TOSCANA - ... dieci risposte

Estratto da una copia annotata della rivista "Il Collezionista - Italia Filaetelica", n. 3. marzo 1951.

 


L'emissione dei francobolli del Granducato di Toscana trova origine e giustificazione nella Lega Postale Austro-Italica.
 
La prima tornata di esemplari vede la luce l'1 aprile 1851 e contempla i valori da 1 soldo, 2 soldi e da 2, 4 e 6 crazie, per coprire le tariffe contemplate dalla "Convenzione".
 
 
La "Convenzione" configurava il sistema tariffario sulla "lettera semplice"
-  di peso non superiore a 15 "denari", detta anche di "un porto" o di "porto semplice" -
 e sull'articolazione in tre scaglioni delle distanze geografiche
- prima distanza: fino a 40 miglia; seconda distanza: da 40 a 80; terza distanza: oltre 80 -
che combinandosi tra loro davano luogo a una specifica tariffa postale:
1 soldo era il costo del "porto semplice" di un giornale;
2 soldi coprivano il "doppio porto" dei giornali
e il "porto semplice" di un giornale diretto in una località della Lega Austro-Germanica;
2 crazie servivano per la spedizione di una "lettera semplice" entro la prima distanza;
4 crazie erano necessarie per una "lettera semplice" entro la seconda distanza;
6 crazie per una "lettera semplice" entro la terza distanza.



L'uso del francobollo rimase al principio facoltativo per la corrispondenza interna al Granducato,
e alla gente dell'epoca servì un po' di tempo per familiarizzare con la novità postale,
come testimonia questa lettera dell'1 aprile 1851 da Livorno a Lucca,
non affrancata nonostante la disponibilità dei francobolli.
La combinazione di timbri e segni ci rivela la natura della missiva:
apparteneva alle "francature a pronti contanti", segnalate dal timbro a doppio cerchio sul fronte;
il timbro "P.D." abbrevia la dicitura "Porto a Destino",
usata per le lettere da consegnare senza aggravi per il destinatario,
come ribadito dal tratto diagonale, usato per le lettere "franche di porto";
all'arrivo fu apposto il timbro tondo "a cresta",
per confermare che la lettera "non formava debito all'uffizio".
 
 
 

Il primo mese d'uso, sul francobollo da 2 soldi:
la coppia - con annullo "a cresta" - reca la prima data conosciuta sul 2 soldi;
l'esemplare su frammento è annullato col il timbro "a graticola".

Nel luglio del 1851 entrano in circolo i valori da 1 crazia e 9 crazie: la crazia si combina principalmente col 2 crazie, per formare la tariffa da 3 crazie necessaria a far viaggiare le lettere di peso non superiori a 6 "denari" sino al confine toscano; il 9 crazie origina invece da una convenzione postale con la Francia (stipulata già a marzo e in vigore da ottobre) e copre il "primo porto" delle lettere verso Francia e Algeria.
 
La progressiva diffusione del francobollo - per un servizio postale che si andava espandendo oltre le previsioni - suggerisce infine l'emissione di altri due valori, agli estremi della scala: nel 1852 appaino gli esemplari da 1 quattrino (per l'affrancatura dei giornali diretti all'interno del Granducato) e da 60 crazie (per le corrispondenze estere a lunga percorrenza).
 
Lettera del 25 maggio 1853 da Portoferraio a Piombino, affrancata per 2 crazie
con una combinazione di francobolli denominati in crazie, soldi e quattrini,
annullati col timbro "a mostaccioli" e a lato il doppio cerchio grande.

 
 
Lettera da Prato per Marradi, del 15 febbraio 1855, per un tariffa di 3 crazie,
assolta con valori denominati in tutte le monete dell'emissione granducale.
Ex Collezione Imperato.
 
 
 

Ancora due lettere "trivalore", ex Collezione Imperato.
 


Il 60 crazie isolato, su una lettera per un'inusuale destinazione.

Parliamo di francobolli, di oggetti di  emanazione istituzionale con un contenuto monetario, ma relativamente facili da contraffare, e nessuno poteva sapere - al momento della loro introduzione - quali reazioni avrebbe suscitato il nuovo metodo di pagamento della corrispondenza.

