Il collezionista e il falsario - chi raccoglie francobolli per il
proprio piacere, chi li falsifica a danno del primo per il proprio
illecito profitto - sono due gemelli eterozigoti condannati a convivere, se pur con alterne vicissitudini.
"Dal momento che le contraffazioni di francobolli aumentano quotidianamente, un loro censimento si rende necessario". Era appena il 1862, e Jean-Baptipste Moens - un'autorità dell'epoca - già denunciava il problema delle falsificazioni filateliche, nel volumetto "De la falsification des timbres-postes" (con cui si riproponeva di "smascherare
immediatamente saggi, imitazioni e falsi francobolli che vengono
presentati come veri").
Al principio - quando le conoscenze scarseggiavano e l'improvvisazione dominava tanto tra i collezionisti quanto tra i mercanti - vi erano ampi spazi di manovra per l'azione del falsario. Col tempo le situazioni sono cambiate: la cultura filatelica ha preso forma e si è strutturata, sono cresciute le pubblicazioni tecniche e storico-postali, in numero e qualità; i collezionisti si sono fatti più attenti e interessati, meno ingenui e infantili; i commercianti si sono organizzati per costruirsi una reputazione, una credibilità, nel loro stesso interesse, a tutela dell'attività da cui traevano il proprio reddito; è sorta
la figura del perito filatelico, in linea di principio un soggetto terzo rispetto al commerciante e al collezionista, l'anello di congiunzione tra i due, utile per superare le residue diffidenze alla compravendita.
Oggi siamo a un punto in cui il fenomeno delle falsificazioni vive in una dimensione paradossale: da un lato si ha la percezione forte di un loro dilagare, dall'altro ciò avviene per lo più in contesti - piattaforme virtuali in stile eBay, talvolta mascherate da forum di discussione - da cui gli autentici collezionisti si tengono a distanza di sicurezza, e che a rigore, anzi, non rientrano neppure nello loro spettro visibile (per cui si ha sì una massa ingente di falsi, ma senza conseguenze effettive o rilevanti sul mercato reale, con buona pace di chi si ostina ancora a scrivere libri per insegnare a distinguere i falsi dagli originali).
Si possono proteggere le pecore dai lupi,
ma nessuno può proteggere le pecore da sé stesse.
Quale che sia l'evoluzione e il peso delle falsificazioni - la loro frequenza e pericolosità - il giudizio di valore è stato invariabilmente negativo: i falsi filatelici - francobolli artefatti, fittizi, realizzati non già per frodare l'amministrazione postale, bensì i collezionisti - sono un elemento inquinante del sistema, da censurare a prescindere, da condannare senza appello.
Sostenere il contrario, o anche solo abbozzare delle distinzioni, sembrerebbe un sofisma, se non direttamente la provocazione di un azzeccagarbugli; e tuttavia va almeno notato che il tratto qualificante di un'azione non si vede nella sua esteriorità - buona o cattiva, secondo parametri convenzionali, peraltro variabili nel tempo e nello spazio - ma va ricercato nelle motivazioni interiori che l'hanno generata.
Quel che realizziamo - in fondo - ha in sé poca importanza. Ne hanno invece parecchia il perché e il come lo realizziamo, vale a dire ciò in un ci trasformiamo mentre lo realizziamo.
Quando prendiamo i nostri talenti, e gli uniamo al sacrificio, al lavoro, a ore di studio e di pratica, allora possiamo conseguire risultati straordinari, di là di ogni giudizio morale.
Il 14 ottobre 1884, a Pistoia, nasce un bambino destinato a entrare nel gotha della filatelia mondiale: the legendary philatelic artist, a fabulous faker, the most revered name in philatelic forgeries, an obsessive personality, a one of the most famous and infamous in the history of philately, an exceptionally talented, un des maîtres en la matière, the ultimate stamp imitator, an almost mythical figure with reputed superhuman abilities, Grand Master of the forger's guild - secondo alcune definizioni reperibili nella vasta letteratura che lo riguada - insomma, il più abile falsario al mondo di francobolli, cannot be compared with any other kind of forger, al punto che one quickly learns to respect the work of a forger like Sperati.
Parliamo di Giovanni Desperati - assurto alla gloria col nome francesizzato Jean de Sperati - il più piccolo dei quattro figli del colonnello Henri Desperati e di sua moglie Marie Arnulf.
Le sue opere sono oggi riconosciute come eccellenze d'arte filatelica e la vivacità del loro mercato è comparabile a quella degli esemplari originali (e talvolta persino superiore).
Le si trovano spesso inserite anche nelle collezioni più rinomate, e arrivano addirittura a formare oggetto di collezione in sé.
Già da bambino - ad appena 10 anni - Giovanni aveva mostrato delle straordinarie capacità imitative: riproduceva la scrittura
altrui alla perfezione e riuscì a falsificare la firma del suo
insegnante con così tanta maestria che l'insegnante stesso la diede per buona (con infinita ammirazione dei compagni di classe).
