono in breve tempo a tutte le persone coinvolte nella vicenda.

Il Masini si premura personalmente di recuperare i 99 pezzi mancanti, a testimoniare la sua buona fede. Re Ferdinando lo grazia, accolte le spiegazioni e accertati i fatti, ma un'ombra di discredito si è allungata sulla figura del pur valente incisore, e ogni sincero tentativo di chiarificazione non fa altro che aggravarne la posizione, agli occhi ormai scettici e sospettosi dei funzionari borbonici.

Nella "supplica" al Re del 16 giugno il Masini si diffonde in spiegazioni tecniche sul nuovo metodo di stampa, affinché "sia esaminata e discussa la nuova offerta, non essendo consentano alla ragione, che per un incidente innocuo, e già rischiarato, debba rimaner soppressa una offerta sotto ogni altro aspetto utilissima sia per la parte artistica, sia per la maggior decenza, sia infine per la sensibile economia nello spesato che ora per tali fogli stampati sopporta la Reale Finanza".

La proposta del Masini permetterebbe in effetti un risparmio del 30%, e l'incisore non smette di sponsorizzarla neanche sotto il breve e convulso regno di Francesco II, quando muore Gaetano De Masa e ne prende il posto il figlio Gennaro, a cui "non spettavagli perché non solo non era Maestro Capo d'arte" - scrive accorato - "ma anche essere un ragazzo".

Niente da fare. L'incarico resta al De Masa. Il Masini non stamperà mai più francobolli.

 

Milano, 28 settembre 2024

Sabato 28 settembre 2024, a Milano, al civico 78 di via Vallazze, va in scena l'asta Ferrario numero 34, in due sessioni - mattutina e pomeridiana - per un totale di 2.659 lotti.

Il lotto 131 balza agli occhi di tutti i collezionisti del Regno di Napoli: un "eccezionale ed irripetibile insieme di diciotto saggi Masini [...] con qualche esemplare inedito", un complesso "rarissimo, da esposizione", proveniente dalla "collezione di Emilio Diena".

 
La base d'asta è 5.000 euro, e a prestar fede ai precedenti - se si conosce ciò che accade di regola nelle licitazioni di Ferrario - c'è da aspettarsi un realizzo non troppo discosto dal punto di partenza, un'aggiudicazione intorno alla base.
 
Serve però da riconoscere la singolarità del lotto: i "saggi Masini" si vedono raramente in asta, e non è facile reperirli neppure con richieste mirate ai commercianti meglio riforniti; scovarne anche uno solo è complicato, trovarseli tutti assieme, e per più con esemplari inediti, è un evento di probabilità infinitesima.
 
Personalmente ho tracciato un solo caso vagamente simile: vendita LXXXIX della Italphil, del 28 novembre 1987.
 
 
Cosa sarebbe accaduto nella sala d'asta di Ferrario?
 
Difficile dirlo. Ogni previsione avrebbe avuto il sapore di un azzardo.
 
Si poteva solo attendere, chiacchierare un po' per ingannare il tempo, e lasciare che il martelletto - come sempre - avesse l'ultima e definitiva parola.    

 

A Milano - nella mattinata di sabato 28 aprile 2024 - un "eccezionale ed irripetibile insieme di diciotto saggi Masini" schizza da una base di 5.000 euro a un realizzo di 37.000, per un costo finale di 45.810, una volta computate le commissioni.

A Milano - 165 anni dopo - il Cavalier Giuseppe Masini si prende la più spettacolare e impensabile delle rivincite, e i suoi "saggi" tornano idealmente a Napoli, nell'album di un filatelico di Napoli, a impreziosirne la collezione.

 

Noterelle su aste, prezzi e altre sciocchezze

 
Non starò quindi a ripetere cose già dette. Mi limito a dare risalto a un punto soltanto, per contrastare un'aberrante credenza superstiziosa: la convinzione che i "veri prezzi" dei francobolli sono nei realizzi d'asta.
 
Premesso che già il concetto stesso di "prezzo vero" è un'assurdità, se applicato alla filatelia classica, si può dire che non esiste nulla di così distante dal "vero prezzo" - qualunque cosa voglia dire - come un realizzo d'asta.
 
Viene da dire - a intuito - che la "verità" di un prezzo è nell'atto dello scambio: un prezzo è "vero" se a quel prezzo si è realizzata una transazione, se quel prezzo ha determinato un flusso di denaro in una direzione e la consegna di un bene in direzione opposta, perché è solo allora che quel numero acquista un valore segnaletico sul piano economico. Per contro, se a un certo prezzo non avvengono scambi, se il prezzo si riduce a un numero scritto su un cartellino appicciato ad un oggetto, allora, semplicemente, quel prezzo non è un prezzo, o lo è solo su un piano nominale.
 
In asta si ha sicuramente immediata evidenza della realizzazione o meno di uno scambio, ma sull'asta pesano anche una miriade di situazioni contingenti.
 
Un oggetto può andar via alla base, o risultare invenduto, perché magari a proporlo è una casa sconosciuta nella nicchia di riferimento, che adotta una politica di svendita (come accaduto all'archivio Baronissi dei giornali di Napoli, esitato in Danimarca dalla sin allora anonima Bruun Rasmussen) o ancor più semplicemente perché incontra un timing infelice (magari bastava proporlo un anno prima, o un anno dopo, e le cose sarebbero state diverse) e proseguite pure da soli in una lista di eventualità virtualmente illimitata.
 
