8 ANNI PER UN 9 CRAZIE


Quel che vedete è una piccola, grande rarità della filatelia toscana: "piccola", perché il suo maggior pregio sta in un dettaglio tecnico - peraltro ben visibile - che solo i cultori dei "Marzocchi" possono apprezzare in tutti i suoi significati; ma è anche "grande", perché rappresenta un unicum nella nicchia di riferimento.

Tiziano Nocentini ne è il fortunato possessore, e sito "Il Postalista" ha ospitato un suo articolo in cui - oltre a descriverne le caratteristiche formali, con apprezzabile analiticità - ricostruisce anche la lunga e travagliata vicenda della sua acquisizione.

E' una pagina istruttiva di filatelia, a un tempo bella e problematica, che racconta - con le parole di chi l'ha scritta - un "percorso di conoscenza dei francobolli toscani" lungo una "storia durata otto anni", da cui voglio pizzicare alcuni passaggi per fare cultura filatelica (e non solo), per dare alcune indicazioni (collezionistiche), per suggerire qualche diffidenza e qualche precauzione (contro le anomalie del commercio).


Angolo di foglio con riga di composizione completa

Francobollo toscano granducale da 9 crazie,
- usato, su piccolo frammento, annullato "a mostaccioli" -
di colore viola bruno scurissimo (cosiddetto "prugna" ) su carta azzurrata.
Angolo di foglio superiore destro, con riga di composizione superiore perfettamente visibile. 

Non serve essere un amante dei "Marzocchi", per accorgersi di una riga di colore ben marcata sul margine superiore del francobollo.

Cos'è questa riga? Come si è generata? Quanto è frequente riscontrarla?

Lascio rispondere Nocentini, non avendo la presunzione di poterlo spiegare meglio.

"[Q]uesta riga extra risulta dall'impronta lasciata dal listello di metallo posto all'esterno della composizione degli stereotipi, con la funzione di mantenere sollevata la carta laddove non si trovava un ulteriore cliché, in modo da non creare effetti sgradevoli nella stampa risultante.

Sotto la pressione della morsa, la carta poteva infatti ripiegarsi sui lati, quasi ad avvolgere il cliché stesso, conferendo disomogeneità al trasferimento dell'inchiostro.

L'impronta di questo listello metallico è quindi un elemento tipografico extra che poteva talvolta presentarsi, raramente in effetti, in quanto era norma eliminarlo durante la rifinitura del foglio nella fase post-stampa, tagliandolo via con le forbici.

In rari casi la riga di composizione rimaneva, in tracce, parzialmente visibile o, molto raramente, visibile nella sua interezza.

Mentre la riga di composizione si può rintracciare con relativa frequenza dei francobolli emessi dal Governo della Toscana, è molto più rara nei francobolli granducali su filigrana del primo tipo e praticamente mai riscontrata con certezza nei granducali su filigrana del secondo tipo. [...].

[I]n otto anni di esperienza e decine di migliaia di francobolli esaminati, mi è capitato solamente due volte di osservare un esemplare da 9 crazie nella tonalità 'prugna' che mostra la riga di composizione completa e in entrambi i casi questa è identica, dello stesso spessore di quella del francobollo discusso in questo articolo. Due sole volte in decine di migliaia di francobolli significa chiaramente grande rarità tipografica".   

Mi limito a pochi commenti, più che altro per chiosare l'ottima presentazione: il 9 crazie si presenta anzitutto nella pregiata tinta "prugna", e per di più di "incredibile intensità" - per tornare sulle parole dell'autore - "dovuta non solo alle componenti cromatiche, ma anche alla particolare pastosità e viscosità dell'inchiostro, dall'ottimo effetto coprente del sottostante strato di carta, che risulta in un accattivante effetto di contrasto dello stesso con la nuance azzurra"; la riga di colore - tecnicamente: "di composizione" - era un sottoprodotto del processo di di stampa ed è inusuale riscontrarla sui "Marzocchi" (laddove nei valori del Governo Provvisorio si nota più di frequente); l'annullo "a mostaccioli" - colloquialmente detto "a rombi" - è leggero e non deturpante, aggiungendo qualità a un insieme - il frammento - che ha perfettamente senso sul piano filatelico-collezionistico (perché accoglie l'annullo per intero).

C'è poi un ulteriore aspetto, che ho volutamente lasciato da parte, per isolarlo e dargli la massima rilevanza: "[l]o spessore inusualmente grande della riga di composizione [...] probabilmente da ricondursi alla consistenza ed in generale alle caratteristiche fisiche del pigmento utilizzato come inchiostro per la stampa di questa particolare tonalità, che sembra tendere ad addensarsi in modo inconsueto".
 
Già: la riga di composizione - in questo 9 crazie "prugna" - è oltremodo spessa, come s'intuisce dalla semplice osservazione, e come risulta manifesto dal confronto con le normali righe di composizioni di altri "Marzocchi" (utilizzate da Nocentini per dimostrare la genuinità del 9 crazie).   


Per concludere: siamo al cospetto di un piccolo gioiello filatelico, un francobollo che assomma su di sé così tante peculiarità pregiate, da poter impreziosire qualsiasi collezione in cui lo si volesse collocare, e a più forte ragione se lo pensiamo inserito in un insieme che vuol dar risalto alle caratteristiche di stampa dei "Marzocchi". Per dirlo in quattro parole: un pezzo da prendere al volo.   

E invece - dalla sua prima comparsa sul mercato, nel 2017 - sono dovuti trascorrere ben otto anni, prima che il gioiellino toscano si andasse a incastonare nel suo ambiente naturale, tra "I Cinquecento Leoni di Toscana", la collezione-studio di Nocentini. Per colmo d'impostura - ci confessa Tiziano - è pure servito "un particolare allineamento degli astri" per farlo arrivare "rocambolescamente nelle mie mani".

Come è stato possibile? Cos'è successo? Andiamo a scoprirlo...

 

La linea preesiste al punto

La gallina è reale, l'uovo è una gallina potenziale.
Poiché la realtà ha invariabilmente più consistenza della potenzialità,
e l'indicativo presente (ciò che è) precede il condizionale (ciò che potrebbe essere),
la gallina viene prima dell'uovo. 

La didattica della matematica soffre ancor oggi di storture abominevoli.

Si insegna - ad esempio - che la retta è formata da singoli punti, e qualsiasi studente un minimo sveglio - o più semplicemente che non stia dormendo, mentre glielo si dice - finirà col porre l'imbarazzante domanda: "voi sostenete che la retta - che mi avete detto avere dimensione 1 - è formata da un'infinità di punti - che mi avete detto avere dimensione 0 - ma come è possibile che la riunione di elementi geometrici di dimensione nulla, fossero pure un'infinità, conduce a un elemento di dimensione unitaria?". Il professore - ammesso sappia come stiano davvero le cose - sarà impossibilitato a rispondere alla pur legittima e semplice domanda, perché non vi è alcuna possibilità di dare una risposta chiara a una questione falsata in partenza.

