FALSI PER SERVIRE


Il francobollo nasce in Inghilterra, nel 1840, su iniziativa di Sir Rowland Hill. Prima della sua invenzione, nell'epoca cosiddetta "pre-filatelica", il costo del trasporto della lettera gravava sul destinatario e non sul mittente: pagava chi riceveva la lettera, non chi la spediva.
 
L'Inghilterra vantava un servizio postale di prim'ordine - le spedizioni erano numerose, e la posta viaggiava con regolarità e velocità, per terra e mare - e tuttavia il suo bilancio finanziario mostrava invariabilmente la corda. Le entrate faticavano a coprire le spese, i guadagni erano minimi, quando non erano perdite, sebbene ogni attore dava il massimo impegno e l'intero processo si svolgeva nel rispetto di norme e regolamenti.

L'episodio "di svolta" è ormai un classico del folklore filatelico, a prescindere dal suo grado di verità.
 
Sir Rowland Hill è nella hall di un albergo, quando la sua attenzione è attratta una scena curiosa. Una cameriera sta discutendo con un postino. Ha tra le mani una lettera, la gira e la rigira, la osserva un po' e infine la riconsegna, dicendo di non disporre del denaro necessario per ritirala. Rowland Hill si offre di pagarle la tassa, ma la cameriera non sembra colpita da quel gesto di cortesia e tenta anzi di evitarlo, persuade Hill a lasciar perdere. Quando il postino va via, portando con sé la lettra, ecco la spiegazione della cameriera: all'interno della busta non vi era alcun contenuto, l'informazione era scritta in codice, con pochi segni convenzionali sulla parte esterna dell'involucro, perciò era inutile ritirarlo, perché il messaggio era stato già decriptato tenendo in mano la lettera.

Non possiamo dire se la causa del traballante bilancio delle Poste Inglesi fosse proprio la diffusione di simili espedienti, ma di sicuro Sir Rowland Hill rimase profondamente impressionato dall'episodio, al punto da immaginare e realizzare una rivoluzione dei servizi postali: non più il Sole che gira intorno alla Terra, ma la Terra intorno al Sole, non più il destinatario a pagare al momento della ricezione della lettera, ma il mittente al momento della spedizione.
 
Questo capovolgimento avrebbe dato anzitutto certezza alla riscossione della tassa. Pure, Sir Rowland Hill intuì che l'applicazione di tariffe più basse e uniformi - calibrate sul peso delle lettera, anziché sulle distanze - se da un lato provocava un minor introito unitario, dall'altro avrebbe favorito l'aumento del volume del traffico postale, e questo secondo effetto avrebbe probabilmente più che compensato il primo, dando respiro al bilancio delle Post Office. Pubblicò così, a sue spese, il libretto "Post Office Reform: its Importance and Practicability", con cui illustrò il suo pensiero riformatore al Parlamento britannico. Il progetto incontrò dapprima una forte opposizione, per l'ostilità preconcetta di chi vedeva in Rowland Hill un "estraneo" a quel mondo, ma poi - anche grazie alle pressioni della classe mercantile - le istituzioni accolsero e approvarono la riforma.

Restava da smarcare un problema tecnico: la creazione dell'oggetto con cui attestare il pagamento anticipato. Hill propose una carta valore da collocare sulla lettera, di dimensioni sufficienti ad accogliere una stampa al recto e con una soluzione glutinosa al verso per poterli incollare sulla lettera.

Il Governo bandì addirittura un concorso pubblico, per raccogliere idee sulla forma e sulla vignetta di questo nuovo oggetto, con un premio di ben 600 sterline. Giunsero in Commissione quasi tremila proposte, e i bozzetti conobbero la gloria di un'esposizione a Buckingham Palace, ma nessuno di essi incontrò il favore di Hill, che decise di occuparsene personalmente in collaborazione col proprio staff. Una medaglia col profilo della Regina Vittoria offrì lo spunto al soggetto del francobollo, che apparve sulla scena il 6 maggio 1840, e sarebbe poi passato alla storia col nome di Penny Black, per l'accoppiata tra il valore facciale (1 penny) e il colore (nero).

Il pragmatismo dell'idea - il pagamento anticipato e la tariffa uniforme - ne favorì la diffusione e conferì al francobollo lo status di un oggetto universale: Svizzera, marzo 1843; Brasile, agosto 1843, Stati Uniti d'America, 1847; e poi i nostri Antichi Stati, il Lombardo Veneto nel 1850, il Regno di Sardegna e il Granducato di Toscana nel 1851, i Ducati di Parma e Modena e lo Stato Pontificio nel 1852.
 
Tra il 1870 e il 1899 si registrarono 204 "prime emissioni", con oltre 800 francobolli, che diedero inizio alle storie filateliche dei vari Paesi.
 
Oggi non esiste un Paese al mondo che non abbia emesso un francobollo almeno una volta.