Sviluppò pure un interesse precoce per la chimica, sino a impegnarsi - all'età di 15 anni - nell'acquistò dei dodici volumi della "Enciclopedia di chimica scientifica e industriale" del dottor Selmi, coprendo il gravoso prezzo di 50 lire con un'audace manovra finanziaria: un acconto di 2 lire, il versamento successivo di 42 lire prese dai suoi risparmi, e il saldo delle 6 lire rimanenti con un debito verso la madre (piuttosto scettica).
Le attività professionali dei fratelli contribuirono alla sua formazione tecnica: il più grande - Massimo - commerciava in francobolli, a Pisa, e un altro - Mariano - era un fotografo a Bologna. La frequentazione estiva della tipografia del cugino - a Guarcino, nei pressi di Frosinone - gli diede poi modo di apprendere i processi di fabbricazione della
carta.
Massimo e Giovanni Desperati.
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Massimo Desperati era in contatto con numerosi commercianti,
come si vede in questa cartolina postale del 15 giugno 1896,
spedita dalla casa filatelica di Arthur Maury.
Vuoi per interessi diretti, vuoi per influenze esterne, Giovanni si ritrovò in un ambiente interdisciplinare - chimica, filatelia, arte del commercio, tecniche fotografiche, processi di stampa - fatto di nozioni teoriche e pratica sul campo.
I francobolli - in particolare - divennero la sua passione. La vulgata - sul crinale tra realtà e leggenda - racconta di un'ingente somma destinata all'acquisto di un
3 lire di Toscana (in altre versioni si trattava di un prezioso francobollo delle colonie francesi) che a distanza di tempo si rivelò un falso, e per giunta piuttosto rozzo. L'episodio - nella narrazione prevalente - gli avrebbe fatto sorgere un sentimento di rivalsa verso l'intera classe mercantile, che si tramutò dapprima in un desiderio di vendetta e alfine in un'ossessione.
Quale sia stato il primum movens - se il bidone subito o il sopraggiungere di difficoltà finanziarie in famiglia - i Desperati avevano messo in piedi un'industria di falsificazioni filateliche così celebre da arrivare alle cronache della rivista francese "L'Echo de la Timbrologie".
Nel numero dell'8 aprile del 1909 si raccontavano i traffici di una banda di falsari italiani, che operava a Pisa e talvolta a Lucca (col nome "Borsa Filatelica
Toscana") sotto la copertura di un commercio legittimo, il cui capofila era identificato in Mariano (l'originario mercante filatelico) e gli altri membri in Masssimo (l'ex fotografo), Madame Desperati (la madre) e infine Giovanni.
Si fornivano anche i dettagli di un'attività truffaldina che pur si riconosceva appuntata su oggetti di pregevole fattura. Mariano inviava lettere di questo tenore ai potenziali clienti: "Egregio Signore, ho saputo che lei è un collezionista di francobolli e ho una proposta da farle. Ho intenzione di vendere la mia collezione, e se lo desidera, posso inviarle, previa approvazione, una collezione di rarità con un enorme sconto rispetto al prezzo di listino". E se un collezionista s'insospettiva dopo aver esaminato il proprio acquisto, Mariano replicava a tono: "La vostra aspettativa non è del tutto precisa riguardo al francobollo da 80 centesimi. Posso garantirne l'autenticità: l'80 centesimi toscano esiste in tonalità proporzionali, stampate da diverse lastre".
L'articolo sulla famiglia Desperati.
Stralci della stampa dell'epoca,
a seguito dle diffondersi delle notizie sui Desperati.
Le forze dell'ordine erano peraltro sulle tracce della famiglia Desperati già prima della risonanza mediatica.
Mariano si trovava a Torino - probabilmente in contatto col falsario Erasmo Oneglia, sebbene non via sia evidenza documentale di una loro relazione d'affari, che rimane lo stesso probabile - quando subì una prima perquisizione domiciliare, peraltro senza gravi conseguenze. Il 12 marzo avvertiva i fratelli per telegramma, per metterli in guardia contro un analogo controllo anche per loro (che effettivamente avvenne e con maggior successo: furono confiscati due camion carichi di "macchine da stampa, forniture di carta, prodotti
chimici, attrezzature fotografiche e un centinaio di negativi
fotografici di francobolli nazionali ed esteri", come si legge nel verbale).
Giovanni riparò a Parigi, anche se non coinvolto nelle accuse, e volle comunque far valere la sua versione dei fatti, in una lettera al quotidiano torinese "La Stampa":
"Abbiamo sempre dichiarato che tutti i francobolli offerti al 40 per cento e più sotto il prezzo di catalogo erano falsi o riparati, quindi i collezionisti sapevano cosa stavano comprando. Abbiamo anche offerto ai clienti un rimborso per i pezzi venduti, ma nessuno l'ha richiesto. Evidentemente preferivano falsi economici agli originali costosi".
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Jean de Sperati con la moglie.
In Francia, Giovanni si ricostruì una vita, a iniziare dal nome, che cambiò in Jean de Sperati (più naturale, nel nuovo ambiente); sposò Marie Louise Corne, nel 1914, e dieci anni dopo nacque la figlia Yvonne; lavorò come operaio in varie fabbriche, e poi come rappresentante di commercio e commesso viaggiatore per l'azienda chimica Serre de Loriol; nel 1924 aveva anche aperto una propria cartiera.
