TOSCANA - Collezione "Marzocco"



 
"Il francobollo fin dall'inizio non è stato soltanto un mezzo per affrancare una lettera, ma la dichiarazione del potere di uno Stato. E' una dichiarazione di proprietà: qui comando io".

Il linguaggio smagliante di Franco Filanci ci mostra il francobollo nella sua veste istituzionale: un oggetto espressivo di un potere statuale, da collocare in una realtà storicamente determinata, per coglierne appieno i significati di cui è portatore.

Qui comando io - dice il francobollo - e andava da sé che la sua vignetta riportasse i simboli del comando di cui era espressione.

E la simbologia dell'autorità ottocentesca era stereotipata: da un lato l'effigie del Re, la personificazione del potere in una figura precisa, sebbene pro-tempore, e dall'altro gli stemmi della dinastia, per dare risalto alla casata di appartenenza del il Sovrano e che al Sovrano sarebbe sopravvissuta.
 
Il Sovrano compare sui francobolli del Regno di Sardegna (col profilo di Vittorio Emanuele rivolto a destra, in un campo ovale) e del Regno di Sicilia (col busto marmoreo di Ferdinando II, rivolto a sinistra); nella seconda emissione del Regno del Lombardo Veneto (con effetti da moneta romana, nella cornice circolare che accoglie l'effigie dell'Imperatore) e in quella delle Province Napoletane; e fu anche la prima ipotesi valutata per i francobolli del Regno di Napoli, con i "saggi Thomas" (poi non adottati).

Gli stemmi della dinastia li troviamo nei francobolli dei Ducati di Modena e Parma, dello Stato Pontificio e nelle altre emissioni del Lombardo Veneto (e poi nei valori dei Governi Provvisori di Modena e Toscana).
 
I francobolli del Granducato di Toscana furono un sorprendente tertium genus, con cui si oltrepassavano i segni del potere per evocare i luoghi in cui quel potere si esercitava: dal francobollo scomparve ogni riferimento politico, per lasciar spazio alla cultura e alle tradizioni di Firenze, al suo simbolo storico, il Marzocco, una figura mitica sganciata da qualsiasi contingenza politica.
 

Il Granducato di Toscana nasce il 27 agosto 1569 con la bolla papale di Pio V,
 dopo che la dinastia dei Medici - già a capo della Repubblica di Firenze -
conquista la Repubblica di Siena nella fase finale delle guerre d'Italia del XVI secolo.
Cosimo I, Francesco I, Ferdinando I, Cosimo II, Ferdinando II e Cosimo III
saranno i Granduchi di Toscana, dal 1569 al 1723. 
Gian Gastone - secondogenito di Cosimo III - non ha la tempra dei predecessori,
e per più d'una ragione non riesce a tenerne il passo, a governare come dovrebbe.
Dal 1731 Vienna inizierà così a interessarsi ai territori della Toscana,
e Gian Gastone si ritroverà in mezzo a giochi di potere che non saprà contrastare.
Nel 1736 il Duca di Lorena Francesco III Stefano sposa Maria Teresa d'Austria,
- unica e contestata erede dei variegati domini asburgici sparsi per l'Europa -
e la Francia paventa il passaggio della Lorena - regione francofona - agli Asburgo.
Si affretta perciò a riconoscere l'eredità spettante a Maria Teresa,
ma pretende la temporanea cessione del Ducato di Lorena a Stanislao Leszczyński 
- antico re di Polonia, suocero di Luigi XV -  per poi acquisirlo alla morte del sovrano polacco;
e propone di compensare i Lorena proprio col Granducato di Toscana,
con l'impegno però a non annetterlo ai domini asburgici,
ma di destinarlo a dei figli minori dell'unione.
Il ramo cadetto della casata degli Asburgo-Lorena 
reggerà il Granducato fino al 27 aprile del 1859,
il giorno d'inizio della Seconda Guerra d'Indipendenza.
 
