FAI LA COSA GIUSTA!


Cos'è che può trasformare il collezionismo da un'attività espressiva e gratificante, con cui mostrare il meglio di sé, in una routine sfiancante e deprimente, buona solo a generare frustrazione?

Cos'è che ribalta la percezione del collezionismo, e più in generale che determina la natura di tutto ciò con cui entriamo in contatto, che colora il mondo intero a tinte ora sgargianti e ora cupe?

E' la motivazione, il perché lo facciamo.

E i motivi sottostanti alle nostre azioni - i nostri perché - sono fondamentalmente di due tipi: interni e esterni

Da un lato abbiamo la passione, la voglia di migliorarsi, di cimentarsi in sfide progressivamente più difficili. Sul versante opposto troviamo il denaro, gli applausi, i premi, i like, i follower.

E' una distinzione sottile - perché tra interiorità ed esteriorità si innescano complessi meccanismi circolari, di azione e retroazione - ma è una sottigliezza che cambia tutto: in una versione stiamo lottando per esprimere noi stessi, le nostre qualità, la nostra visione del mondo (e poi, sì, probabilmente arriveranno anche le gratificazioni materiali); nell'altra vogliamo assecondare direttamente una pletora di sollecitazioni esterne, anche quando non hanno una base solida nel nostro animo (illudendoci che il soddisfarle ci darà un benessere interiore).

E la motivazione (sbagliata) cambia tutto: perché un conto è manifestare il meglio di ciò che si ha dentro, per renderlo osservabile all'esterno; altro è proiettare la propria identità su obiettivi esterni, che alla lunga non potranno sostenerla.
 

Prologo: i bambini artisti

Nel 1973 un gruppo di psicologi condusse un esperimento su bambini in età pre-scolare.

Li osservarono per qualche tempo durante le attività libere, per individuare quelli che manifestavano un'attitudine al disegno. Li battezzarono i bambini artisti.

Divisero poi gli artisti in tre gruppi (A, B, C): al "gruppo A" prospettarono il riconoscimento di un premio (un bell'attestato sbrillucicoso che certificava la loro bravura) se i disegni lo avessero meritato; al "gruppo B" non dissero nulla, ma - a sorpresa - consegnarono lo stesso attestato quando si raggiungevano dei buoni risultati; al "gruppo C", infine, non dissero e non diedero nulla.

Tornarono a osservare i tre gruppi a distanza di tempo, e registrarono un fatto interessante: i bambini del "gruppo A" avevano perso lo smalto iniziale, il disegno - per loro - era diventato un impegno tendenzialmente faticoso, o meccanico e routinario, nella migliore delle eventualità; i bambini del "gruppo B" (e in parte anche quelli del "gruppo C") avevano invece accresciuto l'interesse verso il disegno e le capacità di realizzarlo al meglio.

Cos'era accaduto?

Il "gruppo A" aveva a tutti gli effetti modificato il proprio modo di vivere il disegno: era come se la visione originaria fosse stata inquinata dalla prospettiva di un premio, e l'iniziale motivazione interna (il piacere genuino del disegno) fosse slittata su una motivazione esterna (la conquista dell'attestato sbrillucicoso) da cui erano sorte nuove motivazioni interne, incapaci di sostenere la passione originaria.

E voi a quale dei tre gruppi sentite di appartenere?
 

Motivo sbagliato n. 1: il retropensiero del denaro

Tutte le esperienze della vita hanno un costo, un prezzo, che una volta sostenuto, una volta pagato, non può più essere recuperato o rimborsato.

Chi ama viaggiare - per dire - spenderà gran parte del suo denaro per visitare quanti più luoghi possibili, dai più canonici e convenzionali sino ai più insoliti e stravaganti. Ogni viaggio - se non sarà confuso con la semplice azione del partire - diventerà una collezione di esperienze, di avventure, di insegnamenti, che lo accompagnerà per tutta la vita, e lo emozionerà ogni qual volta sarà richiamato alla memoria. Ma in nessun caso potrà riavere indietro anche solo un centesimo del denaro speso, non può cioè stornare una quota dell'esperienza del viaggio e recuperare parte del costo sostenuto per realizzarlo.

