UNA COLLEZIONE DI COLLEZIONISTI - "Naples", di Francesco Melone



La Collezione "Naples" del Dottor Francesco Melone parla col suo palmares, col suo albo d'oro, è proprio il caso di dire, se guardiamo alla sfilza di medaglie conseguite in oltre un decennio nelle principali esposizioni nazionali e internazionali: "Cagliari 2006", Oro; "Milano 2009", Oro; "Palermo 2014", Oro Grande, "Portogallo 2016", Oro Grande e Premio Speciale; "Finlandia 2017", Oro; "Thailandia 2018", Oro; "Milano 2019", Oro Grande.

"Naples" è una collezione stra-ordinaria, fuori dall'ordinario, per la sapiente miscela di rigore metodologico e sensibilità artistica, per un'eleganza e un pregio che non diventano mai ostentazione, in linea con "i miei elementi fondamentali di vita" - ci dice il suo autore - a testimoniare i profondi legami tra la collezione e la personalità di chi la realizza.

"Naples" ricorda il meccanismo di costruzione di un oggetto frattale: a qualunque scala di osservazione - francobollo, pagina, album - si ritrova lo stesso buon gusto, la stessa capacità di discernimento, lo stesso stile, la stessa competenza, cosicché, nel passare dal singolo pezzo alla collezione, attraverso le pagine, si riconosce chiaramente la fisionomia del suo proprietario.

"Naples" punta su conoscenze teoriche e pratica sul campo, su mezzi e volontà, parla con tono garbato e parole forbite, esprime idee ricercate con grande chiarezza, trasmette una sensazione di classe e signorilità, com'è nell'intima natura del suo autore.

"Naples" non è più solo una collezione: è un manuale di filatelia e collezionismo, destinato a lasciare un segno nel tempo, per livello di sviluppo, ricchezza di stimoli, quantità e precisione delle informazioni - generali e particolari - che vi sono contenute.

"Naples" è un monumento filatelico, un gigante del collezionismo del Regno di Napoli, che come ogni gigante poggia sulle spalle di un altro gigante, del gigante per eccellenza: "Scilla e Cariddi" (che del frattale "Naples" rappresenta l'attrattore).

L'influenza di "Scilla e Cariddi" è in alcuni casi lampante, quando se ne replicano interi pezzi di pagina (a esempio per il ½ grano) o se ne ricalca l'impostazione (a esempio per la Crocetta).


"Scilla e Cariddi" (Tavola 2) versus "Naples" (foglio 17).




"Scilla e Cariddi" (Tavola 49) versus "Naples" (foglio 113).

Ma il legame con "Scilla e Cariddi" è ben più profondo, rispetto a quanto se ne può dedurre dalle analogie manifeste.

"Scilla e Cariddi" - sono parole quasi testuali dell'Ingegner Avanzo - nasceva su un'idea tutto sommato semplice: ricercare per ogni pezzo la più alta qualità possibile (compatibilmente con l'offerta di mercato) o accontentarsi di quel che esisteva purché fosse un oggetto realmente di pregio. "Scilla e Cariddi" aveva all'epoca il culto della grande qualità senza esserne schiava, e noi ritroviamo oggi la stessa forma mentis e lo stesso modus operandi nel Dottor Melone. Sicuramente la qualità morde, in "Naples", ma con altrettanta evidenza la qualità molla la presa, quando riconosce la grandezza di ciò che fronteggia.

A semplificare all'estremo un mondo variegato, i collezionisti di Antichi Stati appartengono a due parrocchie, sono arruolabili in due schieramenti: i raritomani e i qualitomani, a voler coniare due neologismi di per sé parlanti.

Il raritomane è attratto dalle rarità, e nemmeno dalle sole, autentiche, grandi rarità, ma da tutto ciò che una specializzazione progressivamente più spinta lo porta a percepire come "raro", "pregiato", "introvabile", sino a parlare - con sprezzo della logica, del dizionario e del ridicolo - di "rarità di nicchia", cose per le quali non si sa bene se siano di meno i pezzi in circolazione o i collezionisti interessati. La qualità - per il raritomane - è un accessorio fastidioso e inafferrabile, se mai rientra nei suoi parametri valutati (perché il più delle volte, invece, scompare proprio dai suoi radar). E' spiazzante l'emozione con cui il raritomane mostra oggetti tanto mal messi che sembrano consumarsi ancor di più sotto il tuo sguardo, e la cui "rarità" consiste in aspetti di esasperato dettaglio, impercettibili nella visione di assieme.

