LA RARITA' DI UNA COLLEZIONE - I "Domini al di qua del Faro" di Pasquale Piccirillo

Non è la prima volta che recensisco una collezione di Antichi Stati, ma di fronte ai "Domini al di qua del Faro" - di Pasquale Piccirillo - avverto lo stupore di chi vede magistralmente attuata l'ambizione più nobile di un progetto collezionistico: creare un insieme irriducibile alla somma degli oggetti che lo compongono, renderlo una realtà unitaria non più scomponibile nei singoli pezzi, non già una collezione di rarità - come ve n'è più d'una - ma una collezione rara, il cui pregio scala una marcia rispetto all'elencazione delle rarità - pur notevoli - da cui è formata.
A stilizzare l'idea, a volerla inchiodare in una formula, si può dire che una collezione deve soddisfare la disequazione:

Gli aficionados del Blog avranno già afferrato il concetto, ma i lettori occasionali o di passaggio potrebbero avvertire un disorientamento, se non uno sconcerto, e magari - i più sensibili - una wonderful confusing.
Proviamo allora a far chiarezza attraverso il parallelo tra collezionismo e scrittura, con l'analisi testuale di una semplice frase (di un'ipotetico romanzo).
Mi sdraio sul prato del parco, l'erba mi solletica le braccia
Procediamo pezzo a pezzo (e parola per parola, se necessario).
"Mi sdraio sul prato del parco" è un'azione del personaggio, che lo localizza (in un parco) e lo rende visualizzabile al lettore (nell'atto dello sdraiarsi).
Troviamo poi "l'erba mi solletica le braccia", che è una percezione tattile (conseguente all'azione dello sdraiarsi sul prato) di agevole simulazione (a tutti sarà capitato di provarla almeno una volta).
Abbiamo dunque letto delle parole ("Mi sdraio sul prato del parco, l'erba mi solletica le braccia") e creato un breve film mentale (ci siamo immaginati un individuo che si sdraia sul prato e avverte un leggero solletico a seguito del contattato con l'erba) che è esattamente la risposta cerebrale alla lettura di narrativa: gli occhi vedono parole, il cervello le visualizza.
Qual è il punto rilevante? Che se il testo è scritto bene, allora il cervello visualizzerà qualcosa in più rispetto a ciò che si trova scritto nella pagina.
Se mi sdraio sul prato del parco, e l'erba mi solletica le braccia, allora sto sicuramente indossando una maglietta sbracciata (altrimenti la sensazione di solletico alle braccia non sarebbe possibile). Il testo rimane silente sull'abbigliamento del personaggio (e del resto sarebbe una pessima scelta stilistica mettersi a dettagliarlo) ma il lettore se ne forma comunque un'idea, inferendola anche solo inconsciamente dalla percezione fisica indotta dall'azione dello sdraiarsi.
Il testo - si dice in gergo - ha generato un sotto-testo, ha prodotto informazioni aggiuntive rispetto alle parole scritte sulla pagina.
E non è finita. Se mi sdraio sul prato, e l'erba mi solletica le braccia, perché sto indossando una maglietta sbracciata, allora con ogni probabilità è una bella giornata (di primavera o estate, perché è esperienza comune frequentare i parchi nella bella stagione).
Di nuovo: il testo non dice nulla sul periodo dell'anno in cui ci troviamo (e anche qui sarebbe una scelta suicida mettersi a descrivere le condizioni meteorologiche) ma la concatenazione di informazioni - esplicite e implicite - ne induce un'altra: è una bella giornata di primavera (o d'estate) e la "bella giornata" darà un setting a cui l'autore potrà poi agganciarsi per proseguire nella storia.
Per riassumere: il testo (erba che solletica le braccia) ha generato un sotto-testo (maglietta sbracciata); il sotto-testo (maglietta sbracciata) ha generato un altro sotto-testo (è primavera o estate) che alza la palla all'autore per il seguito della narrazione.
Qual è il punto rilevante? Che se il testo è scritto bene, allora il cervello visualizzerà qualcosa in più rispetto a ciò che si trova scritto nella pagina.
Se mi sdraio sul prato del parco, e l'erba mi solletica le braccia, allora sto sicuramente indossando una maglietta sbracciata (altrimenti la sensazione di solletico alle braccia non sarebbe possibile). Il testo rimane silente sull'abbigliamento del personaggio (e del resto sarebbe una pessima scelta stilistica mettersi a dettagliarlo) ma il lettore se ne forma comunque un'idea, inferendola anche solo inconsciamente dalla percezione fisica indotta dall'azione dello sdraiarsi.
Il testo - si dice in gergo - ha generato un sotto-testo, ha prodotto informazioni aggiuntive rispetto alle parole scritte sulla pagina.
E non è finita. Se mi sdraio sul prato, e l'erba mi solletica le braccia, perché sto indossando una maglietta sbracciata, allora con ogni probabilità è una bella giornata (di primavera o estate, perché è esperienza comune frequentare i parchi nella bella stagione).
Di nuovo: il testo non dice nulla sul periodo dell'anno in cui ci troviamo (e anche qui sarebbe una scelta suicida mettersi a descrivere le condizioni meteorologiche) ma la concatenazione di informazioni - esplicite e implicite - ne induce un'altra: è una bella giornata di primavera (o d'estate) e la "bella giornata" darà un setting a cui l'autore potrà poi agganciarsi per proseguire nella storia.
Per riassumere: il testo (erba che solletica le braccia) ha generato un sotto-testo (maglietta sbracciata); il sotto-testo (maglietta sbracciata) ha generato un altro sotto-testo (è primavera o estate) che alza la palla all'autore per il seguito della narrazione.
Si può definirlo principio di economicità dello stile: poche cose (ben scelte e ben scritte) per crearne tante altre (senza nominarle).
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Dalla "Lezione 24 - Uso e abuso degli aggettivi", di Giuseppe Pontiggia
(estratta dal libro "Per scrivere bene imparate a nuotare").
Raggiungere un rapporto equilibrato e funzionale tra fini e mezzi - tra l'effetto che si vuol ottenere e gli elementi e le costruzioni che si scelgono - è una sfida d'autore anche per il collezionista: una collezione deve dire di più di ciò che comunica la semplice elencazione delle sue componenti, il suo pregio sta nelle "reazioni chimiche" indotte dalla miscela dei singoli pezzi, le sole apprezzabili anche da uno spettatore generico, e al limite a digiuno di filatelia, ma ancora in grado di recepirle, purché sufficientemente intense.
Il punto di vista lo si ritrova nella tesi di dottorato di Alessandro Bruzzone, formulato con rigore accademico contrapponendo gli approcci "atomistico" e "olistico".