E' così per i viaggi e per qualsiasi altro interesse - materiale, spirituale - che vi possa attrarre: avete vissuto l'esperienza, ma il denaro non lo riavrete più.

E' così per tutto... o quasi. Perché c'è un'eccezione: il collezionismo.

Non importa quale sia stata la vostra condotta in questo gioco avvincente, fascinoso e irripetibile; qualunque cosa abbiate fatto (dagli acquisti folli alle cosiddette pescate) e qualunque siano state le vostre prede (dai pezzi da favola sino a quelli da cestino) avete comunque tra le mani qualcosa che può essere rivenduto; vi siete divertiti per anni, per decenni, e ora avete la possibilità di rientrare di una parte delle spesa, senza dover restituire nulla delle emozioni che vi hanno accompagnato lungo la vostra avventura (che poi sono l'unica cosa che conta).

Questa certezza dovrebbe essere un balsamo per l'anima: mi divertirò da matti per una vita intera - perché "i collezionisti sono persone felici", ricorda Goethe - e alla fine avrò addirittura la possibilità di rientrare di una parte della spesa! 

Cosa importa - a questo punto - di quanto rientrerò? Che peso può mai avere la quota di recupero? La rilevanza è tutta e solo nel poter rientrare di una quota, qualunque essa sia, e non nell'entità della quota in sé, perché nessun’altra persona al mondo gode del privilegio di rientrare di una parte del denaro speso per hobby, passioni, svaghi, gioie e divertimenti.

E' una cosa auto-evidente, avrei voglia di dire banale, che persino un bambino di tre anni capirebbe senza sforzo.

Ma parecchi collezionisti non sono bambini di tre anni. Sono uomini maturi, calcolatori, sedicenti razionali, e così la prospettiva di rientrare di una quota della spesa, anziché tranquillizzarli, come dovrebbe, diventa un eccitante che ne altera lo stato d'animo sino a stravolgerlo, proprio come la prospettiva dell'attestato sbrillucicoso rovesciava la visione del disegno nei bambini del "gruppo A".

Riuscirò a rientrare almeno della metà della spesa? O dovrò accontentarmi a malapena di un 20%? E se non dovessi arrivare nemmeno al 10%? Per Antonello, quando ha venduto, è stato un bagno di sangue. La collezione di Cesare ha avuto invece un buon realizzo, tutto sommato, che però non gli ha consentito di riprendere il pagato. E poi ho sentito di un tal Fabiano, che da collezionista si è tramutato in una specie di commerciante, ora ha i suoi bei traffici e pare guadagni bene. Come posso fare per avere anch'io una collezione che tenga botta al momento della vendita? Forse non dovrei mai pagare più del 10% del catalogo, oppure mi converrebbe specializzarmi nelle pescate, o magari...

Questa è follia, seppure c'è del metodo, per dirlo con Shakespeare.

Pensieri e ragionamenti folli, seppur metodici, senza diritto di cittadinanza nella testa di un collezionista, improvvisamente ne monopolizzano lo stato d'animo e di conseguenza le azioni.

La motivazione interna, l'unica motivazione interna sensata (raccontare una storia attraverso i francobolli) slitta su una motivazione esterna (massimizzare la quota di spesa recuperabile al momento della vendita) e questa motivazione esterna crea delle nuove motivazioni interne (i miei francobolli non devono costare più di "tot" e simili) chiaramente non più in grado di sostenere la passione (il collezionismo).

La motivazione (sbagliata) ha cambiato tutto: il denaro, dal suo ruolo ancillare di mero vincolo all'acquisto, è diventato una funzione obiettivo surrettizia, e la collezione è ora stretta al suo giogo.

Ma un francobollo non dovrebbe mai attrarci perché costa poco, così come non dovrebbe essere sminuito perché costa troppo. Il denaro non può - non deve - influire sulla percezione dell'esemplare. Il denaro serve solo a fissare il fattore di scala della collezione. La sua funzione - esclusiva - è tracciare il confine tra ciò che siamo in condizione di acquistare e ciò a cui invece dobbiamo rinunciare. Ma all'interno delle cose raggiungibili, laddove possiamo arrivare, il denaro non ha più alcun ruolo, se non quello di mezzo per realizzare un certo acquisto, quando lo riconosciamo funzionale alla nostra collezione.

