SEMIOFORI


"Alle Sacri Mani di Sua Maestà".
Tre sorelle, rimaste orfane di padre, perdono di lì a poco anche lo zio.
Rimangono soltanto i debiti, montagne di debiti,
di cui nessuno sollecitava il rimborso finché gli uomini erano in vita,
ma che ora devono essere saldati, e pure con solerzia.
Le tre donne sono spaesate, confuse, disorientate.
Vorrebbero pagare, ma non possono,
non almeno nei tempi pretesi dai creditori.
"Siamo disposte a toglierci il pane dalle mani"
- scrivono nella loro supplica a Re Ferdinando -
se solo i creditori fossero disposti a pazientare,
se solo non pretendessero tutto e subito.
Si rivolgono al Re, le tre donne,
quel Re il cui il cui popolo "non ha bisogno di pensare",
perché "io m'incarico di aver cura del suo benessere e della sua dignità";
si rivolgono a Re Ferdinando II di Borbone, al Re delle Due Sicilie,
con la certezza di trovare un'intercessione autorevole e persuasiva,
un giudizio equo, una decisione ragionevole, una parola definitiva. 

Cos'è un semioforo? Lasciamolo dire a Krzysztof Pomian, che il concetto se lo è inventato.


Cos'è un francobollo? E' un oggetto? Sì, è anche un oggetto, ma gli oggetti si manipolano senza emozioni, in modo meccanico e impersonale, e il francobollo invece ci sta a cuore, in un francobollo ci si può persino identificare, sino a trasformarlo in una parte di sé. E' una merce? Sì, è anche una merce, ma le merci esibiscono già nel nome la loro natura mercantile, trasmettono l'idea di uno scambio basato su un calcolo razionale, e il francobollo lo carichiamo invece di valenze simboliche, lo investiamo di significati affettivi, per un francobollo siamo persino disposti a combattere. Il francobollo è molto più di un semplice oggetto o di una merce tre le tante. Il francobollo è un semioforo.

Nell'istante in cui gli uomini hanno iniziato a produrre cose, a inventare oggetti, i sentimenti sono stati esteriorizzati non più solo per mezzo di gesti e parole, ma anche traslando le emozioni su quelle loro creazioni. "Noi, individui appartenenti al genere umano, siamo i prodotti degli artefatti che abbiamo prodotto" - annota Pomian - "e non ci sarebbe possibile comprendere noi stessi senza partire da questo dato di fatto".

Gli oggetti sono ponti di collegamento tra storie individuali e storie collettive, tra vite particolari e eventi universali, anelli di continuità tra generazioni, raccordi tra civiltà, nodi di relazioni tra persone.

Gli oggetti permettono di oltrepassare la sterile esteriorità, aprono fessure nell'anima per facilitarne l'ossigenazione, e quanto più ne introiettiamo il significato tanto più siamo capaci di capire il mondo.

Gli oggetti, con il loro corredo di significati storici, teorici e emotivi, spingono a una nuova percezione della realtà, invogliano ad allargare gli orizzonti, ad approfondire la conoscenza di ciò che ci circonda.

Qualsiasi oggetto - in linea di principio - è un potenziale ambasciatore del mondo, ma il suo carico di significati si apprezza bene solo se prima lo si riscatta dalla finalità pratica per cui è stato ideato, per consegnargli un'esclusiva funzione semantica. Solo quando l'oggetto perde la sua utilità materiale, quando cioè non serve più a nulla, può sprigionare tutti i suoi significati. Solo allora l'oggetto diventa realmente una parte di noi, con cui acquisire maggiore consapevolezza di noi stessi e della realtà in cui siamo inseriti.

L'oggetto - persa la qualifica di strumento, e così finalmente libero dai suoi usi pratici - si offre interamente allo sguardo per svelare il suo significato più profondo: il suo essere un intermediario tra il visibile e l'invisibile, un ponte tra lo spettatore e il nascosto, il lontano, l'assente.

L'oggetto rivela il suo statuto, la sua qualità di messaggero del Regno dell'Invisibile, quel Regno fatto di tempi e luoghi diversi da quelli attuali, di eventi che sfuggono alla nostra completa conoscenza, di nostalgia, ricordi e rimpianti.

Questo è il semioforo: un oggetto visibile di un mondo invisibile, l'evocazione di una realtà - un'epoca, un luogo, un evento, una persona - non più tra noi se non attraverso l'oggetto.


Il semioforo nasce in un ambito ristretto - è un concetto basilare di museologia - ma poi si estende, si espande, sino a scoprirsi "mai esauribile" - ancora con le parole Pomian - sino a offrire, nel suo continuo dilatarsi, un'originale chiave interpretativa dell'intero fenomeno collezionistico.

