QUELLO CHE IL DENARO NON DICE


"Mai un oggetto il quale debba il suo valore esclusivamente alla sua qualità di mezzo,
alla sua convertibilità in valori più definitivi,
ha raggiunto così radicalmente e senza riserve una simile assolutezza psicologica di valore,
divenendo un fine ultimo che invade completamente la coscienza pratica"
(Georg Simmel)

Ci piace, ci lusinga, ci dà modo di trasformare sogni e progetti in reale possesso. Occupa i nostri pensieri, spesso in modo ossessivo. Non c'è azione che non lo richieda, né discorso che non lo coinvolga, per via diretta o indiretta. Entra in contatto con tutto e contamina tutto, senza mai perdere la sua identità. Presenza pervasiva nella quotidianità, motore occulto di ogni scelta, perno della vita sociale e politica, è diventato la misura non solo delle cose, ma anche dell'uomo, tessuto connettivo delle relazioni interpersonali e sostrato materiale per l'esercizio del potere. Nessuno - anche volendo - può davvero ignorarlo. I più sensibili vi scorgono una creatura dotata di vita propria, ormai emancipata dal controllo del creatore.
 
È il denaro.

La sua natura poliedrica è riflessa nell'ampiezza dello spettro disciplinare che se ne occupa - economia e finanza, diritto e giurisprudenza, tecnica e tecnologia, filosofia e psicologia, sociologia, politica e religione, storia, antropologia e numismatica - e soltanto una sapiente giustapposizione di più strumenti d'analisi può aiutare a comprenderlo.
 
La gran parte di noi si limita peraltro a subirlo, inconsapevolmente: il denaro è una presenza così invasiva e pervasiva, una costante di vita così interiorizzata nella psicologia collettiva, da passare paradossalmente inosservata. Come si fa uscire da Matrix, se non si sa di essere in Matrix?
 
    
"L'indifferenza con cui si presta ad ogni utilizzazione,
l'infedeltà con cui si separa da ogni soggetto, perché non era veramente legato a nessuno,
l'oggettività, che esclude qualsiasi rapporto affettivo e lo rende adatto ad essere un puro mezzo,
tutto ciò che determina un'analogia fatale fra danaro e prostituzione"
(Georg Simmel)
 
Stefano e Luca si scambiarono un sorriso sornione, sotto lo sguardo preoccupato di Valeria, quando il notaio lesse il testamento di loro padre.

Il defunto lasciava liberi i suoi tre figli di dividersi l'eredità come volevano, purché almeno due di loro avessero approvato la ripartizione stabilita.

Il notaio li congedò. "Ci rivedremo quando avrete trovato un accordo".
 
Quella notte Valeria non riusciva a prender sonno, si rigirava nel letto senza trovare pace. Sapeva che Stefano e Luca si sarebbero divisi equamente l'eredità, 50 all'uno e 50 all'altro, senza che lei avesse potuto far nulla. Non aveva forse stabilito così il padre? Almeno due su tre dovevano essere d'accordo. Eccoli qui: Stefano e Luca, due su tre.
 
Balzò in piedi e chiamò Stefano, sebbene fosse passata la mezzanotte. "So che volete tenermi fuori. Va così da sempre, figurarsi adesso".
 
Stefano l'ascoltava in silenzio.
 
Valeria prese coraggio. "Ascolta: io mi accontento di un terzo, e te lascio tranquillamente prendere i due terzi. Conviene a entrambi, no? Ognuno di noi avrà di più ciò che gli toccherebbe se tu e Luca vi divideste tutto in parti uguali".
 
Stefano restò di sasso. Proprio non se l'aspettava. Due terzi di eredità, invece della metà, era gran un bel salto, soprattutto in quel momento, con tutte quelle spese in vista: l'anno scolastico all'estero del figlio, l'università privata della figlia, l'auto nuova, e poi i lavori nella casa al mare... accidenti se quel denaro gli serviva!
 
"D'accordo, sorellina, affare fatto: due terzi a me, un terzo a te".
 