Il qualitomane vive nel culto integralista della qualità. Le "rarità di nicchia" del raritomane lo lasciano ovviamente indifferente - quando non gli procurano crampi allo stomaco per le risate -, ma spesso anche le autentiche rarità - poniamo le uniche due lettere col 3 lire di Toscana - non gli causano apprezzabili alterazioni del battito cardiaco, per il loro modesto stato qualitativo. Il qualitomane è un autistico della filatelia. Vive in un mondo tutto suo, inaccessibile ai più, che peraltro non sempre lo soddisfa, perché a volte è insofferente persino verso il miglior esemplare conosciuto ("se lo avessi potuto fare io, lo avrei fatto un po' meglio", è la chiosa di rito), senza rendersi conto che si colleziona quello che esiste, non quel che uno vorrebbe esistesse, ma non c'è.

Il collezionismo è passione, e la passione attrae verso gli estremi: Bianco o Nero, Curva Sud o Curva Nord, Don Camillo o Peppone, Coppi o Bartali, raritomani o qualitomani.

L'eccezionalità di "Naples" - già il tratto esclusivo di "Scilla e Cariddi" - è nell'esprimere il fiuto, l'intelligenza, l'esperienza, la conoscenza e la sensibilità di chi capisce quando la grande qualità deve arrestarsi per lasciare il passo all'autentica rarità, senza però venir meno del tutto, rimanendo cioè pur sempre qualità. Prestate attenzione alle parole in corsivo, per favore, perché tutta l'abilità sta proprio nel delicato gioco di equilibro per tener assieme questi concetti - astratti, scivolosi, infidi, spesso in contrasto - e declinarli poi con stretta coerenza, nel risolvere il gioco con la più materiale delle decisioni: acquistare o no.

Il Dottor Francesco Melone ci riesce magistralmente, non sbaglia un colpo, è un cecchino implacabile, un equilibrista che passeggia su un filo sospeso in aria, a un'altezza vertiginosa, con la stessa calma con cui noi, collezionisti comuni, potremmo camminare per strada. 

La grande qualità deve fermarsi di fronte all'autentica rarità, senza mai smettere di essere qualità. Provateci, se ne siete capaci.

Il foglio 92 di "Naples":
la qualità ha ceduto tutto quel che poteva cedere,
in nome di una rarità esaltata dalla presenza in "Naples"
delle altre due lettere assicurate note con l'annullato "a penna".

Il Dottor Francesco Melone è un collezionista-espositore. Colleziona per il suo piacere - per suo gusto e diletto, sicuramente - ma ama anche mettersi in gioco, lanciarsi nella lotta con altri e contro se stesso, vuol conoscere l'opinione tecnica di giurati qualificati sulla sua collezione, e quell'opinione vuole averla in ambienti competitivi progressivamente più sfidanti.

E' semplice illustrare la struttura valutativa di una collezione, nelle cosiddette "esposizioni filateliche". La scala viaggia da 0 a 100 e il giudizio si forma su quattro profili valutativi, variamente graduati: 1) "conoscenza e ricerca" (massimo 35 punti); 2) "importanza e svolgimento del tema" (30 punti, 10 per "importanza" e 20 per "svolgimento"); 3) condizione e rarità (30 punti, 10 per "condizione", 20 per "rarità"); 4) presentazione (5 punti).

Tutto qui, non c'è altro. Almeno in teoria. Perché poi, certo, la pratica è tutt'altra storia. I profili valutativi hanno nomi dal significato convenzionalmente evidente, ma nessuno saprebbe riempirli di un contenuto operativo, collegato al "cosa fare in pratica" per raggiungere un determinato punteggio. Bisogna frequentare l'ambiente, osservare, registrare e imparare, mettere a fuoco, precisare e rifinire le idee, inferire la teoria della valutazione dalla ripetuta pratica sul campo. Non siamo - per dirlo con categorie giuridiche - in un sistema di civil law, in cui si fissa un testo di legge e se ne cura poi l'esatta e uniforme applicazione. Siamo in un sistema di common law, dove sono direttamente le sentenze a "fare la legge", dove i tribunali, più che applicare la legge, la scrivono.

