NOI POCHI, FELICI, MANIPOLO DI FRATELLI


Il collezionismo filatelico è un'attività a elevato contenuto culturale.

Sin qui siamo e saremo sempre tutti d'accordo.

Sarà però il caso di richiamare il significato della parola "cultura". Lo si è fatto in uno dei primi post - fare culura (filatelica) - e ci si è tornati in seguito ponendo radicando la cultura nel collezionismo, per poi sviluppare l'argomento con l'elogio della cultura.

Su questo sfondo collochiamo adesso l'indicazione di metodo di Galileo Galilei - "misura ciò che è misurabile, rendi misurabile ciò che non lo è" - non già perché nei numeri ci sia qualcosa di particolarmente nobile, ma solo perché col linguaggio numerico è più facile parlare e intendersi.

Converremo pertanto di "misurare la cultura", e lo faremo - in modo convenzionale - su una scala da 0 a 10, muovendoci con passo unitario (0, 1, 2, ..., 10). 
 
 
 
Questa sarà la nostra metrica, la scala della cultura, duale alla scala del collezionismo, perché, appunto, concordiamo alla unanimità che la nostra cultura trova il suo specchio fedele nella nostra collezione (al netto del denaro impegnato, che rappresenta semplicemente un fattore di scala).
 

 
La filatelia è come il maiale: non si butta via nulla
 
Sul serio? E - ditemi - quand'è l'ultima volta che siete andati in macelleria a scegliere i vostri francobolli, tra il macinato grosso e le fette di bovino adulto?
 
Restiamo seri, per favore, se pensiamo che la filatelia sia un'attività seria e densa di cultura.
 
Esiste un livello (culturale) sotto il quale gli oggetti smettono di essere collezionabili, un livello basso a piacere, ma comunque presente, una soglia sotto cui nessuno scende, se non per il gusto sciocco della provocazione o per un proprio tornaconto economico (e non saprei dire cosa sia peggio, se il puro spirito di contrapposizione che intossica l'ambiente o una fame di denaro che lo rende altrettanto invivibile mettendo in circolo oggetti inquinanti).
 
 
 
E così - intanto - abbiamo colorato una tacca, per distinguere chi vive il collezionismo con l'animo selvaggio e primitivo di un bruto e chi invece ne fa una via privilegiata per raggiungere livelli progressivamente più elevati di virtù e conoscenza.


La mia cultura si riflette nella capacità di apprezzare gli oggetti che ho davanti, di comprenderli e interiorizzarne i significati, filatelici e postali, sicuramente, ma anche storici e in generale culturali (senza qualificazioni).

Poniamo allora che la mia cultura sia al momento situata al livello 3.
 
Quindi, smazzata la franchigia della fascia iniziale, esiste tutto un range di oggetti (da 1 a 3) che posso  capire e apprezzare, di cui sono in grado di godere appieno (se li posseggo) o da cui traggo un piacere indiretto (se appartengono ad altri che me li mostrano).

Tutto ciò che sta sopra il livello 3 è - per me - un mondo alieno, sconosciuto, che non afferro o mi scivola addosso: sento parlare dei differenti tipi di "Mercurio" azzurro, di plattaggio dei "Marzocchi",  o magari di angoli e bordi di foglio, e rimango freddo, indifferente, proprio perché non capisco di cosa si parla, perché il livello della mia cultura è disallineato rispetto al livello della discussione (e va da sé - su base razionale - che non sarò disposto ad assecondare le maggiori richieste economiche di regola si associate a oggetti più sofisticati, perché, non capendoli, non capisco le ragioni per cui dovrei pagarli di più).

 
Devo documentarmi e studiare, approfondire e sperimentare - di filatelia e non solo - devo insomma accrescere la mia cultura, se voglio capire gli oggetti situati sopra il livello 3 (nei loro significati e nel correlato prezzo). 
 
Poniamo dunque che a seguito dello studio, dei confronti con altri collezionisti e dell'esperienza acquisita sul campo, sia riuscito ad alzare la mia cultura al livello 6. 
 
