FORBICI E DELITTI - Come ridurre un gioiello filatelico a niente

Ricevo e pubblico volentieri una mail del collezionista "Noce", che propone e discute - col supporto di immagini - un argomento spinoso, delicato, ricco di sfumature e bisognoso di parecchi distinguo: l'uso delle forbici in filatelia.

I termini della questione - a volerli distillare - stanno nella natura ibrida del collezionismo filatelico: da un lato, a tutti noi piace considerarlo e viverlo come un'espressione di cultura generale, di raffinatezza intellettuale e sensibilità storica, ci piace vedere in ogni oggetto filatelico un "testimone unico e irripetibile di un pezzo della Nostra Storia", di cui "noi siamo solo custodi" - usando le belle parole di "Noce" - e quindi da trattare con tutti i riguardi e le attenzioni dovute a un semioforo, a un oggetto portatore di significati; dall'altra parte, tuttavia, la cultura filatelica non gode a tutt'oggi di nessun riconoscimento formale, e quindi di nessuna protezione istituzionale - e c'è da chiedersi se in parte non sia colpa degli stessi collezionisti, spesso inclini a valorizzare solo un tecnicismo estremo a scapito di significati di più ampio respiro - con la conseguenza che non esistono vincoli formali al commercio e allo scambio di oggetti filatelici, come invece avviene per molte altre forme di antiquariato.

Il libero mercato sarebbe di per sé una situazione vantaggiosa - tutti possono potenzialmente avere tutto, senza restrizioni, in proporzione alle forze di cui dispongono - se non fosse che il libero mercato ha le sue logiche, di domanda e offerta, di mera convenienza economica, che possono confliggere con quei valori culturali di cui il collezionista si sente portatore.

Per essere chiari, come solo un immagine riesce a esserlo, il libero mercato può trovare conveniente prendere questa bellissima coppia del 15 centesimi del Ducato di Parma, ex Collezione Rothschild...

 
... e trasformarla nel più bell'esemplare sciolto conosciuto, ex Collezione "Luxus".
 

Perché si è lavorato di forbici? Evitiamo ogni filosofia e andiamo al punto: perché c'era una convenienza economica a farlo, perché il più bell'esemplare noto (sciolto, singolo) ha più mercato di una coppia bellissima, in cui peraltro la presenza di un tiny ink spot sull'esemplare sacrificato (proprio al centro del giglio) può aver disturbato i fautori della qualità luxus a ogni costo.
 
La stessa convenienza economica a tagliare - a sezionare, a ripartire - la ritroviamo qui, solo in scala più elevata, ché in fondo l'unica qualità del denaro è la quantità.
 
 
E il "Blauer Kaiser" - il mezzo foglio di ventotto esemplari, con le quattro "Croci di Sant'Andrea" - finì poi nella collezione dell'Ingegner Ottavio Masi.
 
 
C'è chi, come Renato Mondolfo, non proprio l'ultimo degli scappati di casa, aveva trovato il modo di concettualizzare la chirurgia filatelica: "se di un francobollo raro esiste un solo grande blocco nuovo, non costituisce affatto un delitto filatelico il tagliarlo lasciando comunque un blocco che rimanga 'la più grande unità conosciuta', ed altri blocchi e strisce per accontentare altri collezionisti".




 I blocchi da venticinque del quattrino e del soldo, ex Ferrari e Caspary, di cui parla Mondolfo.
Oggi non esistono più.
 
Ognuno avrà la sua opinione, più o meno argomentata, più o meno ideologica, più o meno persuasiva. Per parte mia, modestamente, sono convinto dell'impossibilità di impostare un discorso generale, valido erga omnes. Ogni pezzo (da manomettere) è un caso a sé, che richiede (impone) valutazioni specifiche e quasi mai generalizzabili ad altri pezzi. Non esiste insomma una teoria del taglio ottimale.
 
Sicuramente, però, le forbici non s'impugnano mai con leggerezza. Ogni taglio deve essere soppesato, meditato, discusso, simulato, analizzato. Ci si deve dormire sopra, a volte per mesi, a volte per anni, nella consapevolezza dell'irreversibilità dell'operazione. E, se effettivamente realizzata, è solo perché si è maturata la pratica certezza di averne in esito un'opera d'arte, unica e inarrivabile, che vale il sacrificio di tutto il resto.
 
