NOBILTA' NAPOLETANA (DECADUTA) - Splendori e miserie del 50 grana
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La corrispondenza tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio poteva seguire tre modalità:
lettere franche sino a destinazione;
lettere franche sino al porto di Civitavecchia ("vie di mare");
lettere franche sino al confine e tassate per la percorrenza dello Stato Pontificio.
Sono note due affrancatura di 60 grana per Civitavecchia
- assolte con la combinazione tra un 50 grana e un 10 grana -
a copertura della tariffa per un peso tra 1,25 e 1,50 once (da 32,5 a 39 grammi)
e tassate per 48 bajoicchi come previsto per un peso tra i 37,5 e i 45 grammi.
La lettera qui riprodotta è la migliore, ed è una delle più belle col 50 grana.
Il Catalogo Sassone ci informa dell'esistenza di "circa 100 lettere" col 50 grana napoletano dell'emissione del 1858.
L'Ingegner Mentaschi ne ha inventariate 85, classificandole per aree geografiche di provenienza e destinazione.
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Estratto dall'articolo "Uso postale del 50 grana del Regno di Napoli", di Mario Mentaschi,
pubblicato sul "Vaccari Magazine" n. 14, anno 1995, pagine 108-115.
Il mio personale e più modesto censimento - inclusivo di frontespizi e grandi frammenti - è arrivato a contare sinora 96 pezzi.
Parlare del 50 grana su lettera - numeri alla mano - significa dunque parlare di un oggetto filatelico con una disponibilità contenuta (requisito 1 di una rarità) di gran lunga inferiore al 3 lire di Toscana (di cui sono noti 230 esemplari usati) sebbene la sua quotazione sia inferiore di 3,5 volte (a convalidare l'importanza della desiderabilità, del requisito 2).
Di sicuro è un oggetto che si prende la scena tra le "maggiori rarità" del Regno di Napoli: compare 11 volte nell'elenco di 20 pezzi stilato dalla Sassone, e ne monopolizza la top five.
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Il 50 grana su lettera è al centro di uno studio del dottor Francesco Melone (collezionista ben noto al grande pubblico per la sua splendida "Naples").
"Sto elaborando da tempo - e spero di pubblicare appena possibile - un lavoro di valutazione e congruità tariffaria delle lettere affrancate con il 50 grana del Regno di Napoli.
Non sempre, infatti, risultano attendibili le valutazioni e le descrizioni di tali documenti da parte delle case d'asta, che spesso li presentano in modo generico, potendo trarre in inganno un acquirente incauto, così come rimangono dubbie le interpretazioni di alcuni studiosi, pur autorevoli, quando affermano la presenza di manipolazioni da ritenersi come le uniche giustificazioni possibili e sufficienti a motivare il loro giudizio.
Con questo lavoro voglio quindi fornire degli utili elementi di riflessione a collezionisti e studiosi, prima di procedere a un acquisto o a una valutazione di affrancature così importanti, verificandone - in particolare - la coerenza con la tariffa vigente".
Rispetto a un obiettivo così ambizioso - che mi auguro sia finalizzato a breve, a beneficio dell''intera comunità filatelica - mi limito qui a una narrazione più circoscritta e modesta, che spero possa offrire comunque degli spunti di riflessione (in fatto di rarità e non solo) per trarne qualche avvertenza e un minimo precauzioni.


Le due lettere più importanti del Regno di Napoli.
Entrambe passarono per le mani di Renato Mondolfo,
e la vulgata tramanda la sua risposta sprezzante
a chi si permetteva di contestargli la presenza di alcuni difetti:
"tu, di filatelia, non capisci proprio un bel niente!".
Apro le danze con un richiamo al conflitto tra rarità e qualità, che trova una declinazione densa di significati proprio nelle lettere col 50 grana napoletano.
Ne esistono un centinaio, d'accordo, ma quante ce ne sono in uno stato qualitativo presentabile?





Un campionario standard di lettere col 50 grana.
Ve lo dico io: poche, le lettere col 50 grana di qualità accettabile sono poche, davvero molto poche.
Non mi sbilancio a dichiarare un numero preciso, ché qui ci interessano gli ordini di grandezza, perciò mi limito a una stima di massima: a fronte di circa cento lettere ce ne saranno una decina (o poco più) in uno stato di conservazione almeno accettabile, per un collezionista esigente.
Ne abbiamo conferma indiretta nell'esiguità della loro presenza nelle grandi collezioni (del passato e del presente) da cui ho escluso quelle di Saverio Imperato (che non poneva vincoli sulla qualità) e Pasquale Piccirillo (i cui "Domini al di qua del Faro" obbediscono a una logica peculiare).

