Quell'ANNULLATO su Ferdinando - fuori programma



Non si interrompe un'emozione, lo so, e perciò chiedo scusa, consapevole che esordire con delle scuse non è una modalità comunicativa tra le più felici.

Interrompo un'emozione e chiedo scusa, e così metto una toppa che è peggio del buco, ma mi prudono le mani e non riesco a tenermi.

Vi ho parlato di uno "svolazzo su Ferdinando", di un annullo di Napoli su un francobollo di Sicilia, mysterious and fascinating per lo sfasamento temporale tra l'introduzione del primo e la cessazione di validità del secondo. Ma sui francobolli di Re Ferdinando si son abbattuti timbri forse meno mysterious, sicuramente altrettanto fascinating.

Collezione Aquila,
Asta Bolaffi, 27 maggio 2011.

Straordinario, non trovate?  Il "ferro di cavallo" era stato concepito - Al di là del Faro, nei domini del Regno di Sicilia - per non mancare di rispetto alla Sacra Effige di Sua Maestà; ma la sbadataggine in partenza dell'impiegato postale siciliano - che omise la timbratura - fece sì che il suo collega napoletano applicasse in arrivo il timbro dei domini Al di qua del Faro, del Regno di Napoli, quell'annullato "in cartella" che leggiamo per intero sul Testone da 5 grana, a creare un oggetto profetico, sapendo cosa sarebbe successo da lì a pochi anni.

Straordinario, non trovate? Straordinario che questa meraviglia, apparsa sul mercato nel maggio del 2011, anziché eclissarsi per una trentina d'anni, come si conviene a una gemma filatelica, sia tornata disponibile a distanza di un paio d'anni, ancora in asta, ancora in Italia.

Straordinario, non trovate? Il pedigree, intendo. Solo quattro esemplari noti, appartenuto a uno dei più grandi collezionisti di Sicilia, riprodotto in una monografia che è essa stessa un oggetto da collezione. Questo francobollo è un caso di scuola - un case-study, come dice chi ha studiato a Chiasso - per spiegare il peso del fascino dell'ex e della storia dell'oggetto, nell'apprezzamento non solo filatelico, ma anche economico.

Straordinario, non trovate? Ma la vera straordinarietà è scovare questa gemma nel catalogo d'asta della Robson Lowe del 25 marzo 1981 - "ITALIAN STATES - Featuring the second portion of the Kotzian collection" - presentata con la sobrietà e l'onestà intellettuale proprie di ogni grande antiquario filatelico.



Straordinario, non trovate? Straordinario che due tra le più rinomate case d'asta italiane non si siano date pena di segnalare quel "tiny corner thin" - "piccolo angolo sottile", testualmente - che nell'asta della Robson Lowe penalizzò pesantemente il realizzo, portandolo addirittura sotto la base (e neanche di poco).


Di grazia - signori banditori d'oggi e signor perito che l'ha certificato - quando pensavate di dirlo che il pezzo - che è e resta straordinario - aveva (ha) un "piccolo angolo sottile"?


Si dice spesso che, a differenza di chi compra, chi vende sa sempre cosa vende; e per estensione, vien da dire, chi perizia sa sempre cosa perizia (banale: ci si rivolge al perito confidando nella sua abilità - nella sua perizia, appunto - nel qualificare correttamente un pezzo in tutti i suoi aspetti tecnici).

Chi vende sa sempre cosa vende, chi perizia sa sempre cosa perizia. Come a dire: assegnata una retta e un punto esterno a essa, esiste una e una sola retta passante per quel punto e parallela alla retta data (versione popolare del V postulato della Geometria Euclidea).

Ovvio, non vi pare? Il V postulato, intendo. O forse non tanto, sicuramente non altrettanto quanto i quattro postulati che lo precedono. Sapete cos'è che infastidisce del V postulato? La non-osservabilità. Noi possiamo disegnare punti e segmenti, ma non rette. La retta è un'entità geometrica di estensione infinita, laddove noi esseri umani siamo finiti, in tutte le nostre manifestazioni e percezioni. Nessuno di noi, essere finito, può vedere una retta, entità infinita. La retta possiamo solo concepirla con l'immaginazione, prolungando arbitrariamente, dentro la nostra testa, un segmento di lunghezza finita.

Vediamola la perplessità, perché in matematica, prima di tutto, serve saper vedere.
 
Partiamo da una retta r (di cui fisicamente possiamo disegnare solo un tratto, cioè un segmento) e da un punto P esterno a essa.
Ora dobbiamo disegnare una retta s - fisicamente, un segmento - passante per P e parallela a r. Nulla di più semplice, in apparenza, non è vero?
 
L'intuito suggerisce l'unicità della retta s, proprio come afferma il V postulato: qualunque altro tratto di segmento, diverso da quello disegnato, finirebbe prima o poi con l'intersecare la retta r o, in altre parole, solo il tratto di segmento s ha la proprietà di non incontrare mai la retta r, per quanto lo si prolunghi a sinistra o a destra, a est o a ovest.

Intuitivamente la cosa è ovvia, ma non possiamo vederla. Possiamo disegnare e vedere solo punti e segmenti, non rette. Noi immaginiamo che prolungando indefinitamente i segmenti r e s, per tramutarli in rette, non troveremo mai un punto d'intersezione Q. Lo immaginiamo, ci sembra plausibile, ma, di nuovo, non possiamo vederlo.

Se assiomi e postulati devono essere verità auto-evidenti - che non necessitano di alcuna spiegazione - allora è piuttosto fastidioso includervi un qualcosa che - accidenti! - richiede uno sforzo di immaginazione, sebbene minimo.