Le sue giornate iniziavano piuttosto presto, intorno alle 6 del mattino; durante la ginnastica in terrazza - a quanto si racconta - gli piaceva recitare Goethe in lingua originale; amava anche la pesca, che gli trasmetteva un senso di pace e serenità, nonché il tempo per filosofare.
E in tutto ciò preservò la passione per i francobolli. Di notte studiava i processi chimici e le tecniche di stampa, per metterli a frutto nella creazione di ciò che amava definire "opere d'arte filateliche". Diventò un falsario professionista, capace di riprodurre alla perfezione qualsiasi esemplare, privilegiando ovviamente i più interessanti e ricercati, al punto da conquistarsi l'ambigua reputazione di una figura in grado di reperire qualunque francobollo raro.
Il negoziante Jean Cividini gli ordinò una serie
della "Gold Coast" inglese, con l'idea di sottoporla al perito tedesco Max Their, un'autorità dell'epoca, specialista dei francobolli delle
colonie inglesi. Il giudizio di autenticità fu il riconoscimento ufficiale dell'abilità tecnica di Jean de Sperati, che sdoganò lo smerciò di una gran quantità di francobolli a svariati operatori in Europa.
Per suo gusto e soddisfazione mise poi in piedi una collezione privata - Livre d'Or - che arriverà a contare 125 falsi di sua creazione, garantiti autentici da commercianti o esperti di settore, con alcuni pezzi che accoglievano sino a sei firme peritali.
Bozza di un tête-bèche di un 20 centesimi francese napoleonico.
Vi si possono leggere svariate annotazioni tecniche,
e si vedono le "prove di colore" realizzate col polpastrello!
I binocoli di Jean de Sperati (con la loro custodia originale in legno)
hanno dato vita a una serie di immagini tra le più iconiche della filatelia mondiale,
e sono oggi considerati oggetti da museo, in ricordo di un'artista riconosciuto.
Siamo nel 1942, nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale.
Il nostro eroe spedisce una selezione di 18 imitazioni di pregio a un commerciante di Lisbona (presumibilmente Eladio de Santos) con cui intrattiene da tempo dei rapporti amichevoli.
Senonché - in una Francia occupata militarmente - le dogane sono intransigenti nel controllo della corrispondenza. Gli agenti aprono il pacco e ritengono di avere scovato una caso di esportazione di capitali finanziari, sotto forma di francobolli rari, con tentativo di evasione fiscale. Sequestrano il materiale e lo passano al tribunale, che a sua volta lo consegna alla Club Philatélique de Savoie per un parere di autenticità, e, del caso, per una stima economica. I francobolli sono riconosciuti originali e valutati tra i 60.500 e i 78.000 franchi, a fronte di una quotazione di catalogo di 95.400 franchi, seppur con la riserva di apprezzamenti largamente approssimati. Viene disposto il passaggio del caso alla Corte Penale.
Jean è esterrefatto, sbalordito: si dichiara innocente, presenta ricorso, contesta la perizia di un semplice membro di un club filatelico, e fa presente che quegli oggetti sono una sua creazione, non francobolli autentici, ma copie, opere d'arte in miniatura, vendute a prezzi d'affezione - l'1% del valore degli originali, di per sé testimone della propria buona fede - a collezionisti che desideravano
riempire gli spazi vuoti nei loro album, purchessia.
Niente da fare: la linea d'argomentazione non persuade, e il contenzioso si trascinerà per oltre un decennio, tra Parigi e Chambéry, con passaggi tra il paradossale e il grottesco.
Nel luglio del 1943 il tribunale sottopone i francobolli all'esame dottor Edmond Locard, il più noto criminologo dell'epoca, esperto nel campo della balistica forense e della tossicologia, creatore del primo laboratorio scientifico di polizia, e che ritiene di avere anche qui voce in capitolo per aver pubblicato l'anno prima un "Manuel du Philatéliste" sulle varietà e le falsificazioni.
Edmond Locard e il suo "Manuale di Filatelia".
Il suo giudizio oltrepassa ogni immaginazione: i francobolli sono riconosciuti originali - "in base a tutta la verità e alle prove, tutti i francobolli
menzionati sopra NON sono imitazioni" - e inventariati secondo il Catalogo Yvert, con una quotazione teorica di 274.500 franchi; ma il loro effettivo valore di mercato - nel giudizio dell'esperto - si attesta almeno a 303.200 franchi perché "un francobollo classico di grande qualità è raro e vale notevolmente di più dei prezzi di catalogo".
Neppure l'esibizione di nuove imitazioni realizzate bell'apposta da de Sperati - identiche agli esemplari contesi - riesce dissipare i dubbi: le opinioni degli esperti rimangono contrastanti, interlocutori, e c'è persino chi si esime dal fornirle.
Il tribunale si dichiara incompetente in materia filatelica, e richiede un
nuovo parere al dottor Locard, sebbene ricusato da de Sperati (che si rifiuta di inviargli altre
riproduzioni per i confronti, nella speranza della nomina di un altro perito).