Servirebbe radere tutto al suolo e ribaltare la prospettiva, muovere dall'idea di una linea che preesiste al punto, e non viceversa. 
 
Da "La scienza e l'ipotesi", di Henri Poincaré.

Il collezionismo funziona allo stesso modo, come i punti e le rette, e a volte, ahimè, subisce le stesse storture percettive.

Siamo assuefatti a un approccio infantile e ingenuo, che ci fa vedere la collezione come una sequenza di singoli pezzi, schierati in un certo ordine e magari anche numerosi, ma esterni gli uni agli altri, staccati l'uno dall'altro, laddove una vera collezione si fonda sull'intimo legame tra i suoi oggetti - sulle loro profonde interconnessioni, sul gioco di specchi tra gli uni e gli altri - che ne fa un tutt'uno, un monolite irriducibile alla semplice sommatoria dei costituenti, cosicché la collezione preesiste agli oggetti - pur prendendo forma attraverso di loro - come la linea preesiste al punto.

La collezione - per rubare le parole al Professor Imperato - è una "costruzione mentale", basata su "criteri logici", con cui "trovare delle liaison filateliche", per "costruire delle storie affascinanti".

E come entra - in questo processo creativo - il concetto di qualità? Ricordiamolo agli smemorati, agli imbonitori, ai mistificatori e ai pornografi (ma anche a noi stessi, per non cadere nei loro tranelli, nei loro sofismi): la qualità è un vincolo, non la funzione-obiettivo.

Serve settare un livello qualitativo - e rispettarlo, almeno tendenzialmente - per la più ovvia della ragioni: per ancorarsi a uno standard, per non ritrovarsi in balia delle maree, per evitare di auto-sabotarsi con un gusto mal sorvegliato. Per dirlo in modo semplice: non c'è niente di più sgradevole - a pelle - del vedere un insieme di oggetti di una qualità che spazia dall'Orsa Maggiore alla Fossa della Marianne, in cui non è visibile "la mano del collezionista", il suo marchio, il suo stile.

Settare un standard qualitativo significa - alla lettera, tautologicamente - settare uno standard qualitativo, ovvero, declinando in negativo, non vuol dire collezionare esclusivamente esemplari eccezionali, lusso, o d'amatore, o addirittura solo i migliori noti.

Settare uno standard qualitativo significa regolare l'ampiezza del filtro che stabilisce cosa può entrare nel cerchio magico della collezione e cosa invece deve restare fuori, significa - per tornare al Professor Imperato - dare un contenuto operativo ai "criteri logici", sapere come "seguirli e realizzarli", per creare un insieme che appaia - icto oculis - sufficientemente omogeneo.

"Non sono mai stato un feticista dei grandi margini, un esaltato o maniaco dell'abbondanza e dell'esagerazione, un fanatico del lusso, dello spreco e dell'ostentazione volgare di oggetti in alcuni casi al limite del ridicolo" - dice Tiziano Nocentini - "Sono piuttosto un fautore della giusta misura, della moderatezza, dell'equilibrio e della sobrietà, più interessato alla sostanza che all'apparenza".

E' una scelta, insindacabile in linea di principio, e giudicabile solo in termini di coerenza attuativa. 

Ma c'è di più, un aspetto più sottile e delicato, che ci riporta al punto di partenza: la collezione appare formata - visivamente, sul piano fisico - da singoli pezzi, ma la collezione - sul piano logico - preesiste ai pezzi con cui prende forma, perché la collezione è una costruzione mentale.

Può ben accadere, allora, che nella fase di filtraggio si fronteggi un tra trade-off, un conflitto: da un lato, il filtro vorrebbe bloccare il pezzo per una qualità non conforme allo standard, ma dall'altro tende a rilassarsi perché riconosce la centralità dell'oggetto nel dare senso, forma e contenuto alla collezione.

La cosiddetta "sensibilità collezionistica" - che rende irriducibile la selezione a un automatismo - sta proprio nel capire se quel che si sta perdendo in standard qualitativi è più che compensato - e in che misura - dal valore narrativo che il pezzo porta con sé, e che connettendosi alla narrazione già presente in collezione - grazie a tutti i pezzi presenti - può far compiere un balzo all'intero insieme.

Più che insistere con spiegazioni teoriche - col rischio di complicare inutilmente le cose - converrà dare esempi pratici.

Personalmente annetto grande importanza alla qualità, e tendo a scremare in modo piuttosto energico le opportunità di acquisto: nella Collezione "Al di qua del Faro" entrano pochi oggetti, selezionati secondo standard elevati e rigorosi, e talvolta maniacali  - lo ammetto - ma solo perché son convinto che nulla come la bellezza - che peraltro è cosa diversa dalla qualità - possa suscitare la fascinazione per quel che si può trovare dietro l'oggetto, in conoscenza e cultura.
 
Al tempo stesso - tuttavia - hanno trovato pieno diritto di cittadinanza questi due pezzi. 
 
 
 
  
Cosa? Come dite? I margini - qua e là - vi sembrano piccoli o addirittura troppo stretti? Amici miei! Cosa stiamo dicendo, da quando abbiamo iniziato a discutere? Che il singolo pezzo - bello o brutto, di qualità alta o normale - è una pura illusione. Il singolo pezzo - il pezzo stand-alone, separato dal resto - semplicemente non esiste. La parte solida di tutta la faccenda è la collezione, e il pezzo esiste solo in rapporto alla collezione in cui va a inserirsi, da cui acquista senso, valore e significato, e di cui solo allora - una volta dentro la collezione - si possono scorgere e apprezzare il valore, il senso e i significati suoi propri.

Andate a vedere dove si inseriscono questi due oggetti - visitate le pagine "5 grana invece di 8: i De Masa al servizio di Sua Maestà" e "Borboni d'Italia" - e se ancora non riuscite a capire, allora mi arrendo, perché non saprei più come esprimermi.

Su queste basi teoriche - forti di questo background culturale - sembrerà buffo il motivo che ha fatto desistere Nocentini dall'acquisto del 9 crazie, otto anni or sono: "il margine sinistro è troppo piccolo, forse è addirittura da relegare ad una seconda scelta" - così gli fu detto all'epoca, da un esperto - e persino oggi, ad acquisto effettuato, lo sbruffone di turno ha osservato che se "questo francobollo è risultato invenduto per otto anni", se "nessuno in otto anni ha voluto acquistarlo", allora "è di fatto un fondo di magazzino".