Non aveva forse detto così il padre? Due su tre dovevano essere d'accordo. Eccoli qui: non più Stefano e Luca, ma Stefano e Valeria, non più metà e metà, ma due terzi e un terzo, però erano sempre due su tre, e tanto bastava a rispettare la volontà del padre.   
  
Valeria tirò un sospiro di sollievo. "Lo avverti tu Luca? Magari se ne farà una ragione..."

Stefano chiamò Luca. "Scusa per l'orario, ma...". Gli comunicò la decisione presa con la sorella, e mise giù prima che il fratello potesse proferir parola.

Luca rimase esterrefatto. Proprio non se l'aspettava, non da Stefano. Li divideva poco più di un anno di età, erano cresciuti come gemelli, avevano un legame forte, un rapporto esclusivo, a cui Valeria, arrivata cinque anni dopo, non era mai riuscita a prender parte, vuoi per la differenza anagrafica vuoi perché femmina. E ora Stefano, il suo gemello putativo, lo tradiva così?
 
Luca chiamò subito Valeria. "Perdonami se ti ho svegliata, ma...". Non si perse in convenevoli. "Perché ti accontenti di un terzo? Potremmo dividerci l'eredità noi due, in parti uguali, 50 io e 50 tu, così avresti di più rispetto all'accordo che hai preso con Stefano". Sospirò. "Che ne dici?".
 
A Valeria non parve vero. Dacché era stata esclusa, si ritrovava a poter beneficiare di metà eredità. Che colpo!
 
"D'accordo, anzi d'accordissimo, fratellone mio: 50 a te, 50 a me, e così sia".
 
Non aveva forse detto così il padre? Due su tre dovevano essere d'accordo. Eccoli qui: Luca e Valeria.
 
E fu così che Luca chiamò Stefano per dirgli del suo accordo con Valeria, e Stefano chiamò Valeria per dirle che a lui in fondo sarebbe bastato anche solo un terzo, lasciando volentieri a lei i due terzi, e Valeria naturalmente accettò, così Stefano chiamò Luca per dirgli del nuovo accordo con Valeria, e Luca propose a Stefano di dividere equamente l'eredità con lui, 50 e 50, come in fondo avevano stabilito sin dall'inizio, e Stefano accettò e chiamò Valeria per informarla del cambio di programma, e Valeria chiamò Luca...
 
Andarono avanti per tutta la notte, e continuarono anche il giorno dopo e quello dopo ancora, e ancora, ancora e ancora... 

Il notaio morì, suo figlio ne prese il posto, e Valeria chiamò Stefano che chiamò Luca che chiamò Valeria...
 
"... essere il mezzo assoluto
e diventare proprio per questo psicologicamente il fine assoluto per la maggior parte degli uomini,
ne fa in modo particolare un simbolo, nel quale i grandi princìpi regolativi della vita pratica
si sono in un certo senso irrigiditi"
(Georg Simmel)
 
Siamo abituati a pensare al denaro - alla sua logica calcolatrice, razionale e ottimizzante - come a un meccanismo indiscutibile e inarrestabile.

Di quando in quando - non molto spesso, però succede - questo meccanismo si inceppa, gira a vuoto, e noi con lui, incapaci di immaginare una logica alternativa, di pensare e agire diversamente da come il denaro ci costringe a pensare e agire.

Senza un atto volitivo - che introduca un criterio meta-economico nella ripartizione dell'eredità, con cui oltrepassare la logica del denaro - i tre fratelli si condanneranno a un moto perpetuo di telefonate reciproche, nel tentativo intrinsecamente fallace di afferrare una ricchezza destinata a sfuggirgli in eterno.

Perché di quando in quando - e più spesso di quanto si creda - chi vuole ottenere di più, senza assicurarsi spazi di manovra diversi dal denaro, finisce stritolato da quello stesso meccanismo che si illude di governare.


 
Viviamo in un'economia monetaria, in un mondo dove le transazioni sono regolate dal denaro in ogni loro fase: esprimiamo in denaro il valore di ogni cosa (il denaro come numerario); il denaro stesso è ciò che dobbiamo materialmente trasferire alla controparte - sotto forma di banconote o monete, con addebiti sulla carta di credito, con bonifici o altro - per avere quel che desideriamo (il denaro come intermediario dello scambio); e chi accetta del denaro - in contropartita di un bene o di un servizio - è intimamente convinto di vederlo a sua volta accettato da altri, in transazioni future (il denaro come riserva di valore).
 