Locard conferma e rafforza il suo giudizio iniziale: "se si trattasse di imitazioni, anche
attraverso il più perfetto processo di falsificazione, si troverebbero
comunque delle differenze", laddove lui non vede neppure "una differenza dell'ordine del millimetro", e poi "la contraffazione più perfetta non potrebbe avere la
stessa carta dell'originale, ed è quasi impossibile
imitare la filigrana nei francobolli di Hong Kong e Lago".
Servirà arrivare al febbraio del 1948 per vedere le cose per come sono. Il tribunale nomina una commissione di esperti con a capo il famoso filatelico francese Léon Dubus, che mette un punto sulla questione di merito: i valori contesi sono solo riproduzioni di francobolli, anche se di una fattura così pregevole da poter ingannare persino un collezionista esperto, che non abbia però a disposizione una sufficiente quantità di materiale di confronto e una profonda conoscenza dei test di verifica.
L'imitazione di francobolli - e in generale la creazione di opere d'arte in miniatura - non è un'attività illegale, e de Sperati ne esce così con una sanzione pecuniaria, il pagamento delle spese processuali e l'obbligo ad accollarsi il costo della pubblicazione dei suoi "misfatti" nelle principali riviste filateliche.
Il foglio di Jean de Sperati, sequestrato dalla dogana francese nel 1942,
con le 18 riproduzioni incriminate di Spagna (5), Baviera, Belgio, Brema (2), Hannover (2),
Hong Kong, Lagos, Oldenburg (2), Parma, Svezia e Württemberg.
Al processo originario - per tentata evasione fiscale, con esportazione di francobolli - se ne sovrappone un altro, stavolta per iniziativa dei mercanti filatelici Roumet,
Nitard e Isaac: tra il 1943 e il
1945, la cognata di de Sperati - sorella minore della moglie - aveva commercializzato francobolli falsi per un controvalore di 400.000 franchi, senza però presentarli per tali, ed era sin troppo evidente - nella congettura dei tre - chi fosse la figura dietro l'operazione, il dominus di tutta la faccenda.
Sul banco degli imputati finiscono de Sperati, la moglie e la cognata, con l'accusa di aver venduto materiale falso senza alcuna marcatura o informazione pertinente.
Grazie a Ernst Müller - mercante di francobolli svizzero e pubblicista del
"Basel Dove" - sono arrivate a noi delle istantanee dell'atteggiamento di Jean durante il processo."Cerca di dare ancora più peso alla sua invettiva infuocata, la
maggior parte delle sillabe inghiottite dalla bocca sdentata, creando un'aria
innocente attorno a sé con movimenti nervosi delle braccia. Gli occhiali con la
montatura d'acciaio sul naso compiono salti acrobatici tra la punta del naso e
la fronte. Tutto e tutti sono accusati! De Sperati si difende come un 'beau-bon petit diable'. Vuole essere considerato l'artista
incompreso; vuole essere onorato, non comparire davanti al giudice. E' l'unico
salvatore della filatelia. I collezionisti devono essere protetti non da de
Sperati, ma dagli esperti!
Il presidente del tribunale tenta più volte di interrompere le chiacchiere
e vorrebbe interromperlo. Ma de Sperati urla, geme, gesticola, ripete, allarga
le braccia, gli brillano gli occhi, che sono nelle orbite profonde, ma al
presidente non viene data la parola. Gli
spettatori ridono, gli avvocati sorridono e il pubblico ministero
scuote la testa. Finalmente la diatriba su de Sperati è finita e tutti i
presenti boccheggiano. Jean de Sperati, l'incompreso Messia della
Filatelia, suda e si siede".
La moglie e la cognata saranno assolte - ritenute pedine inconsapevoli - laddove Jean si vedrà inflitti due anni di carcere (peraltro sospesi, per l'età avanzata e le precarie condizioni di salute) e il solito pagamento delle esorbitati spese processuali, anche se il frastuono del caso giudiziario gli varrà una notorietà su scala internazionale che porterà a un aumento esponenziale dei suoi affari per la produzione di nuove imitazioni.
Uno stralcio di un articolo dell'epoca - sulla rivista popolare "Paris-Match" - sul caso de Sperati.
Nel 1954 - con l'avvicinarsi della vecchiaia, consapevole di uno scadimento nell'accuratezza delle imitazioni, sempre più disallineate dal suo desiderio di perfezione - de Sperati si decise a vendere le sue collezioni e gli associati strumenti di lavoro alla
British Philatelic Association, per 40.000 dollari.
I falsi furono timbrati al verso, per renderli definitivamente riconoscibili, anche se ancora sopravvivono numerose creazioni di de Sperati senza alcuna marcatura.
La transazione diede origine alla pubblicazione "The Work of Jean De Sperati" (una seconda edizione uscì nel 1956, e vi fu poi una ristampa nel 1977). Nel 2001 apparve un secondo volume, a cura di Robson Lowe e Carl Wolske, edito dalla Royal Philatelic Society.