Su questo preambolo - che è l'unica notazione generale che mi sento di fare - riporto di seguito la mail di "Noce", nella quale emerge una posizione più netta e categorica della mia.   
 
"La filatelia italiana è nota per saper distruggere come pochi altri i suoi gioielli. La filatelia italiana è da sempre nota per «usare troppo le forbici» ovvero per sacrificare l'integrità, l'originalità e la storicità dei suoi pezzi filatelici al vile denaro.
 
Ne ho avuto esperienza fin da subito, appena entrato nel mondo della filatelia ho visto gente stagliuzzare pezzi vecchi di più di 170 anni, pezzi unici nel loro genere semplicemente per fare soldi. I soldi vanno e vengono, questi pezzi non ritorneranno mai come erano, una volta modificati.
 
Ma la pochezza mentale di chi guarda all' «ora e subito», al guadagno immediato piuttosto che all'integrità storica e quindi al preservare ciò che ci è arrivato per tramandarlo alle future generazioni, è effettivamente tipica italiana. Si potrebbe chiamare miopia, in realtà si chiama stupidità.
 
Questi pezzi sono Storia, postale, artigianale per la fabbricazione dei francobolli, Storia che è stata e che ovviamente non si ripeterà mai più. A mio avviso noi siamo solo custodi di questo materiale e non abbiamo il diritto di modificarlo perché è testimone unico e irripetibile di un pezzo della Nostra Storia.

L'errore che si fa secondo me è di ridurre questo materiale a merce e infatti si parla di vendere e comprare. Possibile che siamo ancora così indietro culturalmente da vedere questi oggetti solo come merce?

Chiaro, non esiste salvaguardia ufficiale di questi pezzetti di storia, quindi, legalmente ognuno può farne ciò che vuole. Ma se la legge è indietro perché noi che questi oggetti li amiamo dobbiamo essere altrettanto indietro?

Io non ho mai manomesso nessuno degli oggetti che mi sono capitati sottomano, appunto perché mi ritengo un proprietario momentaneo, un momentaneo custode, loro mi sopravviveranno e non ritengo di avere il diritto storico e morale, di modificarli e men che mai per degradarli a merce. Li si modifica al solo scopo di poterci far soldi, siamo davvero alla preistoria culturale.

Come dicevo, una volta fatti i soldi di questi in breve tempo non rimarrà traccia, perché per definizione sono evanescenti, quindi avremo distrutto un pezzetto della Nostra Storia per qualcosa che di fatto non esiste". 

Sono invece d'accordo con lui sul caso specifico che propone: una striscia di cinque del soldo di Toscana su lettera (in una pregevole affrancatura con un 4 e un 6 crazie) divenuta prima una striscia di quattro sciolta (ex Collezione "Pedemonte", aggiudicata a 4,1 milioni di lire) e poi ridotta a una coppia (asta Vaccari n. 90, invenduta) che più nulla mantiene del fascino originario: come ridurre un gioiello filatelico a niente, osserva correttamente "Noce".
 
"Allego un esempio, una lettera che dagli anni sessanta ad oggi è passata da essere un gioiello filatelico a quasi niente, perché una coppia con quell'annullo è veramente brutta, vicina al niente. Una raccomandata, un pezzo unico per la presenza di una affrancatura mista formata da una striscia orizzontale di cinque esemplari del soldo, più un 4 crazie e un sei crazie, annullati a Grosseto a penna in un modo originale e raro, rovinato per sempre da un idiota, non si può definire diversamente chi ha rovinato il tutto in quel modo. Per cosa? Non si sa. La striscia poi? Sezionata in vari pezzi da un altro idiota per farci più soldi. E quindi? I soldi sono andati in fumo, probabilmente in whisky, puttane e sigari cubani e la striscia non c'è più, la lettera non c'è più".
 
 
La mail di "Noce" mi ha incidentalmente riaperto un cassettino della memoria dov'era custodita una conversazione su un forum di filatelia, su questa coppia dell'1 soldo di Toscana.
 