I francobolli degli Antichi Stati si acquistano col denaro, perché noi viviamo in un'economia monetaria, ma a rigore si dovrebbe dire che i francobolli antichi si acquistano anche col denaro, perché nel mercato degli oggetti da collezione s'incrociano due sistemi valoriali opposti: da un lato quello economico-razionale, basato sulla presunzione di misurabilità e convertibilità di ogni cosa in termini monetari, sulla possibilità di assegnare un prezzo in denaro al valore degli oggetti, per renderli facilmente trasferibili nel tempo e nello spazio; dall'altro quello sentimentale-passionale, fondato sull'eccezionalità dell'oggetto mitico, sul suo essere unico e irripetibile, quindi insostituibile, virtualmente impossibile da commisurare a un numero.
  
Il cosiddetto prezzo (di un oggetto da collezione) è solo il vertice di una piramide di valutazioni in cui si realizza la summa del sistema economico e del sistema passionale. Entrare nel mercato filatelico vuol dire quindi inoltrarsi in un mercato che non è un vero mercato, in cui interagiscono una sfera razionale - che vive di prezzi - e una sfera passionale - che vive di emozioni - nel tentativo di stabilire un'equivalenza tra cose, sentimenti e denaro.
 
Quest'area grigia - di valutazioni al di fuori degli ordinari schemi economici, e tuttavia a essi riconducibili - è ben conosciuta da tutti i collezionisti, e però non manca mai di suscitare meraviglia.
 
"… una varietà di espressioni correnti ascrive al denaro un carattere sordido,
che ha relazione indiretta con le feci. 
Si parla, difatti, di denaro sporco, di fondi neri, di lurido taccagno 
e, in crescendo, di porci borghesi, di sporchi capitalisti, di ricchi spandimerda. 
Con grande candore, il più classico salvadanaio dell'infanzia era un porcellino, 
che riuniva in sé la simbolica dello s-porco e quella del denaro. 
La volgarità del denaro attinge alla sua natura escrementizia. 
La sprezzante qualifica che lo accompagna
sembra risalire alla sua originaria identificazione con lo sterco 
e il pudore che lo avvolge pare un'estensione dell’originaria vergogna 
con cui viene avvolto tutto ciò che ha attinenza con le feci. 
Il risultato è che oggi il denaro costituisce uno degli ultimi e più resistenti baluardi del pudore: 
è imperdonabile dimenticare il cartellino del prezzo su un regalo; 
non è educato chiedere quanto si è pagato un oggetto; 
non è elegante consegnare del denaro direttamente in mano, 
meglio metterlo in busta o almeno appoggiarlo sul tavolo; 
i negozi più raffinati non ostentano i prezzi dei loro articoli, 
ma li custodiscono su discreti cartoncini e in più riservati listini"
(Claudio Widmann)
 
Vi mostro un oggetto mitico: una lettera del 6 dicembre 1860, da Caserta per Napoli, affrancata per soli quattro grana, ma con la tariffa assolta attraverso una striscia verticale di quattro esemplari da 1 grano, II tavola, annullata eccezionalmente col bollo "ASSICURATA".
   
 
La lettera è riprodotta da tempo sul Catalogo Sassone degli "Annullamenti" - segnalata tra le rarità degli annulli accessori del Regno di Napoli - e ha un pedigree di tutto rispetto.
 
La vediamo nella celeberrima Collezione "Scilla e Cariddi" - tavola 9, lotto 35 - dispersa nel 1989.
 

La ritroviamo in un'altra collezione storica, la "Luxus": è il lotto 10029 della "Parte II", in asta da David Feldman nel 2009, con una forbice valutativa tra € 15.000 ed € 20.000.
 
 
Ne conosciamo pure il realizzo: la lettera - a quanto dichiarato dalla casa d'asta - avrebbe toccato l'estremo superiore della forbice valutativa, aggiudicata a € 20.000 (più diritti).
 