Sua Altezza Imperiale e Reale - Granduca Leopoldo II - "approvando che la fabbricazione dei francobolli [...] ha altresì ordinato che portino per impronta il 'Leone di Etruria coronato'. Quanto dovevo a Vostra Signoria Illustrissima a risposta della di Lei relativa partecipazione in data del 18 cadente".

La lettera del 21 dicembre 1850 - del Soprintendente Generale delle Poste, Giuseppe Pistoj, al Ministro delle Finanze Baldasseroni - chiudeva l'iter istituzionale per la produzione dei francobolli.
 
I locali della Soprintendenza Generale delle Poste avrebbero ospitato i processi di stampa, perciò andavano "rese libere le stanze che fino ad ora avevo potuto porre a disposizione di codesta Direzione principale" - si vide scrivere il 23 dicembre il Direttore dell'Ufficio Postale di Firenze - tanto più che "è già possibile disporre la scaffalatura che da una stanza dell'archivio alto, nella quale sarà collocato il torchio, deve essere rimessa ora nella stanza da Lei lasciata".
 
 La tettoia dei pisani, a Firenze.
Il 28 luglio 1364, dopo la vittoriosa Battaglia di Cascina,
i fiorentini imprigionarono circa duemila cittadini della Repubblica di Pisa,
e li condussero a Firenze per impiegarli come manodopera.
Molti di loro lavorarono alla realizzazione di una tettoia
con cui uniformare coprire il lato ovest della Piazza dei Priori,
che prese di conseguenza il nome di "tettoia dei pisani". 
Dal 1783, dietro la tettoia, ebbero sede gli uffici della Posta granducale,
provenienti dal Palazzo di Baldaccio d'Anghiari in via dell'Anguillara,
e poi trasferiti nel Piazzale degli Uffizi, dopo la demolizione della tettoia.
  
L'incarico di predisporre il conio dei francobolli "non poteva convenientemente affidarsi ad altri che al Signor Niderost incisore della Regia Zecca" - si legge nella comunicazione del 2 gennaio del 1851 al Ministro delle Finanze - ma l'assegnazione del compito conobbe i suoi travagli.
 
Il Niderost era già impegnato in "un lavoro di importanza datogli da Sua Eccellenza il Ministro della Guerra" e "non potrebbe senza il beneplacito del medesimo interromperlo"; e "conoscendo quanto sia urgente aver presto pronto il conio" si sollecitava il Ministro affinché "il Signor Niderost riceva dall'Eccellenza Vostra l'autorizzazione di interrompere il citato lavoro per incominciare e finire con la dovuta speditezza quello che deve servire per questo Dipartimento, che oltre a essere anch'essi di molta importanza sono di urgenza massima".
 
La "dovuta speditezza", la "molta importanza", la "urgenza massima" si giustificavano con la rilevanza istituzionale dell'iniziativa: i francobolli servivano ad attuare la "Convenzione" postale tra l'Impero d'Austria e il Granducato di Toscana, che avrebbe poi originato la Lega Postale Austro-Italica, col coinvolgimento dello Stato Pontificio e dei Ducati di Modena e Parma.
 
 
La "Convenzione" sarebbe dovuta entrare in vigore il 6 marzo 1851, ma quando la Soprintendenza si formò "l'idea esatta dell’ampiezza delle varie disposizioni che occorrono perché tale attuazione possa essere convenientemente fatta" - come scriveva il 30 gennaio al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro delle Finanze - realizzò l'impossibilità materiale di rispettare la scadenza, visto lo stato dell'arte del processo di produzione dei francobolli.
 
"Fu eseguito il disegno del francobollo, ma non è ancora fatta la matrice occorrente. La forma per la carta è già stata modificata, ma le risme che ci occorrono per la stampa non potrebbero essere pronte prima della metà di febbraio. E' stata disposta la stanza per uso della stamperia, ma non è ancora comprato il torchio e le altre macchine e utensili necessari. E' stata preparata anche la stanza per l'Ufizio dei francobolli, ma mancano i 2 impiegati che devono occuparla.
 