 
Anche il Regno delle Due Sicilie - sebbene per ultimo, dopo aver avuto la possibilità d'essere il primo - si pose il problema di ammodernare il proprio servizio postale, per arginare il fenomeno delle frodi. "La Commissione si è primieramente occupata dell'esame della convenienza di adottarsi il sistema del franco bollo, che è oramai in uso presso quasi tutti gli altri Stati di Europa, per la francatura delle lettere. Ed ha riputata necessaria l'introduzione di un tal sistema, siccome il solo mezzo sicuro ed efficace per impedire le frodi che in danno del Regio Erario abitualmente si commettono", leggiamo nella sezione "DELLA CONVENIENZA DI ADOTTARSI IL SISTEMA DEL FRANCO BOLLO OBBLIGATORIO" della "Relazione" della Commissione nominata nel 1857 "per disaminare e proporre tutti gli immegliamenti che sia necessario od utile di arrecare all'Amministrazione generale delle Regie Poste e de' Procacci".

Ma la frode è come l'acqua: trova sempre una via. Per chi voleva usufruire dei servizi postali, senza pagare, era solo cambiato l'oggetto del raggiro, più complicato da riprodurre, ma nulla che non si potesse realizzare con un minino di strumentazione e abilità.
 
La falsificazione dei francobolli per frodare l'erario - i falsi d'epoca - sono un fenomeno relativamente diffuso nel panorama degli Antichi Stati Italiani - lo registriamo nel Lombardo Veneto e nello Stato Pontificio - ma nel Regno di Napoli prese una dimensione del tutto peculiare. I falsi d'epoca napoletani - con le parole di Emilio Diena - "sono forse quelli che furono adoperati su più larga scala in confronto ad altre imitazioni eseguite per frodare Amministrazioni postali di altri Paesi. Il pregiudizio che ne risentì l'Amministrazione postale napoletana deve essere stato considerevole".

I falsari dei francobolli borbonici erano "fra quei modesti ma talora valenti artefici, allora frequenti a Napoli, che eseguivano in calcografia e stampavano con piccoli torchi a mano biglietti da visita, monogrammi ed intestazioni di carte da lettera". La loro opera si concentrò sul 2 grana (il pezzo a più alta frequenza d'uso) e sui valori da 10 e 20 grana (per i quali la spesa valeva l'impresa), tutti stampati uno alla volta (per cui non esistono multipli). "E' strano che i falsari non abbiano incluso il 5 grana fra i valori che imitarono" - nota Emilio Diena - "tanto più che quel valore, anche perché servì per le corrispondenze dirette allo Stato Pontificio, fu di uso assai frequente". Il Catalogo Sassone ha  recentemente documentato l'esistenza di un esemplare falso da 1 grano.
 
Il ritrovamento di un "falso di Napoli" da 1 grano - di ben altra fattura rispetto agli altri -
documentato dal Catalogo Sassone "Antichi Stati" 2019.

La prima data nota è il 13 giugno 1859, l'ultima il 21 settembre 1861, entrambe su lettere col 20 grana. Falsi e originali, insomma, marciarono a  braccetto per gran parte del tempo.

La scienza filatelica ha ricostruito a posteriori tre "tipi" di falsi del 2 grana (col primo tipo diviso in due "stati"), cinque del 10 grana e sette del 20 grana. Ne propongo un campionario a mo' di presentazione generale (qui potete trovare un quadro sinottico per l'identificazione dei vari "tipi").

 Falsi del 2 grana del I tipo.



Falsi del 2 grana del II tipo.



 Falsi del 10 grana del III e del V tipo.



Falsi del 20 grana del IV, V e VII tipo.

Una notazione squisitamente estetica, per iniziare. Se mostrate a una persona digiuna di filatelia un francobollo originale e un analogo falso del Regno del Lombardo Veneto, chiedendogli semplicemente se nota o no delle differenze, state pur certi che scuoterà la testa, vi dirà che quei francobolli sono "uguali"; è la stessa sensazione dei collezionisti alle prime armi; e alcuni possono incontrare difficoltà anche in età adulta, se non vi hanno mai dedicato attenzione. I falsi del Lombardo Veneto, insomma, "son fatti bene", furono concepiti con una certa accortezza, per esser riconosciuti solo da un occhio attento e sospettoso, o almeno non troppo distratto.
 
Lettera affrancata con un 15 centesimi "falso di Milano" e un 30 centesimi originale.
La frode postale fu scoperta e la lettera sequestrata.

Ora provate a replicare il gioco con i falsi di Napoli, col 2 grana a esempio. Non serve avere la cattedra di estetica alla Sorbona, per accorgersi che nei falsi napoletani le diciture sono irregolari, mal fatte, le impronte degli stemmi grossolane, prive di dettagli, i colori manifestamente diversi, innaturali, da cui l'estrema semplicità nel discriminarli dagli originali. Ci fu davvero parecchia approssimazione nel predisporre i falsi, quasi che i falsari non temessero di esser scoperti (non si diedero neppure la pena - per dire - di imitare la filigrana).

      
Un 2 grana originale (alla sinistra di chi guarda) e uno falso (alla destra).



