Intermezzo: 6 crazie, da Firenze a Bologna


Il volto della società era mutato, a trent'anni dal Congresso di Vienna. La borghesia era la classe emergente. Deteneva il potere economico e mirava a conseguire un peso politico. Sollecitava gli Stati a realizzare riforme strutturali, spostava il dibattito istituzionale su un versante concreto. Le preoccupazioni si accentravano su materie tecniche: il trasporto delle merci, i regolamenti doganali, i sistemi di misura, le norme bancarie, gli iter burocratici, i contratti pubblici e privati. Perché la forza di uno Stato non si esaurisce nella diplomazia di alto livello. L'effettiva percezione del suo potere passa per le cose della vita di ogni giorno.

La questione italiana non si esauriva pertanto nella cacciata dello straniero. C'era l'urgenza di modernizzare gli apparati burocratici, di riconfigurare gli assetti amministrativi, obiettivi da affiancare al movimento ideologico, da conseguire indipendentemente dagli sviluppi politici. E c'era la necessità - già allora - di codificare i rapporti tra gli Stati, di avere Stati legati tra loro, di creare una lega tra Stati, per favorire o rinsaldare i rapporti politici, militari, sociali e economici.

Legare gli Stati significava agire anche sul sistema postale - all'epoca un'istituzione cruciale, esecutore e garante della comunicazione a distanza - i cui meccanismi erano stati stravolti dall'entrata in scena del francobollo. L'Austria lo aveva introdotto nel giugno del 1850, in linea con una tendenza internazionale ormai consolidata. Il Lombardo Veneto aveva recepito l'innovazione in simultanea, in qualità di provincia dell'Impero.

Regno del Lombardo Veneto, 1850.

Ma gli austriaci vollero coinvolgere nella riforma del sistema postale anche a quei domini italiani a cui erano legati da vincoli dinastici. Già nel luglio del 1849 l'Austria e i Ducati di Modena e Parma stilarono una bozza di accordo per standardizzare i servizi di posta, "ritenendo utile la soppressione di quegli impedimenti che nascono dalle tasse vigenti per le corrispondenze e dal diverso metodo che regola gli Uffici postali dei tre Governi". Le autorità modenesi mostrarono tuttavia parecchie incertezze in fase di finalizzazione, e il progetto sembrò arenarsi.

L'Impero trovò un interlocutore più risoluto nel Granducato di Toscana. Il 5 novembre 1850 l'Austria, il Lombardo Veneto e la Toscana ratificarono la Convenzione Austro-Italica, un trattato per la creazione di un territorio postale compatto, con tariffe e regole uniformi, a iniziare dall'aprile del 1851. Solo allora seguirono le adesioni del Ducato di Parma (27 settembre 1851), del Ducato di Modena (29 ottobre 1851) e infine dello Stato Pontificio. Il francobollo era lo "standard internazionale" e tutti gli Stati della Lega Austro-Italica furono così obbligati a introdurlo.

Granducato di Toscana, 1851.



Ducato di Parma, 1852.



Ducato di Modena, 1852.



Stato Pontificio, 1852.

La Posta come strumento per invogliare a esprimersi, per instaurare legami che altrimenti non sorgerebbero e rafforzarne altri che resterebbero deboli, una via per collegare persone e culture, per avvicinarle, un modo per far sentire tutti come parte di una comunità, per stemperare le differenze e valorizzare le somiglianze.


La Convenzione calibrava il tariffario sulle "distanze" (la lunghezza del percorso) e sui cosiddetti "porti" (gli scaglioni di peso); le "stampe" godevano di un trattamento di favore; il diritto di "raccomandata" pagava invece un costo aggiuntivo.


Nel Granducato di Toscana - in particolare - il costo base era scalettato su tre livelli - da 2, 4 e 6 crazie - per il trasporto della cosiddetta "lettera semplice".


Bologna apparteneva all'epoca allo Stato Pontificio e, vista da Firenze, rientrava nel raggio della "seconda distanza". Una "lettera semplice" da Firenze a Bologna pagava quindi 4 crazie, se la si voleva far arrivare franca a destino, senza costi per il destinatario.  