Cosa accadrà alle mie percezioni, e di conseguenza alle mie valutazioni (filateliche e monetarie)?

 
La prima risposta si declina al negativo: aver alzato il livello culturale da 3 a 6 non si risolve in un banale ampliamento del novero di oggetti che ora sono in grado di apprezzare.
 
 
Aver alzato la mia cultura, da un lato mi permette di accedere intellettualmente a oggetti che prima mi erano preclusi - di comprenderne l'importanza e il pregio - ma dall'altro fa slittare verso l'alto la soglia di oggetti - per me, nel mio nuovo stato - culturalmente interessanti, meritori di essere collezionati.
 

La mia sensibilità ha mutato struttura, dopo la conoscenza: la cultura marca un confine, stabilisce un "prima" e un "dopo", e ciò che mi piaceva prima (di accrescere la mia cultura) non mi piace più dopo (averla accresciuta).

Questa situazione, se da un lato è desiderabile (tutti vogliono accrescere la propria cultura) dall'altro può creare ostacoli nella comunicazione (con chi si trova su soglie più basse).

Quanto più accresco la mie conoscenze e competenze, quanto più interconnetto le nuove acquisizioni a tutto ciò che è già in possesso - insomma, quanti più gradini salgo sulla scala della cultura - tanto più potrei sembrare puntiglioso e intollerante, cosicché mi sarà difficile entrare in un dialogo costruttivo con altri.
 
E' d'altra parte nella natura di una persona di cultura prendere posizioni nette, perché la cultura chiarisce che la correttezza non sta nel compromesso tra "esatto" e "sbagliato", ma nel solo "esatto". Accettare compromessi significa - alla lettera - compromettere (rovinare, guastare, spesso irrimediabilmente) il risultato finale.

Sorvoliamo sul fatto che si tratta di una visione aliena alla cosiddetta "cultura italiana" (ché in tanti sono venuti su con l'idea di una virtù che "sta nel mezzo") e ricordiamoci piuttosto il passo dantesco "non ti curar di loro, ma guarda e passa", così tanto citato, anche se spesso male e a sproposito, a cominciare dalla formulazione testuale (quella corretta è "non ragioniam di lor, ma guarda e passa").
 
 

Virgilio lo dice - sdegnato - per soddisfare la curiosità di Dante sull'identità delle anime dell'Antinferno. E sono quelle degli ignavi, che in vita non seppero schierarsi, e ora, per contrappasso, inseguono disperatamente una bandiera: né vero Inferno neppure Purgatorio e men che mai Paradiso. Lo stigma è verso di loro, perché inferiori persino a chi ha scelto la perdizione e il peccato (che sono pur sempre scelte).

L'importante è schierarsi - ci dice Dante - ma schierarsi può diventare problematico - Dante lo sapeva bene - e come minimo rischia di isolarci, anche noi come come novelli Dante, anche noi esuli, per l'incapacità di comunicare. 
 
Come se ne viene fuori? Ad esempio con una pluralità di scale di valutazione, e l'abitudine a slittare dall'una all'altra, in ragione del proprio interlocutore, pur tenendo salda la propria.

Così, ad esempio, se pure ho raggiunto il livello 6, nella mia testa dovrà comunque esserci almeno una bipartizione di tarature - diciamo tra "esperti" e "ordinari" - che mi permetta all'occorrenza di sintonizzarmi con gli altri.
 
Per capirci: sarei ingiusto se ragionassi con la mia calibrazione di livello 6 nel rapportarmi a un principiante che mi ha chiesto dei consigli su come impostare e sviluppare la propria collezione; io devo senz'altro preservare la mia taratura - più rigorosa, da collezionista "esperto" - ma anche sapermi rimodulare sulla sua - da collezionista "ordinario" - capendo ciò che al momento può capire lui (con la sua cultura, ma con la mia consapevolezza) unitamente a quel che potrà capire quando ne saprà di più (come me, al mio livello attuale).
 