So cosa state pensando. Se disegno un segmento e poi un punto esterno a esso, se immagino di prolungare indefinitamente il segmento per trasformarlo in una retta, e se infine immagino di far passare una nuova retta per il punto dato, allora riesco a concepire una e una sola retta parallela alla retta data; o - detto alla buona - non riesco proprio a vedere come sia possibile che quelle dure rette parallele - nate per ideale prolungamento di due segmenti paralleli - possano mai incontrarsi in un punto fuori dalla mia visuale.

La "verità" del V postulato, insomma, se non proprio auto-evidente, rimane comunque sufficientemente evidente per esser accolta nel club elitario di affermazioni indiscusse e indiscutibili.

Sapete qual è il problema? Che di mezzo c'è l'infinito, e l'infinito - scrive Borges - "è un concetto che confonde e corrompe tutti gli altri". Le verità sull'infinito (puramente intellettuali) non sempre si ottengono per mero prolungamento delle verità sul finito (fisicamente percepibili).

Abbiate la volontà di seguirmi, ché tanto lo avete capito che ho un'idea tutta mia di cultura filatelica.

Abbiamo due rette, chiamiamole r e s. La retta r la mettiamo in posizione diritta e la terremo ferma. La retta s invece la incliniamo e la faremo ruotare intorno al punto P. C'è infine il punto d'intersezione Q, tra le rette r e s.

Tutto chiaro? Non mi sembra difficile. Proseguiamo.

Iniziamo a ruotare la retta s in senso antiorario, facendo perno sul punto P. Cosa accadrà? Semplice: il punto di intersezione Q inizierà a spostarsi verso est. Piccole rotazioni della retta s determinano piccoli spostamenti del punto Q, più ruotiamo s più Q si allontana alla nostra destra. Possiamo dire che Q tocca pian piano tutti i punti di r, man mano che ruotiamo s.
Ruota, ruota e ruota ancora, il punto di intersezione Q scapperà verso est e la retta s inizierà a mettersi in posizione dritta, sin quando, voilà, le due rette r e s - come noi le immaginiamo, prolungando i segmenti - ci appariranno parallele.    

Quel che vediamo ora è la situazione che definiremmo di rette parallele, quella in cui, per capirci, il punto di intersezione Q non dovrebbe esistere. La cosa inizia a farsi fastidiosa, non è vero? Questa situazione è indistinguibile, all'osservazione, da quella in cui avevamo tracciato un segmento s parallelo a r, affermando che r e s non si sarebbero mai incontrati, per quanto li avessimo prolungati.

Quand'è - in questa seconda costruzione - che la retta s si è "staccata" dalla retta r? Quand'è che il punto Q - che all'inizio vedevamo - ha smesso di esistere? Il punto Q - se seguiamo l'intuizione - si allontana sempre più, scappa verso est, ma esisterà sempre, magari lontanissimo, ma deve esserci, perché - a intuito - non può smettere di esistere così, all'improvviso (anzi, non può smettere di esistere e basta, perché due rette al principio intersecate - a intuito - lo rimangono anche se una comincia a ruotare, perché parliamo di entità di estensione infinita, per cui incontreremo sempre un punto di contatto, pur di andare sufficientemente lontano, di ampliare quanto serve il nostro angolo visuale). 

Accidenti, forse le cose non sono così semplici come le immaginavamo. E non è finita qui, sapete?

Le due rette, ora, ci sembrano parallele -  chissà, però, dove diavolo sia finito Q - ma se continuiamo a ruotare la retta in senso antiorario, e ruotiamo e ruotiamo ancora, ecco che inevitabilmente l'intersezione Q ce la ritroveremo... a ovest, alla nostra sinistra!  
Sembra un gioco di prestigio, vero? Il punto d'intersezione Q stava alla nostra destra, all'inizio; poi, ruotando la retta s, il punto Q ha iniziato a spostarsi verso est, e più ruotavamo s più Q si allontanava a destra, fino a... sparire dalla nostra vista, quando le due rette ci sembravano parallele; ma ruota, ruota e ruota ancora, eccolo riapparire... alla nostra sinistra!

Vi gira la testa? Proviamo a fare ordine. Se partiamo da due segmenti paralleli, da prolungare indefinitamente per avere due rette parallele, non riusciamo a immaginarci come sia possibile che quelle due rette finiranno prima o poi per incontrarsi. Ma se invece partiamo da due segmenti intersecati, da prolungare indefinitamente per avere due rette, con una retta che resta ferma e l'altra che ruota, per portarla in posizione parallela alla prima, allora non riusciamo più a capire dove, come e quando il punto d'intersezione sparisca, per poi riapparire sul versante opposto. Capite cosa intendeva Borges quando scriveva che "l'infinito è un concetto che corrompe e confonde tutti gli altri"?

A cosa dobbiamo credere? A quel che intuitivamente possiamo solo immaginare o a quel che cade sotto le nostre più immediate percezioni sensoriali?

"Credo solo in quel che vedo, e la realtà per me rimane, il solo metro che possiedo, come è vero che ora ho fame", canta Sancho Panza-Biondini, nel duetto con Don Chisciotte-Guccini.

E voi, invece, a cosa credete?

All'articolata descrizione del commerciante e alle dotte analisi storico-postali degli autorevoli periti ...




... o a quel che vi avevo già raccontato, senza nessuna scienza, e che qui mi limito a riassumere all'essenziale?


Con immutata stima, verso tutti.

"Per ogni matematico che non si è mai pentito,
d'aver sbagliato un calcolo, che è già grave di per sé.
Rimane un senso logico, che a me non è servito..."

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