Lettera semplice da Firenze a Bologna, affrancata per 4 crazie.
Il timbro "P.D." abbreviava la dizione "Porto a Destino",
e attestava il pagamento integrale della tariffa da parte del mittente
(specularmente: il diritto del destinatario a ricevere la lettera senza costi aggiuntivi).



Le varie fogge del timbro "P.D." in uso presso i diversi uffici postali.
Fonte: Le tavole degli annulli di Toscana di Emanuele Sogno.



Lettera semplice da Firenze a Bologna, affrancata per 4 crazie.
Oltre al timbro "P.D." compare il timbro "AFFRANCATA".
Questo secondo timbro ribadiva l'onere assolto per intero già dal mittente,
perciò l'esenzione del destinatario da qualsiasi costo per il recapito della lettera.






Lettera semplice da Firenze a Bologna, affrancata per 4 crazie.
Il francobollo è annullato con l'impronta "a rombi",
un timbro con una genesi di particolare interesse filatelico,
per il richiamo alle convenzioni del linguaggio postale
e alle esigenze pratiche per la tutela del servizio.






Le impronte "a ragno": 
le antenate dell'annullo "a rombi".



Un'impronta cosiddetta "a ragno" era in uso nel periodo pre-filatelico
per rettificare l'errata apposizione di un timbro sulla missiva,
 vale a dire la presenza di un timbro non corrispondente allo stato amministrativo della lettera.
(un timbro "a ragno" sopra il timbro "P.D." - a esempio - indicava l'esigenza di applicare una tassa,
laddove il semplice "P.D." avrebbe lasciato intendere esattamente il contrario).
I timbri "a ragno" diventarono "annullatori" all'inizio del periodo filatelico,
come si vede in questa lettera, da Firenze a Massa Carrara, affrancata per 6 crazie.
Ciò che in origine serviva a segnalare un errore, ora veniva usato per invalidare il francobollo,
ma presto ci si accorse dell'inadeguatezza del "ragno" rispetto a questa sua nuova finalità.
Il timbro "a ragno" produceva un annullo estremamente "leggero",
quando l'obiettivo degli annulli era proprio l'opposto:
  colpire il francobollo con "pesantezza", per impedirne un riutilizzo fraudolento.
I timbri "a ragno" furono così spianati e modificati in "rombi",
impronte invasive, impossibili da rimuovere,
e normalmente capaci di oscurare l'intero francobollo.





Uno straordinario 2 soldi del Granducato di Toscana:
magnificamente marginato, di freschezza insuperabile,
con uno sbalorditivo annullo "a rombi".
L'impronta passa sul Marzocco,
ma è così nitida, leggera e ben piazzata,
da lasciare il Leone perfettamente visibile.
La corona, il volto, la criniera, lo scudo gigliato,
il tassello del valore, e in particolare la cifra "2",
sono tutti particolari apprezzabili senza sforzo.  
Ex Collezione "Il Marzocco" 
- asta Italphil n. 187 del 22 giugno 2000 -
aggiudicato a oltre il 50% della quotazione del Catalogo Sassone,
prima inabissarsi nuovamente, come accade a tutti i pezzi di qualità superiore.  
Sicuramente uno tra gli esemplari più suggestivi di questo raro francobollo.



Lettera semplice da Firenze a Bologna, affrancata per 3 crazie.
L'affrancatura non copriva interamente il costo del trasporto
e sulla missiva gravò pertanto una tassa di 1 crazia
(tratto orizzontale a penna, a indicare la cifra "1").
Da notare la coincidenza del mittente con la prima lettera:
"Luigi & Niccola Giacchi", come testimonia il timbro privato.

Questa era la normalità, la casistica ordinaria, la situazione "a regime", ma i rapporti postali tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio rimasero immersi in un campo di tensione sino a tutto il mese di giugno del 1853. Il Granducato non volle al principio accordare allo Stato Pontificio la spedizione nei propri territori secondo le tariffe della Lega Austro-Italica, per l'insorgere di contrasti sulle cosiddette "lettere in transito" (lettere dirette in altri Stati, che transitavano per i propri domini). Per coerenza, sino alla risoluzione della controversia, la Toscana continuò ad assoggettare la propria corrispondenza verso lo Stato Pontificio alla Convenzione del 1841, che contemplava la possibilità di un'affrancatura integrale - sino a 6 denari di peso, indipendentemente dalla distanza - dietro il pagamento di una tariffa di 6 crazie.