E questa non è neppure la parte più complicata della storia, per quanto già intricata. Il vero problema è nel meccanismo di apprendimento, che non è lineare, ordinato, cumulativo, ma assomiglia piuttosto una schermaglia continua contro il Demone del Caso: proprio "quando tutto sembra prendere possesso della tua mente [...] ecco che poi tutto torna a essere rimesso nuovamente in discussione alla luce della successiva esperienza espositiva che ti fa abbandonare quello schema compositivo che sembrava a quel punto definitivo per lasciare spazio ad un altro che si è nel frattempo impadronito di te proprio in funzione di quella nuova esperienza nel frattempo maturata", per citare il Dott. Melone, che chiude poi in maniera poetica: "il gioco continua in una sorta di 'perpetuum mobile' della mente di Leonardesca memoria, romanticamente rappresentato musicalmente nell'opera n. 257 di Johann Strauss figlio, che sembra non voler finire mai".

Queste annotazioni servono da apripista a una critica sulle più recenti performance internazionali di "Naples", che giudico d'interesse non solo per il club esclusivo degli espositori, ma per tutti i collezionisti, perché quel che avviene nel mondo della manifestazioni è un'autorevole traccia metodologica per chiunque voglia collezionare sul serio.

"Finlandia 2017" è la manifestazione internazionale in cui "Naples" supera per la prima volta "quota 90", totalizzando "91". Il risultato certifica la grandezza della collezione, ma soprattutto ne alza strutturalmente l'agone a livello sovranazionale. Pensate a "Naples" come alla Juventus, per dare immediata concretezza all'idea: l'obiettivo, ora, è la Champions League, il campionato italiano è poco più d'un allenamento. Ce lo dice lo stesso Dottor Melone: "il vero nodo di ogni collezionista man mano che il livello della collezione sale è la competizione a livello internazionale dove il confronto avviene con i veri Grandi Collezionisti e che ti dà l'esatta dimensione della tua collezione [...] mi sono quindi convinto che il vero campo di competizione e confronto non è quello nazionale, ove è opportuno presentarsi per fare comunque esperienza".

Serve appena un anno, per rimettersi in gioco. Dopo "Finlandia 2017" c'è "Thailandia 2018", e "Naples" si rifà il look per l'occasione. La collezione beneficia di una serie di nuovi, importanti inserimenti: una pregiata coppia dell'esemplare da 1 grano con interspazio di gruppo; un annullo inedito su un 2 grana; una splendida (e rara) affrancatura con valori gemelli del 2 grana; e poi una delle ultime date conosciute di utilizzo dei francobolli borbonici e un misterioso e affascinate "svolazzo" su Ferdinando. Ma è sul versante delle descrizioni, delle didascalie, che la collezione mostra un autentico cambio di passo: sotto ogni pezzo si trova ora un "trattato in miniatura", di filatelia e storia postale.








La collezione registra un'obiettiva accelerazione - sia nello standing dei pezzi, sia nella qualità della loro presentazione - e il Dottor Melone matura la legittima aspettativa di strappare ancora un punto, di alzare la valutazione complessiva dal "91" finlandese ad almeno un "92". La giuria volta però le spalle all'aspettativa: la collezione valeva "91" in Finlandia, nel 2017, e continua a valere "91" in Thailandia, nel 2018, nonostante gli sforzi - di testa, di nervi, di portafoglio - per migliorarla a 360 gradi.

Il verdetto suscita nel Dottor Melone "dubbi e perplessità", che ben si colgono col confronto tra i giudizi di profilo attribuiti nelle due manifestazioni.