La collezione ha le sue ragioni, che la ragione del denaro non conosce, e se mischiamo le cose, se permettiamo al denaro di interferire nella logica di costruzione della collezione, se inquiniamo le ragioni della collezione con le ragioni del denaro, noi perderemo la passione... e anche il denaro.

Quindi, se pure fosse il denaro a interessarvi, comunque non è al denaro che dovete pensare. Ovvio, no?

Ragioniamo. Se pure vi interessa il denaro - io sconsiglio di pensarla così, perché non funziona così, e pensare così porta spesso al fallimento - ma se pure fosse, se pure siete tra quelli che si preoccupano del denaro, secondo voi chi ha più chance di rientrare di una quota maggiore della propria spesa? Chi è stanco, demotivato, angosciato dal prezzo di ogni acquisto, lacerato da improbabili calcoli di convenienza, o chi è appassionato, immerso nel suo mondo filatelico, pronto a rischiare su un certo pezzo perché consapevole di saperlo poi valorizzare al meglio con le sue conoscenze?

Se pure lo state facendo per il denaro, comunque non dovete farlo per il denaro, non dovete cioè mettere il denaro al centro dei vostri pensieri, anche se è solo del denaro che vi importa. Perché se inseguirete il denaro, perderete la passione, e senza passione vi sarà maledettamente difficile rientrare del denaro.

La passione deve rimanere al centro. E' la passione - e solo la passione - che vi porterà a contatto con tanti altri collezionisti, che in futuro saranno potenziali acquirenti, quando vorrete vendere, se nel frattempo avranno riconosciuto in voi un collezionista appassionato. E' solo la passione che si può trasmettere, da un collezionista a un altro, da voi a chi vi sta intorno, e che può indurre gli altri - per riflesso, per ricaduta - a sostenere delle spese di una certa entità per gli oggetti di cui voi siete ora in possesso. E' la passione, e solo la passione, che muove il sole e le altre stelle. La passione, non il denaro.

La passione genera entusiasmo, laddove il denaro crea diffidenza. L'entusiasmo invoglia a lanciarsi, a spendere, laddove la diffidenza suggerisce di trattenersi, di non rischiare. Perciò, se pure vi preoccupa il denaro, comunque non dovete preoccuparvi del denaro. Ovvio, no? 
 
 Il retropensiero del denaro accompagna da tempo il collezionismo filatelico,
e persino i mercanti migliori - come Giulio BolaffiRenato Mondolfo - 
non hanno mancato di alimentare equivoci e incomprensioni.
 In questo articolo d'epoca - "Il Collezionista" - Italia Filatelica n. 10, ottobre 1955 -
Giulio Bolaffi muove della delusione di chi "constata di aver male impiegato il proprio denaro",
osserva per altro verso che "le quotazioni sono in continuo aumento",
e crea così l'aspettativa di rientro del capitale, pur di "pagare 100 ciò che vale 100":
 quando "la stessa merce sarà aumentata notevolmente nel giro di pochi anni
sarà facile cederla al negoziante con un modesto sconto sul nuovo prezzo",
quindi "è sul prezzo della futura vendita che [il collezionista] guadagnerà",
e potrà allora "essere certo di aver ben impiegato i propri capitali".
Se pure le parole di Bolaffi fotografavano la realtà del suo tempo
- personalmente ne dubito e ci vedo parecchia propaganda -
resta il fatto che avverbi come "notevolmente" (riferiti agli aumenti di prezzo),
aggettivi come "modesto" (riferiti agli sconti in fase di vendita),
declinazioni verbali come "guadagnerà" (riferiti all'esito commerciale di una compravendita)
ed espressioni come "aver ben impiegato i propri capitali" (riferite alla filatelia in generale)
creano un abito mentale che nulla ha a che fare con l'indole del collezionista.
Fortunatamente, in mezzo a tante osservazioni inopportune e fuori posto,
messe lì per placare il grido "quando si compra si paga caro, quando si vende si realizza poco",
Giulio Bolaffi ricorda a più riprese le autentiche e sane spinte al collezionismo:
inviata a diffidare "di quel bagaglio di idee preconcette che il profano manifesta
soltanto perché le ha sentite esprimere a persone a lui vicine", che è un'allerta sempre valida;
ricorda - in generale - che "il collezionismo è nato per diletto dello spirito", e non per far soldi,
e "in tal senso va pure intesa la filatelia", se si vuole preservarne il significato
 di "divertimento" (formativo) e "mezzo di distrazione" (dalle incombenze quotidiane);
denuncia poi "l'incompetenza dei principianti", di chi agisce prima di aver imparato,
di chi si lancia "con foga giovanile e senza una adeguata preparazione"
in "acquisti disordinati che appagano momentaneamente i suoi entusiasmi";
e stigmatizza pure "l'erroneo indirizzo speculativo di alcuni compratori",
l'atteggiamento di chi "acquista francobolli purchessia preoccupandosi solo di ottenere prezzi bassi",
di chi persegue "quale massimo ideale la possibilità di procurarsi francobolli a prezzi bassissimi",
e di coloro "che vorrebbero imbattersi ogni mattino in uno straordinario affare filatelico".
Questo barcamenarsi tra argomenti di dubbia consistenza e altri sicuramente validi,
- il mostrare la filatelia più genuina, lasciandone però intravedere un lato finanziario -  
è in buona parte spiegabile con la natura stessa del commercio,
perché un mercante ritiene spesso di avere più occasioni di vendita, 
se farà passare l'idea di una filatelia capace di assicurare un rientro della spesa.
Ma il rientro della spesa ci sarà comunque
- anche se ovviamente solo parziale, anche se di molto inferiore al capitale -
e tanto deve bastare a chiunque voglia definirsi collezionista.
 

