COLLEZIONE "AQUILE E GIGLI"
"Aquile e Gigli" estende la Collezione "Brigata Estense", dal Ducato di Modena al contiguo Ducato di Parma.
La Collezione mostra la bellezza in filatelia, in accordo con due paradigmi, uno vistoso e scintillante, l'altro più misurato e definito nei contorni; ambisce a sensibilizzare il gusto del collezionista d'esperienza e a incuriosire il visitatore di passaggio; risponde all'auspicio - negli "Aforismi del dissenso", di Fausto Gianfranceschi - di "concentrare per quanto possibile intorno a me le emanazioni della bellezza del mondo che migliorano il mio umore e affinano la mia spiritualità".
La Collezione si basa su simmetrie e proporzioni, su temi ricorrenti e rimandi reciproci, sullo stretto adattamento dei mezzi ai fini, affinché se ne possano cogliere l'armonia dell'insieme e la coerenza dei dettagli, e il primo impatto sia puramente emotivo, nel percepire la bellezza e sentirsene soddisfatti.
Riprodotta a pagina 65 del volume "Modena 1852-2002 - 150° anniversario dei francobolli estensi".
15 centesimi giallo
25 centesimi camoscio


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40 centesimi celeste

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40 centesimi azzurro scuro




Con Punto
5 centesimi verde
Ex Collezione "Gi.Pi.".
5 centesimi verde oliva
affrancata con un 5 centesimi annullato a piccoli rombi in nero,con a lato il datario a cerchio "con cappello", in verde.
Tariffa interna nel Cisappennino, per la prima distanza, primo porto.Ex Collezione "Ghirlandina"
Lettera da Massa Carrara ad Aulla per Veppo del 27 aprile 1857, affrancata con un 5 centesimi annullato col timbro a sei sbarre, in nero,con al lato il doppio cerchio di Massa Carrarae il bollo giustificativo a semicerchio "DOPO LA PARTENZA".
Tariffa interna nell'Oltreappennino, prima distanza, primo porto.
Le tre fogge del bollo postale "DOPO LA PARTENZA" del Ducato di Modena.
Il bollo aveva una funzione informativa di natura giustificativa:veniva apposto per informare che la consegna della lettera all'ufficio di posta
era avvenuta successivamente alla partenza del dispaccio del giorno,
così da giustificare il maggior tempo richiesto per il recapito al destinatario.
"Alla posta un minuto prima delle 18", opera di George Elgar Hicks, del 1860,
ben esprime il trambusto nell'affollato salone della posta centrale di Londra, in prossimità dell’ultima levata per le partenze serali.



10 centesimi rosa

Lettera da Modena a Carrara del 22 ottobre 1857,
Riprodotta a pagina 83 del volume "Modena 1852-2002 - 150° anniversario dei francobolli estensi".
40 centesimi azzurro scuro
1 lira bianco



Archivio Vito Viti.
Ex Collezione Provera.
(riprodotta a pagina 29 del volume "Capolavori filatelici della Collezione Pedemonte").

Carta colorata
5 centesimi giallo



10 centesimi bianco


15 centesimi rosa
25 centesimi violetto

Provenienza: Asta Corinphila, 240, "Ducato di Parma"


40 centesimi azzurro
Carta bianca
5 centesimi giallo

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15 centesimi vermiglio
25 centesimi bruno rosso
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Il Governo austriaco ne cambiò la denominazione
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"espulso dagli Stati pontifici per traffico di libri perniciosi"
Usigli conferì all'album una configurazione originale, con l'aggiunta del materiale più vario,
al quale mostrai gli esemplari acquistati.

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è l'un; quest’altro (acciò tutti gl'impari)
s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognerà che si rischiari e abbui
a struttura parentale e azzerare la potenziale concorrenza di un'altra figura della famiglia: l'insidia - agli occhi di Ercole II - aveva le fattezze di un consanguineo di appena undici anni, Don Alfonso.

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L'eleganza di cui la Isabella d'Este riuscì a circondarsi, le mode con cui impose il proprio stile - "fonte e origine di tutte le belle fogge d'Italia" - e la stessa immagine di sé che offrì all'ammirazione dei contemporanei e alla memoria dei posteri, fecero sì che si avverasse il suo desiderio più intenso, affidato già a sedici anni a un'incisione su un gioiello: "finch'io viva dopo morte".
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Dal nucleo di opere salvate - tra cui la celebre Bibbia di Borso d'Este - il Duca Francesco I avviò a sua volta la requisizione delle migliori opere presenti nelle chiese del Ducato, e commissionò dipinti e sculture - famosi i suoi ritratti del Velàzquez e del Bernini - al punto che Charles de Brosses - in visita a Modena nel 1739 per il Grand Tour - giudicava la collezione della famiglia d'Este come "la più bella che ci sia in Italia, la meglio tenuta, la meglio distribuita e la meglio ornata".
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Nella primavera del '26, tra gli esuli italiani a Parigi, fa la sua comparsa Enrico Misley, un avvocato modenese di bella presenza e parola facile, vanitoso e ambizioso, che sostiene di aver frequentato l'ambiente carbonaro, dove conserva parecchie amicizie.