Giovanni Desperati - al secolo Jean de Sperati - morì a Aix-les-Bains, il 27 aprile 1957, ma il suo ricordo continua ad attraversare spavaldamente il tempo, suscitando stati d'animo oscillanti tra chi lo riconosce e ammira come un’artista geniale e chi stigmatizza che arte e genio furono messi al servizio dei nemici della filatelia
"I segnali tipicamente usati per distinguere un falso sono inutili, con le opere di de Sperati, e questo è esattamente ciò che li rende così pericolosi e affascinanti" - annotava Richard Frajola, gestore di una casa d'aste dal 1980 al 1995 e consulente di numerose altre per diverse importanti case d'aste negli Stati Uniti e nel New Mexico. "Ricordo di aver acquistato una piccola collezione di francobolli di Lagos a quello che consideravo un prezzo elevato. Ebbene, quando sono tornato in ufficio per preparare il materiale per l'asta, sono rimasto scioccato nello scoprire che i tre francobolli migliori erano tutti falsi Sperati".
La polemica continua a riecheggiare ai giorni nostri, nelle discussioni on-line.
Giovanni Desperati - alias Jean de Sperati - volle tenere come un punto d'onore la natura artistica della sua attività, che chiamava appunto Philatélie d'Art, non solo per la soggettiva dedizione personale, ma anche - e forse soprattutto - per l'oggettiva complessità tecnica dietro a ogni realizazzaione, invariabilmente figlia di un mix di competenze, in collotipia (o
fotocollografia), fotografia e stampa, che gli permetteva di imitare tanto la litografia quanto la calcografia.
E - di là di tutto - serve riconoscere che mai nella storia un falsario si è ritrovato prigioniero
della sua stessa trappola, nella paradossale situazione di doversi difendere confessando le sue
falsificazioni, a cui le autorità si ostinavano a non credere!
Alla fine, a mente fredda, tutti i processi contro de Sperati - quelli effettivi, in tribunale, e quelli postumi, per qualificarne la figura - sembrano ritorcersi contro i suoi accusatori, si trasformano in un capo d'imputazione per i sedicenti esperti del mondo filatelico, che avendo davanti i falsi e gli originali, non riescono a distinguere gli uni dagli altri, si scoprono incapaci di capire quale sia il fantasma e quale la realtà.
Come punzecchiò con ricercata ironia lo stesso de
Sperati, per difendersi dai mercanti francesi, perché mai avrebbe dovuto fornirgli informazioni sui francobolli falsi, se loro erano fior di professionisti in grado di riconoscerli da soli a colpo d'occhio?
Il celeberrimo testo di de Sperati, del 1946,
"Ho intrapreso un progetto per ottenere prove documentali dell'incapacità degli esperti di individuare le mie imitazioni, siano essi professionisti o commercianti, e per rendere disponibili i miei prodotti come 'opere d'arte', status che il parere degli esperti giustificava".
Le parole di de Sperati risuonano ancor oggi come provocatorio e stimolante oltraggio a tutti coloro si ritengono esperti di filatelia.
Vi ironizzava Giovanni Petrucci, nel 1954, nel suo "I bolli d'annullamento - La pittura in filatelia - I francobolli d'arte di J. de Sperati" - in cui denunciava una capacità discriminante "rimasta cristallizzata ai suoi primordi, e cioè
superficiale, soggettiva, affidata all'occhio clinico e [...] spesso arbitraria ed illogica", tirando in ballo proprio il "clamoroso e
recentissimo caso dei falsi De Sperati [...]
che per trent'anni hanno circolato pel mondo riuscendo a frustare i
sistemi di controllo filatelico in uso", a dimostrazione della pochezza della classe peritale e mercantile, definita "una casta ereditaria che praticamente accentra tutta la
diagnostica filatelica".
Un campionario di francobolli toscani di qualità insuperabile.
Klaus MüllerTM.
Sul finire del 2017 il web filatelico è messo a soqquadro da alcune immagini di
"Marzocchi" fenomenali, postate da un tal Klaus Müller, nome di manifesta origine tedesca, sconosciuto alla totalità dei collezionisti italiani.
L'entusiasmo prevale, i filtri critici si azzerano, s'inizia a parlare di esemplari insuperabili custoditi in una collezione prestigiosa, e inevitabilmente si vuol sapere se siano in vendita, restituendo - a un osservatore esterno - un ineguagliabile spaccato sulle
dinamiche comportamentali dei vari attori presenti sulla scena della filatelia
toscana.
Già a inizio 2018 il fenomeno però si sgonfia. Klaus Müller sparisce, di francobolli stratosferici non se ne vedono più, e il tam-tam on-line svela il mistero: quegli esemplari fuori norma non esistono, se non nelle immagini create ad arte da
Tiziano Nocentini, che le ha messe in circolo sotto lo pseudonimo Klaus Müller.
I kapò della filatelia toscana degradano l'episodio allo scherzo infantile di un buffone sfaccendato e fuori di testa, da cui invitano comunque a tenersi lontani, come se si trattasse del più pericoloso dei falsari.
"Falsario in effetti
lo sono stato" - ammette Nocentini - "perché lo scopo del progetto era proprio creare
immagini artefatte di francobolli, con un livello di precisione tale da ingannare i più noti
esperti", con ciò evocando Jean de Sperati, a cui Müller-Nocentini è accomunato dalla provenienza geografica, dagli interessi culturali e dal destino professionale (è anche lui un chimico, nato in Toscana, a Prato, e che per ventisette anni ha vissuto a Pistoia, per poi trasferirsi all'estero, in Svizzera, per ragioni di lavoro).