Bisogna preparare e pubblicare le nuove tariffe e regolamenti postali, e occorre preparare le minime istruzioni occorrenti per gli Ufizi postali.

Il bisogno di preparare e dare per tempo tutte le suddette disposizioni e molte altre, consegue la necessità di chiedere al Governo Austriaco di rimettere almeno al primo di aprile l'attuazione della detta Convenzione
".
 
L'Austria accordò il rinvio, ma anche la scadenza di inizio aprile rimaneva sfidante; col suo approssimarsi gli operai lavorarono persino nei giorni festivi, su concessione dell'Arcivescovo di Firenze, purché "ciò si faccia udita prima la S. Messa con ogni ritiratezza, senza verun disprezzo, e rimossa alcuna occasione di scandalo".
 
La cartiera Cini di San Marcello Pistoiese fornì la carta filigranata: dodici corone disposte su quattro righe di tre corone, inquadrate da quattro linee verticali e cinque orizzontali, con ulteriori quattro linee attorno a ogni linea orizzontale per non lasciare troppi spazi sprovvisti di filigrana; nel 1857 si sarebbe proceduto a un cambio di filigrana, un tappeto di 78 linee ondulate disposte verticalmente, a riempiere l'intero foglio, attraversate diagonalmente dalla scritta in maiuscoletto "II E RR POSTE TOSCANE" con caratteri a doppio filo.
 
Le filigrande di francobolli granducali, nelle tirature del 1851 (corone) e del 1857 (linee ondulate).
 
Il 19 marzo 1851 le Direzioni Postali si videro rifornire di tutti e cinque i francobolli previsti dalla "Convenzione" (1 soldo e 2 soldi, 2, 4 e 6 crazie) che distribuirono a loro volta agli uffici postali del Granducato; da lì a poco - nel mese di luglio - sarebbero arrivati i valori a 1 crazia e 9 crazie; e nel 1852 la serie si sarebbe completata con i due valori agli estremi della scala, il francobollo da 1 quattrino (il più basso) e il 60 crazie (il più alto).
  
Costumi postali toscani.
 
Lo spettacolo della posta toscana ottocentesca poteva iniziare.


Filigrana a corone


Quattrini, Soldi, Crazie


Oggi parliamo di quattrini e soldi in modo interscambiabile, li usiamo come sinonimi, senza troppe sottigliezze lessicali, per evocare una generica quantità di ricchezza monetaria.
 
Ma nella Toscana granducale i quattrini e i soldi erano effettivamente monete correnti di piccolo valore, e il loro trovarsi  nelle tasche del popolo ha permesso di conservarne memoria, di tramandare le due espressioni sino ai giorni nostri.
 
Il quattrino - invero diffuso sull'intera penisola, per la comodità nei conteggi - doveva il suo nome all'essere un multiplo di quattro del denaro - altra espressione d'uso corrente - allo stesso modo per cui si sarebbe chiamato "terzino" se fosse stato commisurato al soldo, secondo l'equivalenza vigente nella Toscana di Granduca Leopoldo II.  
 
Diversa è la storia della crazia - dal tedesco kreuzer, derivazione di kreuz, croce - la moneta per eccellenza della filatelia di Toscana, ma sconosciuta ai più.

Fu coniata da Cosimo I dei Medici, nel XVI secolo, col valore iniziale di 5 quattrini, e subito percepita come espressione generale di un valore dozzinale ("non valere una crazia", per indicare un generico valore scarso o nullo). Era diventata una moneta di puro conto, ai tempi del Granduca Leopoldo II, a cui non corrispondeva più alcuna realtà fisica, e ciò può spiegare la scomparsa del termine dal gergo popolare, una volta realizzato il cambio di monetazione con la lira italiana.
 