Dopodiché so bene che la sintesi di un concetto - per quanto ingegnosa e coadiuvata da analogie - non può di per sé restituirne il significato profondo, se le idee di base sono ancora nuove per chi legge o ascolta.
La comprensione autentica - reale, effettiva - è l'esito di svariati processi teorici - ordinamento, astrazione, schematizzazione, generalizzazione - instradati dal contatto diretto con gli oggetti specifici di cui il concetto generale si occupa, dal metodico esame dei singoli casi pratici in cui si materializza, ragion per cui - ad esempio - le cosiddette "definizioni" si scoprono pian piano nel corso dello studio e delle esperienze, e sarebbe quindi meglio collocarle a conclusione di un'opera (per suggellare lo sforzo d'esplorazione di un concetto in tutte le sue sfaccettature) piuttosto che all'inizio (quando ancora il lettore ne ignora la gran parte).
Sarà solo dopo aver visionato a più riprese i "Domini al di qua del Faro" di Piccirillo - nella versione iniziale, nella sua evoluzione, nelle varianti e nello stato dell'arte - solo quando la loro ripetuta osservazione avrà sensibilizzato l'animo sulle scelte di selezione e composizione, solo al raggiungimento di una stretta confidenza con ogni pagina - in definitiva - si potrà cogliere il senso di un discorso teorico, generale e unificante.
Non posso quindi che rimandarvi al sito:
per ammirare le collezioni e fare la conoscenza del personaggio che vi è dietro, dei suoi studi e dei riconoscimenti ricevuti (a livello nazionale e internazionale).