Amici miei! Cosa stiamo dicendo, da quando abbiamo iniziato a discutere? Che il singolo pezzo... vabbè, dai, non sto a ripeterlo di nuovo.

Sono serviti otto anni - a Tiziano Nocentini - per capire che "ogni pezzo ha bisogno del collezionista che sia in grado di apprezzarlo, che sappia riconoscerne le peculiarità, le caratteristiche uniche e le informazioni che questo porta e ne sia ovviamente interessato". A me - lo ammetto - ne sono serviti ancora di più, e ho dovuto pagare prezzi salati, in termini di oggetti perduti per uno sciocco e infantile attaccamento alla pura estetica. Ma alla fine - presto o tardi, ognuno coi suoi tempi - l'importante è imparare e migliorarsi, ché le lezioni di cui si beneficia valgono sempre di più di ciò che si è dovuto lasciare sul tavolo.

Il dramma - contro cui non c'è salvezza - è nel non imparare mai; è nel non riuscire a capire che i francobolli sono porte magiche verso mondi perduti ("basta osservare come un collezionista maneggia gli oggetti della sua vetrina" - scriveva Walter Benjamin - "non appena ne prende in mano uno, il suo sguardo ispirato sembra trapassare l'oggetto e perdersi nelle sue lontananze, da qui il lato magico del collezionismo"); è nel precludersi la possibilità di  "partire dall'oggetto filatelico come da uno spunto per capire, per apprendere, per saltare a campi ben diversi dalla filatelia, insomma per arricchirsi dentro", per riproporre la più raffinata interpretazione dello spirito di Renato Mondolfo.

Il dramma  autentico è nel degradare il francobollo a una dimensione pornografica, nel trasformarlo in un oggetto senza significato, senza scopo, senza valore, e però capace di rilasciare una scarica d'eccitazione immediata, che fatalmente imporrà d'essere rinnovata di continuo, a voltaggi crescenti, lungo una traiettoria autodistruttiva.

Un maniaco sfoglia per noi il suo album di francobolli:
sono tutti pezzi unici, di qualità insuperabile!

 

Sophisma auctoritatis

"Io non ho paura di un esercito di leoni, se sono condotti da una pecora.
Io temo un esercito di pecore, se sono condotte da un leone"
(Alessandro Magno)

Siamo stati tutti educati a rispettare e a ubbidire all'autorità, sin dalla nascita, indipendentemente dal contesto socio-culturale in cui ci siamo ritrovati: "il senso di deferenza verso l'autorità è profondamente radicato dentro di noi" - osserva lo psicologo Robert Cialdini, nel suo libro "Le armi della persuasione"

Ora, ogni volta fronteggiamo un meccanismo suscettibile di uniformare i comportamenti umani, c'è da aspettarsi che dietro vi siano  tante buone ragioni, e l'organizzazione della società offre in effetti giustificazioni in abbondanza per conformarsi al principio d'autorità.
 
Sin da bambini ci siamo accorti che genitori e insegnanti ne sapevano più di noi, e abbiamo dovuto ammettere che le loro idee tornavano a nostro beneficio (in parte perché erano più saggi, in parte perché gestivano le nostre ricompense e punizioni). Gli stessi vantaggi li abbiamo riscontrati in età adulta, e per le stesse ragioni di fondo, anche se le figure di autorità ovviamente cambiavano con le varietà delle situazioni di fatto. La loro posizione, però, testimoniava invariabilmente un più ampio accesso a poteri e informazioni, una competenza superiore, per cui era logico adeguarsi alle loro indicazioni, anche perché - ancora una volta - si beneficiava così di una scorciatoia per stabilire il comportamento da tenere in situazioni in cui non era affatto chiaro quale fosse la cosa migliore da fare.

L'autorità è in definitiva un derivato dell'autorevolezza - tanto più le persone sono percepite autorevoli, quanto maggiore è l'autorità che riescono a esercitare su di noi - e tutto ciò non solo è utile, ma anche necessario: un sistema stratificato e condiviso di rapporti autoritari garantisce degli immensi vantaggi pratici, permette e favorisce lo sviluppo di strutture elaborate e complesse (per la produzione, il commercio, la difesa, l'ordine sociale) altrimenti impensabili. Quale sarebbe l'alternativa, d'altra parte? Un sistema anarchico che renderebbe la vita - con le parole del filosofo Hobbes - "solitaria, povera, crudele, abbrutita e breve".
 
Ma allora qual è il problema del principio d'autorità? Semplicemente - e drammaticamente - che talvolta gli si obbedisce anche quando degenera in un sofisma, quando ascoltiamo l'autorità perché è l'autorità, ma l'autorità è tale solo perché noi l'ascoltiamo, anche quando impartisce direttive che - a normale buon senso - dovrebbero subito apparire assurde.
 
Il rischio è reale: se non si rimane vigili, se si abbassano le difese, se non si mantiene il cervello su "on" - una volta riconosciuta l'utilità della sottomissione spontanea all'autorità - è facile abbandonarsi a quel che Cialdini chiama "risposta automatica di acquiescenza", una reazione meccanica - ora paralizzante, ora impulsiva, ma in ogni caso esonerata dal pensiero - con cui ci si ritrova a fare insensatezze clamorose senza neppure esser sfiorati dal dubbio della liceità del proprio comportamento (attivo o passivo che sia).

"Ogni volta che il nostro comportamento è guidato da meccanismi così inconsulti" - mette in guardia Cialdini - "possiamo star certi che i professionisti della persuasione cercheranno di trarne vantaggio".

Tiziano Nocentini ammette di esser caduto nel tranello, all'inizio della sua esperienza collezionista.

"A quel tempo mi capitava di discorrere di francobolli con una persona considerata tra i massimi esperti di francobolli toscani ed ero solito condividere con lui le immagini dei pezzi che mi interessavano per discuterne assieme ed imparare" - racconta con franchezza - "Accadde anche per questo francobollo da 9 crazie ed il commento dell'esperto fu del tipo: quella non può essere una riga di composizione, è troppo diversa da come appare normalmente, molto più sottile, filiforme. Potrebbe trattarsi di un trucco".

Il dubbio di una falsificazione, d'altra parte, lo aveva maturato già prima di consultare l'esperto.

"L'ipotetica riga di composizione in alto al francobollo da 9 crazie era decisamente molto più spessa e marcata, più simile alla cornice esterna del francobollo che non ad una riga di composizione normalmente riscontrabile.