Ma la mattina del 3 febbraio accadde un evento inatteso: la polizia arrestò alcuni capi della congiura ed espulse dal Ducato alcuni sospetti, tra cui le personalità di maggior prestigio. Il colpo era grave per gli uomini raccolti in casa Menotti - una quarantina - convinti come lui di avere il Duca dalla loro parte. Ciro decise di precipitare gli eventi, forse per prevenire una diserzione di massa, ma i soldati del Duca furono più rapidi: bussarono alla porta e intimarono la resa. L'abitazione era circondata, già sotto la mira dei cannoni prestati da Carlo Felice, e a dirigere l'operazione vi era il Duca in persona, inebriato dalla prospettiva di un massacro di "giacobini".
Persi per persi, i congiurati vollero vender cara la pelle, e risposero con un fuoco serrato che stese alcuni gendarmi. La fucileria durò parecchie ore. Menotti - in un tentativo di scampo o di diversione - si mise a correre per i tetti, fu ferito e cadde per strada. I suoi compagni seguitarono a sparare finché il Duca diede la parola al cannone, che con due bordate demolì l'edificio e costrinse gli insorti alla resa.
Francesco riteneva di aver liquidato la rivolta, e chiese al governatore di Reggio di mandargli il boia, ma a palazzo, intanto, arrivavano notizie inquietanti: gruppi d'insorti marciavano su Modena dai paesi limitrofi, e i reparti regolari, anziché fermarli, se ne lasciavano disarmare.
Le cose stavano così, e Menotti era spacciato proprio perché stavano così. Il diplomatico austriaco Marschall - in procinto di sostituire Werklein a Parma - ebbe il sentore di una sentenza capitale già scritta, e allertò Metternich a Vienna: Francesco si stava sovrapponendo al tribunale, sino a imporgli un verdetto la cui odiosità sarebbe ricaduta sull'Impero.
Non ci fu nulla da fare. Menotti andò al patibolo.
Lo condannò invece l'opinione pubblica, come spia, e forse non lo era, ma lui non si preoccupò mai di liberarsi dello stigma. Il giudizio più preciso lo diede Mazzini, in una lettera alle madre. "Non v'è tanto da pronunciare spia quel signore, anzi nol credo tale, ma vi è tanto da pronunciarlo imbroglione e uomo non di veri profondamente radicati princìpi: e basta per tenersene discosti".
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A Modena era arrivato Luigi Carlo Farini, un plenipotenziario del Re Vittorio Emanuele, nominato Dittatore delle Province Modenesi il 28 luglio 1859; avrebbe poi esteso la sua dittatura a Parma (18 agosto) e sarebbe stato incaricato del governo della Romagna pontificia (9 novembre); i territori sarebbero infine stati unificati sotto la denominazione di "Regie Province dell'Emilia" e il titolo di Dittatore mutato in Governatore (dall'1 gennaio 1860).
"Io intanto ho fatto il colpo. Ho cacciati giù i campanili, e costituito un governo solo" - scriveva il 30 novembre a a Michelangelo Castelli, amico stretto di Cavour, con cui aveva collaborato al giornale "Il Risorgimento" - "Ad anno nuovo da Piacenza a Cattolica tutte le leggi, i regolamenti, i nomi ed anche gli spropositi saranno piemontesi. Farò fortificare Bologna a dovere. Buoni soldati, buoni cannoni contro tutti che vogliano combattere la annessione. Questa è la mia politica. E me n'impipo di tutti gli scrupoli. Senza impiccar me e bruciar Parma, Modena e Bologna, per Dio, qui non toman nè duchi nè preti. Mi lascio fare ancora per tre mesi, e poi discuteremo".
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(e verosimilmente il ritratto sarà sfuggito all'asserita distruzione voluta dal fratello Alessandro,
trovandosi in una residenza periferica, al di fuori del dominio diretto dei Farnese).
si era ritirata nel castello di Carbognano, di cui era diventata Signora.

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Era nata nel 1791, figlia prediletta dell'Imperatore austriaco Francesco II. Visse un'infanzia spensierata, lontana dai trambusti originati dalla Rivoluzione francese, ma gli echi dei conflitti bellici la raggiunsero comunque, e l'arciduchessa sviluppò sentimenti via via più astiosi verso Napoleone Bonaparte, in cui arrivò a vedere la manifestazione dell'Anticristo.
Le cose andarono in tutt'altro modo, perché le cose procedono sempre per vie loro proprie, invariabilmente diverse da quelle immaginate.


Maria Luisa viene accolta a Compiègne, in Francia.
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Ventiquattro ore dopo le campane rintoccavano a lutto.