La Storia Postale offre così un'inedita testimonianza delle tensioni tra due Stati sovrani, con quelle affrancature da 6 crazie, da Firenze e Bologna, che possiedono un raffinato pregio filatelico, oltre a un autonomo interesse storico.

Lettera da Firenze a Bologna del 12 maggio 1853, affrancata per 6 crazie.
Il francobollo è colpito anche dal timbro "AFFRANCATA",
probabilmente per enfatizzare l'esenzione della missiva da ogni aggravio.
Di là del pregio storico-postale dell'affrancatura (un 6 crazie da Firenze a Bologna),
della qualità del francobollo (un "carta azzurra" di eccezionale intensità, ultra-marginato),
e della complessiva bellezza della lettera (caratterizzata da un'inusuale pulizia),
mi piace enfatizzare l'approccio old-style con cui il pezzo è venuto fuori,
quelle care e belle vecchie maniere, romanticamente scolpite da Nino Aquila.


Edit (4 giugno 2020). Ho avuto modo di visionare un altro documento filatelico di notevole interesse, anch'esso originato dalla controversia postale tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. Lo riproduco di seguito - unitamente a uno stralcio del certificato peritale - e ringrazio il collezionista che me lo ha fornito.



Edit (12 giugno 2020). Inserisco l'introduzione di un articolo di Massimo Moritsch sui rapporti postali tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio ("Vaccari Magazine" numero 59/2018, liberamente fruibile on-line). Il contributo aggiunge poco al tema d'interesse (in particolare non chiarisce la natura della controversia sulle lettere in transito), ma è utile per documentare le affermazioni contenute nel post.


Edit (15 giugno 2020). Ringrazio un raffinato collezionista di "Toscana" per avermi segnalato un riferimento dell'epoca, da cui stralcio i passaggi di interesse ai fini del post. Mi riservo di integrare questo aggiornamento per dare una chiave intepretativa dell'accordo tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. Già dalla semplice lettura degli stralci, però, si intuiscono molte cose. Il mio ringraziamento è tanto più sentito perché la segnalazione permette di completare il contesto storico-postale in cui è collocata la lettera da Firenze a Bologna affrancata per 6 crazie, che rimane un piccolo gioiello filatelico per intenditori.   







Edit (18 giugno 2020). Inserisco le immagini dei timbri che compaiono (entrambi come annullatori) nella lettera affrancata per 6 crazie da Firenze a Bologna.


Commenti

  1. Riassumo - a parole mie - ciò che ho capito grazie al supporto di valenti, benevoli e pazienti collezionisti, che hanno avuto la gentilezza di contattarmi in privato.

    Una "Convenzione" bilaterale del 1841 regolava i rapporti postali tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. La Lega Postale Austro-Italica del 1851-52 cambiò logica e struttura del costo del servizio postale (uno degli articoli segnalati parla emblematicamente della "prima 'flat rate' postale in Italia"). E' inevitabile avere degli sfridi, quando una normativa viene rivoluzionata. Ci sono sempre dei "residui da gestire", aspetti di dettaglio che restano sospesi tra il vecchio regime e il nuovo, di fatto non regolamentati, rispetto ai quali rimane incerto il comportamento da tenere. La "lettere in transito" erano - appunto - uno sfrido, "un residuo da gestire". E' sufficiente un rapido sguardo al "quadro C" per realizzare quanto fosse intricata la questione, di quanti casi e sotto-casi potevano presentarsi, e di quanto articolato doveva perciò essere il tariffario necessario a governare questa complessa realtà (non l'ho riportato nel post proprio perché molto "pesante"). Non sorprende, dunque, che la controversia sia andata avanti sino alla metà del 1853.

    Gli oggetti postali come la lettera da 6 crazie da Firenze a Bologna, o l'altra da 3 crazie (tassata) da Firenze a Roma, rendono testimonianza di questa (non breve) fase di transizione dal vecchio al nuovo, dalla Convenzione del 1841 alla Lega del 1851-52. Rappresentano entrambe - nel mio giudizio, per la mia sensibilità - un esempio lampante di ciò che viene affermato in un celeberrimo "manueletto popolare di numismatica": non vi è piccola raccolta che non contenga qualche pezzo desiderato dalle più insigni.