Non vorrei che si pensasse a chissà quale finezza di ragionamento. Sto dicendo delle ovvietà che rasentano il banale, com'è immediato realizzare se trasliamo il discorso a un qualsiasi altro ambito (scrittura, musica, cucina, sport, ...) in cui abbiamo conseguito anche solo un minimo di progressi.
 
Pensiamo alla favola di Cappuccetto Rosso, giusto per rimanere su una linea d'argomentazione elementare: ci poteva appassionare da bambini (e forse anche spaventarci) ma oggi la troviamo scialba, insulsa; e tuttavia, se vogliamo raccontarla a nostro figlio o al nipotino, se vogliamo che la nostra narrazione sia per lui un'esperienza coinvolgente, dobbiamo slittare sulla sua mentalità, capire quel che può capire lui, senza per ciò smettere di essere noi stessi.
 
Ora - per quanto ci si possa trovare avanti nel proprio percorso culturale - rimane un fatto tanto semplice quanto fondamentale: abbiamo iniziato tutti dallo stesso punto, con le stesse incertezze, le stesse convinzioni sbagliate, gli stessi errori.

Nessuno nasce collezionista, e nessuno diventa un grande collezionista per caso. Ci si arriva un passo alla volta, punto dopo punto, fallimento dopo fallimento, comprensione dopo comprensione.

Trovarsi avanti, più che un merito, è un vantaggio temporale. E il modo migliore di far fruttare questo vantaggio è metterlo a disposizione degli altri, aprirgli una strada, illuminare il cammino, tendere una mano.

Perché se la nostra passione per i francobolli nasce davvero dall'amore per le collezioni, allora non dovrebbe bastarci essere gli unici a collezionare per bene.

Dovremmo desiderare un mondo pieno di collezione belle - dense di significati, edificate con consapevolezza - e il desiderio può realizzarsi solo se più collezionisti diventano bravi, si raffinano, evolvono, così da alzare il livello generale.

Se ami davvero la filatelia, allora non vuoi essere "il più bravo". Vuoi piuttosto essere circondato da bravi collezionisti. Vuoi che ci siano collezioni che ti ispirino, che ti sorprendano, che stimolino la voglia di migliorare ancora.

E allora cosa possiamo fare davanti a chi colleziona male, a chi s'illude che si può fare quel che si vuole purché ci si diverta, a chi ignora addirittura le basi?

Anzitutto ricordarci che non è un difetto intrinseco, ma solo l'effetto del tratto iniziale del percorso; che nessuno ha il dovere di nascere con la filosofia e la tecnica collezionistica sotto braccio; e chi è più indietro non va compatito né snobbato, perché ha solo bisogno di tempo solo e di una buona guida; e va perciò aiutato a superare il punto in cui ci eravamo bloccati anche noi, tempo fa.

 

Migliorare.
 
Questa è la parola d'ordine di ogni passione - e meglio sarebbe dire il presupposto, un prerequisito - al punto da renderlo un discrimine tra gli autentici appassionati e chi invece ama solo raccontarsela.
 
Gli appassionati sono appassionati perché desiderano migliorare, evolversi, perché miglioramenti ed evoluzioni impongono il fare - "mi è odiosa  qualunque forma di conoscenza che non mi spinga all'azione" è la posizione di Goethe, usata da De Angelis e Pecchi come esergo alla loro opera sulla "Croce di Savoia" - e la passione gratifica sé stessa tramite la continua azione sul campo, assai più del risultato finale.
 
"Non è la conoscenza, ma l'atto di imparare" - sosteneva Carl Friedrich Gauss, il princeps mathematicorum  - "non il possesso ma l'atto di arrivarci, che dà la gioia maggiore. Quando ho chiarito e esaurito un argomento, mi ci allontano, per tornare nell'oscurità; l'uomo non soddisfatto è così strano, che se ha completato una struttura non ce la fa a restarci in pace, ma deve iniziarne un'altra. Immagino che si debba sentir così il conquistatore del mondo che, quando un regno è stato a malapena conquistato, si lancia subito verso un altro".
 