 
Riporto lo screenshot del commento di un utente del forum alla descrizione del pezzo fatta dal proprietario della coppia, e a seguire la sua riposta al commento ricevuto.
 
 
La Toscana sembra esposta agli sforbiciatori più di altri Antichi Stati, come ci conferma questo "mini blocco di nove" da 1 crazia (probabilmente costruito ad hoc, come congetturato dallo stesso proprietario).
 
 
 
 
Altra sforbiciata - ancora sui Marzocchi - la registriamo su un pezzo della Collezione Burrus.
 
Questa è la striscia di quattro dell'1 soldo, come si presentava nel catalogo d'asta del dicembre 1964.
 
 
E qui abbiamo la coppia centrale, "estratta" dalla striscia, proposta da Mondolfo nel suo catalogo numero 7 dell'aprile 1967.
 

Sempre Mondolfo, nel catalogo di vendita numero 9 del novembre 1967, proponeva una lettera all'origine affrancata per 5 soldi (con la classica composizione: due esemplari da 2 soldi e uno da 1 soldo) e poi manomessa (con la rimozione del soldo) per semplici ragioni estetiche.
 
 
Da Bolaffi, nel 2015, passò invece questa lettera, al principio affrancata con una coppia dell'1 crazia, poi mutilata di un esemplare ancora una volta per ragioni d'estetica (realizzò 2.800 euro più diritti).
 
 
Un'operazione simile la riscontriamo su questa lettera di Sicilia, ex Collezione Rothschild, con l'aggravante che mentre nella vendita originaria l'oggetto veniva descritto per quel che era, nel corso degli anni si è poi "persa memoria" dell'intervento chirurgico, presentandolo come una grande rarità, con tanto di certificazioni dei periti più blasonati.
 

 
L'ho lasciato per ultimo, ma non perché sia l'ultimo. Al contrario, è il taglio più famoso, quello della coppia nuova del 3 lire del Governo Provvisorio di Toscana, con una storia affascinante raccontata da Angelo Piermattei e Bernardo Naddei.


Auspico - per chiudere - che la Collezione "Al di Qua del Faro" del Signor Fabiani, basandosi sul quel magnifico intreccio tra la storia dei francobolli e i francobolli nella Storia, possa concorrere a sviluppare e ad accrescere in tutti - collezionisti e non - la percezione della filatelia come una forma di cultura, alzando l'asticella del rispetto dovuto a quegli oggetti con cui la filatelia prende corpo, anima e respiro.
 

 

 
Edit (1 gennaio 2022). La "riduzione a niente di un gioiello filatelico" ha innescato una discussione tra "Noce" (che l'aveva denunciata) e il collezionista Massimo Bernocchi (un'autorità, in materia di filatelia toscana). Per la rilevanza di contenuti, e per facilitare i lettori nella loro comprensione, sposto la discussione dal box dei commenti all'interno del post, proponendone una versione sintetizzata e depurata da alcune asprezze.
 
Massimo Bernocchi sostiene che "la striscia era stata aggiunta sulla lettera per impreziosire l'oggetto, costruendone un vero e proprio trucco, rimuovendola non soltanto si è tolta da una lettera della quale non ne faceva parte, ma si è resa naturale la raccomandata affrancata giustamente in tariffa come era in principio, tutto è tornato alla normalità".

"Noce", con grande onestà, ha ammesso di non essersi "posto il problema se il pezzo fosse autentico o meno" perché "passava da un'asta tra le più rinomate a livello internazionale a quel tempo, parlavano di un certificato di Alberto Diena, credevo che non servisse altro".

Dopodiché, però, si è entrati nel merito.
 
La lettera è affrancata con una striscia di cinque dell'1 soldo, un esemplare da 4 crazie e uno da 6 crazie, vale a dire - convertendo in una stessa valuta - che è affrancata per 13 crazie.