Conoscenza e ricerca

Finlandia: 33; Thailandia: 32


Importanza e svolgimento del tema

Finlandia: 27; Thailandia: 27


Condizione e rarità

Finlandia: 26; Thailandia: 28


Presentazione

Finlandia: 5; Thailandia: 4

La giuria riconosce il salto nella "condizione e rarità" della collezione, con un incremento di due punti (da "26" a "28"), ma di fatto lo neutralizza livellando verso il basso i giudizi su "conoscenza e ricerca" e "presentazione" (rispettivamente da "33" a "32" e da "5" a "4"), senza toccare il punteggio di "importanza e svolgimento" (confermato a "27").

Sono numeri obiettivamente bislacchi, che fan sorridere, a interpretarli col senso comune.
 
La "conoscenza" - per dire - è un attributo cumulativo, monotono non-decrescente direbbero i matematici, che non può andar smarrito (può non aumentare, ma di sicuro non può ridursi). Come spiegare allora il downgrade da "33" a "32"? Il Dottor Melone ne sapeva forse meno in Thailandia di quanto ne sapesse - un anno prima - in Finlandia? Suvvia!
 
La "presentazione", poi. Le didascalie "thailandesi" sono almanacchi di filatelia e storia postale napoletana, e se pure la giuria le avesse ritenute "un po' prolisse", avrebbe comunque dovuto riconoscere che "le stesse dimostravano un livello di conoscenza e ricerca superiore" e pertanto "non potevano essere valutate con un punto in meno rispetto alla Finlandia", con le parole dell'auto-diagnosi del Dottor Melone.

Il dato di fatto ha originato un'animata discussione, che potete leggere da qui in poi. Ne estraggo il nucleo, il passaggio a mio giudizio nodale per averne un efficace chiave di lettura.

E' mia convinzione - sebbene indimostrabile - che la valutazione di una collezione in sede espositiva sia un processo top-down, e non bottom-up, che si proceda cioè dall'alto verso il basso, e non viceversa. Non si assegnano i punteggi parziali ai singoli profili, per poi sommarli e avere così il punteggio finale. Si dà direttamente il punteggio finale, e poi lo si alloca tra i singoli profili, secondo criteri oscuri e imperscrutabili, sotto il vincolo di non offendere smaccatamente il buon senso. Non mi sembra folle affermare - in altri termini - che i profili valutativi si combinano tra loro non con un meccanismo sequenziale (come somma aritmetica di valutazioni tra loro slegate e indipendenti) bensì simultaneo (con ogni profilo che influenza e a sua volta è influenzato da tutti gli altri).

Come raccapezzarsi in questo micidiale gioco di specchi, in questo coacervo di valutazioni sovrapposte, ognuna, a un tempo, causa e effetto di tutte le altre?

La mia risposta è un omaggio al rasoio di Occam - frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora: è futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno; non sunt multiplicanda entia sine necessitate: non moltiplicate gli enti più del necessario - con un richiamo forte a l'istinto di base del collezionista.

Non nego che quando il gioco si fa duro, e i duri iniziano a giocare, quando si supera "quota 90, e l'aria si fa rarefatta, "ogni minimo dettaglio va rivalutato e formulato" - come osserva finemente il Dottor Melone: "dal formato dei fogli, dal colore dei caratteri, dalla presentazione grafica, dai disegni, dal logo, finanche dal colore e dallo spessore delle linee di riquadro delle cornici dei fogli e dei singoli pezzi [e] dal contenuto e dalla composizione didascalica". Invoco semplicemente l'impulso vitale del collezionismo - il possesso - come fattore di per sé sufficiente a cogliere la dinamica degli eventi.

Il collezionismo è possesso, e non studio, conoscenza e ricerca. Chi studia e ricerca, chi scrive articoli, libri e saggi, sarà sicuramente un professore, un accademico, un erudito, un persona di cultura, ma non è un collezionista, se poi non possiede, se tutta quella sua scienza non la mette al servizio della pratica scelta, se non la traduce in un criterio preciso, rigoroso e coerente per la selezione dei pezzi, se i suoi acquisti non fanno altro che trasformare la confusione del mondo nella confusione dell'album.

Vi prego però di non farmi dire quel che non dico, semplicemente ripetendo le mie parole.