Ma in cosa consisteva esattamente questo "progetto" per dare scacco agli esperti filatelici? Ce lo dice lo stesso Tiziano, mettendo gli eventi in prospettiva, affinché li si possa interpretare correttamente.
"Nella seconda metà del 2015 mi iscrissi a un corso di grafica computerizzata e fotoritocco, per colmare il mio distacco dal livello raggiunto dallo sviluppo di queste tecniche. Sul finire dell'anno ero arrivato alla conclusione e avrei dovuto presentare un progetto, per la valutazione del mio apprendimento: si richiedeva di realizzare dei fotoritocchi in un ambito a piacere, da sottoporre poi a degli esperti del settore, per verificare se le immagini riuscivano a ingannare il loro occhio".
Ognuno può a questo punto scrivere da sé il tratto successivo della storia: l'ambito di elezione - per un appassionato della filatelia dell'Antico Stato di Toscana - non poteva che essere costituito dai "Marzocchi".
Ovviamente c'è sempre un vuoto da colmare, tra avere un'idea in testa e attuarla nella pratica. "Mi occorreva anzitutto il materiale di partenza, e quindi contattai i massimi esperti del settore, per acquistare degli esemplari di qualità quanto più alta possibile, compatibilmente con il budget stanziato per il progetto".
E qui si regitra un notevole punto di contatto tra Müller e de Sperati.
L'insidia di de Sperati proveniva dal suo approccio rivoluzionario alla contraffazione. Prima di lui, i falsari tentavano di falsificare un francobollo partendo letteralmente da zero, perciò dovevano occuparsi non solo della vignetta, ma anche della carta, della filigrana, delle perforazioni, della gomma, dell'annullamento. Jean de Sperati semplificò l'intero processo muovendo di regola da oggetti originali: prendeva un francobollo autentico (il più comune di una serie), lo sbiancava o rimuoveva chimicamente il disegno, e quindi stampava la sua
imitazione sulla carta depurata, che però preservava la filigrana, la dentellatura, le perforazioni, e a volte persino l'annullamento o le sovrastampe. Se si diffuse la convinzione che de Sperati sapesse riprodurre le caratteristiche originarie alla perfezione, se le sue creazioni sembravano così autentiche, era perché... lo erano davvero!
Ma il materiale originale - per quanto fondamentale - di per sé è silente, rimane muto, non dice nulla. Serve analizzarlo a fondo, se lo si vuole far parlare. Inizia così la fase del "zitto e calcola", per mutuare il classico slogan della
Scuola di Copenaghen.
"Distanza media orizzontale tra i francobolli granducali, distanza media verticale, ampiezza tipica degli interspazi di gruppo, forma delle righe esterne di chiusura del quadro di stampa, spessore delle cornici esterne dei francobolli, forma e dimensioni dei caratteri delle diciture, assimilazione di ogni minimo dettaglio della figura del leone. E poi forma e colori degli annulli e caratteristiche delle impronte che lasciavano sui francobolli. E - ancora - caratteristiche dei bordi esterni, vale a dire come doveva apparire il bordo esterno del frammento di carta, come doveva essere l'ombreggiatura a seconda della provenienza della luce dello scanner. Granulosità, forma e porosità delle fibre della carta, intensità degli inchiostri, riflessione della luce dei diversi tipi di substrato scansionato. Studio sistematico dei testi migliori, per l'analisi effettiva degli esemplari a mia disposizione".
Era un'attività necessaria, che rimaneva però ancora largamente insufficiente, rispetto all'obiettivo finale. Serviva compiere precise scelte tecniche, contemperare esigenze opposte e assumersene i relativi rischi - avendo ben chiaro a ogni momento il proprio livello di conoscenza e la potenza dello strumentario tecnico a disposizione - per dare concretezza al progetto.
"La risoluzione delle immagini doveva essere relativamente alta, per mettere gli esperti nella migliore condizione per formulare il loro parere, ma tanto più alta era la risoluzione delle immagini, quanto maggiore doveva
essere l'accuratezza nella riproduzione dei dettagli negli artefatti. Dovevo quindi trovare un compromesso tra i dpi [la densità dei punti che compongono l'immagine digitalizzata] e il livello di dettaglio che le mie conoscenze tecniche sui francobolli di Toscana e le mie capacità di computer grafica mi consentivano di imitare".
Si iniziava a delineare un quadro ad alta complessità, un inedito connubio tra discipline icto oculis distanti tra loro - le tecniche di fotoritocco e la filatelia degli Antichi Stati - in cui però l'apprendimento di una materia determinava progressi nell'altra, un volano reciproco in cui ogni conoscenza in un ambito era al tempo stesso causa ed effetto di conoscenze nell'altro, un autentico caso di scuola su "come la multidisciplinarietà funzioni da moltiplicatore dell'esperienza dell'apprendimento".