Sebbene il fenomeno delle falsificazioni non toccò mai il Granducato di Toscana, l'adozione dei migliori presidi di sicurezza era un dovere per chi aveva la responsabilità del corretto funzionamento servizio postale.

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Nell'aprile del 1859, poche settimane prima che il Granduca lasciasse Firenze,
si ebbe il sospetto di una falsificazione di francobolli, per frodare la Posta. 
Le indagini accertarono che in realtà si trattava di un uso improprio di prove di macchina.
 Queste prove di macchina passate per posta
- tra cui rientrava anche il leggendario 4 crazie con tassello capovolto - 
non vanno confuse con le autentiche prove di stampa su carta più spessa,
come quella dell'esemplare da 2 crazie qui riprodotta,
annnuallate dalla stessa Amministrazione Postale  
col bollo ovale "S.a F.a" (Strade Ferrate) a titolo di esperimento.
 
La comunicazione del 31 dicembre 1850 - del Soprintendente Generale delle Poste al Ministro delle Finanze - prospetta il problema e la relativa soluzione.

"Occorrendo ordinare la carta per la stampa dei francobolli, la quale conviene che sia appositamente confezionata, e destinata, per rendere più difficile la contraffazione dei francobolli medesimi, questa generale soprintendenza crederebbe potessero servire all'uopo alcune forme usate già per la fabbricazione della carta dell'uffizio del bollo e del registro del Granducato di Lucca; le quali, quasi nuove, si trovano inoperose, con varie altre, in un magazzino di questa amministrazione generale del registro, e che presentano alcune linee longitudinali, ben marcate, con dodici corone ducali, regolarmente distribuite sulla loro superficie".
 
Il foglio filigranato immaginato dal Soprintendente Generale delle Poste.
 
La cartiera Cini fornì i fogli filigranati secondo le indicazioni della Soprintendenza delle Poste, e si premurò di aggiungere altre quattro linee longitudinali - "quando fosse opportuno, potrebbe anche facilmente farsi qualche modifica", aveva già immaginato il Sopraintendete - così da minimizzare gli spazi bianchi.

Il foglio filigranato delle tirature del 1851,
dopo l'intervento della Cartiera Cini.

In linea di principio non si sarebbero potuti avere esemplari senza filigrana, se i fogli fossero sempre stati collocati sul torchio a regola d'arte.

Ma la dimensione artigianale è ciò che caratterizza l'intera produzione dei francobolli degli Antichi Stati, e collocazioni anomale avrebbero potuto in effetti generare il fenomeno indesiderato di esemplari privi di filigrana.
 
Ingrandimento su una delle dodici corone del foglio,
per mostrare la disposizione da cui originavano francobolli privi di filigrana.

 
"Si possono trovare esemplari senza filigrana" - leggiamo sul Catalogo Sassone - "o per spostamento della stessa o per essere stati stampati esattamente nello spazio a lato delle corone", e Luigi Sirotti stima intorno all'1% la probabilità di trovarne uno.
 
Nel 1857 le Poste Granducali disposero il cambio di filigrana, per ragioni che non sono né formalmente documentate né spiegabili da eventi particolari, e su cui si può solo congetturare, muovendo proprio dalla pur remota possibilità di avere francobolli sprovvisti del basilare dispositivo anti-falsificazione.
 
Estratto dall'Enciclopedia filatelica Italiana.



Una riproduzione stilizzata della filigrana del 1857
(nella realtà fattuale c'è uno spazio bianco tra le coppie di linee intersecate).
La lettera "E" - in piccolo, interposta tra "II" e "RR" - è stata a lungo ignorata,
tant'è che nell'estratto dall'Enciclopedia filatelica non se ne fa menzione.
La conferma della sua esistenza si è avuta con l'esame dei fogli filigranati
presenti nella Collezione Tapling (custodita dalla British Library di Londra)
e nell'archivio dello Studio peritale della famiglia Diena. 
 
Il nuovo disegno occupava il foglio in modo più che sufficiente a inibire la creazione di esemplari privi di filigrana.
 
La risposta alla domanda iniziale - è possibile trovare un francobollo granducale privo di filigrana? - rimane quindi interlocutoria: sì, è possibile per le tirature su carta del 1851; e no, non è possibile, per le tirature su carta del 1857.