Conoscenza e ricerca sono assi portanti del collezionismo, sicuramente, ma non sono il collezionismo. Ho capito il valore di alcuni pezzi che posseggo solo dopo averli acquistati, dopo aver soddisfatto l'istinto del possesso. Quell'istinto, d'altra parte, è stato al principio la causa di diversi acquisti sbagliati, un veleno letale per il collezionismo. La mia ignoranza, per altri versi ancora, mi ha impedito di riconoscere il valore di pezzi che mi sono lasciato sfuggire, e di cui ora, con maturata consapevolezza, sento una struggente mancanza.

Questo travagliato processo - sicuramente non riducibile a quell'insulsaggine evergreen del "prima i libri, poi i francobolli, infine le lettere" - mi ha trasmesso il senso e il peso di conoscenza e ricerca, indispensabili per entrare in empatia con gli oggetti posseduti, apprezzarli in ogni loro sfumatura, per discriminare tra ciò che val la pena possedere e ciò che si può pure abbandonare, ma che non devono valutarsi oltre questi loro pur rilevanti compiti. Il possesso è il principino, capriccioso e volubile, conoscenza e ricerca le sue educande.

Cosa sono dunque questi punteggi bislacchi attributi a "Naples", in Thailandia, se non un modo subliminale per affermare nei fatti ciò che non è educato esplicitare a parole, un modo silente per ricordare che l'istinto del collezionista è il possesso e non la conoscenza?

I giurati hanno comparato - in un sol colpo - la collezione "thailandese" con la sua parente "finlandese", ne hanno registrato gli indubbi progressi in termini di pezzi esibiti, che hanno però valutato insufficienti per giustificare un incremento complessivo di un punto. Come a dire: "Naples" tutta intera vale forse più di "91", ma sicuramente non arriva a "92", e siccome la graduazione del giudizio procede per numeri interi, confermiamo senz'altro il punteggio "91".

Gli stessi giurati avevano poi il problema di spalmare convenzionalmente il monolite "91" sui quattro profili valutativi, e qui si saranno forse trovati in imbarazzo. Sarebbe stato singolare non riconoscere un incremento al profilo "condizione e rarità" - in un'artificiale valutazione stand-alone - viste le numerose e importanti aggiunte alla collezione (se pur insufficienti a far scattare l'agognato punto, a livello complessivo). Diamo pure a "condizione e rarità" ciò che spetterebbe a "condizione e rarità" in un'ipotetica valutazione "a silos" - avranno pensato i giurati - ma il punteggio è "91", e "91" deve restare, perciò grattiamo un punto qua e uno là, per ritrovarci laddove abbiamo già pre-determinato di atterrare.

Giustificare un punto in meno alla "presentazione" è piuttosto semplice. Se in Finlandia il profilo aveva già totalizzato il massimo (5 punti), allora va da sé che qualunque modifica lo averebbe ridotto, perché - per definizione - spostarsi dal punto di massimo, dal punto di ottimo, significa peggiorare. La penalità alla "presentazione" potrebbe poi aver dato l'assist al taglio a "conoscenza  e ricerca". Non già perché il Dottor Melone ne sapesse improvvisamente meno rispetto all'esposizione finlandese, ma semplicemente perché la conoscenza che in Finlandia era massimamente concentrata, e perciò ben visibile, in Thailandia è stata diluita con informazioni non strettamente pertinenti, diventando più difficilmente afferrabile dall'esterno.

Il Dottor Melone ha un'altra opinione. Presume un processo di valutazione dal basso verso l'alto, per somma di singoli giudizi parziali; ha davanti agli occhi un netto miglioramento del profilo "condizione e rarità", che verosimilmente ritiene acquisito in via definitiva; ha inizialmente sofferto uno spiazzamento per i giudizi su "conoscenza e ricerca" e "presentazione", di cui non riusciva a interiorizzare le ragioni; poi, però, con l'umiltà propria delle persone intelligenti, ha riconosciuto che alcune didascalie hanno forse sollecitato oltremodo il vincolo della sintesi, che altre hanno forse peccato di un certo autocompiacimento, sino a fargli "perdere di vista quello che è il punto di vista della giuria" (tant'è che vi ha poi rimesso mano, in modo importante, già in occasione di "Milano 2019"); riconosce infine il ruolo dell'incertezza e dell'imprevedibile, "le incongruenze e le incognite cui si può andare incontro in queste manifestazioni [...] in un contesto espositivo e culturale più ampio rispetto a quello europeo", che impone surrettiziamente "certi equilibri da rispettare", "una sorta di bilanciamento di punteggio che viene effettuato dalla giuria", e insomma "non è un vero e proprio punteggio prefissato, ma è come se lo fosse".