Poteva quindi anche trattarsi di un trucco, ovvero si poteva ipotizzare che quella che veniva dichiarata come riga di composizione in alto, non fosse altro che la parte inferiore di un esemplare che si trovava nella riga superiore, completata artificialmente e modificata ad arte, tanto da sembrare una riga continua e isolata.

Sentivo di non avere abbastanza esperienza per poter valutare autonomamente, se mi stessi trovando di fronte ad un francobollo autentico in ogni sua parte, riga di composizione compresa o a un trucco".

Ricapitolando: Tiziano temeva di fronteggiare "un trucco", sulla base le sue conoscenze di allora, ma oggi riconosce che all'epoca non aveva "abbastanza esperienza per poter valutare autonomamente"; l'esperto a cui si era rivolto - l'autorità - lo aveva peraltro diffidato dall'acquisto, ché "quella non può essere una riga di composizione, è troppo diversa da come appare normalmente".

"L'esperto confermava in pieno il mio dubbio" - conclude Tiziano - "Quindi esitai e mi mantenni alla larga da questo frammento".

Sono serviti otto anni - a Tiziano - per capire che tutti gli elementi osservabili e analizzabili battevano invariabilmente sullo stesso punto, che tutto corroborava "una totale autenticità della riga di colore orizzontale superiore e quindi che la posizione del francobollo fosse veramente di angolo di foglio superiore destro".

A Tiziano sono serviti otto anni per capirlo, ma Tiziano riconosce la sua ridotta esperienza all'epoca dei fatti, e di essersela dovuta dunque costruire, pian piano, con pazienza e dedizione: "[c]on il passare del tempo il numero di francobolli che ho avuto modo di osservare e studiare è salito in modo letteralmente vertiginoso [...] e proporzionalmente sono cresciute le mie capacità di valutazione degli aspetti tecnici [...] dei francobolli toscani". 

Com'è possibile invece che l'esperto - l'autorità di Toscanaa cui si era rivolto - non se ne fosse accorto subito? Un esperto è - alla lettera - una figura che ha accumulato esperienza, che dispone di una varietà di casistiche, opportunamente classificate e sistematizzate, su cui ha creato uno schema decisionale per guidare l'azione verso il caso successivo. Ma se l'esperto finisce invece col convalidare i timori infondati di un principiante, se non mette la sua esperienza al servizio di chi gliela domanda, che esperto è? Qual è il vantaggio di un sistema fondato sulla auctoritatisse l'autorità di coloro che insegnano diventa un ostacolo per chi vuol imparare? 

Eppure lo stesso Tiziano ha sempre riconosciuto all'esperto di Toscana - e gli riconosce tuttora - "capacità e conoscenze [...] di altissimo livello", non ne ha mai messo in dubbio l'autorevolezza, e quindi - indirettamente - ne legittima l'autorità. 

Come se ne viene a capo? Qual è il punto scappato? Dove si trova la voce di quadratura, per tenere assieme - con coerenza - argomenti che al momento non s'incastrano?

 

"Piazzisti esentasse"

 
Aforisma numismatico (a uso universale).

E' nella natura delle cose - in filatelia, nel mondo del collezionismo, e non solo - chiedere il parere di chi ne sa più di noi e poi magari pentirsi di avergli dato retta, quando l'esperienza ci ha resi autonomi nel giudizio.



Parliamo dunque di una sequenza - chiedere consigli, attuarli, pentirsi - che rientra ancora nella fisiologia del processo di consulenza, e la fisiologia delle cose - per definizione - non preoccupa mai.

Il problema nasce quando dalla fisiologia si degenera nella patologia, quando i consigli vengono dati "probabilmente in malafede" - come afferma Nocentini - per creare e consolidare le proprie rendite di posizione, intellettuali e materiali, tenendo gli altri in un costante stato di sudditanza psicologica.

"Otto anni fa fui sviato da un sedicente esperto" - racconta Tiziano - "e indotto a dubitare dell'autenticità del pezzo, non cogliendo l'opportunità di acquisto"; l'autorità "influenzò quindi il mio giudizio nel caso di questo francobollo da 9 crazie, come pure cercò di fare moltissime altre volte".

Perché l'autorità si comportò così? Perché non diede un parere spassionato? Perché non suggerì la più semplice delle opzioni, vale a dire "bisognerebbe vederlo dal vivo, questo 9 crazie"? E perché tentò di influenzare le opinioni di Tiziano tante altre volte, ben oltre il 9 crazie in discorso?

Lascio rispondere il diretto interessato.

"Ho verificato in più occasioni che i giudizi avevano il preciso intento di scoraggiare l'acquisto di materiale altrui, dirottando l'attenzione all'acquisto di materiale analogo ma di sua proprietà, con un modus operandi dal pattern tipico e decisamente caratteristico [...].

Ho imparato con il tempo che il mondo della filatelia è popolato anche di questi soggetti, difficili da definire, che appaiono come un misto tra collezionisti, commercianti, periti, consulenti, ma che in realtà non sono niente di tutto ciò [...].

Si tratta solamente di squallidi piazzisti, il cui unico intento è realizzare guadagni esentasse. Soggetti da imparare a riconoscere e da tenere sempre a debita distanza".

Questo Blog - lo sapete - rifugge da ogni polemica sterile, dal conflitto per il puro gusto della zuffa, dai bracci di ferro finalizzati a mostrare la propria forza e dal gioco idiota di chi strilla più forte: 269 post - a oggi - sono lì a testimoniarlo, e almeno altri 16 sono già in programma - da qui sino a metà 2026 - per confermare uno stile che potrà piacere o no, ma di sicuro è ben riconoscibile per il suo voler essere sempre costruttivo.

Qui ci piace dar risalto a tutto ciò che di bello, buono e giusto c'è nel collezionismo (filatelico); ci piace mostrare la magia, il fascino, la cultura, le emozioni di questa straordinaria avventura dello spirito; vogliamo incentivare quante più persone a entrarvi dentro, e non certo spaventarle per tenerle fuori.

Ma proprio per ciò dobbiamo mettere in guardia contro alcune figure liminari, quando riescono a ritagliarsi - fosse pure a ragione, a pieno titolo - un ruolo d'autorità.

Nocentini dice bene: i professionisti del commercio filatelico si trovano a convivere con soggetti "difficili da definire", in generale, e tuttavia con "un modus operandi dal pattern tipico e decisamente caratteristico" (e in particolare - nella mia esperienza - dall'atteggiamento polarizzato: zucchero&miele finché acquistate senza fiatare, per poi esser colti da un'insofferenza crescente, che diventa rapidamente aggressività, quando avanzate la pur minima osservazione sul materiale che vi propongono, come se vi foste macchiati di lesa maestà).