  
 
Il sistema monetario granducale era articolato in lire, fiorini, denari, soldi, crazie e quattrini, in rapporto tra loro - a seconda dei casi - attraverso multipli e sottomultipli di 10, 12 e 60.

Trovate on-line il convertitore tra monete toscane, che restituisce tutti i rapporti di cambio desiderati, e però toglie il gusto di ricavarli da soli, giocando con le equivalenze. 

Se vi dico che 1 lira toscana corrispondeva a 60 quattrini, e 1 crazia a 5 quattrini, sapreste dirmi quante crazie ci volevano per formare 1 lira?
  
Se la matematica non sarà mai il vostro mestiere, e non avete proprio voglia di eseguire i calcoli, allora ecco qui il risultato.
 
 
Una lira toscana equivaleva dunque a 12 crazie.

 

 
 
Il 2 soldi è tra i capostipiti dei francobolli granducali, emesso già l'1 aprile 1851, probabilmente in un'unica tiratura, sebbene sia conosciuto e catalogato in due gradazioni di colore (scarlatto cupo e scarlatto vivo); la prima data nota è il 14 aprile 1851.
 
Uno dei due documenti conosciuti con il 2 soldi isolato (circolare con più fogli interni).
Ex Collezione Imperato. 

L'anomalia del 2 soldi - se così si vuol dire - stava nella particolare tariffa assolta dal suo uso isolato: il cosiddetto "doppio porto" di una stampa e il "porto semplice" di una stampa diretta in una località della Lega Austro-Germanica.
 
Erano casistiche oggettivamente infrequenti, cosicché il 2 soldi in sé non aveva grande diffusione e serviva per lo più in via strumentale, per coprire tariffe per cui vi era una momentanea indisponibilità del relativo francobollo (sono note ad esempio alcune strisce di cinque, equivalenti a 6 crazie) o per concorrere alla formazione di tariffe sprovviste del corrispondente esemplare singolo.

Una spettacolare affrancatura da 15 crazie verso la Francia.
 
 
 
Un'ordinaria affrancatura da 2 crazie, assolta nel modo più inusuale.

L'uso più frequente del 2 soldi era nella formazione della tariffa da 3 crazie (=5 soldi) per rendere franche le lettere di primo porto sino al confine toscano (per non gravare il destinatario di alcun onore per il tratto che andava dal luogo di spedizione al confine del Granducato): delle 59 lettere integre col 2 soldi censite dal Sassone (a cui se ne aggiungono 6 con affrancatura manomessa) ben 50 riportano l'affrancatura da 5 soldi.
 
L'emissione del valore da 1 crazia (nel luglio del 1851) rese più semplice la realizzazione dell'affrancatura da 3 crazie, in termini di conteggi e numero di pezzi: bastava accoppiare il valore da 2 crazie (in circolo già dall'1 aprile) col valore da 1 crazia ora disponibile.

Il 2 soldi andò così fuori corso il 20 ottobre 1852; l'ultima data conosciuta è l'11 novembre 1852; il quantitativo rimasto (43.342 esemplari) fu distrutto il 10 gennaio 1854.

 

 
 
I francobolli granducali vennero stampati in fogli da 240 esemplari, disposti in 3 gruppi di 80 (5 righe di 16 pezzi) separati da un'interspazio di circa 1,5 millimetri.
 
Era prassi dividere i 3 gruppi prima di consegnare i fogli per la vendita, per cui non si hanno coppie con l'interspazio, ma al più esemplari che lo mostrano, sopra o sotto, a volte con una parte del francobollo adiacente.
 
Esemplari da 1 quattrino, 1 crazia e 4 crazie del 1857,
con interspazio di gruppo e parte del francobollo adiacente.
 
La composizione di stampa era racchiusa da un filetto tipografico colorato, distante all'incirca 1,5-2 millimetri dalla vignetta; è raro trovarlo, perché il bordo veniva di regola tagliato prima di consegnare i francobolli.
 
 
Coppia dell'esemplare da 6 crazie del 1851
con l'intero filetto di inquadratura superiore.

Il foglio intero - compresi i filetti d'inquadratura - misurava 32×36,4 centimetri.


 
La domanda è scivolosa.

"Sono note strisce maggiori [di cinque] dell'1 crazia, del 2 crazie, del 4 crazie e del 9 crazie; è nota la striscia di nove dell'1 crazia e di dieci del 2 crazie", scrive il Catalogo Sassone.
 