Il precipitato di queste convinzioni appunta l'auto-critica - per molti versi spietata - sulla redazione delle didascalie, e più in generale sulla comunicazione, da rendere in futuro "più immediata, sintetica, essenziale ed espressiva".


La rarità n. 2 del Regno di Napoli, secondo la graduatoria del Catalogo Sassone.
Questa lettera, nell'autorevole parere del Dottor Melone,
soffre di "problemi estetici [...] che [...] mi sono permesso di evidenziare",
con l'apposizione di frecce rosse accanto ai punti critici:
"presenza di un margine corto in alto a sinistra dell'esemplare superiore della striscia di tre";
"probabile piega che interessa orizzontalmente la lettera
e che probabilmente coinvolge anche l'esemplare inferiore della striscia verticale";
"due margini verticali, in particolare quello destro di uno dei due esemplari del 20 grana,
che sono un po' corti".
L'ipotetica presenza di questa lettera in "Naples", secondo il Dottor Melone,
"avrebbe aggiunto qualcosa in più sul piano della rarità, ma non su quello della condizione";
"sembrerà una valutazione sottile e apparentemente un po' fiscale" - prosegue il Dottor Melone -
"ma ha un suo fondo di verità: quando si arriva a certe vette
non basta aggiungere pezzi di grande rarità,
ma occorre che siano contemporaneamente anche di grande bellezza".
Non ho conoscenze e competenze sufficienti per tentare anche solo un abbozzo di replica,
anche perché - com'è nella premessa dichiarata - la grandezza del Dottor Melone
è tutta nel saper capire quando la grande qualità deve fermarsi di fronte all'autentica rarità,
senza tuttavia smettere di essere qualità. 
Però, sia su questa lettera, sia sulla sua gemella, la rarità n. 1,
conosco perfettamente l'opinione di Renato Mondolfo,
o meglio, conosco ciò che Mondolfo pensava di chi le criticava per la loro qualità.
E' un pensiero abrasivo, provocatorio, che rimane aspro anche se edulcorato,
come ho fatto per ragioni di opportunità, sfrondando dal racconto molti succosi particolari.
L'opinione - lo ripeto - è di Renato Mondolfo, non mia,
e mi ha suscitato tante considerazioni (che tengo per me) sulla sensibilità filatelica delle giurie,
e sul condizionamento che possono esercitare sulla sensibilità degli espositori.     

La distanza di posizioni è una distanza ideologica, che possiamo distillare nella diversa risposta alla domanda "cos'è il collezionismo filatelico?"

Per me, il collezionismo è possesso, e migliorare una collezione vuol dire solo e esclusivamente alzare il livello dei pezzi posseduti. Non c'è altra via. E' illusorio pensare di surrogare la mancanza del possesso con un esercizio di stile nella presentazione dei pezzi, perché le manifestazioni filateliche - dietro l'obbligata facciata che assegna nominalmente il massimo punteggio a "conoscenza e ricerca" - sono solo gare a chi possiede di più e non competizioni di bello scrivere. Conoscenza e ricerca non hanno un ruolo autonomo, un valore in sé, ma sono semplicemente le serve del possesso, costantemente al servizio del possesso, utili se e solo se aiutano a possedere meglio, e una volta che hanno assolto a questo loro compito - strumentale, funzionale, intermedio - potrebbero anche sparire, senza che nessuno ne soffra la mancanza.