    Un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno costruttivamente contribuito alla stesura di questo post, con immagini, conoscenze e riferimenti bibliografici.

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    1. Sempre più interessanti, questi post. Nelle sere dei mesi di clausura per coronavirus, ho scoperto questo blog e devo diro che ne sono stato veramente soddisfatto, sia da appassionato di storia, sia da filatelista (purtroppo finora a tempo troppo parziale, ma prometto di recuperare). Davvero, i "tesori di carta" possono essere delle fonti straordinarie di cultura per quel che sono (splendide stampe d'epoca, degne del parere di critici d'arte come Federico Zeri) e per quello che richiamano (la Storia e soprattutto le tante storie che fanno la Storia). Chi non capisce il collezionismo filatelico non sa cosa si perde. E non parlo di valori venali.

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    2. Mi fa ovviamente piacere l'apprezzamento, ma vorrei sfruttarlo più che altro per riaffermare la filosofia di fondo, il principio ispiratore di questo Blog (visto che il tema principale del post può ormai ritenersi esaurito).

      Viviamo un periodo in cui prevale il pessimismo, in cui ci si interroga inquieti sul futuro della filatelia, e si arriva persino a chiedersi se la filatelia abbia ancora un futuro, o se non sia piuttosto giunta al capolinea. Elementi di contesto - vendite parossistiche di materiale scadente e mancanza di figure di riferimento come Giulio Bolaffi e Renato Mondolfo - alimentano un sentimento nichilista verso quel che fu un gioco straordinario, una splendida passione, una magnifica ossessione. La più grande ambizione, oggi, è distinguere un falso da un originale, realizzare una "pescata", uscire vivi dalla melma delle piattaforme virtuali di vendita.

      Che fare? Realizzare un blog, a esempio. Perché? Per riaffermare il valore culturale della filatelia classica nel modo più naturale: col richiamo alla Storia, agli eventi del Risorgimento, ai fatti e ai personaggi del periodo 1815-1870, in cui "l'Italia s'è desta".

      Perché, sì, potrà un giorno scemare l'interesse per le tariffe postali, per gli annulli, per le sfumature di colore, per i difetti di cliché, per le tecniche di stampa, e per tutti quegli specialismi, spesso esasperati, che per svariati decenni hanno formato l'architrave della filatelia. Ma la passione per la Grande Storia non potrà mai svanire, se la Grande Storia la si sa raccontare in modo accattivante e coinvolgente, se lo spettatore viene strappato al suo tempo per essere catapultato secoli indietro, se la narrazione odierna fa vibrare noi, ora, come gli eventi dell'epoca facevano vibrare i protagonisti, allora. Il successo non voluto dell'influencer a sua insaputa, Professor Alessandro Barbero, ne è la prova più evidente.

      Questo Blog - nei limiti delle capacità del suo autore - vuole valorizzare il fascino del francobollo antico e di tutto ciò che vi gira intorno, ribadirne il ruolo di testimone privilegiato di un'epoca - il Risorgimento - che non potrà mai passare di moda. Una volta entranti nel mondo del collezionismo classico per la porta principale - la Grande Storia - ci sarà tempo e modo, per chi lo desidera, di riscoprire il piacere per i tecnicismi - per i tipi di carta, i timbri, le tariffe, le tinte e le varianti - che formeranno però un "di più", un'aggiunta, un satellite della filatelia, per quanto interessante, e non più uno zenit.

      Questo tipo di filatelia - la filatelia classica fondata sulla Grande Storia - è per sua natura resistente a mode, speculazioni e infatuazioni, perché può vantare la più solida e inalienabile delle basi culturali. Morirà solo il giorno in cui la cultura media dell'intera umanità dovesse regredire al livello delle scimmie, ma quel giorno, se mai arriverà, avremo evidentemente altri e ben più gravi problemi, che non occuparci dei nostri pur tanto amati francobolli.

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    3. Sono totalmente d'accordo. E posso anche affermare che vedo rinascere un nuovo interesse da parti dei giovani - non molti, ma ci sono - nei confronti della storia e delle discipline che le girano attorno. E' il fascino del bello che non muore, di cui i nostri amati francobolli sono una, e non l'ultima, espressione.

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