Esistono dunque strisce superiori alle cinque unità, ma qui si vuol sapere - in aggiunta - se ve ne siano di verticali; e la tipologia della striscia - se orizzontale o verticale - non ha mai trovato un censimento, neanche negli studi specialistici più avanzati.
 
Le più elevate strisce ben conosciute - verticali, di cinque esemplari - sono la striscia del 2 soldi ex Caspary, ex Burrus, e la striscia del soldo apparsa nell'asta Bolaffi del 7-8 ottobre 2021.
   
Ex Collezione Imperato.
 
E' possibile che ne esistano altre - più elevate, di sei esemplari - non altrettanto note o comunque non recensite? 
 
Spesso si dice che tutto è possibile, in filatelia; che non si può mai sapere cosa si nasconda nelle vecchie collezioni magari mai transitate per il mercato; che la sorpresa non può mai escludersi (sebbene diventi via via più improbabile, quanto più passa il tempo).
 
Ma l'aspetto interessante - qui - è nella natura logica, e non empirica, della domanda: per rispondere non serve scandagliare l'oscuro territorio del collezionismo alla ricerca del pezzo desiderato, accompagnati dal dubbio sulla sua effettiva esistenza; per rispondere è sufficiente mettere assieme gli elementi certi a disposizione, e dedurne le conclusioni con un procedimento logico. 
 
"Non credo se ne conoscano" - scrive Tiziano Nocentini, a commento del post "Dieci domande" - "ed il motivo risiede nel fatto che il foglio da 240 francobolli veniva tagliato in tre blocchi da 80 esemplari ciascuno disposti in cinque righe di sedici colonne, che venivano distribuiti agli uffici postali". 
 
Perfetto. Noi sappiamo - con certezza - che il foglio di 240 esemplari veniva sezionato in 3 blocchi di dimensioni 5×16, quindi è materialmente impossibile avere una striscia verticale di 6 esemplari. O meglio: sarebbe possibile solo se - per puro caso - un foglio non fosse stato preventivamente sezionato e, al tempo stesso, si fosse creata l'occasione di produrre un taglio verticale così lungo da scavallare l'interspazio. E' una situazione inverosimile, tant'è che a oggi non si conoscono nemmeno delle coppie con iterspazio (il che avvalora la tesi per cui tutti i fogli furono preventivamente sezionati) e una striscia di 6 - semmai esistesse - sarebbe di sicuro stata recensita (proprio per la particolarità di dover mostrare l'interspazio).

Possiamo quindi concludere - con Nocentini - che "è altamente improbabile che esistano strisce verticali di più di cinque esemplari", dove quell'altamente improbabile si può pure leggere come praticamente impossibile.

L'occasione è utile per richiamare un punto d'attenzione generale, già discusso nell'ambito del plattaggio dei "Marzocchi": la cosiddetta "conoscenza" - a meno di casi fortunati, che sono l'eccezione e non certo la regola - è sempre probabilistica.
 
Noi attribuiamo valore di verità a un'affermazione nella misura in cui la razionalizzazione delle informazioni disponibili ci induce a ritenerla così probabile da poterci comportare come se fosse vera.
 
Questo è l'unica impostazione per "fare scienza", la sola via da seguire per consegnare alla filatelia lo status di una disciplina scientifica.


 

I "primi francobolli sardo italiani" sono gli esemplari della IV emissione di Sardegna, una serie di per sé affascinante, se la speculazione commerciale, assecondata dalla stupidità dei collezionisti, non l'avesse trasformata in una macchietta filatelica.
 
La IV di Sardegna è l'ambasciatrice dell'avvento del Regno d'Italia, tra il 1859 e il 1862, e rappresenta una delle manifestazioni più chiare dell'espansionismo sabaudo sulla penisola.
 
 
 
 

La IV di Sardegna a Milano (ex Regno del Lombardo Veneto).



La IV di Sardegna a Borgotaro (ex Ducato di Parma).



La IV di Sardegna a Pisa (ex Granducato di Toscana).
 
 

La IV di Sardegna a Ferrara (ex Stato Pontificio).
 
 

La IV di Sardegna a Rieti (ex Stato Pontificio).
 