Il dottor Pasquale Piccirillo (alla vostra sinistra)
premiato da Bruno Crevato-Selvaggi (a destra),
Presidente della Federazione fra le Società Filateliche Italiane.
La carta d'identità di una collezione "a concorso" - esibita in pubblico, in contesti competitivi - è per consuetudine il suo track-record di punteggi, che per i "Domini" di Piccirillo ne rivela anche il genoma.
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"This is quite simply an oustanding exhibit of quite astonishingly rare material"
(Estratto dalla valutazione di una giuria internazionale)
Due fatti balzano all'occhio: i "Domini" sono una collezione giovane (la prima esposizione è del 2022) e tuttavia già segnata da punteggi d'eccezione ("87" all'esordio, per poi stabilizzarsi ben oltre la soglia psicologica dei "90").
Sono numeri oggettivamente anomali, che bruciano le tappe di un percorso di regola segnato da incomprimibili periodi d'incubazione, necessari per impostare la collezione, svilupparla e raffinarla, lungo un arco temporale che abbraccia almeno un'abbondante decina d'anni, e alla cui conclusione - nel migliore dei casi - ci si ritrova appena sopra i "90".
Come si spiegano allora la condivisione della tribuna d'onore con le più rinomate collezioni di lungo corso - scolpita nella sequenza "87"-"93"-"92"-"97"-"93"-"95"-95", da ultimo convalidata dal "96" di "Bergamofil 2025" - e le più alte aspettative in vista della mondiale di Boston del 2026?
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"Boston will be the world's center of philately for eight days in 2026,
as the twelfth international philatelic exhibition of the United States gathers
at the Boston Convention & Exhibition Center (BCEC).
To be held during Memorial Day week (May 23-30, 2026) in the Seaport section of the city,
Boston 2026 World Expo will be a significant part of the country's 250th anniversary festivities.
In a 352,000 square foot contiguous exhibition area, Boston 2026 will be hosting a large dealer bourse,
as well as a sizable postal administration bourse, and society presence.
There will be an FIP competitive exhibition of approximately 3,500 frames,
plus other special/court of honor exhibits, as well as a large FIP literature competition"
(Dal sito internet della manifestazione filatelitica "Boston 2026")
Volendo dare il flavor - un'introduzione, in poche istantanee - si può ragionare su l'alfa e l'omega di una costruzione che spazia "da Ferdinando II a Vittorio Emanuele II" (come recita il sottotitolo della collezione presentata a Birmingham).

La sezione dei francobolli borbonici - l'alfa - si apre con cinque documenti "primo giorno" (quattro con combinazioni uniche, tra cui il 50 grana appartenuto al Professor Imperato e al 17° posto delle "maggiori rarità" di Napoli) e si chiude con cinque lettere col 50 grana in affrancature multi-valore, che spaziano da 70 a 140 grana (a cui si è aggiunta di recente una sesta lettera, di pregio assoluto: l'affrancatura più elevata - 264 grana - per una corrispondenza partita dal Regno delle Due Sicilie e interna alla penisola italiana).







Dalle Province Napoletane - l'omega
- mi piace pizzicare tre pezzi: un triplo porto dei giornali, con la
pertinente e inusuale affrancatura di 1,5 tornesi (assolta attraverso un
esemplare da ½ grano e uno da ½ tornese) a cui sono ancora allegate
tutte e tre le copie; una delle tre lettere note con una coppia del 50
grana; l'errore di colore del ½ tornese (nero anziché verde, uno dei
cinque esemplari noti).



Nessuna collezione - in base alle migliori evidenze disponibili - ha mai mostrato così tanta magnificenza sul piano filatelico e storico-postale.
Ma paradossalmente si tratta solo di un'introduzione, di un campionario che restituisce la fragranza della collezione, senza renderle giustizia.
E' ciò che sta tra l'alfa e l'omega - tra Ferdinando e Vittorio Emanuele - a essere "simply astonishingly", per recuperare la meraviglia dei membri di una giuria: è la sezione della Dittatura di Garibaldi e della Luogotenenza di Farini - il corpus formato con le "sorelle azzurre", la "Trinacria" e la "Crocetta" - a lasciare estasiati per struttura e composizione, per il far emergere delle proprietà globali che oltrepassano le caratteristiche locali dei singoli esemplari.
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Muovo ancora una volta da un dato numerico, giusto per dare un riferimento certo: 58 "Trinacrie" (di cui 5 nuove e 10 su giornale o circolare, tra cui una "primo giorno") e 126 "Crocette" (con gran varietà tra multipli - sciolti e su documenti - e affrancature miste con i valori borbonici e delle Province Napoletane).
Già in passato diverse collezioni hanno mostrato "Trinacrie" e "Croci" in abbondanza - nel 1911, all'Esposizione di Vienna, Achilitto Chiesa esibì 2 "Trinacrie" nuove e 30 usate, 10 "Croci" nuove e 104 usate; nella Collezione Tapling vi erano 18 "Croci" nuove e 104 usate; la "Mormino" contava 25 "Trinacrie" e 41 "Croci" - ma ogni volta si trattava di puro esibizionismo, di mera ostentazione, di semplici e per molti versi barocche sequenze di pezzi, che per quanto economicamente costose, rimanevano prive di logica o direttiva, di un itinerario culturale, o anche solo di una liaison o un fil rouge.
Col dottor Piccirillo siamo al cospetto di tutt'altro genere di insieme, la differenza tra il dottor Piccirillo e i suoi predecessori (amanti di "Trinacrie" e "Croci") è primariamente qualitativa, anche perché beneficia del balzo di conoscenza realizzato nel frattempo.
Dal 2008, a seguito del lavoro di De Angelis e Pecchi, è nota la tavola della "Croce di Savoia", e per estensione lo è diventata quella della "Trinacria", cosicché ne è oggi possibile il "plattaggio", la riconduzione di ogni esemplare esistente alla posizione occupata sul foglio al momento della stampa.
"Plattare" può ridursi a un esercizio isolato - si ha un pezzo sotto mano e se ne individua il posizionamento - oppure può diventare un gioco raffinato, da intenditori - il "puzzle dei filatelici", mi piace dire - quando si recupera almeno un pezzo per ogni posizione, così da ricostruire l'intera tavola. E chiunque - presumo - coglie all'istante lo sbalzo dimensionale tra le due situazioni, lo slittamento dalla dama agli scacchi, se occorre un'immagine che tolga ogni incertezza.
Quel che il dottor Piccirillo sta realizzando - che per gran parte ha già conseguito - è un obiettivo che nessuno aveva mai avuto l'ardire di immaginare, se si vuole perché mancava una base documentale esaustiva, ma che anche dopo, quando la composizione della tavola è divenuta nota, nessuno si è mai spinto neppure ad abbozzare, paralizzato dall'estrema difficoltà fattuale nel portare l'intenzione a compimento.