Il progetto consentì una comprensione profonda delle
correlazioni - micro e macro - tra le tecniche di elaborazione di immagini digitali e
la simulazione degli esemplari reali: si potevano ad esempio apprezzare l'influenza della disposizione
del colore dei singoli pixel sulla visione complessiva, le interazioni tra le ombreggiature create
dall'illuminazione dello scanner, la porosità e la disposizione delle
fibre della carta dei francobolli, la spalmatura
dell'inchiostro nella stampa delle differenti forme geometriche che
formavano le varie figure di vignetta e diciture.
"Il dover concretizzare un processo di apprendimento teorico (tecniche computerizzate di grafica e fotoritocco) in un progetto sul campo (simulazione di francobolli toscani) mi ha obbligato a sviluppare in simultanea una conoscenza profonda di entrambi i settori, creando un circolo virtuoso - potenzialmente infinito - in cui una disciplina permetteva di apprendere meglio l'altra e viceversa".
L'output - imponente e ancora in espansione - ha portato a filoni di studio e ricerca sin allora inediti (tipi di filigrana,
correlazioni posizioni-varietà, plattaggio, ...) ben documentati nella rubrica
"Francobolli di Toscana" della rivista virtuale "Il Postalista" e nel sito internet
"I 500 leoni di Toscana".
"Il mio piccolo contributo alla filatelia di Toscana" - sintetizza Nocentini - "sta
nell'aver perfezionato le tecniche di determinazione della posizione dei
francobolli col metodo della filigrana, associandola al
riconoscimento delle varietà, ovvero degli stereotipi, dando luogo al
concetto di 'Posizioni Ricorrenti'. Sarà un lavoro
lungo - ne sono consapevole - ma so pure che porterà a risultati unici, non saprei dire quanto grandi
o rivoluzionari, ma di sicuro originali, che peraltro già s'intravedono".
E qui ritorna - fatalmente - la premessa di metodo al post, che a questo punto ne potrebbe pure rappresentare la conclusione.
Ma chiuderla qui significherebbe lasciare insoddisfatta una pruriginosa - seppur legittima - curiosità: qual fu il giudizio degli esperti sui "Marzocchi" artefatti?
"Le cinque immagini digitali sottoposte alle autorità - tra cui due periti tra i migliori a livello italiano e tre commercianti di lunga esperienza - furono tutte giudicate perfettamente corrispondenti a francobolli assolutamente autentici. Un commerciante - in particolare - si lasciò andare ad apprezzamenti plateali estremamente positivi, arrivando ad affermare - testualmente - di aver 'fatto analizzare le immagini ad un esperto di computer grafica, che mi ha assicurato che le immagini sono scansioni autentiche di francobolli reali'. Questa affermazione - di cui conservo ancora lo screenshot - giocò ovviamente a mio favore, anche se oggi non la ritengo veritiera, non credo cioè che le immagini furono davvero sottoposte al giudizio di un esperto di fotoritocco - o se furono sottoposte a qualcuno, di sicuro non era un esperto o non aveva comunque un gran livello di competenza - perché riguardandole oggi devo ammettere che possono sì ingannare la maggioranza, ma non certo un autentico esperto".
E' banale dire - sino a sembrare sciocchi - che in mezzo all'esaltazione generale vi fu una figura in grado di scovare il trucco all'istante.
"Quella persona era ovviamente il commerciante che mi aveva venduto i francobolli reali - utilizzati come base per realizzare le scansioni dei miei artefatti - che ben conosceva la sua merce e poteva quindi agevolmente riconoscerla, anche se modificata.
Il mio - in fondo - era il segreto di Pulcinella, che il commerciante si affrettò a divulgare, per dare a intendere al mondo filatelico di essere l'unico così bravo, così esperto, da aver capito l'inganno di Müller-Nocentini, rivelando una realtà che - almeno ai miei occhi - è solamente un po' di acqua calda".
Più che acqua calda sembra invero acqua fredda, ché non ci si è dati neppure la pena di metterla sul fuoco.
A chi ironizzava soltanto a segreto svelato, a chi ammiccava e con tono allusivo diceva "ma com'è bravo Klaus Müller, a creare francobolli", gli si poteva pur sempre rispondere "puoi scommetterci, ha pure un attestato che lo certifica!".
E la storia non finisce qui.
Chi possiede dei rudimenti di teoria economica avrà sentito parlare di esternalità: conseguenze non volute - negative o positive - delle proprie azioni.
Un fumatore vuole solo trarre piacere dalla sigaretta, ma il suo gesto - seppur involontariamente - danneggia le persone che gli stanno accanto, loro malgrado fumatori passivi (esternalità negativa: non ho alcun piacere di fumare, ma ne subisco ugualmente i danni, seppur in modo parziale).
Un individuo vaccinato vuole solo proteggere sé stesso da una possibile infezione o malattia, ma di fatto la sua scelta di vaccinarsi concorre a ridurre il rischio di diffusione del virus (esternalità positiva: l'azione genera un
beneficio anche per chi non è coinvolto nella motivazione
originaria).
Si potrebbe arrivare a dire - sconfinando nel paradosso - che i temi più rilevanti, in economia e non solo, sono sempre questioni di esternalità, e "il caso Müller- Nocentini" ne è una riprova.