 
 
La IV di Sardegna a Napoli (ex Regno delle Due Sicilie - Dominî al di qua del Faro).
 
 
 
La IV di Sardegna a Palermo (ex Regno delle Due Sicilie - Dominî al di qua del Faro).

Si rimane sconcertati, se si pensa che il Regnum Sardiniae et Corsicae nasce come mero espediente, diplomatico per risolvere la disputa tra la Corona d'Aragona e la dinastia capetingia d'Angiò, a seguito della Guerra del Vespro per il controllo della Sicilia: un reame fantoccio, infeudato da Giacomo II di Aragona in cambio del pagamento di una rendita annuale al Papato, che di fatto ne esercitava il controllo (sostanzialmente una licenza di invasione offerta dalla Chiesa di Roma agli Aragonesi).
 
I Savoia ne entrano in possesso, controvoglia, nel 1720, a seguito del Trattato dell'Aia, incorporandovi i territori francesi su cui già esercitavano la loro influenza; con Carlo Emanuele III i confini vengono estesi sino al Ticino, a seguito della partecipazione alle Guerre di Successione Polacca (1733-38) e Austriaca (1740-48); e il 18 febbraio 1861, all'apertura del primo Parlamento italiano - con un Regno d'Italia ancora ufficialmente inesistente - Re Vittorio Emanuele II parla di una nazione "libera ed unita quasi tutta, per mirabile aiuto della Divina Provvidenza, per la concorde volontà dei Popoli, e per lo splendido valore degli Eserciti".
 
La IV di Sardegna suggella ora la più improbabile delle cavalcate.

L'avevano avuta in dotazione in via informale gli uffici del cosiddetto Oltrepò mantovano - la parte della provincia di Mantova situata sulla sponda meridionale del Po - dal 15 luglio al 15 dicembre 1859 (quando i territori furono restituiti all'Austria); gli uffici dell'Oltreappennino modenese, dal 15 giugno al 15 ottobre; e quelli del decaduto Ducato di Parma, dall'1 agosto 1859 (prima di battere in ritirata, quando Napoleone III s'indispettì per la fuga in avanti del Piemonte su un territorio governato da una Casata - i Borbone Parma - amica dell’Impetatore).
 
Questo è il suo calendario sulla penisola:
  • in Lombardia, dal luglio 1859.
  • in Emilia (ex Ducati di Modena e Parma, ex Legazioni romagnole) dal febbraio 1860;
  • nelle Marche, in Umbria e Sabina, dal settembre 1860;
  • in Toscana, dal gennaio 1861;
  • in Sicilia, dal maggio 1861;
  • nelle Province Napoletane, dall'ottobre 1862 (ma tollerata anche qualche giorno prima).
I francobolli sardo-italiani entrano ufficialmente nel territorio toscano l'1 maggio 1861, ma la loro distribuzione era iniziata già l'1 gennaio, in concomitanza con la circolazione dell'emissione patriottica del Governo Provvisorio, e pertanto l'uso promiscuo non solo fu possibile, ma non è neppure così raro o infrequente, pur preservando un elevato interesse storico.
 

Decisamente più particolari (e rare) sono le affrancature miste tra i valori del Governo Provvisorio e la prima emissione propriamente italiana del 1862 (perché i francobolli provvisori furono tollerati nel 1862, e ancora nel 1863, pur avendo perso la loro validità alla fine del 1861): sono noti 2 frammenti (di cui uno con tutte e tre le emissioni: Provvisorio, IV di Sardegna, Italiana) e 2 lettere.


  
 
 
Il 12 gennaio la Sicilia insorge contro i Borbone, a Napoli Re Ferdinando concede la Costituzione, seguito da Carlo Alberto nel Regno di Sardegna; il Granduca Leopoldo si accoda, e il 17 febbraio anche la Toscana ha il suo Statuto Costituzionale.

La causa nazionale prende il sopravvento a Roma, in Piemonte, in Liguria, a Venezia, e non è solo questione di penne e calamai. E' un fatto di barricate.

A Milano - tra il 18 e il 22 marzo - si consumano quelle che sarebbero passate alla storia come le "Cinque Giornate" più rivoluzionarie mai viste sino ad allora.
 
La rivoluzione coinvolge i Ducati di Modena e Parma, si propaga alla vicina Bologna, e lambisce la Toscana.

