ALLE RADICI DEL COLLEZIONISMO

La parola 'collezione' ha la sua origine nel latino 'colligere',
a cui si può assegnare una duplice interpretazione:
'cum' e 'ligare', raccogliere (dal mondo) qualcosa che si trova diffuso, disperso,
stringere in un fascio, collegare e incatenare, in senso fisico, materiale,
a richiamare l'azione del radunare, del mettere insieme, del restringere in minor spazio;
e poi 'cum' e 'legere', adunare, scegliere, leggere, in senso spirituale,
col significato simbolico di 'capire a fondo', 'afferrare il senso',
a evocare un pensiero intimo, una motivazione profonda.



'Accogliere' e 'raccogliere' sono parole familiari al collezionista.
Entrambe si appoggiano a 'cogliere', in cui si ritrova 'colligere'.
La particella 're' precisa la ripetizione dell'azione, la sua sistematicità.
La particella 'a' implica il movimento verso di sé, la vicinanza affettiva.
'Cogliere' nel senso di 'prendere con sé', l'accoglienza come un'apertura:
ciò che viene raccolto o ricevuto viene fatto 'entrare',
in un paese, in una casa, in un album, in sé stessi. 

Il collezionismo è un'albero. C'è la parte più appariscente, la chioma, che è anche la più attraente, per i frutti che vi sono appesi, opere d'arte come "Scilla e Cariddi" e "Naples", o piccoli gioielli come "Castrovillari". Ci sono però anche parti nascoste, le radici, che richiamano l'approfondimento critico dei principi e l'analisi acuta dei concetti, di importanza ancor più grande, perché solo radici profonde e ben nutrite assicurano la vitalità dell'albero, la robustezza del tronco, la solidità dei rami, la lucentezza delle foglie, il fiorire dei germogli, la qualità dei frutti.

Conviene fissare subuto le parole-chiave su cui impostare l'argomentazione, com'è d'uso nella progettazione dei programmi di ricerca. La nostra indagine sulle radici del collezionismo orbiterà intorno a tre keywords, da spiegare singolarmente e da agganciare tra loro, per dare corpo alle idee e tracciare itinerari interessanti e problematici. Le nostre parole-chiave sono desiderio, bellezza, cultura.

Desiderio


Il desiderio ha un suo statuto, ben separato dalle istanze del bisogno e dalle tentazioni del capriccio.

Il bisogno esprime una necessità materiale indifferibile, ma puntuale e limitata; il bisogno è ancestrale, animale, biologico, figlio del corpo; preme, sì, ma scompare all'istante appena soddisfatto, per poi eventualmente ripresentarsi invariabilmente uguale, come un interruttore che accende e spegne la stessa lampadina. Il capriccio è invece una voglia pruriginosa, ma superflua e passeggera; il capriccio è inconsapevole, incontrollabile, mutevole, compagno della noia; prude e vuol essere acquietato, ma può anche andar via da solo, se solo si ha la pazienza di aspettare, eventualmente rimpiazzato da un altro cieco impulso, da una nuova voglia matta.

Il desiderio ha un'origine più sottile e travagliata. Il desiderio nasce solo quando i bisogni e i capricci sono scomparsi. Il desiderio salda l'impellenza del bisogno con la leggerezza del capriccio, ha una natura mediana tra forze opposte, perciò può esistere solo in persone equilibrate - intellettualmente preparate e emotivamente stabili - capaci di oltrepassare le urgenze, senza lasciarsi condizionare da pulsioni di facile accomodamento.

Il desiderio non conduce all'immediata soddisfazione di qualcosa, ma non lascia neanche immobili in attesa di qualcosa. Il desiderio mette in cammino verso qualcosa. Il desiderio disegna una mappa e indica una direzione, traccia un percorso e dà un orientamento, conferisce un senso al vivere e all'agire. Il desiderio espande l'orizzonte della vita e del mondo.

Il desiderio è una forza che ci abita, di cui siamo responsabili, ma non padroni. Il desiderio si lega alla storia e alla memoria dell'individuo, alla sua vita spirituale, intellettuale, relazionale, ludica, a tutto quel che gli sta a cuore, a ciò che è carico di significati simbolici e affettivi. Il desiderio è amico dell'essere e non dell'avere.