Quattrini, soldi, crazie appartenevano all'articolato sistema monetario toscano duodecimale - nato con Carlo Magno e preservato sino agli Asburgo-Lorena - ed esaurivano la monetazione dei francobolli granducali.

                                                
Quattrini, Soldi e Crazie: le tre monete dei francobolli del Granducato di Toscana,
su francobolli che mostrano tre classici annulli postali ("mostaccioli", "P.D." e "sbarre").   

 

La carta azzurra

L'artigianato di produzione dei francobolli granducali.
 
Due torcolieri: erano loro gli operai dedicati alla stampa dei francobolli granducali.
 
Uno inchiostrava la tavola di stampa, con un rullo: lo posava sulla piastra -  una lastra di metallo o una vecchia pietra litografica - e con una punta della spatola toglieva una piccola quantità d'inchiostro dal contenitore; ne stendeva sul rullo una striscia di circa due centimetri per tutta la lunghezza, e lo passava più volte sulla piastra, impugnandolo per le due manopole, per realizzare un'inchiostrazione uniforme.
 
L'altro torcoliere posava il foglio di stampa sul timpano, abbassava la fraschetta che teneva fisso il foglio, e poi il timpano sulla tavola.
 
Il primo torcoliere azionava quindi il torchio, e a operazione conclusa alzava il timpano e la fraschetta, e toglieva il foglio stampato.
 
I fogli venivano infine stesi ad asciugare, o posati uno sull'altro intercalando dei fogli provenienti da scarti di stampa.
 
La vulgata sostiene che i fogli pronti per la stampa venissero immersi in soluzioni acquose di colore azzurro - forse come misura di anti-contraffazione o forse come semplice segno di eleganza - ma una bagnatura completa avrebbe ondulato la carta, impedendone la stampa. Con ogni probabilità la coloratura avveniva già al momento della fabbricazione, con l'aggiunta del colorante nell'impasto per produrre la carta.
 
Quale ne fosse l'origine - immersione in acqua o amalgama nell'impasto - il procedimento rimaneva artigianale, e creò nel tempo una molteplicità di sfondi, che spaziano da toni decisi ad altri sfumati, per poi diventare grigiastri quando l'operazione fu sospesa: azzurro, azzurro intenso, azzurro chiaro, grigio è l'esatta progressione temporale del colore delle carte dei francobollo granducali.
 
La classica affrancatura di 2 crazie per la corrispondenza interna al Granducato
- da Firenze a Borgo San Sepolcro, del 2 gennaio 1853 -
con un esemplare su carta azzurra di eccezionale intensità.
 


Lettera da Firenze a Bologna del 12 maggio 1853,
affrancata ancora per 6 crazie - fuori Convenzione -
con un esemplare su carta azzurra di eccezionale intensità.

 

Mostaccioli

 
I classici timbri postali toscani - "doppi cerchi", "creste", "graticole", "P.D.", ... - diventarono timbri annullatori a seguito dell'introduzione dei francobolli, per invalidarli e impedirne il riuso fraudolento.
 
Non tutti i timbri assolvevano però a dovere il nuovo compito, come s'intuisce da uno stralcio della lettera inviata il 2 gennaio 1852 dalla Soprintendenza delle Poste alla Direzione di Siena. 
 
"Poiché il bollo a graticola adottato per l'annullamento dei francobolli nelle direzioni non ha fatto buona riuscita, V.S. Ill.ma ordinerà che sia spianato da un incisore e ridotto a mostaccioli, conforme è stato fatto per quello della Direzione di Firenze".
 
Il bollo "a graticola" era formato da un fine riquadro rettangolare, con angoli smussati, dal cui centro si diramavano delle linee sottili verso gli angoli e il centro dei lati (cosicché veniva restituita l'immagine di un'ipotetica grata).
 