I numeri sono eloquenti: la cosiddetta unità marginale - la difficoltà di inserimento in collezione della lettera n+1, quando se ne possiedono già n - non è lineare ma
esponenziale: se averne 1 è difficile, possederne 2 non è doppiamente
difficile bensì maledettamente più difficile, metterne 3 è quasi
impossibile, e nessuno è mai andato oltre 4.
L'esemplare nobile dell'emissione del 1858 si fa dunque desiderare, quando il proprio filtro selettivo ha raggiunto un minimo di raffinatezza, e piazzare in collezione anche solo un bel 50 grana su lettera diventa un obiettivo sfidante, per un collezionista evoluto.
Se si escludono le due lettere più importanti del Regno di Napoli - le due "maggiori rarità", secondo il Sassone, che non fanno testo proprio perché situate nell'olimpo filatelico - tutto il resto obbliga a mediazioni complesse, tra rarità, qualità e richieste economiche, per stabilire se l'oggetto possa entrare nel cerchio magico della collezione o se ne debba invece rimanere fuori.
E poi, come se le difficoltà strutturali non fossero già gravose, ci si mette pure il fuoco amico...

Giovedì 16 gennaio 1964 - presso la sede della Robson Lowe, al mitico indirizzo 50 Pall Mall di Londra - va in
scena un'asta filatelica destinata a segnare la storia, come s'intuisce già dalla copertina del catalogo.

Il 3 lire Farouk sulla copertina del catalogo "ITALIAN STATES and ITALY" della Robson Lowe.
Quel 16 gennaio, a Londra, erano presenti tutti i
nomi di spicco della filatelia italiana (e non solo) e fortuna vuole che la copia
del catalogo ora nelle mie mani si trovava allora nelle mani di
un commerciante che segnava i realizzi di ogni lotto e - per i più rilevanti - anche il nome di chi se lo era aggiudicato.


Sfoglia una pagina, sfogliane un'altra, arriviamo al lotto 1164, una lettera di Napoli, assicurata, affrancata per 55 grana a mezzo di un 50 grana e un 5 grana, con una inusuale destinazione verso le province del Regno (laddove le spedizioni col 50 grana erano di regola dirette all'estero, doppi porti per Madrid o Parigi).

Fermiamoci un istante e zoomiamo sulla descrizione, corredandola con l'immagine a colori (parziale) riportata nella quarta di copertina del catalogo.


Abbiamo il realizzo riquadrato in nero, poi una stima in rosso (a conclusione della descrizione del lotto, con ogni probabilità rappresentativa del prezzo massimo che chi aveva in mano il catalogo
era disposto a pagare) e non compare il nome dell'aggiudicatario.
Rimane solo da fare 2+2: il commerciante era pronto a sborsare una somma tra 900 e 1.000,
il lotto andò via a 550, e quindi se l'aggiudicò lui, il
commerciante con in mano il catalogo, che perciò non scrisse alcun nome, ma semplicemente riquadrò in nero il realizzo per rimarcare l'acquisita proprietà (come si vede con altri due pezzi nella stessa pagina).
Ma chi era questo commerciante? Nessuno può dirlo con certezza, però...
Ma chi era questo commerciante? Nessuno può dirlo con certezza, però...


Ueilà! Ritroviamo la nostra lettera nel catalogo d'asta della Collezione "Pedemonte" (anno 1991) e quindi trent'anni - con ogni probabilità - se l'era
aggiudicata Giulio Bolaffi, per poi trasferirla a quel collezionista - Ercole Lanfranchi "che dall'esistenza sapeva cogliere tutto quanto era bello e vitale", come lo ricordava Alberto Bolaffi nel presentare la vendita.
Alla lettera fu riservato un posto (a pagina 39) nel volumetto "Capolavori Filatelici della Collezione Pedemonte" (uno spin-off del catalogo principale, con i pezzi più pregiati riprodotti a colori) e la contesa al martelletto portò a un realizzo superiore a 17 milioni di lire (inclusivi delle commissioni).


Passano altri trent'anni, e nel
2021 la lettera torna in asta, ancora da Bolaffi,
nella prima tornata del ciclo di vendite dedicato alla dispersione delle collezioni del Professor Saverio Imperato, spuntando un realizzo di 8.000 euro (da maggiorare per il 22% di commissioni) dopo una competizione in sala piuttosto accesa (3.500 euro, la base).