Cosa sono "13 crazie" ce lo spiega "Noce": "il costo base per la raccomandazione della lettera semplice sarebbe stato 2+ 8=10 crazie, ma, in base anche al porto della lettera, la tariffa poteva arrivare anche a 13 crazie, quella appunto della lettera". Per verifica, abbiamo l'articolo "Le tariffe postali per l'interno del Granducato" di Alberto Del Bianco, dove troviamo scritto che le lettere "per consegna" pagavano 13 crazie per lo scaglione di peso da 12 fino a 18 denari.
 
Esisteva dunque una tariffa da 13 crazie, e quindi, se la lettera in discussione fosse realmente un artefatto - come sostiene Bernocchi - sarebbe comunque una costruzione ben ragionata.

Cos'altro possiamo dire di obiettivo, di immediatamente riscontrabile? Che sulla lettera compare la firma semi-estesa di Emilio Diena, e da quel che si legge sul catalogo d'asta vi era pure un certificato peritale di Alberto Diena (ma la sua firma, sulla lettera, non sembra esserci). Che valore hanno queste sigle? Discorso troppo lungo da affrontare qui (il Blog dedicherà un ciclo di post ai periti filatelici, a tempo debito). Mettiamola così: Emilio e Alberto Diena sono tra i padri fondatori della filatelia, ma può ben accadere che un giovane collezionista di oggi ne sappia molto più di loro (per la stessa ragione per cui uno studente di matematica del primo anno può saperne molto di più di un grande matematico di due o tre secoli prima). A ogni modo, siamo alla presenza di due pareri autorevoli sulla genuinità dell'oggetto.

C'è altro? Massimo Bernocchi fa notare che la striscia "presenta tratti di penna decolorati". Vero - li possiamo scorgere già dalla riproduzione in bianco e nero sulla pagina del catalogo - ma se si guarda bene l'ultimo esemplare a sinistra, si ha la sensazione che quei tratti di penna (poi decolorati) passino sulla lettera - "i segni individuabili sulla striscia dei soldi e sulla busta sembrano compatibili, avvalorando l'ipotesi dell'autenticità del pezzo", scrive "Noce" - e quindi abbiamo un altro elemento a favore della genuinità dell'insieme (al netto della decolorazione per motivi estetici, per cui la lettera sarebbe stata comunque già "manomessa").

Per parte mia, poi, avevo avanzato un'osservazione molto modesta: se con la rimozione della striscia "si è resa naturale la raccomandata affrancata giustamente in tariffa come era in principio", come afferma Bernocchi, e se "tutto è tornato alla normalità", sembra comunque ben strana e inusuale - tutt'altro che normale - la collocazione dei valori da 4 e 6 crazie, avendo a disposizione tutta la parte superiore della lettera.

Tanto altro si potrebbe aggiungere - per dirne una: le strisce da cinque del soldo non si trovano così facilmente, non è cioè un pezzo reperibile senza problemi, con cui mettersi a giocare per fare dei collage improbabili - ma sarebbe un procedere per congetture e confutazioni.

Vogliamo dire che rimane comunque un alone di incertezza sulla genuinità dell'oggetto? Va bene, diciamolo, ma con giudizio. Perché l'oggetto esiste(va), è qui, sotto i nostri occhi, riprodotto nel catalogo d'asta, e bisogna presumere sia originale - anche alla luce degli indizi che avvalorano l'ipotesi - e se invece si vuol affermare il contrario, come fa Bernocchi, allora ci si deve sobbarcare l'onere della prova, cosa che Bernocchi effettivamente non fa.

Questo atteggiamento ha comprensibilmente infastidito "Noce", di cui riporto ampi stralci dei suoi interventi.
 
"Io non mi sento di avanzare certezze, perché non ho l'esperienza necessaria per farlo.
 
Ad ogni modo sparare sentenze senza fornire spiegazioni convincenti o prove di altro tipo di quello che si afferma, credo non sia affatto serio.
 
Questo modo di fare mi sembra invece perfettamente coerente con un MODUS OPERANDI oramai conosciuto, che deve essere combattuto a mio avviso con ogni mezzo perché estremamente tossico e dannoso per il mondo della filatelia.
 
Invito l'autore [Massimo Bernocchi] a fornire spiegazioni chiare e convincenti, dimostrazioni inequivocabili di quello che ha affermato, in modo da rendere il commento stesso di serietà accettabile, cosa che al momento certamente non è".
 
