LEGGERE NEL PASSATO

"Il passato è attaccato alle nostre spalle.
Non dobbiamo vederlo, ma possiamo sempre sentirlo"
Serve un'ideale macchina del tempo, per rivivere il passato e intendere correttamente i fatti di un'epoca. Serve riportarsi alla cultura e alle tradizioni di allora, agli usi e ai costumi del tempo, a ciò che in quella particolare situazionesecondo la sensibilità del momento, era giudicato giusto o sbagliato, inammissibile o giustificabile, da perseguire e condannare o in varia misura tollerare. L'errore più frequente è leggere la Storia attraverso il filtro degli standard moderni, vedere nel passato una fotocopia del presente, cedendo a una distorsione di prospettiva da cui seguono interpretazioni manchevoli e fallaci.

Non possiamo capire le frodi postali e le falsificazioni dei francobolli, se prima non abbiamo capito il francobollo, il suo ruolo e la sua importanza, non in astratto, ma in un contesto sociale e culturale storicamente determinato.

Registriamo oggi una tendenza alla scomparsa del francobollo, nella vita di ogni giorno. La comunicazione via lettera è ormai superata, è un modo di relazionarsi del passato, che consegna alla storia anche quell'oggetto - il francobollo - che ne era funzionale. Perché falsificare oggi un francobollo, per frodare l'erario, quando strati progressivamente più vasti della popolazione comunicano attraverso le e-mail, i forum, i social network e le "app" di messaggistica istantanea? Solo i filatelici perseverano nell'uso dei francobolli, e solo per il loro piacere le Poste ne emettono ancora. Se davvero esiste un falsario da un lato, e un'autorità che lo persegue dall'altro, davvero non sapremmo dire chi sia il più stupido tra i due: se chi si è preso i rischi di un illecito dagli incerti ritorni o chi spende tempo e energie per inseguire uno svitato convinto che là fuori governi ancora Re Ferdinando.

Questa è la situazione odierna, ma un tempo le cose erano diverse e per molto tempo andarono diversamente.

Per svariati secoli la Posta ha rappresentato il mezzo esclusivo per comunicare a distanza, e la sua centralità non è venuta meno neanche dopo l'invenzione del telegrafo e del telefono; ha avuto primariamente una dimensione tecnica - l'offerta di servizi, la normativa settoriale, le tariffe, i tragitti e i sistemi di trasporto - che ha poi interferito con gli stili di vita, con le abitudini e i modi di esprimersi, con la società civile tutta; è salita a protagonista della Storia, nelle piccole testimonianze contenute nei testi delle corrispondenze e nei grandi affreschi di eventi e personaggi; ha veicolato messaggi - politici, sociali, artistici e di costume - che oggi sono oggetto di studi di semiotica,  d'iconografia e storia dell'arte.

E l'invenzione del francobollo segna l'avvio di una rivoluzione, nella storia della Posta. L'onere dell'inoltro della missiva è trasferito dal destinatario al mittente - francobollo significa franco, libero, affrancato, espressione ancora in uso per dire che ci si è svincolati da qualcosa, nella fattispecie il bollo, l'imposta in precedenza a carico del destinatario - con un'associata razionalizzazione delle tariffe di spedizione. E' un cambiamento strutturale, ben oltre le apparenze: "lo Stato moderno veniva chiamato a gestire la posta come un servizio pubblico di vitale importanza per la speditezza degli affari e l'efficiente organizzazione amministrativa, in breve per la vitalità economica ed il controllo politico del paese", attraverso "la condivisione di alcuni principi che [...] all'epoca erano del tutto nuovi: posta come servizio esclusivamente pubblico, fissazione di una tariffa contenuta ed uniforme, variabile in funzione del peso o dei fogli della lettera; pagamento obbligatorio della tassa da parte del mittente e non più del destinatario", come leggiamo in una bella monografia sui francobolli del Granducato di Toscana.

Ovviamente, nel senso della storia, la prospettiva di una rivoluzione offriva alla "classe dei furbi" la possibilità di una contro-rivoluzione, per approfittare delle debolezze proprie di ogni nuovo assetto. Le istituzioni avevano perciò l'obbligo di tener alta la guardia, per prevenire con norme e controlli tutto ciò che era ragionevolmente prevedibile, e affinare nel tempo le procedure e le prassi, via via che l'esperienza svelava i rischi della novità.

Gli Stati svilupparono presto un'attenzione ossessiva al fenomeno delle falsificazioni e l'attività di contrasto fu spesso spietata. Il governo austriaco condannò a tre anni di reclusione il tipografo Gaetano Alberti, per la falsificazione di due esemplari della prima emissione del Lombardo Veneto (il 15 e il 30 centesimi).  Il decreto di emissione dei francobolli napoletani prevedeva misure penali per i falsari di francobolli, con un richiamo ai falsificatori di monete ("Chiunque avrà falsificati o contraffatti i bolli di posta" sarà punito "a' termini delle disposizioni [...] delle leggi penali relativo a' reati di contraffazione delle monete di rame") e il Regolamento Postale d'attuazione delineava un preciso iter giudiziario, in caso di sospetta frode.

Decreto di emissione dei francobolli del Regno di Napoli (Real Decreto N. 4210), articolo 9.



Regolamento Postale (Real Decreto N. 4454), Capitolo IV, del Titolo primo, articoli 52-59.

Non sorprendiamoci. Emettere francobolli, all'epoca, era una manifestazione di sovranità, non dissimile dal battere moneta, e il falsario di francobolli era una figura pericolosa tanto quanto un falsario di denari, perché la sua opera illecita metteva a repentaglio le istituzioni politiche, la loro credibilità e autorevolezza, in definitiva la sovranità.

Oggi stiamo smarrendo il sentimento di sovranità. Viviamo in un mondo in cui la maggior parte dei confini sono puramente geografici, ma nei fatti sfumati o inesistenti, un mondo segnato da un trasferimento continuo di competenze e prerogative dagli Stati nazionali alle Istituzioni internazionali. E' venuto meno il legame forte tra lo Stato e il potere legislativo, ché le norme sono ormai in larga misura di emanazione sovranazionale. La stessa azione di governo è debole, eterodiretta da organi tecnici delocalizzati, privi di una tradizione culturale. Fatichiamo, oggi, a riempire di contenuti le idee di sovranità e autonomia politica, ché per scelta, consapevole o no, a quella sovranità, a quell'autonomia, abbiamo in gran parte rinunciato. Non sappiamo più dire su cosa regni, legiferi o operi il cosiddetto Stato sovrano, su cosa eserciti esattamente la sua sovranità. La stessa parola sovranista ha preso una chiara connotazione dispregiativa, senza capire che quanta più sovranità si cede tanto più sfumate e ininfluenti si fanno le differenze tra i partiti nazionali, che pure ci preoccupiamo di sostenere con ardore.

Ma due secoli fa non era così. Due secoli fa governava Re Ferdinando II di Borbone, "un uomo tanto carico di umanità nei confronti del popolo che amava quanto severo e implacabile verso chi lo contrastava. La sua parola d'ordine era 'Indipendenza' e finché egli visse Napoli continuò a essere indipendente", leggiamo nella presentazione di un catalogo d'asta della Arphil, intitolato proprio al Re di Napoli e Sicilia. Due secoli fa c'era una sovranità da difendere, c'erano le guardie da un lato e i ladri dell'altro, a dar vita a una scintillante sequenza di pacchi, doppi-pacchi e contro-paccotti.

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