 
Di regola gli oggetti mitici si inabissano per decenni dopo ogni loro apparizione: una stima approssimata dice che in media ci vogliono 20-25 anni per rivederli sul mercato (tra "Scilla e Cariddi" e la "Luxus", in effetti, ne erano passati 20).
 
Questa lettera, quindi, ci saremmo attesi di rivederla intorno al 2035 o giù di lì.
 
E invece ricompare dopo nemmeno dieci anni, ancora da Feldman, nella tornata d'asta dell'11 dicembre 2019, con una forbice valutativa pesantemente ritoccata verso il basso (tra € 12.000 ed € 16.000: l'estremo inferiore dell'asta "Luxus" è di fatto diventato il nuovo estremo superiore).
 
Risultato: unsold.
 
 
Un'antica regola dei mercanti old-style suggerisce di far sparire dalla circolazione gli oggetti pregiati, quando non hanno trovato un acquirente dopo un'offerta pubblica. La mancata vendita vuol dire solo che in quel momento non ci sono collezionisti interessati, o forse ci sono ma in quel momento non possono permettersi l'acquisto, o qualsiasi altra motivazione, comunque specifica di quel momento. Non è quindi in discussione il pregio dell'oggetto. Semplicemente, in quel momento, nella fase contingente, non ci sono le condizioni per piazzarlo, e allora è inutile insistere. Tanto vale aspettare, togliere l'oggetto dalla vista dei collezionisti, perché nel collezionismo - al contrario del luogo comune - è proprio la lontananza dagli occhi a far germogliare il desiderio del cuore. Nulla di più tormentoso - per un collezionista - del riguardare un oggetto su un vecchio catalogo e pensare di averlo perso  per colpa del proprio timoroso temporeggiare, non sapere più né dove sia né se tornerà mai disponibile. Probabilmente ci si precipiterà sopra, se lo vedrà "miracolosamente" riapparire dopo pochi anni, quando pensava di averlo perduto per sempre, anche se nel frattempo il prezzo fosse aumentato.
 
Sembra una regola facile-facile, e in effetti in sé lo è, ma questa facilità presume una predisposizione d'animo maledettamente difficile: saper aspettare. E Feldman non ne ha voglia.

La lettera viene così riproposta l'anno dopo, nel dicembre 2020, dedicandole l'intera copertina di uno dei cataloghi d'asta.
 
La stima è crollata (tra € 5.000 e € 7.500) ma il risultato al martelletto non cambia: invenduta.
 


Da questo momento inizia una riproposizione ossessiva della lettera, che compare con regolarità in ogni tornata d'asta, con una base di € 5.000. 

Un mercante old-style sarebbe allibito: se riduci la base - se l'oggetto pregiato lo proponi a prezzi progressivamente più bassi - trasmetti solo ansia di vendere e, specularmente, alimenti l'aspettativa di ribassi ulteriori (perché comprare oggi, a 10, ciò che ieri costava 20, se domani potrebbe essere offerto a 5?); e se poi l'oggetto compare di continuo, se ce lo si ritrova costantemente sotto gli occhi, tutto il suo pregio va a scemare, s'inflaziona, e nessuno paradossalmente lo vorrà più, per quanto in basso possa scendere il prezzo, perché assurdamente percepito di valore ancora inferiore.
 
E infatti la lettera col rarissimo timbro "ASSICURATA" di Caserta come annullatore, la preziosa lettera ex "Scilla e Cariddi", ex "Luxus", anche se offerta a soli 5.000 euro, rimane sistematicamente invenduta.

Sino ad arrivare all'asta di giugno 2022, quando si assiste all'incredibile: la "rarissima" lettera viene proposta a 2.000 euro!

 
Si dice che una volta toccato il fondo si può ancora scavare, ma 2.000 euro sono davvero lo zero assoluto per questa lettera, un limite inferiore sotto il quale è fisicamente impossibile andare.