Nella più recente riproduzione fotografica si coglie chiaramente ciò che già s'intravedeva nell'immagine sulla quarta di copertina del catalogo della Robson Lowe: un po' di "sporcizia" depositata sul 50 grana, peraltro irrilevante nell'apprezzamento complessivo dell'oggetto (come testimonia il realizzo finale) tenuto conto della fisiologia del fenomeno per i francobolli napoletani.

Le zone di accumulo di sporcizia sul 50 grana.
C'è una stima euristica che circola nell'ambiente filatelico: un oggetto di pregio - per rarità o qualità - appare sul mercato, in media, una volta ogni 25-30 anni; e la nostra lettera col 50 grana è lì a convalidare la ragionevolezza della previsione (la si è vista la prima volta nel 1961, poi nel 1991, e a seguire nel 2021: 1 volta ogni 30 anni).
C'era quindi da attendersi di rivederla nel 2050, o giù di lì, ma la stima è appunto una stima, un'aspettativa, una media generale, una ponderazione tra la possibilità di rivedere l'oggetto l'anno dopo e la eventualità di non rivederlo mai più.
Cosa succede al singolo pezzo, però, rimane un'alea imprevedibile, e così ecco riapparire la lettera neanche cinque anni dopo, nel 2025, sempre da Bolaffi, ma in uno stato di conservazione radicalmente diverso - con una "sporcizia" ora largamente diffusa - andando via alla base.



I due stati di conservazione a confronto:
nel 2021 (sopra) e nel 2025 (sotto).
Cos'è accaduto?
Nessuno può dirlo con certezza - se non chi se l'è aggiudicato nel 2021 - ma l'occasione si presta a un discorso generale sui rischi di conservazione (e manipolazione) delle rarità filateliche (del Regno di Napoli).
Le prime tirature dei francobolli napoletani del 1858 - così come alcuni falsi d'epoca delle Province, alcuni francobolli siciliani e pure della III e IV emissione dello Stato Pontificio - tendono fisiologicamente a scurirsi, se tenuti in taschine plastificate. Sorvoliamo senz'altro sui tecnicismi del processo chimico-fisico con cui si realizza la variazione di colore (in ragione del particolare artigianato di produzione dei francobolli) per limitarci a registrare la sua potenziale rapidità, quando le condizioni di conservazione si allontanano dallo stato ottimale.

"Mi è capitato di esporre alcuni fogli con francobolli e lettere di Napoli,
compreso alcuni falsi per posta, ad un convegno locale.
Erano montati su pagine collocate in fogli protettivi trasparenti di una nota azienda
(che li chiamava "fogli-riparo", anche se non ho capito da cosa
dovevano riparare).
Terminata la manifestazione, lasciati nei
fogli-riparo,
li avevo collocati in un normale raccoglitore ad anelli, in attesa di risistemarli in collezione.
Ma dopo circa un mese tutti i pezzi si erano ossidati, dal ½ grano al 50 grana ai i falsi"
(Pietro Borzillo)
Il fenomeno è noto sin dagli albori della filatelia, e sin dal principio si è trovata una via per rimediarvi, o almeno così si racconta.
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Estratto da "Memorie di un vecchio commerciante di francobolli", di Romolo Mezzadri.
La chimica ha però i suoi misteri, e talvolta l'opera di pulizia produce degli indesiderati "effetti di ritorno", con la sporcizia che ricompare ancora più intensa e diffusa, proprio a causa dalle sostanze usate per eliminarla (per la serie: "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma").
A intuito, a buon senso, sembra in effetti ben strano che il colore del 50 grana abbia potuto virare così intensamente in soli quattro anni (a meno del caso estremo di conservazione in una custodia plastificata, magari essa stessa collocata in una cassaforte). Viene piuttosto da pensare - da congetturare - a un tentativo di ripulitura sul pezzo originario, forse realizzato dopo l'asta del 2021, che ha in seguito mostrato i suoi effetti di più lungo termine, portando la lettera nello stato in cui la osserviamo oggi.
Come se non bastasse, poi, il mondo della filatelia viaggia spesso sulle incerte maree di entusiasmi e depressioni, si eccita senza motivo e senza motivo sparge panico, e talvolta certi pezzi subiscono lo stesso destino del Renzo manzoniano, alla ricerca di Lucia in una Milano infestata dalla peste, e scambiato per un untore da una vecchia che gli richiama contro una folla
inferocita.