"Sono sicuro che chi ha scritto il post ha le prove e le dimostrazioni di quello che ha commentato, non può essere altrimenti, sarebbe autolesionismo per uno della sua fama fare un'affermazione così forte, mettendo in dubbio una rinomata casa d'aste e un perito di indubbia fama, senza avere elementi in mando che rendono le sue affermazioni inconfutabili".

E poi, dal caso particolare, "Noce" passa a considerazioni più generali sul cosiddetto principio di autorità.
 
"Vorrei spendere alcune frasi riguardo il PRINCIPIO DI AUTORITA', o almeno su quello che io ho compreso significare.

Essere un'AUTORITA' in un determinato settore di conoscenza, significa aver dimostrato di conoscere l'argomento del settore stesso in tutte o in molte delle sue sfaccettature e di essere riconosciuto dagli altri appassionati, estimatori e studiosi come esperto di altissimo livello della materia. Si tratta di un punto di arrivo? Direi proprio di no, direi piuttosto che essere arrivati a conquistare un certo livello di AUTORITA’ è solo una tappa intermedia del processo che può portare alla consacrazione della persona come indubbia personalità di spicco autorevole in un determinato settore.

In parole povere voglio dire che, una volta arrivati a farsi conoscere come esperto, diviene di vitale importanza come minimo mantenere, se non addirittura accrescere di continuo il livello di AFFIDABILITA' che si è conquistato, evitando accuratamente di VIVERE DI RENDITA ed incappare magari in errori pacchiani e grossolani, superficialità, non degne del valore che il nostro nome ha acquisito fino a quel momento nell'ambiente in cui ci si muove.

Mi rendo conto che possa essere umano, una volta raggiunta una certa fama, rilassarsi e vivere di rendita, pensando che il proprio nome sia così conosciuto ed altisonante tanto da poter affermare tutto ed il contrario di tutto senza il minimo timore di essere contraddetti, pensando che nessuno abbia mai l'ardire di mettere in dubbio le nostre affermazioni e che, se anche accadesse, sarebbe facile urlare 'signore e signori, questa nullità ha osato contraddirmi! Ma voi credete più a lui che non è nessuno o a me che sono il re?'.

Un mondo che non mette in discussione anche le parole del re è un mondo che non ha futuro, ovviamente, e un mondo che mantiene sul trono re che non si curano della correttezza delle loro affermazioni, ma anzi credono di poter dire tutto ciò che vogliono, tutto ed il contrario di tutto appunto, puramente a loro uso e consumo, è un mondo già morto.

Essere un'AUTORITA' in un determinato settore significa avere il dovere, l'ONERE di mantenere all'altezza della propria fama, della propria autorità ogni affermazione, ogni parola, ogni frase, a livello di contenuti e di forma, ovvero a livello di correttezza del messaggio trasmesso e del corredo di riferimenti, di spiegazioni, prove e dimostrazioni del contenuto del messaggio stesso.

Essere un'AUTORITA' necessita di un forte e grande impegno, impegno dedito a mantenere o meglio accrescere l'AUTORITA' stessa, perché in un mondo sano da un'AUTORITA' ci si aspetta un alto grado di AFFIDABILITA' e di PROFESSIONALITA', più alto che per gli altri che non sono riconosciuti come tali
".

Il principio di autorità è un argomento complesso, a cui, di nuovo, il Blog dedicherà appena possibile un intero post. Per il momento mi limito sottoscrivere interamente le parole di "Noce". 
 
Per essere credibili, però, dobbiamo anche essere equilibrati, e dare conto di tutte le informazioni in nostro possesso.

Ho visto due volte Massimo Bernocchi esporsi per difendere degli oggetti filatelici mitici dalle grida dei beoti che popolano i forum di filatelia: la prima, sulla lettera di Sardegna affrancata con l'emissione del 1853 al completo; la seconda, su una lettera "primo giorno" con 2 grana di Sicilia; e l'ho anche visto smascherare abilmente, con prove incontrovertibili, un ignobile trucco su una famosa lettera di Toscana.
 