Diverse delegazioni patriottiche si recano dal Granduca per ricevere il permesso a organizzare dei Corpi di volontari da far marciare verso la Lombardia.

Il 21 marzo il Granduca dà alla stampe un proclama in cui parla "del completo risorgimento d'Italia", di "questa nostra Patria comune", e ordina alle truppe regolari di dirigersi verso la frontiera, su due colonne, una per Pietrasanta e l'altra per S. Marcello: a tutti gli effetti, una tanto coraggiosa quanto sconcertante dichiarazione di guerra all'Austria.
 

 
Il '48 - come è noto - finì con la restaurazione della restaurazione.
 
Il Granduca era fuggito dalla Toscana nel febbraio del 1849, e poté rientrarvi solo il 28 luglio 1850, preceduto e protetto da una cospicua guarnigione austriaca.
 
Vignetta satirica dell'epoca, intitolata "I nobili schiavi"
pubblicata sul giornale satirico "Il Don Pirlone a Roma":
il Granduca rientra a Firenze sulle braccia dei mastini austriaci, 
acclamato dai docili e sottomessi cagnolini nobiltà locale,
con frasi dallo sconsolante sapore amaro.

Gli austriaci sarebbero rimasati sul territorio toscano sino al 1855 - a tutela dell'ordine e spesata delle casse granducali - e il poeta Giuseppe Giusti ironizzò su quel (costoso) protettorato col sonetto "Tedeschi e Granduca", tutto imperniato sulla magistrale ripetizione delle due parole.
 
"Una volta il vocabolo Tedeschi
suonò diverso a quello di Granduca,
e un buon Toscano che dicea Granduca,
non si credette mai di dir Tedeschi.
Ma l’uso in oggi alla voce Tedeschi
sposò talmente la voce Granduca,
che Tedeschi significa Granduca,
e Granduca significa Tedeschi.
E difatto la gente del Granduca
vedo che tien di conto dei Tedeschi
come se proprio fossero il Granduca.
Il Granduca sta su per i Tedeschi
I Tedeschi son qui per il Granduca;
e noi paghiamo Granduca e Tedeschi"
(Giuseppe Giusti)
 
La presenza delle truppe austriache sul territorio toscano - tra il 1850 e il 1855 - diede origine a due tipologie di documenti postali, di elevato contenuto storico e particolare rarità filatelica:
  • lettere in partenza dalla Toscana affrancate con esemplari austriaci in possesso dei militari acquartierati nel Granducato;
  • lettere affrancate con esemplari toscani annullati con timbri austriaci della posta militare "Feld-Post".
La seconda casistica risponde affermativamente alla domanda - sì, si possono trovare francobolli toscani regolarmente annullati con timbri stranieri - e qui ne vedete un campionario sull'esemplare da 6 crazie.
 


 




 
 
Dal 1801 al 1807 - a seguito delle scorribande napoleoniche sulla penisola - il Granducato di Toscana fu rinominato Regno d'Etruria, e assegnato alla dinastia dei Borbone di Parma; e nel neonato Regno d'Etruria prese vita la lira toscana, che si affiancò alla lira del Regno d'Italia (napoleonico).
 
Moneta da 1 lira toscana del 1803:
su una faccia, l'indicazione del valore su due righe tra due rami di lauro,
con foglie piccole e senza bacche, legati alla base;
sull'altra, lo stemma dei Borbone sormontato da una corona,
adornato dal collare del Toson d'Oro e sovrapposto alla croce dell'Ordine di Santo Stefano.
 
Nel 1824 - con le antiche dinastie ripristinate sui loro troni, a seguito del Congresso di Vienna -  Leopoldo II prende il titolo di Granduca di Toscana, e nel 1826 introduce una nuova moneta, il fiorino, che sostituisce la lira toscana (al tasso di cambio 1 ⅔ lire = 1 fiorino) e sarà destinata a restare la moneta ufficiale sino alla scomparsa del Granducato, nel 1859.
 
Monete toscane da 1 fiorino
(1826-1842, 1843-1858, 1859).

La lira toscana deve però esser rimasta ben più che come semplice ricordo, tant'è che Gregorio Cappelli, nei suoi "Ragguagli" del 1861, commisura i quattrini alla lira italiana passando per la lira toscana, secondo l'equivalenza 1 lira toscana=60 quattrini.
 