La lettera - ora - sarà sicuramente aggiudicata, viene da pensare. Una base ai minimi termini, forse, attirerà più d'un compratore - anche perché i collezionisti di "Napoli" non mancano, come testimoniano le zuffe sulla Collezione Provera, esitata dalla concorrente Corinphila - e magari la frenesia della competizione potrebbe far impennare il realizzo, una volta stimolato l'interesse sul pezzo con una base così allettante.
 
Non accade nulla di ciò.
 
A conclusione dell'asta la lettera risulta sì venduta, ma a soli € 3.500, una cifra ridicola, per un pezzo mitico.
 
E la vera stranezza deve ancora arrivare: qualche giorno dopo - sul catalogo on-line della casa d'asta - la lettera ricompare come unsold.

Cosa vuol dire? La lettera è stata o no aggiudicata? Si può sapere che succede?
 
Succede - vi spiegheranno gli habitué delle aste - che probabilmente sul lotto era presente una riserva.
 
Alcune case d'asta fissano talvolta basi incredibilmente basse per stimolare la partecipazione, confidando in una bagarre competitiva una volta tirati dentro quanti più collezionisti possibili, con l'intesa - a volte dichiarata, più spesso taciuta - che se il gioco dei rialzi non dovesse condurre a toccare un prezzo di aggiudicazione minimo - il cosiddetto prezzo di riserva - allora il lotto rimarrà alla casa d'asta, anche se formalmente risulterà aggiudicato.
 
Ma perché - chiederanno gli ingenui - non fissare direttamente la base d'asta al livello minimo desiderato? Perché imbarcarsi nella procedura farraginosa della riserva - con un minimo dichiarato (la base d'asta) e un minimo effettivo più alto e occulto (il prezzo di riserva) - e può quindi verificarsi un'aggiudicazione fittizia, solo formale, che andrà poi annullata?
 
Discorso lungo, a volerlo affrontare come meriterebbe. Quel che importa - qui, ora - è che al 4 luglio 2022, oltre due settimane dopo la chiusura di tutte le sessioni, il lotto 21014 risultava ancora unsold.
 
Ce n'era abbastanza per scrivere alla casa d'asta.  
  

Passano tre giorni, senza ricevere notizie.

Poi, nel pomeriggio del terzo giorno, arriva la risposta: spiacenti, il lotto è stato venduto.


E infatti lo stesso giorno, di li a poco, il lotto ricompare sul sito come aggiudicato (a € 3.500).
 
 
Non ci interessa - qui, ora - capire cosa sia successo esattamente da Feldman, in asta e nel dopo asta, tra il 17 giugno (a inizio della tornata) e il 7 luglio (quando i giochi si sono chiusi definitivamente).
 
Ci interessa solo registrare il dato: la lettera con il rarissimo "ASSICURATA" di Caserta come annullatore unico, appartenuta alle Collezioni "Scilla e Cariddi" e "Luxus", è stata venduta a € 3.500 più diritti d'asta, dopo aver veleggiato per tutta la sua vita su ben altri livelli di prezzo.



Saliamo sulla DeLorean, acceleriamo fino a 88 miglia orarie, e spostiamoci nel tempo e nello spazio: dal periodo 17-22 giugno dell'asta Feldman, a Ginevra, all'11 giugno, giorno dell'asta Vaccari numero 100, a Vignola.

Il catalogo di Vaccari contiene diverse proposte di interesse, di quelle che si fanno guardare a prescindere, anche se non appartengono al proprio ambito collezionistico.

Spiccano alcuni valori del Governo Provvisorio di Toscana, tra cui il lotto 411, un 20 centesimi usato di qualità straordinaria.


 
Il 20 centesimi usato del Governo Provvisorio di Toscana è uno dei francobolli più comuni degli Antichi Stati. Non siamo ai livelli del 15 centesimi del Lombardo Veneto o del 2 grana di Napoli - nelle catalogazioni di base - ma sicuramente è un pezzo rintracciabile senza difficoltà. Spesso non lo si offre neppure stand alone, come singolo lotto, ma lo si include in selezioni più ampie, vendute "in blocco", proprio perché da solo difficilmente attirerebbe l'interesse.