D'altra parte, il semplice scambio è condizione necessaria ma non sufficiente per giudicare la verità del prezzo. Ce lo conforma l'esperienza quotidiana, dove il fatto che a un certo prezzo non si realizzi subito uno scambio - che la transazione non avvenga nell'istante stesso in cui il prezzo è dichiarato - non lo priva in automatico di valore segnaletico, perché ogni mercato ha i suoi tempi, batte il suo passo.
 
Conoscere il mercato significa poi avere l'esatta percezione del bid-ask spread, non illudersi cioè che tutti i mercati siano sempre e comunque una corsia di marcia a doppio senso, percorribile indifferentemente in una direzione o nell'altra, che le condizioni di scambio siano invarianti rispetto alla posizione che si decide di assumere, insomma - per farla semplice - che a uno stesso prezzo si possa indifferentemente sia acquistare che vendere.
 
C'è ancora un elemento da considerare, per avere un'inquadratura almeno minimale: un prezzo è tanto più "vero" - e meglio sarebbe dire "affidabile" - quante maggiori sono le transazioni che si realizzano a quel prezzo, quindi quanto minori sono le specificità che intervengono negli scambi, a cui si dovrebbe trovare il modo di fare la tara, per avere una visione nitida delle cose.
 
Per riassumere: un prezzo è un prezzo perché realizza uno scambio; il prezzo è tanto più attendibile - in senso lato "vero" - quanto minori sono le "frizioni" negli scambi e quanti più individui negoziano a quel prezzo. Serve quindi conoscere il settore di riferimento, e poi ragionare a modo e riflettere a lungo, senza cadere in improprie generalizzazioni, se si vuol capire la specifica realtà di un mercato.

E ora - su questo sfondo - interroghiamoci su cosa è avvenuto il 28 settembre 2024 all'asta Ferrario.

Ci saranno stati quattro, cinque, sei, sette, e diciamo pure dieci collezionisti potenzialmente interessati al lotto 132 (e qualcuno di loro, forse, sarà stato attratto principalmente da una base contenuta, dall'idea di realizzare una "pescata"). Parliamo comunque di numeri ridotti, come avviene sempre nel collezionismo, tanto più che qui è in ballo un insieme specialistico, destinato a collezionisti avanzati.
 
Cosa sarà accaduto al pronti-su-via, quando il banditore ha chiamato il lotto 132? Con ogni probabilità - lo congetturo, ma non credo di sbagliarmi - il prezzo sarà schizzato verso l'alto e nel giro di pochi secondi avrà raddoppiato la base. E tanto sarà bastato a smazzar via almeno la metà dei contendenti. Saranno rimasti in cinque a gareggiare, nella migliore delle eventualità, per poi ridursi a due, quando - presumo - si è arrivati a 15.000 o giù di lì. Da quel momento in poi - oltre la soglia indicativa dei 15.000 euro, che già rappresentava un valore più che ragionevole -  sono rimasti soltanto in due, i soliti due sul rettilineo finale più o meno lungo di ogni asta, quei due che ci ricordano che gli esseri umani - più che macchine logiche - sono animali psicologici.
 
E all'ultima chiamata del banditore - 37.000... going, going... gone! - è andato in scena il solito teatro: il primo a rinsavire ha perso irrimediabilmente, e chi si è aggiudicato il lotto ha fronteggiato la "maledizione del vincitore", l'aver pagato ancor di più di chi si era già spinto oltre un prezzo sensato.
 
Se escludiamo la ristampa e i due esemplari annullati - privi di valore economico - rimangono 16 pezzi; il Sassone quota all'incirca 2.500 euro ogni "saggio Masini"; ne segue che il valore di catalogo dell'insieme - come bruta somma dei valori individuali - è 40.000 euro; e il suo costo finale - si diceva - ha oltrepassato i 45.000 euro.
 
Difficile dire chi ha vinto e chi ha perso, alla fine dei giochi, se si vuole tenere tutto in equilibrio, se si pretende di trovare un senso logico a ogni cosa.
 
Forse si può dire - senza troppo ragionare - che è andato in scena un nuovo episodio della serie "Scilla contro Cariddi", che si sono fronteggiati due collezionisti con lo stesso setting mentale, molto ben descritto da Tiziano Nocentini, nel commentare le anomalie delle aste.

"Quel francobollo lo conosco da molto tempo e mi ero detto che se fosse tornato sul mercato avrei fatto di tutto per aggiudicarmelo. Era una di quegli intenti che avevo messo in automatico, in quanto sicuro che ne sarebbe valsa la pena, a prescindere dal prezzo. Al momento dell'asta quindi sono partito come faccio sempre quando mi interessa un pezzo, ovvero clicco sull'offerta senza neppure guardare il valore raggiunto, fino a che non si può più offrire perché dall'altra parte nessuno replica. Ciò che è avvenuto con questo francobollo è quanto segue. Avendo messo già da tempo il 'pilota automatico' per questo francobollo, appena è arrivato il suo turno, ho semplicemente iniziato a cliccare sul pulsante del rialzo dell'offerta senza pensare".
 
Ma stavolta chi ne è uscito sconfitto si è con ogni probabilità consolato - senza incontrare concorrenza - con le illecite opere d'epoca di "quei modesti ma talora valenti artefici, allora frequenti a Napoli" - come li raffigurava Emilio Diena - "che eseguivano in calcografia e stampavano con piccoli torchi a mano biglietti da visita, monogrammi ed intestazioni di carte da lettera".
 




Questo - signori - è il collezionismo.
 
Con tanti cari saluti alla legge della domanda e dell'offerta, ai prezzi di mercato, all'equilibrio economico e ad altre simili sciocchezze.
  

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