Da "I Promessi Sposi", di Alessandro Manzoni.
Accade così che in alcuni consessi filatelici virtuali - quei luoghi che in Sicilia si chiamerebbero curtigghi - s'inizino a sollevare dubbi sulla stessa genuinità della lettera - su una possibile collocazione fittizia del 50 grana - senza peraltro averla mai avuta in mano, basandosi solo sui "si dice", i "mi sembra", "chi l'ha vista ha detto che...", conditi con le immancabili analisi computerizzate, spacciate per verdetti inappellabili, e questionando persino sulla congruità della tariffa.
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Con
buona pace di Robson Lowe, Alberto ed Enzo Diena, Giulio Bolaffi,
Ercole Lanfranchi,
Giovanni Chiavarello, Saverio Imperato, e da ultimo
Casa Bolaffi di oggi
e gli acquirenti del 2021 e del 2025, che la
lettera l'hanno vista dal vivo...
Fortuna vuole che si disponga della lucida analisi del dottor Melone, nel lavoro sulle affrancature col 50 grana, da cui stralcio la pagina corrispondente (che chiarisce l'evoluzione della situazione tariffaria, e in particolare la cessazione nel febbraio del 1861 delle originarie disposizioni borboniche).

Estratto dal volume del dottor Melone sul 50 grana di Napoli, in corso di pubblicazione.
Non è la prima volta che una "grande" lettera di Napoli va incontro a un grave scadimento estetico.
Il caso più noto è l'affrancatura di 175 grana (assolta con una striscia verticale di tre del 50 grana, un falso da 20 grana e un 5 grana) comparsa nel 2009 nell'asta della Collezione "Luxus" in una condizione ben diversa (interamente ossidata) rispetto alle riproduzioni storiche.
La lettera come appariva nelle riproduzioni storiche (sopra)
e come si presentava nel catalogo della "Luxus" (sotto).
Pur con le incertezze delle scansioni, si ha la sensazione di alcuni interventi di "smacchiatura" (in alto a sinistra, in una zona che lambisce la striscia, e poi al centro-destra in corrispondenza di un'ossidazione fungina) oltre a una restaurazione degli angoli (in alto e in basso, a destra, forse anche per "stirare" una lieve piega); il colore dei francobolli potrebbe pertanto aver risentito pure delle operazioni di manipolazione, in relazione ai reagenti utilizzati.
E qui si pone un tema generale, tra i più delicati dell'intero collezionismo filatelico: come regolarsi con gli inevitabili effetti del tempo, quale atteggiamento tenere di fronte al time decay, con quale sensibilità valutarlo?
Di quando in quando può accadere di mettere in collezione degli oggetti in uno stato di conservazione irreale (come se dal momento della loro produzione, e sino a oggi, siano stati conservati dentro un pergamino, al riparo da ogni intemperia) e, sì, ci piacerebbe che tutta la nostra collezione fosse formata da oggetti simili.
Ma ovviamente non è così, non può essere così. E però - spesso - si vuole lo stesso che sia così, anche se non può esserlo; e allora si inizia a lavorare di pennello, acqua ossigenata e ferro da stiro, per togliere quelle "impurità" che in realtà impurità non sono, ma che vengono infantilmente percepite come tali; col rischio - a volte - di combinare danni incommensurabilmente più grandi dei piccoli, presunti, fastidi che si volevano eliminare.
Questo non è amore per la qualità, ma solo un distillato d'idiozia, tanto più grave quanto più insiste su pezzi importanti.
Di quando in quando può accadere di mettere in collezione degli oggetti in uno stato di conservazione irreale (come se dal momento della loro produzione, e sino a oggi, siano stati conservati dentro un pergamino, al riparo da ogni intemperia) e, sì, ci piacerebbe che tutta la nostra collezione fosse formata da oggetti simili.
Ma ovviamente non è così, non può essere così. E però - spesso - si vuole lo stesso che sia così, anche se non può esserlo; e allora si inizia a lavorare di pennello, acqua ossigenata e ferro da stiro, per togliere quelle "impurità" che in realtà impurità non sono, ma che vengono infantilmente percepite come tali; col rischio - a volte - di combinare danni incommensurabilmente più grandi dei piccoli, presunti, fastidi che si volevano eliminare.
Questo non è amore per la qualità, ma solo un distillato d'idiozia, tanto più grave quanto più insiste su pezzi importanti.
Estratto da "Il possesso della bellezza", di Alessandra e Francesca Molfino.
Il degrado dei documenti col 50 grana sembra purtroppo un fenomeno diffuso.
Il processo di ossidazione è anche qui piuttosto evidente - pure al netto della diversa luminosità delle riproduzioni - e non serve più spendere tante altre parole.
E' invece interessante rimarcare l'importanza di leggere ogni giudizio in relazione al contesto in cui viene formulato: tutto può essere giusto, se riportato alle condizioni in cui avveniva, come la perizia filatelica del 1974 della lettera in discorso, che qualificava gli esemplari "assai ben conservati anche nel colore".