Ma questo 20 centesimi è obiettivamente sui generis: testimonia l'unicità e l'irripetibilità di ogni francobollo antico; è un caso di scuola sulla qualità che crea rarità per mezzo della selezione; è sicuramente uno dei migliori esemplari noti.

Ne abbiamo conferma già nella fissazione della base: € 120 a fronte di una quotazione di catalogo di € 300, quindi uno sconto del 60%, quando nelle aste si applica di regola una riduzione del 90%.

E il prezzo dichiarato nelle aste è solo la base di partenza; bisogna poi vedere il realizzo, l'aggiudicazione, il prezzo finale determinato dal gioco dei rilanci tra collezionisti (che all'asta Vaccari possono osare un po' di più, vista l'assenza di commissioni a carico degli acquirenti).

Cosa ne è stato allora del lotto 411 dell'asta Vaccari numero 100, di questo 20 centesimi del Governo Provvisorio di Toscana, "con ampi margini" e "ann[ullo] leggero", di "ottima qualità", come si legge nella descrizione?
 
 
Shocking in my town! - avrà esclamato Paolo Vaccari, citando Battiato.
 
Clamoroso a Vignola, possiamo dire noi.
 
Il lotto partiva già alto - € 120 di base, il 40% del valore di catalogo - ma la proporzione ci poteva pure stare, tenendo conto di una qualità difficilmente ripetibile. Ci si aspettava anche una competizione vivace, perché, di nuovo, di 20 centesimi del Provvisorio di Toscana se ne trovano how many you want, ma se li volete di questa qualità allora il gioco si fa duro. Certo è, però, che nessuno - probabilmente neppure il conferente - si aspettava un realizzo pari a 14 volte la base (!) e del tutto sganciato da qualsivoglia valutazione di catalogo.

Cos'è successo il 10 giugno 2022, a Vignola, durante l'asta Vaccari numero 100?
 
Nulla che non si conosca già, nulla che non sia ampiamente documentato presso i collezionisti d'esperienza, anche se ogni volta non manca di meravigliare.
 
Si è avuta testimonianza - ancora una volta - che in filatelia classica non esiste nessuna legge della domanda e dell'offerta. Ogni oggetto - in filatelia classica - è unico e irripetibile, nel bene o nel male, e quando passa l'attimo si deve afferrarlo, costi quel che costi. Il prezzo - a quel punto - non esprime più nessun valore obiettivo, razionalmente determinabile, ma misura semplicemente una cosa che per sua natura si sottrae a qualsivoglia quantificazione, e che tuttavia viene ugualmente inchiodata a un numero: la voglia di matta di possedere l'oggetto, proprio quello, e nessun altro.

Il 10 giugno 2022, a Vignola, da Vaccari, uno straordinario 20 centesimi del Governo Provvisorio di Toscana, che rimane pur sempre uno dei francobolli classici nominalmente più comuni, è stato venduto a € 1.700.

 
Il denaro cloroformizza, pialla, appiattisce, omologa. Una villa da 1 milione di euro, un'opera d’arte da 1 milione di euro, una consulenza aziendale da 1 milione di euro, una piantagione d'ananas da 1 milione di euro, un guardaroba da 1 milione di euro, una donazione in beneficienza da 1 milione di euro, una partita di cocaina da 1 milione di euro, diventano la stessa cosa: 1 milione di euro.
 
Il denaro ha il potere di ridurre tutti i valori a una sola forma di valore, la sua. Nessuna differenza qualitativa è avvertita o intesa, agli occhi del denaro. Ogni particolarità svanisce, ogni significato individuale si perde, ogni cosa assume la leggerezza e la consistenza di un numero. Nel denaro muore ogni qualità e sopravvive solo la quantità. Tutte le qualità del denaro si riducono alla sua quantità, per esplicitare il paradosso.
 
Il denaro è al centro del sistema economico, e l'economia è stata messa al centro della politica e della società. La logica del denaro è quindi diventata la nostra logica: ragioniamo con le categorie del denaro, valutiamo ogni cosa con la metrica del denaro, parliamo il linguaggio del denaro. E' comodo, facile e veloce.
 