Una passione è per sua natura dinamica, in continuo movimento, perché non vi sono alternative "per la contradizion che nol consente" - parafrasando il Poeta. Una passione ferma, statica, è una contraddizione manifesta: come dire "luce nera", "quadrato circolare" o "acqua asciutta".
 
Dopodiché, intendiamoci: crogiolarsi nel proprio livello di cultura, senza mai avvertire il più flebile stimolo a scalare una marcia, non è di per sé stigmatizzabile, e si potrebbe anzi dire che rappresenta un atteggiamento diffuso, una sorta di normalità. In tanti, a un certo punto, si fermano, e non gliene si può fare un colpa; ma non si può neppure prenderli come modelli da esibire o esempi da imitare, o farne delle icone di appassionati, perché l'appassionato - per definizione - è sistematicamente impegnato a conseguire un miglioramento.
 
E come si fa - in concreto, in pratica - a migliorare? Si fa come si è sempre fatto in tutte le cose della vita: con il ciclo "osservazione-imitazione-correzione".
 
Un neonato percepisce di continuo dei suoni (parole); capisce velocemente che ogni suono (parola) corrisponde a una entità fisica del mondo che lo circonda (oggetti) oppure esprime un giudizio, uno stato d'animo o un sentimento (un apprezzamento o un rimprovero, una sintonia o un disaccordo, una manifestazione di attrazione o repulsione).
 
Sente (osserva) un suono dopo l'altro (un flusso di parole), di continuo, senza posa, finché avverte l'impulso di cimentarsi anche lui nella produzione di quei suoni (sente il bisogno di parlare) replicandoli al meglio che può. E' probabile che più d'una parola la pronunci male, all'inizio (mio figlio diceva "camarella" invece di "caramella", e mia figlia "carta di crebito" invece che "di credito") e allora sarà corretto dai genitori o dalle maestre, che gli ripeteranno - magari più lentamente - il suono (la pronuncia) corretta.
 
E si va avanti così, per osservazione della realtà circostante, tentativi di imitazione on a best effort basis, emendati da figure autoriali, per far poi ripartire lo stesso ciclo -  "osservazione-imitazione-correzione" - forti delle correzioni ricevute al giro appena concluso.
 
Si procede così nella vita, per osservazione, imitazione e correzione, in senso circolare, e a ogni nuovo giro - sperabilmente - si è più consapevoli, maggiormente sicuri di sé.
 
E' un'altra ovvietà - per quanto sgradevole - che gli esiti del ciclo dipendono dalla precisione delle correzioni, e più in generale dalla qualità intellettuale e culturale dell'ambiente in cui ci si trova. E' semplicemente un fatto che - almeno in media - nascere e crescere in una famiglia di estrazione sociale superiore e frequentare contesti più raffinati della media offre notevoli vantaggi - se non altro potenziali - per il proprio sviluppo interiore.
 
In filatelia abbiamo una vantaggio e uno svantaggio, rispetto alle ordinarie situazioni di vita. Il vantaggio è nell'assenza di un vincolo fisico verso i modelli da imitare, degli esempi da seguire: tutti - volendo - possono lasciarsi educare dai migliori standard, così come visibili nelle opere dei grandi collezionisti. Lo svantaggio è nell'apparente difficoltà a identificare la best practice, perché in materia di collezionismo filatelico non esistono università che rilasciano titoli o patentini, e un po' tutti, non appena abbandonati i banchi di scuola, si sentono pronti a tenere cattedra.
 
Ma noi, qui, fortunatamente, abbiamo una scala di misurazione (della cultura, e quindi delle abilità collezionistiche) che ci offre almeno un orientamento.

 
S'impone un chiarimento, ovvio, al limite del tautologico, e pure necessario per evitare equivoci banali, da cui però p difficile trarsi fuori, una volta che ci si è cascati: la figura è... solo una figura, una rappresentazione, utile a restituire l'idea, avvalendosi giocoforza di semplificazioni.
 