Le immagini di Müller proponevano uno standard qualitativo così elevato - "in
alcuni casi decisamente pacchiano", ammette lo stesso Nocentini
- da ridicolizzare ciò che sino a quel momento si riteneva essere la più alta qualità rintracciabile, e a sfregio di gerarchie consolidate, schernivano quei personaggi percepiti come la Corte di Cassazione di Toscana (che all'improvviso si scoprivano carenti nella conoscenza di ciò che
esisteva in fatto di francobolli di alta qualità).
Queste conseguenze non erano volute, ricercate o intenzionali, ma solo collaterali al progetto - esternalità, appunto - anche se poi assunsero una valenza autonoma, vista la piega presa dagli eventi.
"A dire il vero a un certo punto è entrata in gioco una punta di volontà di fare satira di un mondo dove la qualità sembrava essere l'unico parametro rilevante per la filatelia, e forse il ridicolizzare un po' l'ossessione per la qualità assoluta a un certo punto ha giocato un piccolo ruolo nel lavoro di Müller, ma non era certo l'intento originario e principale".
D'altra parte, chi critica il progetto Müller-Nocentini, chi lo degrada a un'iniziativa rumorosa e confusionaria - ignorando artatamente la conoscenza aggiuntiva che ha generato e la sistematicità con cui è stata documentata - dovrebbe come minimo esibire una pari mole di pubblicazioni, articoli e note di approfondimento, sui temi che ritiene rilevanti per l'esatta comprensione della filatelia di Toscana.
Dove sono - esattamente - i contributi di chi si è auto-celebrato monarca assoluto dei "Marzocchi"? Quali riconoscimenti può esibire, al di fuori del circolo dei suoi amichetti? E - di là di tutto - dov'è la sua collezione, vale a dire la sequenza logica, ordinata e ben cadenzata di oggetti filatelici finalizzata a
raccontare una storia? Qualcuno l'ha mai vista? O tutto si risolve in una gran quantità di pezzi - di una pretestuosa qualità eccezionale, che il più delle volte sconfina nella cafonaggine - in stile "lista della spesa"? Si vuole sul serio stimolare lo studio, la conoscenza e la ricerca sulla filatelia toscana, o il vero obiettivo è difendere una rendita di posizione, dietro il desueto
sophisma auctoritatis, per continuare a trafficare in francobolli al di fuori dei circuiti ufficiali?
Quartina da 1 crazia, con filgrana a corone.
Varietà "dos-à-dos et face-à-face".
Unica nota. Klaus MüllerTM.
"Genius is the only word applicable to this master of art" - fu scritto a proposito di Jean de Sperati, col beneficio della retrospettiva - "Long years of study made him familiar with paper, ink and gum used a hundred years ago in the production of the issues he successfully copied".
E poi: "The most interesting thing about Sperati is perhaps the care with which he took towards his forgery. He loved his work and ipproictred it with adedlcation that few philatelists will ever be able to match. His knowledge of paper, chemistry and photography helped him to avoid the mistakes of earlier philatelic forgers".
I giudizi postumi concordano con le opinioni dell'epoca.
"Siamo solidali con l'uomo che riesce a liberarsi da certe tutele e a
fare un dispetto agli agenti di un ordine che ha solo apparentemente
turbato" - si legge in una recensione al suo libro sui periti filatelici.
In un'altra recensione Jean de Sperati è presentato "come uno studioso di vasta conoscenza, avendo dimostrato quella tenace perseveranza che è prerogativa dei ricercatori", e per un altro recensore ancora "l'impresa del ricercatore non è diretta contro la filatelia; intende, al contrario, difenderla da tutti".
C'è chi vi ha visto addirittura un "miracolo", ché "non ci sono altre parole per descrivere quest'opera d'arte e quest'alta precisione".
Sembra davvero esservi un sottile filo rosso, che parte dalla Toscana nella prima decade del XX secolo, sale su in Francia e dopo cinquant'anni torna giù, tra Prato e Pistoia, per risalire nuovamente, stavolta in Svizzera, a disegnare un triangolo al cui interno si trova una stessa convinzione: se padroneggi le
tecniche di stampa, e conosci nei minimi dettagli i francobolli, allora
riesci a riprodurli così bene da renderli indistinguibili dagli originali.
Esercizi di stile? Virtuosismi
tecnici? Puro divertimento? Può anche darsi, ma in fondo "la felicità è la possibilità di poter esercitare in libertà il proprio
ingegno" - ricorda Aristotele, nell'opera "La politica" - e tanto de Sperati quanto Müller devono aver fatto propria questa visione filosofica su come stare bene al mondo.
"Se crei un francobollo falso per il gusto di vincere la sfida con te stesso, per dimostrare a te stesso di poter abbagliare anche i più grandi esperti di settore, senza peraltro mai ingannare il prossimo per trarre un profitto economico, allora la tua attività può essere giudicata solo come una forma d'arte".
E qui lascio a voi indovinare - se ne siete capaci - se a dirlo sia stato Jean de Sperati o Klaus Müller.
Buone vacanze a tutti!
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