Dal foglio 96 dei "Domini" presentati a "Bergamofil 2025".

La tavola della "Croce di Savoia" pressoché interamente ricostruita dal dottor Piccirillo,
come mostrata alla manifestazione South African Virtual Philatelic Exhibition 2025
(è stata da ultimo riempita anche la posizione 50, in occasione di "Bergamofil 2025").
La spettacolarità di Pasquale Piccirillo sta anzitutto nell'audacia della sua visione collezionista - sinora inedita - e nell'averla poi tradotta in azioni sul campo, nell'aver saputo "trasformare sogni e progetti in reale possesso", per dirlo con le parole di Alberto Bolaffi nel presentare la "Pedemonte", che ben restituiscono tutta la distanza tra ciò che s'immagina e la sua messa a terra, di riflesso le difficoltà nel
colmarla, e in definitiva il merito nel riuscirci (ben oltre la mera disponibilità economica, che rimane condizione necessaria ma largamente insufficiente per l'attuazione di un progetto valido, come già argomentato presentando il "Risorgimento" di Bernardo Naddei).


La compattezza delle sezioni della "Trinacria" e della "Croce"
ne ha permesso uno spin off, con la creazione di due sotto-collezioni autonome, esposte rispettivamente nel 2024 e nel 2025 alla South African Virtual Philatelic Exhibition,
a cui è stato assegnato un punteggio di 97 e 95 (su 100).
E la ricostruzione delle tavole di "Trinacria" e "Croce" finisce qui col superare addirittura sé stessa, con lo spostarsi su una dimensione ancora più elevata, perché realizzata anche con un mix ragionato di esemplari nuovi e usati, su frammenti, giornali e circolari, con multipli e affrancature miste, che dà risalto sia allo spettro degli usi postali (oltre lo standard del porto dei giornali) che alle caratteristiche della tavola e delle stampe (struttura della filigrana, varietà d'incisione, tipo di carta, decalchi) mostrando con naturalezza le "personal research" del collezionista.











La "Trinacria" e la "Croce" non sono rarità filateliche - in generale, se prese singolarmente - non almeno nel senso rigoroso del termine, pur rimanendo due francobolli pregiati e fascinosi - "considerati in tutto il mondo tra i più classici e interessanti", si legge nel Sassone - che si offrono spontaneamente alle ambizioni di un collezionista evoluto, in grado di coglierne l'immenso potenziale narrativo, di recepirne i messaggi e rielaborarli a suo modo, con stile personale.
Il dottor Piccirillo si è dunque collocato sullo sfondo di un'ambientazione storica tra le più suggestive, per poi selezionare dei pezzi di sicura rarità (filatelica e storico-postale) all'interno di un processo di scelta in cui ogni oggetto entra come entità singola, con
le proprie caratteristiche, ma ne esce come parte di un aggregato
in cui l'individualità è al servizio di un obiettivo superiore.
Quel che ne viene fuori è una collezione la cui rarità non è solo nei singoli pezzi, ma in più larga e decisiva misura in una mescolanza complessa e al contempo familiare, com'è tipico delle strutture altamente interconnesse e per ciò massimamente trasparenti e chiare nel comunicare i propri messaggi.
Nei "Domini al di qua del Faro", di Pasquale Piccirillo, i francobolli di Napoli smettono di essere delle cose tra le cose, per diventare il risultato di un pensiero grandioso e lungimirante: i "Domini" di Piccirillo ci
invitano a vedere la collezione non più come un insieme di oggetti tenuti insieme da una qualche relazione esogena, ma come una rete di relazioni di cui gli oggetti sono i nodi, perché nei "Domini" sono le relazioni a dare significato e scopo agli oggetti che li compongono, con quella raffinatezza tipica di chi sa come trasformare la propria collezione in un'opera d'arte.
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