Non si deve cioè cadere nell'equivoco che la cultura conosca un limite superiore oltre il quale non si può andare (come potrebbe suggerire la bruta visione della colonnina), che vi sia uno stato di nirvana (un immaginifico livello 10) raggiunto il quale non occorre far altro che contemplare la propria grandezza.
 
La cultura è per sua natura dinamica, in espansione o regressione, o al limite in stagnazione in un intorno del suo stato corrente, ma - quasi mi vergogno a precisarlo - non va incontro a nessuna colonna d'Ercole, non conosce un punto oltre il quale non troverà più niente da imparare. Al contrario: così come dopo ogni numero ne viene un altro, per quanto avanti ci si trovi nel conteggio, allo stesso modo, in fatto di cultura, vi sarà sempre occasione di migliorare, di perfezionarsi e raffinarsi, per quanto in alto ci si trovi.
 
La fascia viola degli "amatori" - dal livello 8 al 10 - esprime quindi un top di gamma storicamente determinato, una convenzione, se così vogliamo dire, e tuttavia utile per svolgere ragionamenti sensati intorno al collezionismo.
 
Fatta questa precisazione banale, e pur doverosa, veniamo al punto davvero rilevante: come si riconoscono i maestri migliori - gli "amatori" - in un mondo in cui tutti avvertono il dovere costituzionale di dare buoni consigli, non potendo più dare il cattivo esempio?
 
 

Il segnale più nitido e preciso - il più confortante - per riconoscere i maestri migliori, gli amatori, non è il tempo che hanno trascorso nell'ambiente, che è sì un elemento di giudizio, ma non così dirimente come ingenuamente si pensa (ché si possono trascorrere anni e anni - una vita intera - a fare e rifare le cose in modo sbagliato, senza imparare nulla, e di conseguenza senza poter insegnare nulla).

Il segnale più affidabile per individuare un amatore - un maestro da cui imparare con profitto - è la felicità: i collezionisti-amatori sono persone felici - alla lettera: felici come lo sono goi innamorati - ed è quindi piuttosto facile riconoscerli, perché persone e famiglie felici si assomigliano tutte - ci dice Anna Karenina - laddove le infelici lo sono ognuno a modo proprio.

La felicità dei collezionisti-amatori proviene tutta e solo dal trovarsi in perfetta sintonia con la propria collezione, di vibrare alla stessa frequenza degli oggetti che la compongono - perché, sì, gli oggetti emanano onde: chiedetelo alla Meccanica Quantistica, se volete conferme - nel sentirsi in uno con ciò che si è costruito e si contempla, che si sviluppa e si protegge.

Non sono soltanto la piena conoscenza tecnica e la comprensione razionale di ogni oggetto a caratterizzare l'amatore, che pure le possiede, è ovvio, ma al contempo le oltrepassa.

Ci sono una sensibilità e una delicatezza d'animo - nell'amatore - che consegnano un'anima anche alle cose - "gli oggetti hanno un'anima, e io mi sentivo in dovere di proteggerli da un destino troppo funesto", ha scritto Lydia Flem, con raffinata perspicacia - e con tutte queste anime il collezionista entra in una relazione intima, ne fa una parte integrante, costitutiva, della sua esistenza, sino a determinare un metaverso concreto come il mondo reale - "per il collezionista, in ciascuno dei suoi oggetti è presente il mondo stesso", annotava Walter Benjamin - nel quale si riscopre come "un bambino che ha appreso la difficile arte di abitare nelle cose che ha raccolto, senza fine", con la romantica immagine di Marco Belpoliti.
 
Un p(r)ezzo da amatore: e "non è caro".

