LE SORELLE AZZURRE - Prologo

"L'Omnibus" nasce a Napoli nel 1833, come rivista letteraria,
per poi mutare in giornale politico nel 1863.
Sarà pubblicato sino al 1882. 
Era un foglio ripiegato, con quattro pagine numerate, ognuna con quattro colonne.
Dal 1840 al 1860 ebbe periodicità bisettimanale (mercoledì e sabato),
per poi divenire trisettimanale (martedì, giovedì e sabato).
Altri giornali erano "L'Indipendente", "Il Popolo d'Italia", "Arlecchino",
"Il Cattolico", "La Parola Cattolica", "Il Nomade".

La circolazione delle informazioni e la libertà d'opinione sono avversate da ogni regime politico autoritario (e a dirla tutta mal sopportate anche dai governi democratici). Ogni despota deve però avere più d'una accortezza, se non vuol limitarsi a imporre le sue censure, se ambisce a farle percepire socialmente accettabili. A nessun tiranno, per quanto tiranno, piace passare da tiranno agli occhi del popolo su cui esercita la sua tirannia.

Il regime fascista tollerava Trilussa - un non-fascista, più che un anti-fascista - perché troppo popolare e ben voluto, per infliggergli punizioni che non trasmettessero la sensazione di incomprensibili abusi di potere. E così il Duce doveva sforzarsi di trovar divertenti gli attacchi alla sua persona, neanche troppo velati, sotto l'immaginario dialogo tra i numeri "uno" e "zero".

Conterò poco, è vero:

- diceva l'Uno ar Zero -

ma tu che vali? Gnente: proprio gnente.

Sia ne l'azzione come ner pensiero

rimani un coso voto e inconcludente.

Io, invece, se me metto a capofila

de cinque zeri tale e quale a te,

lo sai quanto divento? Centomila.

E' questione de nummeri. A un dipresso 

è quello che succede ar dittatore

che cresce de potenza e de valore

più so' li zeri che je vanno appresso.

La censura, se è un cappio al collo, non può stringersi sino a togliere il respiro. La censura, per quanto opprimente, deve permettere di fiatare e rifiatare. La censura richiede accorgimenti, precauzioni, stile.


Siamo nella seconda metà dell'800 e le informazioni sono veicolate tramite i giornali, senza possibilità alternative paragonabili, per importanza e diffusione. Non è ovviamente una mossa furba proibire la pubblicazione di un giornale, anche perché non servono atti di forza per pilotare il flusso di informazioni su cui il pubblico forma la sua opinione. Sono più che sufficienti atti amministrativi: un blocco preventivo limitato a pochi argomenti "caldi"; la presenza governativa nei ruoli strategici della comunicazione; l'imposizione di tasse e balzelli, o la semplice negazione di agevolazioni, per indurre costi maggiori. Sono tutti interventi formalmente legittimi, ma d'ostacolo alla spassionata intrapresa d'iniziative di divulgazione dell'informazione. Sono le tasse sulle idee, con un'espressione colorita, ricca di suggestioni.

Nell'assetto istituzionale restituito dal Congresso di Vienna vigevano pressoché ovunque disposizioni per drenare l'informazione, per mettere sabbia negli ingranaggi dei giornali. Soltanto Re Vittorio Emanuele II di Sadegna, sulla scia delle disposizioni del padre, aveva preservato l'idea di una libertà di stampa, sostenendola con una regolamentazione di favore (costi ridotti per l'inoltro dei giornali interni e assenza di tasse d'importazione sui giornali esteri).

Le cose erano però destinate a cambiare, in quell'epoca tumultuosa dove si andava a letto la sera sotto il dominio di un Re, sapendo di potersi svegliare la mattina dopo col governo di un nuovo dittatore. I fatti sono noti - nella loro romanzata versione ufficiale e nelle ricostruzioni meno enfatiche - ma val la pena richiamarli a grandi linee.
 
Alla fine del 1859 il Regno di Sardegna ha acquisito un'estensione territoriale paragonabile a quella del Regno delle Due Sicilie, a seguito del conflitto vittorioso con l'Impero austriaco e di singolari carambole a metà tra la guerriglia e la diplomazia.
 
Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, a Quarto, presso Genova, un corpo di un migliaio di volontari, guidati da Giuseppe Garibaldi, s'imbarca sui piroscafi "Piemonte" e "Lombardo", per assaltare il Regno delle Due Sicilie e estrometterne la dinastia dei Borbone. La spedizione sbarca in Sicilia l'11 maggio, a Marsala, e prendono avvio le operazioni belliche che porteranno alla conquista dell'intero meridione della penisola.
 
Re Francesco II abbandona Napoli il 6 settembre 1860, per rifugiarsi a Gaeta. Garibaldi entra il giorno dopo nella città partenopea e ne assume la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II. Indirrà un plebiscito per l'annessione al nuovo Regno dopo la vittoriosa Battaglia del Volturno, e saluterà Vittorio Emanuele come "Re d'Italia" nel celeberrimo incontro di Teano del 26 ottobre. Nella prima decade di novembre gli riconsegnerà ufficialmente i poteri dittatoriali.

La situazione della penisola dopo la Seconda Guerra di Indipendenza:
il Regno di Sardegna (in rosso), il Regno delle Due Sicilie (marrone),
lo Stato Pontificio (giallo) e il Veneto austriaco (bianco).
La linea rossa indica il percorso seguito dalla Spedizione dei Mille.
 
La dittatura di Giuseppe Garibaldi è solo un intermezzo nel Gran Libro della Storia - una rapida fase di transizione da una Casa Reale a un'altra, dai Borbone ai Savoia - ma per i collezionisti apre un capitolo tra i più affascinanti dell'intera filatelia classica.
 
La Trinacria e la Crocetta - due tra i più seducenti francobolli al mondo - stavano per affacciarsi sulla scena.

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