VITO VITI

La parola "tesoretto" fu coniata nel 2007, dall'allora Ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa, per indicare il gettito di entrate aggiuntive, rispetto alle previsioni, dovuto al contrasto all'evasione fiscale. L'espressione è entrata nell'uso corrente per identificare una disponibilità finanziaria inattesa, che il Governo ha recuperato sbirciando un po' meglio tra le pieghe del bilancio dello Stato. Il termine ricorre pure in numismatica, con un significato affine e più tangibile, il ritrovamento di un complesso di monete antiche (che all'epoca erano un tesoro, da spendere, e oggi potrebbero esserlo ancora, se pur in senso collezionistico). "Tesoretto", per estensione, si usa anche in filatelia, quando si scopre in un sol colpo un archivio di corrispondenze di particolare valore (storico, postale, economico).


Nel 1907, in America, la rivista Mekeel's Weekly Stamp News diede notizia del ritrovamento del carteggio della "Ditta Viti" di Filadelfia, un complesso di circa 300 lettere, provenienti in prevalenza dal Ducato di Modena, nel periodo 1855-1859. I collezionisti italiani ne vennero a conoscenza  ventiquattro anni dopo, ci vollero cioè ventiquattro anni per scoprire la "novità", e c'è da sorridere a dirlo oggi, in un'epoca in cui l'effetto "novità" non oltrepassa le ventiquattro ore. E' infatti del 1931 l'articolo The Vito Viti Find, di Emilio Diena, pubblicato su "Il Corriere Filatelico", interamente dedicato all'argomento.

La vicenda è la più classica delle fiabe, in cui uno sprovveduto si ritrova tra le mani un piccolo tesoro - un "tesoretto" - e si offre di darlo via in blocco, per quei trenta denari che devono sembrargli un'enormità, rispetto allo scarso valore percepito.

Intorno al 1905, nello studio di tal Alfredo Henkels, presidente del circolo filatelico locale, si presenta un mercante di stracci, per cedere un pacco di vecchie lettere, destinate altrimenti al torchio del macero. Poche storie e niente chiacchiere, il pacco va comprato così com'è - sold as is, diremmo oggi - e pure con sollecitudine, senza darsi l'eccessiva pena di un puntuale esame del suo contenuto. Henkels accetta  - "a scatola chiusa", è proprio il caso di dire - e quando ha modo di recensire con calma il contenuto del pacco... chissà cosa deve aver provato! Lettere in partenza da Modena, dirette a Filadelfia, recavano necessariamente affrancature di elevato valore nominale, in special modo con esemplari da 1 lira, all'epoca considerato uno dei francobolli più rari degli Antichi Stati Italiani. E' sufficiente un dato approssimativo, per dare il senso della rivoluzione provocata dalla scoperta di quell'archivio: su circa 145 esemplari della lira di Modena su documento, oggi conosciute, ben 116 provengono dal carteggio Vito Viti (e diversi altri esemplari furono rimossi dalle lettere, per venire incontro alle richieste dei collezionisti, più interessati ai pezzi sciolti che non ai documenti).

E' questo genere di storia, probabilmente, ad aver dato la stura al folklore delle rarità vendute a prezzi d'occasione nei mercatini domenicali, all'aneddotica di nipoti famelici desiderosi di monetizzare la collezione del nonno, o, ancora, al paradosso di una filatelia tenuta in vita da fortunate contingenze. Perché già con Eugene Klain e Mister Hemingway - due contemporanei di Henkels, anch'essi interessati ai francobolli - i contatti e le transazioni su altre lettere sbucate fuori dall'archivio Viti - in particolare la striscia di tre dell'80 centesimi del Governo Provvisorio - si svolsero in modo più ortodosso e razionale, sicuramente meno poetico.

Ma chi era questo Vito Viti, che col suo carteggio è inconsapevolmente assurto all'immortalità filatelica?

Nacque a Volterra, nel 1785, in una famiglia di mercanti di alabastro, all'epoca esportato in gran quantità verso gli Stati Uniti. Per ragioni sostanzialmente economiche - dettate dal desiderio di eliminare i costi di transazione - si trasferì a Filadelfia nel 1818, prese la cittadinanza americana e mise su famiglia con una signora di origini scozzesi. Due dei suoi cinque fratelli lo raggiunsero anni dopo e la denominazione della ditta divenne allora "Fratelli Viti". Dal 1852 l'attività imprenditoriale beneficiò dell'opera dei figli Alonzo e Francesco. La famiglia era facoltosa. Il patrimonio societario era valutato in 100.000 dollari, quello personale di Vito Viti in 25.000. Entrò in politica a settant'anni e morì nel 1866, ricordato dai giornali dell'epoca come una figura di spicco della società locale.

Un'ultima annotazione, di stampo propriamente filatelico.

Le lettere a lunga percorrenza sono inevitabilmente "vissute", portano addosso, ancor prima che i secoli di storia, il travaglio di un tragitto non breve, accidentato e tortuoso, compiuto in un'epoca in cui i mezzi di trasporto non erano paragonabili a quelli odierni. Il loro stato qualitativo è perciò molto spesso scadente.

La "corrispondenza Vito Viti" - giudicata con i parametri moderni - è in condizioni tra il mediocre e l'appena sufficiente, nella migliore delle eventualità. Qui ne trovate un nutrito campionario, per capire di cosa parliamo. La situazione più favorevole - nella corrispondenza con Modena - si ha quando l'esemplare da 1 lira è perfetto, e di tutto il resto fatevene una ragione.

Questo genere di documenti sono in effetti un rebus, per un collezionista attento alla qualità. In esse riecheggia l'originario invito dal commerciante di stracci al signor Henkels: prendere o lasciare, senza troppe raffinatezze, senza tante esitazioni

Una delle migliori lettere conosciute dell'archivio Vito Viti.
La missiva, purtroppo, è attraversata da una piega che interessa i francobolli.
Ex Collezione Caspary.



Eccezionale esemplare da 1 lira di Modena, con bordo di foglio e filetti di inquadratura,
su una lettera dell'archivio Vito Viti, complessivamente in ottimo stato di conservazione.
L'esemplare da 40 centesimi è purtroppo manifestamente rovinato.
Ex Collezione "Tirreno".

Ho recensito una sola lettera "Vito Viti" con una spettacolare lira di Modena, unita a un bel 40 centesimi, che reca la firma estesa di Giulio Bolaffi in testa al documento, ben distanziata dai francobolli, come se il grande mercante torinese avesse voluto dare un apprezzamento all'insieme nel suo complesso. Apparteneva alla "Collezione Pedemonte", enucleata anche nel volumetto separato "Capolavori Filatelici", ed è una delle pochissime missive a non esser attraversata dalla solita, sgradevole piega, oltre a trovarsi in condizioni di conservazione del tutto eccezionali.

Beato chi la possiede.

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