Non parliamo - sia chiaro - di chi apre un negozietto eBay, o crea un profilo su Delcampe o Catawiki, o usa forum e gruppi Facebook come vetrina di vendita del proprio materiale. Questi sono pesci, non piccoli, ma minuscoli, insignificanti, visibili a stento e spesso e neppure percepiti.

Qui parliamo di un inquietante Shadow Philatelic System, di una nebulosa di personaggi d'incerta identificazione - "un misto tra collezionisti, commercianti, periti, consulenti", come li dipinge Nocentini - con un giro d'affari commensurabile a quello dei professionisti di settore, e a volte addirittura notevolmente superiore, ma che di professionale non hanno nulla - né i modi né gli atteggiamenti né la disponibilità né le tutele né le garanzie - e non rendono in alcun modo conto al Fisco dei loro guadagni.

Sento già arrivare l'ovvia domanda: perché mai ci si dovrebbe rivolgere a simili soggetti? Semplice: perché talvolta - sfruttando la loro fitta rete di relazioni - dispongono di materiale pregiato (per qualità o rarità) che difficilmente si vedrà mai passare sul mercato ufficiale (in asta a prezzo netto) tenuto dai professionisti.

E alla fine - pensano in tanti - che importa se all'oggetto dei miei sogni c'arrivo per vie non proprio ortodosse? In fondo, quando si parla di collezionismo, il possesso è per natura travagliato, no? E poi non sto mica facendo nulla di male, io; è lui e solo lui - il "piazzista esentasse" - a trovarsi in una posizione ambigua, ad aver lanciato i suoi dadi e a star correndo i suoi rischi.

Già. Ma se pure si saltasse a piè pari il discorso etico, e persino a voler ignorare che ogni euro evaso dal piazzista trasferisce ad altri (magari proprio a te!) l'onere di versarlo comunque nelle casse dello Stato, se anche tutto ciò non avesse rilevanza, la speciosità del ragionamento condurrà in ogni caso - e neanche troppo alla lunga - verso una micidiale trappola suicida: si finirà soggiogati dal sophisma auctoritatis; si accetteranno dei prezzi esorbitanti anche per oggetti ordinari (perché l'autorità sostiene che sono straordinari), ci si assuefarà a condizioni capestro ("se vuoi questo pezzo, allora me ne devi acquistare anche altri cinque, tanto sono tutti eccezionali, garantito!") e si giudicherà normale acquistare senza tutele (ormai storditi dalla voce autoritaria); si rinuncerà persino a pezzi validi e interessanti (solo perché l'autorità ha diffidato dal prenderli), si svilupperà una variante letale della sindrome di Stoccolma (credendosi dei privilegati quando in realtà si è  pesantemente vessati) e via così, stortura dopo stortura, aberrazione dopo aberrazione, avvitandosi in un'inarrestabile spirale tossica, innescata proprio da quel menefreghismo che al principio sembrava innocuo.

Raccontate a tutti che troia è la sorte♬ - canta Van De Sfross - ♫senza dire che però è vostra figlia♬.

Appunto.

 
Una pubblicità della Bolaffi di Torino (anni '90 del secolo scorso).
 
Se pensate che la filatelia sia una disciplina seria, e il collezionismo un'attività altrettanto seria, allora - per coerenza - dovreste agire seriamente, a iniziare dalla scelta delle vostre controparti, da selezionare come fareste con un notaio, un dentista, un architetto o un maestro di golf.

Dovreste fate così: l'acquisto di un francobollo come l'estrazione di un dente o la stipula di un atto di compravendita di una casa.

Anzi no. Fate pure come vi pare. Poi però non lagnatevi, ché qui vi avevamo avvisati.

 

8 (anni) × 9 (crazie) = ∞ (discussioni)



Questo post è stato oggetto di svariati commenti, qui sul Blog come in altri circoli virtuali.

Un punto di metodo di "Tesori di carta" - come ben sanno i suoi habitué - è il test of time: un argomento, un'idea, un'opinione hanno senso se e solo se - tornandovi sopra a distanza di tempo, uno, cinque, dieci o vent'anni - se ne riescono ancora a cogliere l'impostazione, gli sviluppi e le conclusioni, a volte per registrare la loro obsolescenza (ma avendo comunque testimonianza della sensibilità di un'epoca) altre per meravigliarsi della loro immutata freschezza (per riscoprire il ruolo di fondamento in ogni costruzione) con tutte le sfumature intermedie (più o meno accentuate).
 
Procedo dunque a riordinare in senso (crono)logico una serie di interventi e osservazioni che altrimenti, una volta smarriti gli elementi contingenti, rischierebbero di apparire stranianti per un generico lettore del futuro.
 
 
Estratto da "Anistarod", di Pitigrilli, contenuto nella raccolta di racconti
allegata al romanzo "Il farmacista a cavallo", Edizioni Sonzogno 1948.

Volendo muovere dal punto indietro al quale non ha granché senso spingersi, si può dire che tutto inizia il giorno in cui una delle tante diatribe filateliche sui social network finisce niente meno che in tribunale, davanti a un giudice. Non è rilevante precisare i dettagli del caso filatelico-giudiziario - non qui, almeno - e alcuni semplici accenni saranno già più che sufficienti: Tiziano Nocentini ingaggia una discussione con un altro collezionista di Toscana sui classici temi della qualità, della rarità, del valore, ma i toni stavolta diventano particolarmente aspri, a tratti abrasivi, e la discussione scivola ben presto su ciò che in questo post è stato definito lo Shadow Philatelic System, fin quando la controparte si sente talmente oltraggiata da sporgere querela verso Nocentini, per avere soddisfazione delle presunte offese subite.
 
"Fin da quando ho conosciuto il personaggio di cui indirettamente si parla nel mio articolo, ripreso in questo post" - scrive Nocentini - "ho iniziato una campagna di sensibilizzazione della comunità degli appassionati di filatelia, mettendo in guardia nei confronti di questo personaggio e di quelli come lui, per evitare a quante più persone possibile di cadere in trappole o truffe.
 
L'ho fatto con i modi del sarcasmo, della satira, dell'ironia, dello sberleffo, ridicolizzando quel comportamento negativo, per metterlo in evidenza e contemporaneamente condannarlo nel modo più assoluto.
 
Il mio intento è sempre stato quello di portare onestà legale ed intellettuale nel mondo della filatelia che ho avuto modo di conoscere, quella di Toscana, di alzare il livello etico della comunità, cercando di spazzar via i comportamenti moralmente discutibili. Sono stato ostacolato in ogni modo, espulso da gruppi, bandito da forum, perché il sistema ovviamente non voleva cambiare, il cancro si ribellava in ogni modo alla cura.
 