Questo stato di beatitudine, di pace, di serenità - di leggerezza nel senso calviniano: "planare sulle cose dall'alto", senza "macigni sul cuore" - è l'esito di un processo incentrato su una crescente consapevolezza di sé: il dominio progressivamente più esteso della propria anima, per liberare testa e cuore da tutte le oscurità che ostacolano la piena illuminazione.
 
Dal denaro, ad esempio, giacché ogni passione - buona o cattiva che sia - non ha mai finaltà né retropensieri di matrice economica.
 
L'amatore conosce i suoi tesori intus et in cute, li può interrogare uno a uno, e a ciascuno può dedicare un'intera giornata; ne può documentare le origini lontane, ma anche la storia della sua scoperta e acquisizione - della dedizione e dell' impegno per entrarne in possesso - ma non vi parlerà mai di "prezzi", non gli sentirete mai dire frasi del tipo "preso bene" o "pagato troppo", o parole come "pescata", perché i concetti che vi stanno dietro non trovano spazio nella sua mente e nella sua anima, e quindi non vi è nessun corrispondente nel suo vocabolario.
 
"Non è caro" è l'unica espressione di fragranza economica che conosce: qualsiasi prezzo abbia pagato - alto, basso o normale, secondo i parametri convenzionali - l'amatore lo commenterà invariabilmente (e solo se proprio lo stuzzicate sul punto) dicendo che "non è caro", che la spesa è valsa l'impresa (oppure vi mostrerà il suo rammarico, se il pezzo è uscito dalle sue possibilità economiche, pur continuando a sostenere che chi l'ha preso a quel prezzo "non l'ha pagato caro").
 
Gli amatori - dalle vette della loro cultura - non collezionano "per guadagnare", e neppure "per rientrare del pagato", e neanche "nella speranza di non perderci troppo", o col retropensiero di quali possano essere gli usi alternativi del denaro che destinano ai francobolli.

Gli amatori - i migliori maestri possibili - si dedicano alla filatelia perché la loro collezione ne condiziona così profondamente la vita, che non riescono neppure a immaginare come potrebbe essere la loro vita senza una collezione di francobolli; perché la collezione - a tutti gli effetti - esprime la parte migliore di loro; perché un'infinità di cose non le avrebbero mai conosciute, numerose competenze mai acquisite, e svariate sensibilità - ben oltre il campo filatelico - gli sarebbero rimaste inibite, senza la collezione di francobolli; perché non sarebbero le belle persone che sono, senza i loro francobolli, e per quanto la loro cultura li renda d'ampie vedute, proprio non capiscono com'è possibile che vi siano persone tormentante dalle quotazioni di catalogo, dal prezzo pagato, dal timore di non recuperarlo, e da tanti altri pensieri cupi e opprimenti che fanno del collezionismo un'ulteriore preoccupazione, in aggiunta a quelle già presenti nella vita, sino a trasformarlo in una fonte di frustrazione e a acidità, anziché renderlo uno spazio magico in cui prendere rifugio dal mondo.

Si arriva sulle cime della cultura avvertendo lungo il cammino la chiara sensazione di starsi trasformando in qualcosa di bello, di positivo, di migliore, grazie all'attività in cui si è impegnati - collezionare francobolli, ad esempio - e questa positività diffusa forma un'aura tutt'intorno a noi "che ci preannuncia agli altri, ci segue in ogni momento della vita, lascia una traccia dopo di noi", per scolpire l'idea con le parole di Prezzolini.
 
Questi sono gli amatori, i maestri di riferimento, consapevoli delle sfide poste dalla scalata alla cultura, pronti ad abbracciare la complessità, in tutte le sue sfumature, per arrivare a fare la cosa giusta.
 
Non potrete mai confonderli - per quella minimale capacità discriminante presente in ogni essere che respira - con i cattivi maestri che semplificano e illudono, che alimentano la confusione anziché dissiparla, che trasmutano il collezionismo filatelico in tutto ciò che il collezionismo non è, e che pure rimangono un riferimento per tante scimmiette sempre pronte assecondare tutto quel che può tirar fuori il peggio di loro, in un inquietante desiderio inconscio di autolesionismo.
 