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Due agricoltori parmigiani - emigrati in Corsica - testimoniarono di aver saputo del regicidio a Bastia, sette ore prima che avvenisse, e gli inquirenti diedero corpo all'ipotesi di un complotto architettato da gente ben al di sopra di Carra. Trovò spazio pure la strana deposizione della Contessa Brigida Galli Leoni di Piacenza, tre settimane dopo il delitto: riferì di aver orecchiato dell'attentato del Duca in un crocchio di giovanotti disinvolti e ben vestiti, e di aver finto di allacciarsi uno stivaletto - armeggiandovi per una decina di minuti - per poter ascoltare sino alla fine. Gli inquirenti cincischiarono, e si reindirizzarono sulla pista del mazziniano isolato, forse per timore di ritrovarsi in un ginepraio ingestibile: le trame del complotto coinvolgevano forse personaggi illustri della Corte parmense, forse addirittura la Duchessa.
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2. Su questo disegno un abile incisore in acciaio fa un conio, del quale, poiché è stato temprato, si rileva (per mezzo del bilanciere col quale si coniano le monete) una matrice in rame, uguale a quelle che servono per la fabbricazione dei caratteri da stampa.
3. Fatta questa matrice, un esperto fonditore di caratteri ne rileva quel numero di clichés che occorrono; poi mette a questi clichés lo zoccolo per mezzo d'un’apposita macchinetta, uguale, fuorché nelle dimensioni, a quello di cui si servono per la formazione dei caratteri o tipi.
4. Postovi lo zoccolo, questi clichés sono divenuti altrettanti tipi coi quali si può comporre col metodo ordinario una pagina, nella quale entrino 200, 250 o 300 francobolli; e posta in torchio e distesovi l’inchiostro di quel colore che si vuole, se ne tira il numero di fogli che si desidera.
5. La carta devo essere filogranata distintamente, per meglio tutelarli dalle contraffazioni.
6. Siccome poi i francobolli devono essere di diversi prezzi, cosi per non essere obbligati a fare tanti conii, matrici ecc. quanti sono i prezzi stessi, ovvero ricorrere ad altri mezzi lunghi, incerti e costosi, si può ordinare all’incisore di fare il conio di cui si parla al n.° 2, mancante di quella parte del medesimo, nella quale si vuol far cadere l’indicazione del prezzo; e si ordinano poi tanti punzoni di acciaio temprato quanti sono i prezzi, dai quali punzoni si rilevano le matrici e da questo i tipi come si è accennato di sopra pel conio grande al n.° 3. Se nonché per questi non si fanno prima i clichés, ma si gettano in un sol fiato, come le lettere da stampa ordinarie.
7. Questi tipi, indicanti i prezzi, saranno di una tal dimensione che possano entrare esattamente nel vuoto lasciato nel conio, com’è si è detto di sopra, e che quindi è stato ripetuto nei tipi per mezzo del medesimo formato. Un tipografo comune li adatta per la composizione della pagina, come abbiamo detto di sopra al n.° 4.
8. Nel foglietto qui unito di n.° 1 vedesi una prova del francobollo toscano senza prezzo, in quello di n.° 2 una prova del medesimo col prezzo.
9. Fatta la tiratura dei fogli, contenenti ciascuno il medesimo numero di francobolli, un cartolaro vi distende a tergo con un pennello gomma comune sciolta; ed asciutti e pressati che siano, si adoprano senz'altro".
Il primo passo - "eseguire un disegno accurato della grandezza esatta del francobollo" - fu affidato all'incisore Tomaso Rinaldi, "dietro sua dichiarazione di riconoscersi capace di eseguire con precisione le matrici dei francobolli Estensi che dovranno portare l'aquila Estense", come si legge in un'annotazione del Ministro delle Finanze.
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ha destato la curiosità di numerosi filatelisti di tutto il mondo.
formano un insieme e di errori e varietà che rappresentano "i veri gioielli filatelici",
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Donnino Bentelli incise il conio. Era il direttore della Zecca di Parma dal 1841, raccomandato per quel ruolo da Pietro Giordani, Ministro di Maria Luigia, che lo presentava come un "meccanico mirabile, calligrafo elegantissimo", "modestissimo anzi umile", "facile all'imparare qualunque cosa".
Dalla matrice ricavata dal conio originale, senza indicazione del valore, si produssero i cliché in ottone da usare per la stampa tipografica; i valori nella parte inferiore erano punzonati a mano, con inevitabili piccole differenze.
Le tirature iniziali - del 1852 - erano con inchiostro nero su carta diversamente colorata a seconda del valore; nel 1854 si sperimentò una nuova stampa - con inchiostri colorati su carta bianca - per i valori da 5, 15 e 25 centesimi (il 10 centesimi non è distinguibile, avendo la carta bianca già nelle prima tiratura) con un esito che spesso mortificava l'eleganza dell'incisione.
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La Convenzione - che conobbe declinazioni speciali con i singoli Stati - ruotava introno agli articoli 4 (che commisurava il costo del servizio postale alla distanza tra località e al peso delle lettere), 5 (con cui si stabiliva l'esecuzione dei conteggi nella valuta dell'ufficio di spedizione), 11 (per introdurre lo standard dell'uso del francobollo) e 12 (sulla disciplina delle lettere insufficientemente affrancate o non affrancata affatto).


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Riferimenti bibliografici 


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