Il non aver "fatto una buona riuscita" si riferiva evidentemente alla strutturale leggerezza dell'impronta, che non permetteva di colpire il francobollo con la desiderata definitività.
 
Da qui l'ordine di spianare il timbro e ridurlo "a mostaccioli" - col richiamo alla forma di un tipico biscotto - per assicurare un annullo che rispondesse a pieno alla sua funzione istituzionale.   
 
 
L'annullo "a mostaccioli"
sul francobollo da 2 soldi.

 

Sbarre


Aste in ferro o in legno, che attraversano le strade e inibiscono il cammino, o che bloccano porte e finestre, e più in generale un sistema per chiudere i passaggi.
 
Ma anche - in filatelia - timbri postali a tratti neri o colorati, sottili o spessi, collocati in orizzontale, verticale o obliquo, composti da 3, 4, 5, 6, 7, 9 o 11 elementi, inizialmente concepiti per la cancellazione di apposizioni e poi diventati annullatori per impedirne il riutilizzo dei francobolli.
 
Le "sbarre" furono in uso negli uffici di Arezzo, Camaiore, Empoli, Firenze, Follonica, Fucecchio, Grosseto, Livorno, Lucca, Marciana Marina, Pisa, Pistoia, Pontedera, S. Sofia, Scarperia, Siena, Viareggio.
 



               
 
 
 
 

 

Porto a Destino

Corrieri del Governo Granducale, negli anni Quaranta dell'Ottocento:
un ordinario, accompagnato da due dragoni, partiva da Firenze per Roma
alle cinque della sera del martedì, giovedì e sabato;
la carrozza, oltre al corriere postale, poteva portare quattro passeggeri,
con un bagaglio gratis fino a 40 kg di peso a testa; 
il viaggio andava prenotato presso la Direzione delle Poste,
in Piazza del Granduca (l’odierna Piazza Pitti).

Nella Toscana delle crazie, dei soldi e dei quattrini, la spedizione di una lettera seguiva storicamente più d'un rituale: vi era il porto pagato, con il costo del servizio coperto dal mittente al momento della spedizione (indicato con un frego diagonale a penna sul frontespizio, o con l’indicazione "franca", o con un segno sul retro dell'importo pagato); si aveva il porto dovuto - il più diffuso - quando il pagamento della tariffa era segnato sul fronte della lettera e lasciato a carico del destinatario (che aveva però la facoltà di rifiutare il ritiro della missiva e quindi di non pagare); e poi la franchigia, prevista per le amministrazioni pubbliche (che per goderne dovevano apporre il bollo che ne segnalava il diritto).
 
Se la corrispondenza avveniva con uno Stato non convenzionato postalmente, o lo attraversava, il costo della missiva era normalmente pagato dal mittente sino al confine, e il destinatario provvedeva poi a saldare l'integrazione di costo per la consegna dal confine al proprio domicilio.

 
 
Quale che fosse la modalità seguita, il compito del servizio postale rimaneva invariabilmente lo stesso: consegnare la lettera, portarla nel luogo di destinazione, "a destino" come si diceva all'epoca, per indicare l'indirizzo del destinatario.
 
L'annullo "P.D." - "Porto [pagato fino a] Destino", "Port Debourse" - era utilizzato già prima dell'introduzione dei francobolli, per le corrispondenze dirette all'estero sgravate di qualsiasi onere per il destinatario (già pagate per intero dal mittente all'atto della spedizione).

Divenne poi un annullatore dei francobolli, utilizzato in una varietà di combinazioni con altri timbri, alcune probabilmente non regolamentate.
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Creste


I francobolli nascono come oggetti per il pratico uso, con una funzione precisa: assolvere il pagamento anticipato per la spedizione della corrispondenza.
 