Motivo sbagliato n. 2: la medaglietta dorata

Le manifestazioni a concorso sono l'unica parte visibile di un mondo - il collezionismo filatelico - che in larga parte rimane nascosto, sommerso; e sono anche - se si vuole - la parte più evoluta e rigorosa, quindi uno straordinario veicolo promozionale per tutta la filatelia, per invogliare i semplici curiosi a intraprendere un percorso collezionistico e dare nuove idee a chi vi si trova già dentro. Lo stesso collezionista-espositore vede spesso nel suo operato un che di messianico: è convinto che la ragione storica sia dalla sua parte, che il suo sia un servizio culturale a beneficio di tutti coloro che vogliono o sono in grado di apprezzarlo.

Qui non ci interessano i meccanismi di funzionamento di un'esposizione; saranno più che sufficienti dei richiami sommari.

Una collezione "a concorso" è assoggettata a quattro aree di valutazione (conoscenza e ricerca, importanza e svolgimento del tema, condizione e rarità, presentazione) e a ogni area è attribuito un "tot" massimo di punti (rispettivamente 35, 30, 30, 5).

Una collezione arriverebbe quindi a totalizzare 100 punti, se raggiungesse il massimo in ogni area valutativa; possiamo anche dire che il giudizio sulla collezione è graduato su una scala che va da 0 a 100, con passo unitario.

L'osservazione del mondo espositivo ci restituisce alcune costanti.

Un collezionista preparato e appassionato - che vive seriamente la sua passione, che indirizza le emozioni verso le direzioni indicate dalla ragione, sempre pronto ad assecondare senza remore le necessità della collezione ogni qual volta se lo può permettere - un collezionista così, dunque, riuscirà con ogni probabilità a spuntare un punteggio in "area 80", tra 80 e 89. Parafrasando il personaggio di Ego, in "Ratatouille", non tutti possono arrivare in "area 80", ma una "area 80" può celarsi in chiunque.

Da "quota 90" in su le cose si fanno più complicate, diciamo pure tenebrose, oscure. Per rendere l'idea con l'immediatezza dei numeri, si può dire che è più facile balzare da un punteggio di 80 a uno di 89, che passare da 89 a 90 (e figurarsi cosa voglia dire passare da 90 a 91, da 91 a 92, e così fino a 97, che segna una sorta di limite invalicabile).

Questo dato è universale - il pur minimo miglioramento è maledettamente problematico, quando ci si trova già in un'area di eccellenza - e nel caso delle manifestazioni filateliche va incontro a una complicazione aggiuntiva. Non solo è straordinariamente complicato strappare un punto in più quando si veleggia su "quota 90", ma non è neppure chiaro cosa si debba fare - in concreto - per avere quel punto aggiuntivo tanto agognato. Tutto è avvolto in una nebbia fittissima, come insegna lo strano caso della Collezione "Naples".