Il desiderio non è bizzarro, non è volubile, non è aleatorio. Il desiderio coinvolge una realtà a lunga scadenza, che implica sacrifici, tentativi, smarrimenti, perseveranza, rinunce. Il desiderio canalizza tutte le energie verso un oggetto stimato centrale per la nostra felicità, ma proprio per ciò estremamente complicato da concretizzare con immediatezza.

Il desiderio lascia intravedere la trascendenza dell'essere umano, ne rivela la natura potenzialmente infinita. Come la lettura di un libro richiama altre letture possibili, come ogni persona conosciuta allarga la rete di possibili incontri, come una singola esperienza si rivela il trampolino verso un intero universo di esperienze, il desiderio apre la porta a un altro desiderio, senza mai incontrare la parola fine.

Non esistono - non possono esistere - desideri da poco, perché il desiderio tende a espandersi per sua natura. L'infinità del desiderio travolgerebbe tutto, uomini e cose, se non trovasse un contrappeso, un argine, un balsamo, in un elemento di disciplina che basta a sé stesso e non domanda altro: la bellezza.

Bellezza


La bellezza porta con sé aporie, antinomie e contraddizioni, tensioni interne irrisolte e irrisolvibili. La bellezza non è mai una cosa tranquilla, pacifica, accomodante. La bellezza - per tradizione, riflessione e abitudine - è un'esperienza dei sensi che eccede i sensi stessi, è un godimento che parte dall'esperienza sensoriale per poi superarla. La bellezza trascina, travolge, trafigge, ferisce. 

Già solo il volerne parlare, il tentativo di teorizzarla, pone di fronte a una paralisi fulminante. Perché la teoria lavora sulle idee, che sono duttili e maneggiabili, sotto il vincolo esclusivo della coerenza, laddove la bellezza non la si maneggia a piacimento, o meglio, non la si maneggia affatto, perché sulla bellezza - come sul desiderio - non vantiamo alcun potere. Perché la teoria e le idee ci rendono attivi, inducono a ragionare su, laddove la bellezza ci lascia passivi, mette in una situazione in cui si è colpiti da.

Parliamo di qualcosa - la bellezza - di cui non si può parlare senza scadere in un linguaggio ripetitivo, retorico, sovrabbondante, senza trascinarsi dietro cose che con la bellezza hanno poco a che fare. Se i limiti del nostro linguaggio segnano i limiti della nostra conoscenza, il non poter parlare della bellezza vuol dire accantonare in prima istanza l'intera dimensione intellettiva.

La bellezza - senza concetto e senza scopo - si inscrive così nella dimensione dell'inutile, l'unica capace di condensare il massimo senso. Perché una cosa utile non esprime in sé alcun valore, ma rinvia sistematicamente i suoi valori a uno stadio successivo - utile a... a sua volta utile a... a sua volta utile a... - in una cattiva infinità che inibisce la visione dello scopo ultimo, di ciò che finalmente è utile di per sé. L'inutile non rimanda invece più da nessuna parte: ha in sé tutto il significato.

L'assenza di concetti, parole e scopi sembra rendere afasici persino i filosofi. Pulchrum est quod visum placet, dice San Tommaso, bello è ciò che quando lo vedo mi piace, un'apparente banalità che non sembra richiedere profonde riflessioni. Scorgiamo però un'intuizione raffinata - che ci fa recuperare la dimensione intellettuale della bellezza - se questa banalità la collochiamo nel suo contesto. "Veramente il bello ed il buono nel soggetto in cui esistono si identificano [...]. Ma nel loro concetto proprio differiscono. Il bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il bene ciò che ogni ente appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poiché l'appetire è come muoversi verso una cosa. Il bello, invece, riguarda la facoltà conoscitiva; belle infatti son dette quelle cose che viste destano piacere".

Pulchrum est quod visum placet non è perciò riducibile all'autoreferenzialità del bello è ciò che piace, ma impone piuttosto una traduzione consapevole dell'intero discorso: bello è ciò che - visto e appreso, cioè conosciuto - piace. La bellezza si coglie senza mediazioni dell'intelletto, purché l'anima sia stata preliminarmente sensibilizzata, purché nel soggetto siano arrivati per ogni altra possibile via - non esplicitamente riferita alla bellezza - tutti gli elementi conoscitivi idonei a illuminarlo, e che potranno effettivamente illuminarlo solo in proporzione alla sua cultura.