Ma cosa stiamo dicendo, allora? Che il pregio del rarissimo "ASSICURATA" di Caserta, con tutto il suo blasone, è poco più del doppio di quello di un pur eccezionale 20 centesimi del Governo Provvisorio, perché è costato poco più del doppio?
 
Riusciamo davvero a dirlo, senza sentirci travolti dal ridicolo?
 
Il denaro dice così - € 3.500 più diritti per la lettera di Napoli, € 1.700 per il 20 centesimi toscano - ma noi, invece, cosa diciamo?
 
Siamo capaci di oltrepassare la logica del denaro, di apprezzare qualcosa che sfugge alla misurazione del denaro, di sentire qualcosa che non sia pronunciata dal denaro?

Commenti

  1. Lettera di Napoli a 3500€ e il 20 centesimi toscano 1700€? Stranezze come queste se ne vedono sempre di più. Per quanto un oggetto possa essere oggettivamente raro e filatelicamente significativo, in particolari circostanze si possono verificare anomalie di questo tipo. Se chi cede la lettera di Napoli ha bisogno di realizzare contanti velocemente e sul mercato non c'è nessuno interessato a quel determinato pezzo con le necessarie disponibilità economiche, ecco che salta fuori l'anomalia. Ai giorni nostri poi, dove in Italia denaro ne circola sempre meno e l'interesse per la filatelia sembra andare via via, lentamente scemando, il numero di anomalie aumenta.
    Il 20 centesimi di Toscana? Ovviamente sopravvalutato, magari non per chi lo ha acquistato per cui rappresenta di sicuro una grande soddisfazione. Lo confesso, a 1700€ ce l'ho portato io, a causa di una svista, di un errore di percezione. Quel francobollo lo conosco da molto tempo e mi ero detto che se fosse tornato sul mercato avrei fatto di tutto per aggiudicarmelo. Era una di quegli intenti che avevo messo in automatico, in quanto sicuro che ne sarebbe valsa la pena, a prescindere dal prezzo. Al momento dell'asta quindi sono partito come faccio sempre quando mi interessa un pezzo, ovvero clicco sull'offerta senza neppure guardare il valore raggiunto, fino a che non si può più offrire perché dall'altra parte nessuno replica. Ciò che è avvenuto con questo francobollo da 20 centesimi è quanto segue. Avendo messo già da tempo il 'pilota automatico' per questo francobollo, appena è arrivato il suo turno, ho semplicemente iniziato a cliccare sul pulsante del rialzo dell'offerta senza pensare. Poi, ad un certo punto, mi si è accesa una luce nella mente e in un istante ho fatto la seguente riflessione: "oggi ho raggiunto una profondità tale nella comprensione delle caratteristiche dei francobolli toscani, per cui sono molto più consapevole rispetto a sei anni fa, quando misi il pilota automatico per questo pezzo, di cosa ha valore per me in un francobollo e cosa invece ne ha meno. Cosa ha questo 20 centesimi di speciale? Solo i margini, esclusivamente i margini molto ampi e regolari. Presenta varietà interessanti? No. Mostra tracce di lettere nella filigrana? No. È un angolo o margine di foglio con linee di composizione visibili? No, Interspazio di gruppo? Forse in basso ma non si intravede l’esemplare della riga sottostante, quindi di scarso valore. Cosa si può dire di unico, di curioso, di particolare di questo francobollo? Niente. L'annullo è interessante? È un muto in nero neppure nitido. Cosa porta di nuovo nel bagaglio di conoscenze dei francobolli di Toscana. Niente. Cosa si può scrivere nella scheda di descrizione? Poco o niente di rilevante, se non che ha margini molto ampi e regolari. E quindi che faccio, continuo a rilanciare solo perché qualcuno dice che i margini ampi sono importanti? Ma almeno a me il francobollo a pelle piace davvero molto? No, in realtà no." Terminata questa serie di domande, ho smesso di rilanciare. Se questa serie di considerazioni le avessi fatte prima dell’asta, invece di affidarmi al pilota automatico impostato anni prima, l’attuale proprietario del francobollo, lo avrebbe molto probabilmente portato via da un prezzo molto più basso e forse non avremmo assistito a questa anomalia.
    I500LdT

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