 
Un ambiente che NON dovresti avere il desiderio di frequentare.

L'analisi ha avuto sin qui un'impostazione rigorosamente normativa.
 
E' normativo tutto ciò che vuol precisare cosa si deve fare, per raggiungere un risultato dichiarato.
 
Il galateo - per capirci - è normativo: precisa con quali accorgimenti e quali precauzioni si possa risultare persone piacevoli e gradite, nella percezione di coloro con cui si entra a vario titolo in contatto.
 
Che a rispettare il galateo siano poi tutti o nessuno, in tanti o in pochi, è irrilevante: proprio perché il galateo è normativo, teorizza cioè dei principî di comportamento, muovendo sì dall'osservazione empirica, ma filtrandola con criteri valoriali, e non lascia passare qualunque cosa avvenga nella realtà, rumorosa, confusa, contraddittoria, e col solito merito di essere... la realtà.
 
Il nostro schema è normativo, ma - volendo - lo si può riadattare in chiave descrittiva, per rappresentare la realtà così com'è, in un forma intellegibile e agevolmente fruibile.
 

La figura stilizza l'ambiente del collezionismo filatelico sino all'inizio del nuovo millennio.
 
Vi era una moltitudine alticcia e festaiola (colonnina alla vostra sinistra) apparentemente soddisfatta della propria mediocrità, felice di raccogliere francobolli senza un aggancio saldo a istanze di studio, conoscenza e ricerca, e a cui si poteva vendere di tutto, proprio grazie alla vaga percezione del  contenuto culturale dell'oggetto.
 
L'assenza di una barriera all'ingresso - il fatto che la filatelia fosse come il maiale: tutto andava bene, tutto si smerciava - non era solo un deficit in sé, ma privava l'intelletto di qualsiasi prospettiva e gerarchia: da un lato, non si avvertiva alcuna spinta a migliorarsi - anche perché distratti dalla possibilità di speculare con i valori filatelici - e dall'altro anche gli oggetti non compresi, più significativi e costosi, potevano entrare nell'album, purché ce li si potesse permettere, perché l'ignoranza non era un impedimento all'acquisto, in quanto neutralizzata - ancora una volta - dalla convintzione di guadagnarci, o alle brutte di rientrare della spesa senza problemi.
 
Vi erano poi gli amatori (colonnina a destra) su cui ci siamo già intrattenuti, e non serve perciò aggiungere altro, se non precisare che erano sì felici, per loro stessa natura, ma anche pochi, un manipolo di fratelli.
 
Questo stato di cose - su cui sospendiamo ogni giudizio, in linea con l'impostazione descrittiva - era l'optimum per gli affari di chi commerciava in francobolli.
 
C'era una gran quantità di collezionisti pronti a ingurgitare tutto, senza troppo discernimento, e non parliamo solo di cose infime, ma anche di oggetti con un loro interesse.
 
Per gli oggetti di pregio - per rarità o qualità - c'era invece la brigata degli amatori, che non avrebbe mai tradito, e sul cui entusiasmo si poteva sempre far affidamento.
 
Riconosciamolo: era un mondo meraviglioso (per mercanti e case d'asta).

Ma - riconosciamo anche questo - era ovvio che non potesse durare (e anzi, a dirla tutta, è ben strano che sia durato così a lungo).
 

Immaginate che un ragazzino - vostro figlio, nipote, o vedete chi altro - manifesti un'interesse per la chitarra; e voi, per tutta risposta, gliene tirate fuori una vecchia e impolverata dalla cantina, gli dite di imbracciarla come meglio gli viene e di strimpellarla come gli pare... purché si diverta a farlo.

Traslate la situazione agli scacchi, se preferite: gli piazzate davanti una scacchiera, spiegate i movimenti elementari dei diversi pezzi e lo scopo del gioco (almeno questo!) e poi che si cominci a giocare liberamente, così come ci viene... purché ci si diverta. 