(Massimo Piattelli Palmarini)

Chiamo al banco dei testimoni la Collezione Naddei (Napoli) e la Collezione Masi (Lombardo Veneto), le cui descrizioni sono così sciatte da oltrepassare il ridicolo, così minimali da poter esser scritte da un principiante appena svezzato alla filatelia degli Antichi Stati, e che tuttavia svettano, si staccano, fanno categoria a sé. Le remore sulla qualità - infine - sono a mio avviso del tutto ingiustificate, in sede espositiva. Lo si intuisce già dal peso nel profilo "condizione e rarità" - un terzo, 10 su 30 -, ma è la pratica, ancora una volta, a darcene conferma. Chiamo al banco il collezionista italiano più medagliato della storia, Saverio Imperato, con le sue numerose collezioni, tutte sgargianti, affollate e chiassose, e invariabilmente della più umile qualità.

"Il Collezionista - Italia filatelica", Febbraio 1997, pagina 31.

Il Dottor Melone - sforzandomi di interpretare al meglio il suo pensiero - ritiene invece che la situazione sia esattamente quella formalizzata nello schema di valutazione tradizionale. Ha piena fiducia nelle istituzioni filateliche e nelle regole del gioco ufficialmente dichiarate, e le (apparenti) anomalie di giudizio le imputa agli ineliminabili imprevisti connessi alle competizioni di alto livello, con cui bisogna imparare a convivere, a cui bisogna imparare a prendere le adeguate contromisure.
 
Più in generale, e più in profondità, ho la sensazione che la scala di valutazione - capeggiata da "conoscenza e ricerca", con i suoi 35 punti sui 100 disponibili - sia realmente sentita dal Dottor Melone come espressione dell'effettiva gerarchia nelle fondamenta del collezionismo filatelico.
 
Il Dottor Melone - così mi sembra di capire - è dell'idea che quella gerarchia traduca un codice scritto nell'animo e nel cuore di ogni autentico collezionista, che se la potenza è nulla senza controllo, allora anche il collezionismo è niente senza conoscenza e ricerca. Un collezionista che possiede e non conosce rimane un collezionista mutilato, monco, affetto da un grave handicap. Investire su conoscenza e ricerca - e produrre il massimo sforzo per veicolarle in modo completo e sintetico, per presentarle con efficacia - può essere una strategia vincente, per una collezione che ha già dato ampie e ripetute testimonianze delle capacità di possesso, peraltro ufficialmente riconosciute dalla giuria.
 
Perché - secondo il Dottor Melone - "quello che rende veramente tale una collezione è la particolare attenzione che si pone nel saper rappresentare il progetto che ti sei prefissato di costruire e che poi col passare del tempo si affina attraverso la maggiore e progressiva consapevolezza di quel che si acquisisce".


Per fotografare con un'immagine la contrapposizione, rendendola forse più cruenta di quanto in realtà non sia, permettetemi di sconfinare dal Regno di Napoli, di avventurarmi in territorio austriaco, nel Regno del Lombardo Veneto.

L'Alianello - per voi - cos'è? Un libro ...


... o una collezione?


Ma cos'è in fondo questa contrapposizione, se non la sublimazione del dramma di "Naples", il suo essere tra Scilla e Cariddi?

"Naples" è su una vetta così elevata, che non può più esser pacifico il modo migliore per proseguire la scalata. Aggiungere autentiche rarità - subordinatamente alla loro disponibilità sul mercato - mettendo mano al portafoglio, se del caso violentando il proprio animo, giacché le rarità sono invariabilmente zoppicanti sul piano qualitativo? Oppure lasciare la collezione invariata - pur sempre con un occhio al "nuovo materiale raro e pregiato che il mercato dovesse proporre" - e incanalare tutte le forze in un paziente e scrupoloso lavoro di rifinitura e calibratura delle didascalie, che costituisce la qualità e la forza del buon artigiano? O ancora - perché no? - prendere il tutto con più leggerezza, con minor coinvolgimento emotivo, e lasciare che sia Lady Fortuna ad aprire la via?

Qualunque sarà la scelta del Dottor Melone, e qualunque sarà poi il verdetto della giuria alla prossima manifestazione, rimane il fatto - il solo forse realmente rilevante - di avere tra noi una collezione che ha saputo raccogliere magistralmente l'eredità di "Scilla e Cariddi", preservarne lo spirito, interpretandolo in modo personale, originale, per offrire una tra le più pregevoli  e durature testimonianze di cosa sia il collezionismo di Antichi Stati di alto livello.

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