L'unico atteggiamento sensato - quando si è circondati dall'incertezza - è raddoppiare la posta su ciò che è assolutamente certo, trarre il massimo conforto da ciò che sicuramente non ci rivelerà sorprese. E su cos'è che possiamo fare sempre affidamento? Su noi stessi, sulla nostra passione! "Ci tradisca la sorte, noi non ci tradiremo mai", diceva fieramente Re Ferdinando II di Borbone.

Se invece ci sganciamo dall'unico perno sicuro, se abbandoniamo la nostra passione per prevedere l'imprevedibile (sic!), per immaginare con quali logiche i giurati valuteranno la nostra collezione, e se quindi selezioniamo i pezzi in base alle nostre supposizioni sui loro giudizi, se iniziamo in definitiva a inseguire le ombre dei fantasmi, cosa volete che possa accadere?

La motivazione interna, l'unica motivazione interna sensata (raccontare una storia attraverso i francobolli) slitterà su una motivazione esterna (devo conseguire un punteggio più alto alla prossima manifestazione) e questa motivazione esterna creerà delle nuove motivazioni interne (devo soddisfare i giurati) non più in grado di sostenere la passione (il collezionismo).

La motivazione (sbagliata) cambia tutto: la medaglia d'oro non è più la conseguenza, il corollario del proprio collezionare, ma ne diventa il presupposto, la tesi da dimostrare, e la collezione è ora stretta al suo giogo.

Si viene così storditi da un incessante coro stonato di sirene malefiche, ognuna con una sua verità, di cui è vero anche il contrario. Mille e più voci gridano di tutto da ogni parte, ora suggeriscono e ora mettono in guardia, senza che via sia speranza di capir nulla di ciò che si sente, al punto da credere che la Torre di Babele sia realmente esistita, e questo ne sia il retaggio.

Il pezzo - ora - non deve più emozionare voi, ma impressionare i giurati, però almeno un po' dovrà pur piacervi, sennò diventa impossibile acquistarlo; un pensierino in fondo ce lo si potrebbe fare, se solo costasse un po' meno; però, appunto, deve scendere di prezzo, perché se con poco si possono far felici i giurati, allora il gioco vale la candela; e poi anche altri collezionisti vi hanno suggerito di comprarlo, e se invece altri ancora rimangono scettici, alla fine il pezzo non sembra malaccio; a dirla tutta non sapete bene in quale sezione dell'album collocarlo, e tuttavia uno spazio tra i quadri espositivi lo si trova sempre, e poi… e poi avanti così, a zig-zag, con passo zoppicante e sofferente, senza più sapere se quel francobollo piace a voi, ai giurati o a chi altro, se dovrebbe stare o no nella vostra collezione, e perché.

E tutto questo vaniloquio - esattamente - per cosa? Per avere l'attestato sbrillucicoso dei bambini del "gruppo A", per portarsi a casa una medaglietta dorata, per estorcere un punticino in più che alla fine neppure avrete, o peggio, che riuscirete a ottenere, e sarà il gas esilarante, anestetizzante, prima di morire sotto i ferri dell'esposizione successiva.

Parafrasando Gusteau, in "Ratatouille", tu sei un collezionista, e per di più un collezionista espositore, e un collezionista colleziona come un ladro ruba. Ma tu sei un collezionista, e non un ladro che vuole appropriarsi a ogni costo di una medaglia.

Il collezionismo di alto livello - come vuol esserlo quello espositivo - non è una cosa per pavidi. Bisogna avere immaginazione, essere temerari, tentare anche l'impossibile. Chiunque può collezionare, in molti possono esporre, ma solo gli intrepidi possono diventare dei grandi.


 
Tre grandi collezionisti espositori del passato, ognuno a suo modo,
sono qui a stimolare la consapevolezza nel nostro collezionare, qualunque sia la nostra indole:
Nino Aquila richiama la centralità della "fantasia" e della "cultura", nel processo collezionistico;
Imperato ricorda che la collezione bisogna farla "per gusto", per "ampliare la propria conoscenza"; 
Barcella mostra sì un timore verso l'opinione dei giurati, senza però rinunciare mai al suo stile.
 