Cultura


Che cos'è la cultura lo ha chiarito lo storico Gaetano Salvemini, nel 1908, con parole definitive: "la cultura consiste non tanto nel numero di nozioni e nella massa dei materiali grezzi che in un dato momento ci troviamo ad aver immagazzinato nella memoria, quanto in quella raffinata educazione dello spirito, reso agile ad ogni lavoro, ricco di molteplici e sempre deste curiosità, in quella capacità d'imparar cose nuove, che abbiamo acquistata studiando le antiche".

La cultura - per dirlo a modo mio, ché dire le cose a modo proprio è prerequisito di cultura - la cultura, dunque, è un sostantivo che non tollera aggettivi. Parlare di cultura matematica, cultura umanistica, cultura artistica, cultura filatelica è come dire quadrato circolare, luce nera, ghiaccio bollente, salita in discesa. La cultura è un processo orizzontale, non verticale. Non può esserci cultura se c'è solo specializzazione, e lo specialista puro "non può essere in alcun modo considerato come uomo colto", perché "[c]ircoscrivendo eccessivamente la propria attività intellettuale, inaridendo a poco a poco in sé ogni curiosità estranea al piccolo cerchio dei suoi pensieri, lo specialista si sequestra dal mondo, si addormenta in una specie di sonnambulismo professionale [e] uccide l'uomo".

La cultura - in effetti - non è qualcosa che c'è o non c'è, che è presente oppure assente, ma è qualcosa che c'è in misura tanto maggiore quanto più ampia e solida è la rete di collegamenti tra le cose conosciute, quanto più ristrette sono le maglie delle verità ammesse senza discussione.

La cultura - come il desiderio - è un processo, una dinamica, un movimento, in cui è cruciale uno sviluppo sereno, armonico e equilibrato di tutte le attitudini. "Se voi, per esempio, nello studiare un libro di storia [...] non vi proponete altro fine se non quello di impadronirvi al più presto della maggiore quantità possibile di nozioni di storia; e dietro al primo libro ne vedete un altro che vi aspetta; e dietro questo un altro che vi rimprovera; e sempre avanti senza mai un minuto di riposo [...] voi non otterrete altro risultato se non quello di sfiancare il vostro pensiero".

La cultura - come la bellezza - è inutile, sprovvista di un tornaconto, di un vantaggio materiale immediato: "la cultura vera non consiste in quel nucleo di nozioni dai confini relativamente precisi e circoscritti, che ci occorrono nella nostra professione, ma comincia appunto dove finisce l'utilità professionale". La cultura - a giocare col paradosso - "è l'insieme di tutte quelle conoscenze che non servono a nulla, ma di cui non è lecito fare a meno".

Ma la cultura non è neppure nella sterile erudizione enciclopedia. Il segno distintivo di una persona di cultura non sta nella sua quantità di conoscenze, perché qualsiasi bagaglio conoscitivo è ben misero rispetto a tutto quel che c'è da sapere. La sola differenza tra una persona di cultura e tutte le altre non risiede che in ciò: che la prima è potenzialmente in grado di sapere tutto, via via che ne avverta il desiderio o ne senta la necessità, mentre le altre non sono capaci di andare molto più in là di quel poco che sanno.

La cultura è l'infrastruttura capace di dare una forma alla bellezza e sostenere i desideri, indirizzando le passioni. La cultura è tutta "nell'abitudine dello sforzo tenace e penoso; nel bisogno delle idee logiche e chiare; nel gusto della iniziativa personale e critica; nella forza e nel coraggio di pensare con la nostra testa e di essere noi stessi".

Alle radici del collezionismo


Desiderio, bellezza e cultura sono parole che rimandano a concetti articolati, tra loro interrelati, che coinvolgono l'individuo in tutta la sua interezza.

Desideriobellezza e cultura sono parole che si spiegano reciprocamente, ognuna fa chiarezza sulle altre, ora explanandum ora explanans, in un gioco continuo di rimandi, di rinvii, di assonanze.

Desideriobellezza e cultura le abbiamo scritte in quest'ordine perché un ordine bisognava pur darlo, anche se un ordine preciso non c'è, e le tre parole, i tre concetti, si inseguono e si rincorrono, si impastano e si amalgamano.

Desiderio, bellezza e cultura saranno le nostre parole d'ordine nell'indagine sulle radici del collezionismo, quelle radici che scendono in profondità e si dirimano in quantità, che scavano e percorrono il sottosuolo, sino a formare un albero invisibile, speculare a quel che abbiamo sotto gli occhi.

Elogio del Desiderio

Intorno al Desiderio - Aquile tra le stelle



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