          
Un 10 grana originale (alla sinistra di chi guarda) e uno falso (alla destra).



 Una autorevole posizione contraria sulla qualità dell'imitazione dei falsi di Napoli.
Nella logica delle cose, poi, il falso è più raro dell'originale, perché nella "fisiologia della patologia" - se è concesso il cortocircuito di concetti - ne rappresenta una frazione comunque trascurabile (per dire: per quante banconote false ci siano in circolazione, le originali restano di più, molte di più).
 
L'ipotesi trova piena conferma nel Lombardo Veneto, ma in misura solo attenuata nel Regno di Napoli, sino a registrare sorprendenti eccezioni. Alcuni falsi da 20 grana (usati, sciolti) sono più comuni dell'originale: un caso unico in tutta la filatelia mondiale! 
 
I falsi allo stato di nuovo sono invece tutti molto rari, ovviamente: il falso acquistava valore solo se utilizzato, nessuno aveva cioè interesse a conservarlo immacolato (come nessuno ha interesse a trattenere una banconota falsa, il cui valore sta tutto nel disfarsene quanto prima).

20 grana falso I tipo: il falso più raro del Regno di Napoli.

Vi è infine corrispondenza postale di ogni sorta, con falsi di alto e basso valore facciale, con affrancature "miste" tra falsi e originali, anche su lettere "assicurate" - le odierne "raccomandante", in teoria oggetto di particolare attenzione - ancora una volta a sprezzo del rischio di esser scoperti.



















Una carrellata di affrancature con francobolli falsi e con combinazioni di falsi e originali.

Se l'introduzione del francobollo aveva messo il mondo sottosopra, allora il Regno di Napoli gli aveva fatto compiere un'altra rotazione completa, per trasformarsi nel mondo del tutto all'incontrario rispetto alla nuova normalità, ai nuovi standard.

Qual era la "voce di quadratura", per dirlo al modo dei contabili? E' semplice intuirlo, a questo punto della storia: la complicità - la diffusa e ramificata complicità - tra i falsari e gli addetti ai vari ruoli del servizio postale. Erano gli stessi impiegati delle Poste, che inibiti dagli "svolazzi" a giocare al puzzle degli annulli, potevano ancora non accorgersi - sbadatamente, innocentemente - di una lettera affrancata magari con più falsi che originali.
 
"Gli esemplari falsi vennero usati in massima parte a Napoli" - scrive Emilio Diena - "Tuttavia non fa meraviglia di trovarli anche su corrispondenza di altre provenienze [...] ma ciò in via eccezionale. Può anche affermarsi che purtroppo vi fu la connivenza di qualche ufficiale postale, come si desume dalla presenza di esemplari falsi su lettere assicurate, talora anche affrancate con esemplari autentici, affianco ad altri falsi dello stesso valore, ciò che avrebbe permesso, col confronto diretto, la scoperta, non certo difficile, della frode. Diciamo 'certo non difficile', giacché le imitazioni sono in massima parte grossolane".

E per colmo d'impostura - nel mezzo della fluida corrispondenza di amorosi sensi tra falsi e originali - l'Amministrazione conduceva un'azione penale contro il Cavalier Masini, tenendo un atteggiamento di severità per una frode che frode non era, per un puro accidente, per un fatto con ogni probabilità involontario e persino con notevoli punte di humour partenopeo. Il Costa, interrogato sulla vicenda del "saggio Masini", si giustificò dicendo di averlo mostrato in uno degli spacci di Napoli, e sin anche a un portalettere, prima di utilizzarlo, e alla sua richiesta di sapere se fosse buono, "gli venne risposto essere buonissimo" (sic!).

La complessa procedura per l'identificazione e la sanzione dell'uso di francobolli falsi,
prevista dal Regolamento Postale (Real Decreto N. 4454).
Non vi è notizia di una sola lettera del Regno di Napoli
con l'indicazione (in inchiostro rosso!)
"Inviata all'Amministrazione generale per fondato sospetto di frode".

La linea d'argomentazione usata per gli "svolazzi" potremmo riadattarla alla lettura e all'interpretazione dei falsi di Napoli.
 
Gli "svolazzi" rappresentarono la reazione istituzionale a tentativi di frode che continuarono comunque a perpetrarsi, laddove le falsificazioni non trovarono invece alcun contrasto, di là delle pur severe norme, che rimasero però lettera morta. Entrambi i fenomeni erano censurabili, nel momento in cui si svolgevano, e entrambi provocarono gravi pregiudizi al bilancio del Regno.
 
Ma oggi, a distanza di secoli, quando questi oggetti hanno smesso di produrre danni, eccoli trasformarsi in portatori di significati, eccoli aprire uno spiraglio su un mondo perduto, di cui comunicano malcostumi che ancor oggi riecheggiano nelle nostre furbizie, eccoli offrirci un affresco straordinario dell'epoca, l'opportunità di documentare le altrimenti inimmaginabili avventure dei "Predoni delle Poste", di sorprenderci sino all'ammirazione per la fantasia nel concepire una frode.

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