Epilogo: fai la cosa giusta!

"Potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra".
 
Le parole di Winston Churchill - all'indomani della Conferenza di Monaco del 1938, quando Francia, Regno Unito e Italia acconsentirono all'annessione tedesca della Cecoslovacchia - sono un monito per tutti noi.
 
Spesso crediamo di avere delle alternative, di essere liberi di scegliere, e se pure la nostra scelta non fosse quella giusta, se pure dovessimo sbagliare qualcosa, pensiamo che dovremo solo accettare delle conseguenze subottimali, rispetto a ciò che poteva essere perfetto se solo avessimo deciso per il meglio.
 
Ma è un'illusione, perché sbagliare una scelta - fare la cosa sbagliata - il più delle volte non produce situazioni spiacevoli proporzionate all'entità dello sbaglio, ma conduce dritti alla rovina, alla catastrofe.
 
Pensavano di cavarsela sopportando alla meno peggio l'infamia del disonore, e invece, oltre al disonore, avranno pure la guerra, che per codardia volevano evitare, e a cui ora non sono preparati. Non sarebbe stato più logico attrezzarsi al meglio per la guerra, per quanto temuta, così da difendere il proprio onore e uscirne a testa alta, qualunque fosse poi stato l'esito? Non è forse nato così il mito della resistenza borbonica a Gaeta?
 
Gaeta non ci racconta semplicemente la storia di un perdente cronico controproposto a un esercito destinato a vincere. Gaeta parla di un uomo che sta sfidando sé stesso per essere più di quanto si fosse mai sognato di diventare. Gaeta non è una storia di vittorie o sconfitte. Gaeta parla di resistenza. Re Francesco II - per tutti Franceschiello, attorniato da figure equivoche, mediocri e profittatrici - trova la forza per affrontare un'impresa impossibile: tenere testa al Regno d'Italia, resistere a oltranza. Da Franceschiello a uomo col carisma per essere un Re, di là degli esiti.
 
E - specularmente - a che serve conquistare il mondo, se poi smarriamo noi stessi? Tutta la gloria e il denaro del mondo non potranno mai compensare la mancanza di un autentico sviluppo interiore, che solo il votare anima e corpo alla propria passione può garantire.

E una passione - ma davvero serve dirlo? - non è mai un sacrificio, non è qualcosa che si fa soffrendo in attesa di un successo futuro: se pensate che collezionare sia un "tener duro" in attesa di vincere una medaglia o guadagnare denaro, allora avete la dimostrazione esatta, precisa, che collezionare non è la vostra passione, perché state pensando in prospettiva futura, che va pure bene, per carità, ma non può essere ciò che accadrà o non accadrà in futuro a tenere in vita il presente. 

Una passione gratifica sé stessa: la gratificazione è nel processo - è l'azione stessa a rendervi felice, a farvi sentire vivi - e non in un ipotetico risultato finale che è e rimarrà aleatorio (e demandare la vostra felicità a eventi su cui non avete controllo è un atteggiamento - alla lettera - da malati di mente).

Nel collezionismo - come in tutte le cose della vita - voi potete sempre scegliere tra la vostra passione e tutto il resto, tra la felicità e il successo. Attenzione, però. Perché se sbagliate la scelta - se non fate la cosa giusta - non avrete né l'uno nell'altro.

Se inseguirete la felicità, potrete avere anche il successo, ma se inseguirete il successo, solo il successo, il successo a ogni costo, allora perderete tutto.

Se inseguirete la felicità, sarete felici, con ogni probabilità arriverà anche il successo, e semmai non arrivasse, sarebbe comunque una piccola cosa, una minuzia, una mancanza davvero di poco conto, rispetto alla grande conquista della felicità. 

Se invece inseguirete il successo, non avrete né il successo né la felicità, e se pure il successo dovesse arrivare, sarà comunque effimero, di breve respiro, destinato a spegnersi nell'infelicità, e infelici per infelici potete essere infelici comunque, con o senza successo.

Pensateci: quale mai sarebbe il senso del successo senza la felicità?

E' la felicità - guarda un po' - che vi rende felici, non il successo.

Rimanete voi stessi, seguite la vostra passione, fate la cosa giusta anche quando nessuno vi guarda, e sarete felici.

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