Qualunque variazione nella loro produzione aveva quindi una motivazione pratica, funzionale: il 2 soldi andò fuori corso per la scarsa frequenza del suo uso isolato e perché divenuto ridondante per classica tariffa da 3 crazie dopo l'introduzione del francobollo da 1 crazia; il cambio di filigrana - dalle corone alle linee ondulate - fu probabilmente dettato dalla volontà di inibire la pur remota possibilità di esemplari sprovvisti del basilare dispositivo anti-falsificazione; il 60 crazie non fu ristampato su carta filigranata a linee ondulate perché se ne avevano già scorte più che abbondanti dalla produzione precedente; il fatto stesso che la vignetta dei francobolli sia rimasta invariata - per tutti i nove anni di validità postale dell'emissione -  è emblematico della percezione meramente funzionale che si aveva di questi oggetti.
 
E la stessa logica la si ritrova nei timbri postali, che assolvevano scopi precisi, e venivano rinnovati solo in risposta a nuove esigenze.
 
Negli anni '40 dell'800 il volume di traffico postale aumentò vertiginosamente, sulla spinta di un progresso economico e sociale innescato - tra l'altro - dai nuovi mezzi di trasporto.
 
Biglietto di invito all'inaugurazione della strada ferrata Leopolda,
la prima ferrovia toscana, datata 13 marzo 1844.
 
Le Poste granducali fronteggiarono le nuove esigenze di raccolta e smistamento della corrispondenza con un notevole incremento di organico, ma anche attraverso una serie di provvedimenti amministrativi che cambiarono forma e sostanza delle timbrature.
 
Il 1844 segna uno snodo fondamentale di questa trasformazione, col passaggio dai bolli lineari (con il solo nome della località) ai bolli a doppio cerchio (con il nome del luogo e il datario interno) per tracciare con maggior precisione i tempi e i percorsi della corrispondenza.
 
"Per sempre più tutelare e chiaramente constatare il regolare corso e recapito, senza ritardo alcuno, delle corrispondenze alla postale amministrazione affidate" - si legge in una circolare a firma del Sovraintendente Pistoj, indirizzata alla Direzione postali - "è venuta questa Gen. Sovrintendenza nella determinazione di adottare il sistema che ogni lettera riceva in partenza, in unione al consueto bollo del rispettivo luogo ed uffizio di impostazione, quello pure del giorno della partenza stessa, ed in arrivo, in aggiunta all'attuale bollo del giorno, quello dell'ufficio ove giunge e dal quale è distribuita. Nel rimettere a tal fine a vs. ill.ma gli occorrenti bolli, sono a prevenirla di ordinare il costante in eccezionale uso a datare dal 1° agosto prossimo".
 
Dal primo agosto, dunque, scattò l'obbligo di apporre anche il datario sul fronte di ogni lettera in partenza, e i bolli utili allo scopo - i doppi cerchi - furono forniti contestualmente alle circolari.
 
Nella fase di transizione - sapendo che i doppi cerchi sarebbero tardati ad arrivare nelle piccole distribuzioni - l'amministrazione decretò un secondo timbro circolare, di forma diversa per ciascuna delle Direzioni postali (Arezzo, Firenze, Livorno, Pisa e Siena, a cui si sarebbe aggiunta Lucca, nel 1847, dopo l'annessione al Granducato).
 
Era il "tondo a cresta", che si affiancò al "doppio cerchio" secondo le indicazioni della circolare del 14 dicembre 1844 (con oggetto "Nuovo bollo da apporsi alle lettere delle buche, ed a quelle dei fidati e sistema da osservarsi per l'applicazione dei bolli").