Studiare - d'altra parte - è un'attività affascinante e coinvolgente se quel che studiamo in un ambito ristretto riusciamo poi a collegarlo a tutto il resto, ad agganciarlo con naturalezza al quel mondo di cose che è dentro di noi. Se tutto fosse già stato scritto, e noi dovessimo solo copia-incollare quel che hanno detto gli altri, senza mai metterci nulla di personale, senza mai fonderlo con tutto quel che appartiene al nostro mondo, senza sentire la necessità di una reinterpretazione coerente col nostro tempo e la nostra sensibilità, se, insomma, tutto quel che si può e si deve pensare è già stato pensato da altri, quale gioia e utilità potrebbe mai avere lo studio personale?

Per chi ama scovare la struttura delle cose, per chi cerca l'identità dietro la diversità, è irresistibile la tentazione di istituire una serie di corrispondenze, diciamo pure un isomorfismo, a partire argomentazioni sviluppate nell'ambito elettivo del semioforo.

Collezioni museali = Collezioni (senza qualificazioni)

Museo = Collezione (come un museo in miniatura)

Museologia = Filatelia (più in generale, Collezionismo)

Visitatore = Collezionista neofita, curioso, potenziale appassionato

La collezione di francobolli come teatro del mondo. Un gruppo di oggetti selezionato, organizzato e isolato dal tutto il resto, con la sola funzione di offrirsi allo sguardo: per stupirsi davanti alla moltitudine di pensieri suscitati da questi quadri in miniatura, da questi gioielli di carta, a volte di eccezionale raffinatezza; per apprezzare la capacità della filatelia di accrescere l'interesse per la nostra storia e la nostra cultura, e il rispetto per le storie e le culture degli altri; per sperimentare il processo di conoscenza attraverso gli oggetti, per ricordare che la conoscenza e la ricerca nascono dalla meraviglia, che la conoscenza è un processo di costruzione continua, come una collezione.

Il certificato di nascita dell'Italia unita:
il Decreto n. 4671 del 17 marzo 1861,
con cui Re Vittorio Emanuele II "assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia".
Ma si può davvero identificare con precisione il momento di una nascita?
O non è forse vero che la nascita è un processo, una dinamica, un filmato e non una foto?
Quand'è che l'Italia ha iniziato a nascere?



"Il Parlamento, nel giorno solenne della Seduta Reale,
coll'entusiasmo della riconoscenza e dell'affetto,
acclamava Vittorio Emanuele Re d'Italia".
Parole del Conte di Cavour, Presidente del Consiglio dei Ministri,
nella relazione d'apertura del primo Parlamento Italiano, il 18 febbraio 1861.
 Torino, la capitale, è illuminata da fuochi d'artificio,
in centro si festeggia e la musica attraversa vie e piazze.
L'Italia è forse nata nel giorno dei suoi festeggiamenti?




  Far coincidere l'unità di Italia con l'inizio dei festeggiamenti? Ma quali festeggiamenti?
Quelli ufficiali del 18 febbraio 1861, in occasione della prima seduta del Parlamento italiano?
O quelli di piazza, della folla, documentati da un giornale di Napoli già l'8 novembre 1860?
L'unità nazionale concomitante con l'emissione della Trinacria?

 

Una straordinaria testimonianza storica offerta dalla filatelia.
E' il 10 settembre 1860, Garibaldi è a Napoli da un paio di giorni, Re Francesco II non c'è più,
perciò non ci son più neanche "i Gentiluomini di Camera di Sua Maestà il Re".
Abbiamo il privilegio di vedere un pezzo di Storia mentre si svolge,
di avvertire la fragranza delle sensazioni e dei pensieri di quei giorni,
anticamera di quell'unico giorno, il 17 marzo 1861, per convezione chiamato "unità di Italia".



  Casa Savoia sentiva di regnare sull'Italia quando l'Italia ancora non esisteva,
sicuramente ben prima del 17 marzo 1861, ma anche del 18 febbraio.
Ce lo confermano i timbri di questa lettera.
E' il 14 febbraio 1861, il giorno successivo alla capitolazione di Gaeta,
alla scomparsa dell'ultimo fazzoletto di terra borbonica,
e su una lettera in cui ancora riecheggia il Reame di Napoli,
attraverso i francobolli borbonici,
troviamo anche il timbro della nuova casata,
che presenta Vittorio Emanuele Re d'Italia.  



Una straordinaria Croce di Savoia, eccezionalmente usata a Teramo (Collezione "Naples").
  Quante fasi storiche sono incredibilmente racchiuse in pochi centimetri quadrati di carta,
quante cose racconta questo frammento sulle complesse vicende del Risorgimento italiano,
di là del suo notevole e indiscusso pregio propriamente filatelico.
 C'è il periodo della Luogotenenza (la Crocetta), ma c'è anche il Regno di Italia (l'annullo)
e ci sono anche loro, i Borbone, la dinastia decaduta (con i gigli sullo sfondo del francobollo)
che c'era, eccome se c'era, intenta a finanziare il brigantaggio dallo Stato Pontificio,
nella speranza, mai sopita, di riprendersi il Regno delle Due Sicilie.
 Pochi centimetri quadri di carta così carichi di storia, così impregnati di emozioni,
da poter diventare uno strumento di didattica, di formazione culturale, di propaganda filatelica.

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