Questi personaggi negativi si sono coalizzati per non vedere sfumare il loro dominio truffaldino. Io ho continuato la mia opera, credendoci fermamente.
 
Ho ricevuto una querela per diffamazione, perché dicevo, argomentando ampiamente, che il sistema era corrotto, marcio putrido".
 
Questa è la ricostruzione di Nocentini, a cui si contrapponevano le ragioni della controparte, che non è dato conoscere nei loro esatti contenuti perché coperte dalla riservatezza giudiziaria.
 
C'è però almeno un'osservazione che mi sento di formulare, per dare una prima coloritura alla vicenda, o meglio, è un'osservazione di Will Storr - da "La scienza dello storytelling" - che riprendo e faccio mia.
 
"Chiunque sia psicologicamente sano si considererà l'eroe della propria esistenza. Persino gli assassini e coloro che compiono atti di violenza in famiglia riescono a trovarsi giustificazioni morali, spesso dichiarando di aver subito provocazioni intollerabili. Uno studio condotto su un campione di detenuti ha evidenziato che anche in questi soggetti la tendenza all'eroicizzazione del sé si mantiene in larga misura intatta. I detenuti si consideravano al di sopra della media in una serie di tratti pro-sociali, tra cui gentilezza e moralità. [...]. 
 
E' proprio la certezza dei personaggi di essere dalla parte del giusto, di essere moralmente superiori, a conferire loro un potere incredibile. I grandi drammi spesso nascono da uno scontro tra narrative eroicizzanti in conflitto, ovvero quella del protagonista, e quella del suo acerrimo nemico. Quelle percezioni morali della realtà appaiono inappuntabili ai rispettivi detentori, eppure sono distruttivamente antinomiche. Ci troviamo di fronte a mondi neurali che finiranno inevitabilmente per affrontare una lotta all'ultimo sangue".
 
Trovate qui un campionario di casi (reali) che mettono in atto l'arguta annotazione di Storr, ma ciò che adesso rileva - nell'economia del nostro discorso - e di trovarci "di fronte a mondi neurali che finiranno inevitabilmente per affrontare una lotta all'ultimo sangue".
 
Di regola - osserva Nocentini - le persone "vanno di fronte al giudice convinte di aver ragione, anche se poi ciò non è vero o è vero solo in parte: hanno ragione su un piccolo aspetto dell'accaduto, ma torto in un aspetto molto più grave e rilevante, aspetto quest'ultimo che si tende a non vedere". 
 
Ma è proprio perché nessuno si vede o si percepisce come un poco di buono, come il cattivo della situazione, che serve un sistema giudiziario: per fissare uno standard a cui demandare l'ultima parola su cosa sia giusto e cosa sbagliato, fosse pure in senso convenzionale, secondo la cosiddetta "verità giudiziaria".
 
Da un lato - per appoggiarci alla sintesi di Nocentini - c'è chi denuncia un "commercio [di] materiale filatelico per decine e decine di migliaia di euro [svolto] abusivamente, rovinando il mercato con prezzi troppo competitivi che i commercianti onesti non possono praticare perché devono pagare i tributi allo Stato", e dall'altro c'è chi si sente ingiustamente accusato perché questo commercio abusivo "lo fanno tutti", e piuttosto preoccupatevi di stigmatizzare e condannare "quel delinquente di Nocentini, che mi ha canzonato in pubblico".
 
Si fronteggiano - come scrive Will Storr - due "mondi neurali" pronti a "una lotta all'ultimo sangue".
 
"Starebbe all'avvocato in questi casi aprire gli occhi al cliente mostrando come stanno realmente i fatti" - osserva Nocentini - "che, in quanto professionista e parte esterna, dovrebbe essere in grado di avere una visione oggettiva a 360 gradi della faccenda". Ma di là delle battute di spirito di Pitirgilli poste a esergo di questo addendum (che poi saranno davvero spiritosaggini?) lo stesso Nocentini è consapevole delle enormi difficoltà nel correggere le proprie distorsioni cognitive. "Nelle discussioni con mia moglie, che è avvocato, sono caduto molte volte in questo tranello percettivo. Non è stato facile imparare a distaccarmi dai fatti per guardarli oggettivamente. No, non è stato e tutt'ora non è per niente facile, e non so neanche dire se abbia imparato davvero".
 
Quale che sia il mondo neurale a cui si appartiene, o per cui si parteggia, la questione si ritrova nel macinino della macchina giudiziaria dello Stato italiano: "gli investigatori hanno fatto il loro lavoro, i Magistrati hanno fatto il loro lavoro ed infine anche un Giudice ha fatto il suo lavoro" - ci racconta Nocentini - e alfine di tutto questo lavorio arriva l'assoluzione.
 
"La sentenza parla chiaro, mi ha ripagato di tutto il lavoro fatto e lascia intravedere uno spiraglio di luce in fondo a questo tunnel di disonestà", può dire oggi Nocentini, che con l'occasione svela un retroscena della motivazione dei giudici: "si dice che Nocentini, utilizzando un linguaggio colorito tipico della satira, dell'ironia ha semplicemente messo in luce dei comportamenti negativi, senza mai scendere nel volgare, nell'offensivo, nell'aggressività fine a se stessa o in altre azioni penalmente rilevanti".
 
Qui - a voler esser intransigenti - vi sarebbe da muovere un appunto: ironia et similia sono registri comunicativi a elevata complessità già nei rapporti vis-à-vis, e che diventano di fatto impraticabili in un contesto virtuale, venendo meno quell'apparato para-verbale - intonazione, mimica, gestualità, pausa, giro di frase - fondamentale per sostenerli, e perciò - come norma di netiquette - sarebbe il caso di evitarli; ma questa rimane una mia semplice osservazione d'opportunità, che con tutta evidenza - codici alla mano - non ha rilevanza in un dibattimento giudiziario.  

Ciò che rileva è invece la parola finale del giudice: assolto. 
 
"Si tratta dal mio punto di vista di una vittoria epocale" - può ben dire oggi Nocentini - "perché dà ragione al mio lavoro di messa in guardia verso quelli squallidi piazzisti, approfittatori, affaristi illegali, truffaldini e falsi. Chi mi ha querelato ha voluto portarmi di fronte ad un giudice, esibendo come prove tutto ciò che ho scritto, nei minimi dettagli, per far decidere alla Legge chi era nel giusto e chi no. La Legge ha deciso che io sono nel giusto, dando legittimità ai miei sforzi di lotta contro il malaffare presente nel mondo della filatelia di Toscana. Oggi è un giorno diverso, perché la Legge ha scritto nero su bianco che Tiziano Nocentini non è un diffamatore, bensì una persona che non sta facendo niente di male, anzi".