 
Scorrendo fino all'ultima riga (60 quattrini equivalenti a 1 lira toscana) troviamo il corrispettivo in lire italiane.

 
Dunque 1 lira toscana (60 quattrini) corrispondeva a 84 centesimi italiani (0,84 lire italiane) e perciò valeva meno della lira italiana.
 
Il sistema duodecimale toscano scomparve con l'unificazione monetaria italiana, disciplinata dalla legge del  24 agosto 1862.

Ma è significativo che nuove monete con l'effige di Re Vittorio Emanuele iniziarono a circolare già nel 1860, un anno prima della nascita del Regno d'Italia, coniate con la dicitura "RE ELETTO", formalmente giustificata dagli esiti del plebiscito col quale i toscani avevano approvato l'unificazione dei loro territori con il Regno di Sardegna.
 
 
L'emissione così anticipata della lira italiana in Toscana troverà il contraltare filatelico nel francobollo da 3 lire del Governo Provvisorio, il primo con la dicitura "IT(ALIA)": due chiare manovre politiche - basate su oggetti di uso quotidiano - per velocizzare i tempi dell'unità nazionale.

  

 
 
La domanda - se presa alla lettera - ha una risposta negativa: no, non esistono francobolli del Granducato di Toscana usati per frazione.

Esiste però il francobollo da 40 centesimi del Governo Provvisorio di Toscana frazionato (per formare un affrancatura di 20 centesimi) regolarmente passato per posta.

Il Sassone censisce 6 lettere - 4 con l'esemplare tagliato diagonalmente, 1 con taglio verticale, 1 con taglio orizzontale - tutte provenienti dall'Umbria, spedite tra il 26 ottobre 1861 e l'1 maggio 1862. 
 

 
Tre delle sei lettere con l'esemplare frazionato del 40 centesimi del Governo Provvisorio di Toscana.

La sua localizzazione si spiega con l'accentramento degli uffici postali umbri presso la Direzione di Firenze dall'1 marzo 1861; ma il suo utilizzo - il frazionamento - è l'eco di una prassi dello Stato Pontificio - a cui l'Umbria apparteneva, prima di essere usurpata - che tollerava i francobolli usati per frazione quando l'intero valore facciale eccedeva il costo della tariffa.


 
 
I francobolli granducali presentano delle peculiarità di stampa che alcuni collezionisti chiamano "difetti costanti" (in omaggio alla tradizione) altri "varietà di cliché" (per enfatizzarne la natura tecnica) e altri ancora "caratteristiche ricorrenti" (per mediare tra le due espressioni e restituirne una visione più moderna).

Quale che sia la denominazione - difetto costante, varietà di cliché, caratteristiche ricorrenti - si parla comunque di un'alterazione dello stato della tavola di stampa, che può avere più d'una causa (essere presente sin dall'inizio della tiratura, o più frequentemente essere determinata dall'usura delle tavole, o ancora dalla risistemazione dei singoli tasselli).
 
Le tavole dei francobolli granducali richiedevano in effetti delle manutenzioni continue, e le operazioni di pulizia, riparazione e riposizionamento o sostituzione venivano spesso eseguite senza troppe delicatezze - ad esempio erano frequenti violente martellate sui cliché per rimetterli in posizione sulla tavola - cosicché molti francobolli portano addosso, e conservano memoria, del trattamento subito dal cliché di provenienza.
 
La classica vis polemica toscana ha coinvolto anche il censimento dei difetti costanti (o varietà di cliché o caratteristiche ricorrenti che dir si voglia): 205 secondo alcuni e 230 per altri, in ragione del materiale empirico di riferimento e dei criteri concettuali per qualificare il difetto (la varietà, la caratteristica).
 

                                            
La "piccola macchia" (sull'esemplare da 1 soldo)
e la "grande macchia" (sugli esemplari da 4 e 6 crazie):
due dei difetti costanti più noti e celebrati.

I riferimenti bibliografici sono ben conosciuti ai collezionisti di "Toscana", ma vale la pena richiamarli a beneficio di tutti.
 
 Il classico testo del Giannetto (del 1960) e i due testi moderni (del 2016 e del 2019).
 
