VERSO L'UNITA' DI ITALIA (IN FILATELIA) - Collezionare la Storia
Estraggo due passaggi da un commento al post "0+0=350", e suggerisco di leggere il commento per intero, per convincersi della mia buona fede nella gestione delle opinioni altrui, nel mio Blog.
Non provo imbarazzo a recepire punti di vista anche molto diversi dal mio, e posso ancora tollerare qualche svirgolata nei toni ("presunto, untuoso sapere che contiene valanghe di nozioni ma ben poca saggezza, scritte in un blog che nessuno legge perché prolisso, altezzoso e decisamente volgare nella sua presunzione") così come accetto le divagazioni, anche se decisamente eroiche (quando si accenna alla "percentuale di persone che nel mondo vive con un reddito medio pari o inferiore a 100 € l'anno", quando si dice che per ciascuno di noi potrà arrivare "un giorno in cui, non solo non potrà spendere più di 2000 € in un francobollo, ma dovrebbe poter spezzarsi la schiena per riempirsi lo stomaco una volta ogni tanto", oppure si ragiona sulla "probabile durata dell'esistenza della specie umana sulla terra", per concludere che "si ridurrà tutto in un mucchietto di banale polvere"; tutte cose peraltro giuste, che condivido: ho piena consapevolezza che tutto torna nella scatola).
La censura non tocca e non toccherà mai interventi simili, ma s'imporrà con tutta la sua forza di fronte a pensieri sconnessi, a frasi incomprensibili, a insulti gratuiti.
Ecco gli estratti del commento, dunque.
Senza il denaro non si può far nulla, nemmeno la carità. E' una frase messa in bocca al Cardinale Marcinkus, nel film "I banchieri di Dio". Non saprei dire se l'abbia pronunciata davvero, o se sia solo una battuta cinematografica, ma il suo carico di significati rimane intatto.
Potremmo pure avviare un dibattito sullo sterco del demonio, se fossimo in un blog di filosofia, ma il mio Blog ha la pretesa - più modesta - di parlare di filatelia. Senza il denaro non si può far nulla, nemmeno la carità, figurarsi una collezione di francobolli! Del ruolo del denaro nel processo collezionistico ne ho ampiamente discusso col pretesto di presentare della Collezione Naddei. Non posso che rinviare a quel post, se siete interessati a conoscere il mio punto di vista. Ulteriori elementi di giudizio li trovate nella recensione alla Collezione "Castrovillari", che può essere utile leggere o rileggere anche per acclimatarsi alla prossima serie di post sulla storia (filatelica) dell'unità d'Italia.
Già, la Storia. Marc Bloch ha rivoluzionato la storiografia - spiega il Professor Barbero - nel momento in cui ha accolto nel discorso storico un insieme di fatti apparentemente banali. "Nel 1933 Bloch scriveva a Febvre, più o meno così: 'Mi sto interessando di una cosa a cui non avevo mai pensato: la storia dell'alimentazione. Ma non solo, la storia delle conserve in particolare. Hai mai pensato al problema della marmellata? La marmellata che ci sembra una tradizione di sempre. Però per fare la marmellata bisogna che ci sia lo zucchero a buon mercato, e da quand'è che c'è lo zucchero a buon mercato in Francia? Da quando c'è la barbabietola, perché prima era un genere coloniale e costosissimo. Quindi la marmellata della nonna sì, ma la bisnonna la faceva la marmellata o no?'. Ed era il più grande storico del Novecento che discuteva di questo".
E' forte la tentazione di traslare l'argomentazione alla filatelia. Se lo storico riconosce pari dignità all'indagine sulla marmellata della bisnonna e allo studio dei moti rivoluzionari del 1848, se "il bravo storico assomiglia all'orco delle leggende" - ancora Bloch - e "quando sente odore di carne umana sa che li c'è la sua preda", senza sottilizzare se sia la carne della bisnonna intenata a preparare marmellate o di Garibaldi pronto a invadere il Regno delle Due Sicilie, volete che il bravo collezionista non possa anch'egli spaziare dai francobolli sporchi e bucati sino alle gemme del firmamento filatelico, continuando a sentirsi legittimamente un "vero collezionista" lungo l'intero spettro delle alternative?