Ai tribunali, ai giudici, alla legge - scriveva Pirandello - non gli si può certo rimproverare la fretta, e il nostro caso filatelico-giudiziario si è in effetti trascinato per anni, prima di vedere la conclusione, anche per l'ostinazione della controparte a voler tenere il punto davanti alle proposte di archiviazione del Pubblico Ministero. Non sorprende, quindi, se nel tempo si sia formata parecchia ruggine nell'animo delle persone, e che ora - a caso finito - ci si vuole togliere di dosso. 
 
"Credo che si debba dare quanto più eco possibile a questa notizia" - afferma Nocentini - "perché potrebbe segnare una svolta, un cambio di paradigma. Oggi la Legge mi dà ragione quando dico che certi comportamenti sono da condannare. So bene che il cancro è difficilissimo da estirpare, gli interessi economici e di parte sono giganteschi. Oggi però credo che il male abbia subito un duro colpo".
 
Il Blog - nel suo piccolo - ha raccolto l'invito col post che avete sotto gli occhi, ma Nocentini - comprensibilmente - ha voluto diffondere la notizia anche su forum più conosciuti e blasonati.

Ne è seguito un nuovo scontro aperto - a decibel virtuali crescenti - con chi lo aveva querelato (presenza fissa sul forum in discorso ormai da decenni) e gli amministratori hanno infine deciso di rimuovere l'intero botta e risposta tra i due. Nocentini è stato quindi temporaneamente sospeso dall'accesso al forum, e ha poi deciso di abbandonarlo di sua volontà, poiché la stessa misura cautelativa (di sospensione) non era stata applicata anche alla controparte.
 
Da ultimo, proseguendo lungo la linea temporale, sul forum è arrivata l'annotazione del noto perito filatelico Antonello Cerruti, a proposito del 9 crazie oggetto del post: "a me non sembra che, oltre all'intensità del colore, questo 9 crazie meriti poi elogi esagerati. Il margine a sinistra (per chi guarda) è praticamente inesistente mentre - pur piccoli - nei valori del Granducato di Toscana, gli spazi bianchi tra un esemplare ed i vicini ci sono e devono potersi vedere ed apprezzare, per entrare in una classifica di assoluta bellezza".
 
Nocentini si è affidato al Blog per la sua replica, non avendo più la possibilità di rispondere nel luogo dove l'osservazione è stata formulata.

"Il commento di Cerruti si concentra esclusivamente sull'aspetto estetico del francobollo, parlando di margini non sufficientemente ampi su tutti i lati ad esempio, tali da poter classificare il pezzo come di 'assoluta bellezza'.
 
Il mio articolo, però, non verte in nessun modo sulla bellezza, minima o assoluta del francobollo, non parla mai di quanto il francobollo sia bello o meno, fatto assolutamente irrilevante ai fini della dissertazione proposta. Nel mio testo si parla di tutt'altro che di estetica o di bellezza. E' evidente che il mio articolo non è stato letto dal Cerruti e onestamene non mi aspettavo neppure che lo leggesse o che lo faccia in futuro.
 
Peraltro, riguardo la bellezza di quel 9 crazie, concordo pienamente con Cerruti, ma il suo commento rimane comunque  fuori tema ed ininfluente ai fini della discussione. Lo accetto comunque, e anzi lo ringrazio pure, perché dimostra come si può discutere serenamente di filatelia anche ricevendo critiche ai propri francobolli.
 
Ci sono persone - per contro - che sono totalmente incapaci di accettare la pur minima osservazione ai francobolli con cui ritiene di onorare il mondo mostrandoli in pubblico: ogni parola men che elogiativa viene istantaneamente sanzionata con l'espulsione inappellabile del soggetto che ha osato proferirla - dal gruppo Facebook, dal forum, dappertutto - con la colpa di non essere allineato al mainstream, di rimanere un indomabile libero pensatore, e quindi anche critico, talvolta feroce, verso comportamenti inopportuni o addirittura dannosi per la filatelia.

Io non sono così fragile, fortunatamente: si possono criticare i miei francobolli, magari però avendo prima letto ciò che ho scritto al riguardo
".
 
La discussione sul forum è poi proseguita sganciandosi dall'originario, specifico argomento del topic, per virare su un tema generale, se vogliamo un grande classico dei circoli virtuali: l'uso di nickname, in luogo del proprio nome e cognome, da cui il presunto benficio di una schermatura, di una protezione, quando si lanciano delle accuse.
 
"Una regola che io invoco da sempre su questo sito [il forum] è l'abolizione dell'anonimato" - scrive Cerruti - "ipocrita scudo dei pavidi che insultano e si nascondono".
 
L'affermazione di Cerruti - serve dirlo - è d'intonazione assolutamente generale e del tutto priva di riferimenti personali, ma arrivando a valle di una discussione ben precisa e indirizzata, nonché di un provvedimento disciplinare dei moderatori, ha fatto sentire Nocentini come il soggetto chiamato in causa.   
"Talvolta compaio con nomi diversi non per codardia" - ci tiene a precisare Nocentini - "Il motivo è un altro. Ciò che ho da dire è troppo scomodo, non piace ai baroni, dà fastidio, ma non perché sono 'malato', come si vuol far credere, ma perché tocca interessi che non devono essere disturbati", laddove il termine "malato" - precisiamolo - non è mai stato usato da Cerruti, bensì dal soggetto querelante, che "da anni mette in pratica questo modus operandi nei miei confronti", senza capire che "la strategia di far passare una persona per 'malata', per screditarla e togliere peso a ciò che dice, non è che sia particolarmente innovativa". 
 
"Mi escludono dai gruppi?" - prosegue Nocentini - "E' ovvio: se uno dice pertamente che un truffatore è un truffatore, è chiaro che il cancro si ribella alla cura. Ma io non so vivere in un mondo in cui vedo comportamenti scorretti, standomene zitto. Io vorrei vivere in un mondo in cui sia normale denunciare apertamente e pubblicamente la scorrettezza, condannandola senza venir tacciati di eresia ed espulsi dai gruppi, anche perché chi non denuncia è un po' complice. Forse è per questo che vivo in Svizzera e non in Italia: qui Calvino lo hanno preso ad esempio, in Italia Savonarola lo hanno arso vivo. Da allora mi sembra che non sia cambiato granché".
 
Questo è lo stato dell'arte a oggi - 25 aprile 2025, 80° anniversario della Liberazione dal regime fascista - rappresentato con tutta l'obiettività di cui sono capace, e spero sia chiaro a ogni lettore che qui non si sta dando arbitrariamente spazio a una polemica gratuita che altrove è stata stroncata, bensì si sta offrendo libertà d'espressione - e a chi lo desidera di replica - per poter dire, se non altro, di aver almeno provato a migliore le cose, al di là di come le cose poi effettivamente andranno.
 