Ho sfruttato la domanda per richiamare un filone collezionistico specialistico di grande interesse - di cui potete vedere qui un'applicazione pratica - ma se si parla del "più classico e più raro 'errore' di Toscana",  è ovvio che stiamo parlando del 4 crazie col tassello del valore capovolto.
 
Il 4 crazie col tassello del valore capovolto:
alla vostra sinistra, l'esemplare originale (come si presenta effettivamente);
a destra, la sua ricostruzione (come si sarebbe presentato se fosse stato tagliato a dovere).

"Si tratta di un errore spettacolare, uno di più sensazionali di tutta la filatelia classica" - leggiamo nel Catalogo Sassone - "Sovrasta come importanza i leggendari 'cigno capovolto' dell'Australia Occidentale e l'effigie capovolta del 4 annas dell'India. Può essere paragonato all'errore di colore del n. 1 di Svezia (unico anch'esso, ma notevolmente difettoso) o all'errore di colore del Baden".
 
L'errore è spiegato dal particolare artigianato di produzione: i francobolli granducali provenivano tutti da una stessa matrice, priva del tassello del valore (costruito a parte e inserito di volta in volta in ragione del francobollo da stampare).
 
 L'incisore creò lo stereotipo del francobollo senza l'indicazione del valore,
e poi creò - a parte - i singoli tasselli dei diversi valori facciali. 
Nella vignetta si vedono ancora le originarie quatto "X" agli angoli,
a cui poi si decise di sovrapporre un piccolo cerchio bianco.    
 


 
Prova di stampa in nero, angolo di foglio superiore destro,
senza indicazione del valore.
Ex Collezione Imperato.
 
Lo stesso stereotipo produceva quindi le tavole di tutti i valori, e ciò spiega perché un cliché difettoso lasciava la sua impronta su esemplari di diverso valore facciale, ma spiega anche come si sia prodotto l'errore spettacolare: semplicemente l'operaio inserì un tassello al contrario, per poi risistemarlo al giro di stampa successivo, una volta accortosi dell'errore.

Va annotato che dopo ogni ricomposizoone della tavola si stampava una copia su carta non filigranata per controllo, prima di eseguire la stereotipia. Il foglio col 4 crazie invertito fu con ogni probabilità intercettato durante le verifiche preliminari, e inviato al macero insieme ad alti fogli di prova.
 
Nel 1859 si scoprì che alcuni fogli destinati alla distruzione erano stati indebitamente sottratti e i francobolli usati per affrancare la corrispondenza (e passati regolamente per posta). Non vi fu alcun processo, e neppure si indagò per sapere se in precedenza vi erano state altre sottrazioni, ma sicuramente il 4 crazie invertito apparteneva a uno dei fogli incriminati.
 
L'industriale-filatelico Arthur Hind: uno dei possessori storici del 4 crazie "invertito".
 
La prima apparizione sul mercato del 4 crazie "invertito" - di cui si può avere immediato riscontro - è datata 10-11 novembre 1989, asta numero 39 della casa milanese Auction Phila.
   
 
E' l'asta della collezione di Riccardo Garrone - il presidente della squadra di calcio della Sampdoria, negli anni '80 - in cui è presente la celeberrima "lettera Rothschild" con l'esemplare isolato del 3 lire del Governo Provvisorio.
 
Al "3 lire Rothschild" è dedicata la copertina del catalogo - noblesse oblige - ma il 4 crazie con tassello capovolto appare subito dopo, in terza pagina, senza un prezzo dichiarato (a differenza del "3 lire Rothschild") e quindi collocato nell'ambito della trattativa privata.
 
L'esemplare ricompare in una vendita a prezzi netti della Filatelia Sammarinese, a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio: stavolta occupa l'intera copertina del catalogo e preserva il riserbo sul prezzo di vendita.
 

Lo rivediamo nel maggio del 2010, nella mitica vendita di Feldman della Collezione "Luxus", citato nella "Part III" col rinvio alla brochure dedicata.
 
Estratto dal catalogo d'asta della Collezione "Luxus" (Parte III).  
 






L'esemplare ritorna ancora da Feldman, nel dicembre 2013, con una stima ridotta di un terzo e una forbice valutativa più stretta; rimane ufficialmente invenduto.
 
 
Dopo di allora non se n'è più avuta notizia.

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