Il fatto è che il collezionismo, forse non ha ancora raggiunto una dignità accademica, forse non sarà ancora collocabile tra le materie universitarie, ma sicuramente ha conosciuto - e continua a conoscere - numerosi e autorevoli studi interdisciplinari, finalizzati a conferirgli rigore e precisione, a dargli una logica, un metodo, una struttura, di là degli oggetti contingenti con cui di volta in volta prende forma.
E così ho voluto leggere e approfondire, scavare nei testi come nel mio stato d'animo, sino a portare alla luce le radici del collezionismo, in una personale rielaborazione del mio travaglio intellettuale e sentimentale. Ho tentato - non senza rischi - di caratterizzare la figura del collezionista, sino a costruire una Collezione di Collezionisti che potesse funzionare da paradigma. Sono opinioni personali, anche perché non vedo cos'altro potrebbero mai essere, e perciò rimangono discutibili quanto si vuole, ma che non potrete altrimenti trovare in difetto, e a cui siete obbligati a riconoscere coerenza e organicità.
Capisco che possa dar fastidio leggere affermazioni nette e precise, come a un ammalato può disgustare il sapore amaro del medicinale, ma queste prese di posizione sono essenziali per consegnare al collezionismo quel valore storico e culturale che gli spetta, per sottrarlo a quell'accozzaglia di inconcludenti rules of thumb che sono l'anticamera del disinnamoramento, per aver qualcosa di sensato da replicare allo sprezzate giudizio di Ernest Rutherford: "Nella scienza esiste solo la Fisica: tutto il resto è collezione di francobolli".
Studio, conoscenza, ricerca sono parole ricorrenti, nei discorsi dei collezionisti desiderosi di elevare la filatelia al livello di una disciplina scientifica. Ci sono collezionisti che si appellano nientemeno che all'analisi spettrale, per distinguere le cinquanta sfumature di rosa di un francobollo. C'è chi si munisce di riga e compasso, e si fa vanto di aver trovato una distanza di 1,2 mn, anziché di 0,7 mm, tra la seconda cifra del valore e la "C" di "Centes". E c'è persino chi ha dedicato un intero libro a un solo francobollo.
Questa scienza, questa cultura, questa formalizzazione evaporano però all'istante davanti alla più semplice e ovvia delle domande: come li scegli i francobolli per la tua collezione? All'improvviso non servono più tante regole, non occorre precisione, non c'è bisogno di particolari attenzioni, perché tutto è collezionabile, se piace, e nessuno può sentirsi titolato a dire niente. Studio, conoscenza, ricerca, analisi spettrale, riga e compasso si appiattiscono sulla più incontrollabile delle posizioni: a me piace.
Questa ingenuità non sarà mai abbastanza duramente respinta, perché è un'ingenuità letale per il collezionismo.
Collezionare vuol dire filtrare. Il valore (filatelico) di una collezione è tutto e solo nella qualità dei filtri che si interpongono tra il disordine del mondo e il proprio album. Questi filtri devono essere comunicabili all'esterno, osservabili da soggetti terzi, al limite dovrebbero potersi scrivere in un codice di programmazione, per assegnare la selezione dei pezzi a un computer, perché nulla è compreso in modo così profondo come ciò che deve esser spiegato a una macchina.
Mi piace - con tutte le sue varianti affini: mi emoziona, mi interessa, mi manca, è bello, è raro, ... - è il più mal definito dei criteri selettivi: vago, mutevole, scivoloso, inafferrabile. Mi piace - con le sue varianti - non significa nulla, se non si è in grado di spiegare rigorosamente - al limite anche a una macchina - perché piace.
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