Spero di aver tempo per darvi conto dei vari casi, ma ora mi preme far passare un messaggio chiaro, per quanto ovvio. 
 
Massimo Bernocchi è un'autorità in materia di filatelia toscana, e questa autorità se l’è costruita negli anni, nei decenni, dando ripetutamente prova di affidabilità e precisione, di conoscenze e competenze, di misura e attenzione nella formulazione dei propri giudizi, di cautela nel rilascio delle proprie opinioni
 
Questo è un fatto, e non è in discussione.

Ma da un'autorità come Massimo Bernocchi ci si aspetta sempre qualcosa in più - in termini di contenuti, di argomentazioni, di stile, di linguaggio, di modalità espressive - e quindi si rimane sorpresi, a volte delusi, quando si ha la sensazione, fosse pure ingiustificata, che l'autorità si stia invece adagiando su sé stessa (come avviene ogni qual volta un'affermazione non è sostenuta da elementi obiettivi e verificabili).
 
Questa è la migliore sintesi che sono riuscito a produrre di una discussione che - ne sono convinto - può essere istruttiva per molti collezionisti, una volta smazzate via certe inutili, reciproche, spigolosità. 
 
Sono a disposizione dei due collezionisti per emendare o precisare ciò che ho riportato dei loro interventi.
 
Edit (2 gennaio 2022). Visto lo spunto offerto da Massimo Bernocchi, posso intanto fare un accenno a un argomento ben più grave dell'uso delle forbici: la creazione ad arte di apparenti rarità.
 
Sì, è vero, in filatelia c'è anche questo: lettere assemblate bell'apposta, per creare rarità scenografiche da rifilare a pseudo-collezionisti, a gente desiderosa di poter dire di aver speso un pozzo di denaro per comprare un francobollo (fortunatamente - seppur con gran dolore di molti commercianti - di soggetti così ne esistono sempre meno, e forse più nessuno).
 
Tra i casi più celebri abbiamo una curiosa mista risorgimentale di Napoli, ospitata niente meno che sulla copertina di uno dei cataloghi d'asta "Alphonse" (ciò che rimaneva della collezione del Barone Rothschild).
 

Ho affermato - in risposta a Massimo Bernocchi - che l'onere della prova di una falsificazione spetta a chi la denuncia, che l'oggetto filatelico deve presumersi originale fino a prova contraria (esibita da chi lo mette in dubbio).

Argomentare contro questa mista risorgimentale, anche solo dall'immagine, senza mai averla avuta in mano, è relativamente facile.

Cosa ci fa un annullato "in cartella" su una lettera del 16 gennaio 1861, quando dall'agosto del 1860, per le province del Regno, erano in uso gli "svolazzi"? Tanto più che esistono lettere partite da Castrovillari il 16 gennaio 1861 e affrancate con francobolli annullati "a svolazzo" (quindi neanche a dire che potesse esser stato riesumato l'annullato "in cartella" per una momentanea indisponibilità dello "svolazzo")

E cosa ci fa una Trinacria - anzi ben due! - ancora in circolo nel gennaio del 1861, quando già nel dicembre del 1860 il suo utilizzo andava a esaurirsi, per il subentrare della Crocetta?

E poi - sebbene la cosa possa apparire marginale - perché una Trinacria è dritta e l'altra è coricata?

E ancora: come dobbiamo interpretare quegli annulli non passanti, dato questo quadro clinico?

La lettera - infine - andò invenduta (in un contesto dove a Londra era presente il gotha della filatelia internazionale) e non fu citata nel Catalogo Bolaffi delle "Miste del Risorgimento" pubblicato nel 1991 (quindi dopo l'asta del 1988).

Ne abbiamo abbastanza per avvalorare la congettura di un trucco per ingannare i collezionisti, per suggerire quindi di staccare gli esemplari dalla lettera, recuperarli per quel che sono e venderli il loro effettivo valore (come sembra sia stato fatto).

E tuttavia un dubbio rimane, per quanto residuale: e se si fosse trattato di una frode postale dell'epoca, in cui i napoletani erano specializzati?

Vedete com'è complicato fare affermazioni nette su oggetti pur controversi?

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