"Occorrendo talvolta negli uffizi postali vuotare le buche delle lettere anche nelle ore in cui può trovarsi assente dall'uffizio il Direttore, o chi sotto la di lui responsabilità, custodisce i bolli, questa generale Sopraintendenza, onde non rimanga fino al ritorno del ministro suddetto impedita la scelta e rispettiva tassazione delle lettere che fossero raccolte nelle buche, è venuta nella determinazione di prescrivere che sia fatto e spedito a ciascuna delle primarie Direzioni un altro bollo con l'indicazione del luogo, giorno, mese ed anno di forma però diversa da quello ordinario, col quale nuovo bollo debbano marcarsi le lettere tutte per l'interno del Granducato trovate in dette buche. Il nuovo bollo [...] dovrà essere apposto esclusivamente alle lettere che verranno gettate nelle buche ed a quelle da distribuirsi in codesto ufficio, dirette ai godenti fido o esenzione da tassa, ancorché esse provengano dall'estero [...]. Questa distinzione di bolli tra le lettere che formano debito o no ad un uffizio [...] viene ordinata col solo fine di rendere agevole il modo di sorprendere le frodi che potessero commettersi da qualche subalterno impiegato od inserviente a danno del R. Erario".
 
La casistica era variegata, complicata da tenere a mente, cosicché la Sovraintendenza fornì uno specchietto riepilogativo, il cui gergo d'epoca è tutta una poesia.



 
Rimane ancora da dimostrare il mantenimento del sistema a seguito dell'introduzione del francobollo - anche se l'eventualità è la più probabile - ma di sicuro le "creste" diventarono timbri annullatori, come testimoniano gli esemplari granducali che le portano addosso.
 









 
 
 

Il francobollo dei banchieri


Il banco ricoperto da un panno verde, ingombro di monete e sacchetti di denaro, con dietro degli uomini dalle mani adunche, che inforcano gli occhiali per segnare debiti e crediti nei loro libri contabili: sono questi gli elementi consueti nella rappresentazione dei professionisti del denaro, nell'arte europea del tardo Medioevo, con cui se ne restituisce un'immagine volutamente fosca, com'è spesso - ancor oggi - la reputazione dei banchieri.
 
Serve a poco scandalizzarsi, però. Perché non appena in una società s'introduce la "moneta" - uno strumento che funzioni da unità di misura dei valori, intermediario degli scambi e riserva di ricchezza - si configura pressoché in automatico un principio di attività bancaria, con le sue logiche e i suoi modi di operare.
 
I primi banchieri erano naturalmente i mercanti più facoltosi, già in possesso delle basi fondamentali per amministrare i flussi di denaro: contatto col settore monetario dell'economia, conoscenze tecnico-contabili, rapporti personali nei vari centri commerciali, informazioni sull'attività economica.

Così come - al principio - il banchiere non era distinguibile dall'usuraio, giacché la Chiesa condannava l'idea stessa di tasso di interesse: nummus non parti nummos, si affermava col richiamo a un ben noto principio aristotelico, e il semplice "dare a prestito" era perciò giudicato usura, banchieri e mercanti erano tra coloro che esercitavano illecita negotia o comunque inhonesta mercimonia, accomunati - nella gerarchia sociale - ai giullari e alle prostitute.

Ma la prospettiva dell'inferno non era un deterrente sufficiente, a fronte di uno sviluppo economico dalle radici salde e spesse.
 
Il trucco fu mascherare il prestito dietro il contratto di cambio.
 
Il banchiere affermava di non prestare denaro al mercante bisognoso di liquidità - in particolare di mezzi con cui pagare le merci acquistate all'estero - ma di negoziare cambiali pagabili su un'altra piazza, denominate in una diversa moneta.
 
La quota di interesse si mascherava così nel prezzo della tratta, chiamata lettera di cambio, che non era un semplice pagamento, ma - come dice il nome - un'operazione di cambio di valuta: il mercante partiva per il suo viaggio con una lettera rilasciatagli da un banchiere, e arrivato a destinazione la scambiava in moneta locale per pagare le merci, presso un banchiere del luogo che si rivaleva poi sul banchiere iniziale.