 

Una persona dovrebbe capire quando una discussione è ormai conclusa, giunta ai suoi esiti, ma avere l'ultima parola - per gli spiriti gretti - è una pretesa irrinunciabile, perché avere l'ultima parola - per loro - significa averla avuta vinta, anche se l'ultima parola è una banalità sconfortante, uno sciatto "anche no" - col quale si vorrebbe liquidare l'inopportunità di inserire il 9 crazie in discorso in una collezione - da parte di quell'esperto che il francobollo lo aveva bocciato già la prima volta, e ora vuol riaffermare a ogni costo la sua posizione, senza neppure essersi dato la pena di leggere le contro-argomentazioni.  

Nocentini torna ad affilare le armi dell'ironia.
 
"Io stesso, nel mio articolo, ho scritto che questo francobollo è un fondo di magazzino, un invenduto pluriennale, passato in aste mille volte e mai venduto in otto anni di storia e che se passasse l'esame per la prima scelta, sarebbe per un soffio, accadrebbe solo perché la commissione esaminatrice è stanca e vuole andare a casa, non per meriti pieni".
 
Ma - di là delle battute - c'è un punto di metodo da riaffermare.
 
"Io non sono mai stato interessato ad avere i migliori francobolli esistenti; io non sono mai stato interessato a mettere assieme la migliore collezione di Toscana esistente, ma neppure lontanamente, non è mai stato il mio obiettivo.
 
Il mio unico scopo è sempre stato quello di mettere assieme una collezione di Toscana - della terra in cui sono nato e cresciuto e che ho lasciato oramai da molti anni - per ristabilire un qualche tipo di legame con quei luoghi: una collezione di Toscana, completa nei suoi valori principali, per poi andare oltre e dedicarmi ai miei numerosi e variegati interessi".
 
Dopodiché - come spesso accade a ogni iniziativa che merita e viene presa sul serio - dall'oggetto in primo piano ci si è spostati su un secondo piano e da qui verso prospettive ancora più distanti.
 
"La collezione si è poi allargata, semplicemente perché studiando, leggendo, osservando, sono entrato nella sala degli specchi, in un caleidoscopio vero e proprio.
 
Un caleidoscopio è un tubo di materiale vario, riempito variamente di specchi e prismi liberi di muoversi. Le pareti interne possono poi essere colorate con motivi diversi, con foto o altre immagini. Nel caleidoscopio puoi guardare e provare ad osservare ogni singola sfaccettatura delle moltissime che si possono vedere. Ognuna riporta un pezzettino di una immagine, proiettato sulla retina in modo apparentemente caotico. Solo apparentemente caotico, perché osservando con attenzione, con pazienza e meticolosità, è possibile ricostruire l'immagine originaria.

Dal voler avere di fronte a me una banalissima collezione di Toscana, completa nei suoi valori base, mi sono ritrovato ad osservare una miriade di sfaccettature tutte diverse tra loro, apparentemente caotiche, ma che intuivo essere pezzettini di una immagine globale. Non ne sono più uscito fino ad oggi, perché il gioco è troppo bello per essere abbandonato e perché non ho ancora completato l'immagine globale. Che non completerò mai - lo so già - perché è troppo ampia e sono cosciente del fatto che una vita umana soltanto non è sufficiente a completare il quadro
".
 
Quest'impostazione - che potrà piacere o no, in cui ci si potrà ritrovare in misura più o meno larga, o avversare del tutto, ma a cui nessuno può rimproverare un'incoerenza intrinseca - ha avuto conseguenze ben precise a livello costruttivo.
 
"La collezione ha finito per comporsi di due parti: una reale e una virtuale.
 
Quella reale è formata dai pezzi che più degli altri contribuiscono ad arricchire la visione dal vivo dell'immagine finale, fornendo informazioni preziose. 
 
Quella virtuale - costituita  da immagini digitali reperite dalle diverse fonti, pubbliche o private - è altrettanto rilevante per una comprensione quanto più chiara possibile dell'intero fenomeno dei francobolli toscani. 
 
La parte reale soggiace ovviamente a un filtro sulla qualità, che però non è mai stato settato al più alto livello possibile, ma della semplice, bella, prima scelta, esattamente come  il 9 crazie di cui si discute in questo post. 
 
Non mi sono mai sognato di acquistare un pezzo semplicemente perché è il migliore esistente e quindi lo voglio possedere io. Questa mentalità non mi appartiene, anche se per alcuni è impossibile capire come mai io non sbavi per i loro francobolli, e non m'inginocchi pregadoli di cedermeli, accontentandomi della semplice immagine.
 
'Ma come, non vuoi il miglior 60 crazie esistente? Lo dici solo perché non lo possiedi, perché non te lo puoi permettere, o perché chi ce l'ha non te lo vende. Altrimenti altroché se saresti felice di sfoggiarlo'.
 
Mi spiace, ma non è così, perché non sono mai stato quel tipo di persona. O forse sì, per un breve periodo, da piccolo, ma ho compreso piuttosto in fretta che si trattava di un'idiozia, e quindi sono cresciuto.
 
La favola della volpe e l'uva - che spesso mi viene rinfacciata - è priva di senso, per me. Mi serve un pezzo per la mia collezione? Se posso lo prendo, se non posso o mi sfugge, mi accontento dell'immagine. Se non ci credete, o vi dà fastidio, non so cosa dirvi. Sembrerò forse un extraterrestre nel mondo della filatelia, ma d'altra parte io ho una pessima opinione della maggioranza degli attori di questo mondo.

Tornando al 9 crazie, che dovrebbe stare tra gli 'anche no' - 
secondo i parametri sovraumani del sedicente esperto - ebbene, io posso pure esser d'accordo, ma il punto è che non l'ho acquistato immaginando di portare a caso un pezzo di lusso, perché io ragiono diversamente da lui.
 
Si dà per scontato che un collezionista debba per forza mirare al meglio che esiste, rincorrere ogni pezzo straordinario per la paura che gli venga soffiato, con la smania incontrollabile di assicurarsi che tutti considerino i suoi pezzi i migliori esistenti.
 
Ma non è così. Chi è portato a pensare che gli altri debbano necessariamente agire secondo i suoi stessi standard, secondo i suoi criteri, senza riuscire a contemplare altri punti di vista, altre scale di valori, altre priorità, mostra una faccia della follia ben più spaventosa di quella che si vorrebbe attribuire a me: nella vita non c'è niente di assoluto, neppure lo spazio ed il tempo, figurarsi i punti di vista di una cultura".

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