Ma l'ossidazione è solo una delle intemperie a cui i documenti postali sono esposti, sebbene nel caso dei "Napoli" rimanga la più frequente.
Alla fine stiamo pur sempre parlando di oggetti di carta, uno dei supporti materiali più fragili, altamente sensibile non solo alle condizioni generali di conservazione, ma anche ai modi con cui se ne entra in contatto, talvolta troppo easy rispetto alla delicatezza necessaria.
La Tavola 32 del catalogo-collezione "Scilla e Cariddi" accoglieva una lettera attualmente collocata dal Sassone tra le "maggiori rarità del Regno di Napoli" (all'ottavo posto) e che ritengo pedagogica, utile a dare il senso della misura nel regolare il complesso bilanciamento tra ciò che si può perdere in qualità in nome della rarità.

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La lettera s'inabissa per una trentina d'anni, dopo aver abbandonato "Scilla e Cariddi".
Ricompare nel 2018, prima da Anonima Francobolli, e poi dall'affiliata austriaca Viennafil, che le mette sulla copertina di un catalogo d'asta dedicato alle Due Sicilie; e in entrambe le vetrine - Anonima Francobolli e Viennafil - la lettera è proposta "a trattativa privata" (senza dichiarare pubblicamente la richiesta economica).
Da ultimo è apparsa a inizio 2025 alla Art-Rite, nell'ambito della dispersione della Collezione Cuneo (curata in sociale con la AG di Firenze) e stavolta si è potuto registrare anche il controvalore monetario della transazione.
Ricompare nel 2018, prima da Anonima Francobolli, e poi dall'affiliata austriaca Viennafil, che le mette sulla copertina di un catalogo d'asta dedicato alle Due Sicilie; e in entrambe le vetrine - Anonima Francobolli e Viennafil - la lettera è proposta "a trattativa privata" (senza dichiarare pubblicamente la richiesta economica).
Da ultimo è apparsa a inizio 2025 alla Art-Rite, nell'ambito della dispersione della Collezione Cuneo (curata in sociale con la AG di Firenze) e stavolta si è potuto registrare anche il controvalore monetario della transazione.


Il realizzo è un gran bel segno di vitalità per la nostra filatelia classica, ed è tanto più pesante se si tiene conto che almeno un 50 grana si è in parte rovinato (e segni di degrado si scorgono anche sull'esemplare adiacente) rispetto allo stato in cui lo si conosceva.

I 50 grana riprodotti in "Scilla e Cariddi" (sopra)
e come apparivano nelle vendite più recenti (sotto).
L'osservatorio sulle lettere col 50 grana dà conto pure del fenomeno inverso, di lettere per così dire "rovinate all'origine" (a causa di una sensibilità ancora primitiva) e "riparate in seguito" (per restituirgli una parvenza di presentabilità).

si poteva talvolta entrare in possesso di documenti postali per vie non proprio ortodosse,
ad esempio sottraendole dagli archivi di appartenenza, senza dir nulla ai destinatari-proprietari.
Per non lasciare traccia della provenienza si abradeva quindi l'indirizzo, oppure lo si strappava.
E' proprio ciò che accadde a questa lettera da Napoli per Marsiglia, del 27 novembre 1860,
affrancata per 55 grana (per mezzo di un 50 grana, una coppia del 2 grana, e un pezzo da 1 grano)
che si è storicamente presentata sul mercato senza il nominativo del destinatario,
poi ripristinato in tempi relativamente recenti, attraverso un'opera di restauro.
Sono però troppo innamorato dei francobolli borbonici, per chiudere su una nota di tristezza o malinconia.
E se Enzo Diena - nella prefazione a "Scilla e Cariddi" - ne documentava "una certa rozzezza di esecuzione" e "un' ancor più accentuata sciatteria nell'impiego", è anche vero che laddove i francobolli borbonici riuscirono a regola d'arte, e furono usati con un minimo d'accortezza, ne vennero fuori oggetti meravigliosi, piccole, grandi rarità napoletane.
Come questa, ad esempio.

Sperando - s'intende - che sia rimasta così...
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