Cos'accadrà, secondo voi? Che dopo qualche strimpellata, o qualche partita, il ragazzino abbandonerà ogni cosa - chitarra o scacchiera che sia - e si dedicherà ad altro. Perché nessuno - una volta smaltito l'effetto novità - si diverte a fare le cose a caso. 
 
Le cose - tutte le cose - sono divertenti perché percepite come dotate di un senso, di un significato, all'interno di un sistema di regole. Chi vede nelle regole le sbarre di una prigione, le sta guardando storte. Se le raddrizzasse, gli apparirebbero per quel che sono: i pioli della scala della cultura.
 
Cos'è accaduto, dunque, nel nuovo millennio? E' accaduto che il gioco di prestidigitazione ha smesso di funzionare - per ragioni che qui non rileva dettagliare -  e la natura delle cose si è imposta con violenza.
 
Quella massa amorfa disponibile a buttar giù di tutto, quell'accozzaglia di ingenui entusiasti di ogni cosa gli si parasse davanti, si è rapidamente assottigliata per un improvviso risveglio collettivo, per il riaffiorare di quel buon senso che - a livello latente - è invariabilmente presente in ognuno di noi. E chi è ancora in partita c'è rimasto più che altro per inerzia, per abitudine, per trascinamento: il suo è un sentimento stanco, venato di tristezza e appesantito da lagne variamente assortite, e di conseguenza poco propenso a spendere, persino quando riconosce il valore culturare dell'oggetto (per un prezzo percepito sempre troppo alto, per il timore di non rientrare della spesa). ♫Sempru incazzàa cun la facia verda... prunt a sparà a chi pröva a fa' quaicoss♬ - canta Van De Sfroos, per raffigurare gli italiani - ♫… pasen la vita a pisàa cuntra'l veent perché l'impurtant l'è mai vèss cuntent♬, e io non so far meglio che riadattare le sue strofe all'attuale fascia medio-bassa della filatelia.
 
Qualcosa è cambiato pure in cima, a dirla tutta. Sono sempre pochi e felici - un manipolo di fratelli, oggi come ieri, come lo saranno domani - ma ora, rispetto al passato, sono maledettamente agguerriti. Gli amatori di oggi si caratterizzano per una lucida passione. Se ogni collezione "vive di vita propria", se parliamo di una "entità mossa da forze oscure e inconoscibili" - ancora con Marco Belpoliti - i moderni amatori hanno imparato a guardare dentro queste forze, per renderle un po' meno oscure un po' più conoscibili. Gli amatori - oggi - vogliono capire tutto degli oggetti che acquistano, non solo su base stand-alone, ma soprattutto in rapporto al contributo che possono apportare alla loro collezione, nella consapevolezza che se l'inserimento dell'oggetto non aggiunge pregio, allora lo sottrae, un'eventualità da scongiurare nel modo più categorico. Non è mai stato facile vendere francobolli agli amatori, ma oggi lo è ancora di più, in confronto a una volta.
 
Non c'è da sorprendersi se in tanti - tra mercanti di lungo corso e nuove leve, case d'asta storiche e moderne - si rimpiangano "i bei tempi" andati. 
 
 
Tutte le cose della vita sono impastate di bene e di male, di elementi puri e impuri, anche se poi tendiamo a enfatizzare alcuni aspetti e metterne in sordina altri, sino talvolta a sovrascrivere gli eventi e a riscrivere i ricordi, nelle nostre rielaborazioni retrospettive, sulla scia di un'emotività mal controllata che confonde le misere rendite di posizione momentanee col duraturo benessere collettivo di lungo termine.
 
Nella filatelia di una volta c'era parecchia sporcizia, di cui c'è solo da rallegrarsi che la filatelia di oggi sia riuscita a liberarsi; e c'era pure un notevole incanto, uno splendore che può ancora offrire la più solida delle basi alla filatelia di domani.
 
Come ora andremo a vedere.

 

 

... e tutto il bello dei tempi andati (e di quelli a venire)    

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