E se nell'immaginario collettivo la Toscana è collegata all'arte e alla cultura, non di minor importanza fu il suo ruolo nello sviluppo di questa tecnica d'avanguardia per la finanza dell'epoca: Francesco di Marco Datini - passato alla storia come il mercante di Prato - è considerato l'inventore stesso della lettera di cambio, per quante se ne son trovate nel suo archivio, che ha permesso una puntuale ricostruzione della vita e degli affari di un mercante della seconda metà del XIV secolo.

 La capacità di Francesco di Marco Datini di condurre gli affari col giusto piglio
- "in nome di Dio e del guadagno" come si legge nei suoi libri contabili -
lo ha reso il simbolo dell'intraprendenza economica toscana:
un capitalista ante-litteram, ma anche un animo credente e benefattore,
che lasciò tutto il suo patrimonio ai poveri di Prato.
 
I Signori del Denaro entrarono poi fatalmente in contatto con i Signori del Potere, che per lungo tempo sono stati i Signori della Guerra, bisognosi di finanziamenti continui per portare avanti le loro imprese belliche.
 
E' famosa e famigerata - a Firenze - la storia dei Bardi e dei Peruzzi: supportarono finanziariamente le guerre di Edoardo III d'Inghilterra, ma nel 1340 il Re si rifiutò di saldare un debito divenuto enorme, e la sua insolvenza ebbe ripercussioni tremende sull'intera società fiorentina, come raccontano le cronache dell'epoca di Giovanni Villani.
 
 
La Toscana vanta dunque una tradizione di mercanti e banchieri, che nel bene o nel male ne hanno scritto un pezzo di storia.
 
E a meta '800 Firenze era ancora una città di banchieri, con un'attività alimentata da industriali e grandi proprietari, e bisognosa di relazioni d'affari con figure analoghe di Stati esteri, attraverso la spedizione di grossi plichi (che talvolta contenevano persino somme di denaro).
 
Serviva perciò un francobollo idoneo allo scopo, dal facciale congruo a una tariffa elevata, per non tappezzare le lettera con esemplari di taglio minore.
 
Quel francobollo apparve sulla scena l'1 novembre 1852: era il 60 crazie, il valore facciale più elevato di tutti gli Antichi Stati Italiani.
 
 

 

 

Filigrana a linee ondulate


Quattrini e Soldi

Il francobollo da 2 soldi andò fuori corso nell'ottobre del 1852, da un lato perché il suo utilizzo isolato si era rivelato minimale, dall'altro perché l'emissione del valore da 1 crazia rendeva più semplice - con l'abbinamento al 2 crazie - l'affrancatura da 3 crazie per far viaggiare la corrispondenza sino al confine (rispetto all'equivalente affrancatura da 5 soldi).
 
I valori denominati in quattrini e soldi rimasero così soltanto due, nelle tirature avviate nel 1857 su carta filigranata a linee ondulate.

Il quattrino e il soldo del 1857.


Uguali e diversi

La magia della filatelia classica è nel poter creare dei meravigliosi rimandi reciproci tra francobolli uguali e pur ogni volta diversi.
 
Anche un semplice 2 crazie - il costo di un'affrancatura standard, di una lettera per l'interno di peso inferiore ai 6 "denari" - può diventare un piccolo gioiello, giocando sulle diverse sfumature di colore (azzurro, azzurro verdastro, verde grigio) e sulla varietà degli annulli ("a sbarre", "a cresta", "P.D.").
 

                             
La diversità nell'uguaglianza, nei francobolli granducali.


Interspazio

I francobolli granducali nascevano su un fogli da 240 esemplari, disposti in 3 gruppi da 80 (5 righe di 16 pezzi) separati da un'interspazio.
 
Era prassi dividere i gruppi prima della consegna dei fogli per la vendita, per cui non si hanno coppie con l'interspazio, ma al più esemplari che lo mostrano (a volte con una parte del francobollo adiacente).
 
 
Interspazio superiore.

 

Creste


Annullo rosso

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