EMILIO DIENA, IL PADRE DELLA FILATELIA


"C'era una volta un ragazzino di otto anni
che, in occasione di una delle periodiche visite ai nonni materni,
fu accompagnato dalla mamma in un bazar
situato presso la Loggia del Mercato Nuovo, a Firenze,
dove ricevette in dono un album per la raccolta di francobolli.
Correva l'anno 1868, ed il protagonista dell'episodio si chiamava Emilio Diena.
Erano tempi quelli in cui il diritto di essere effigiati sui francobolli
era strettamente riservato a re, regine, principi e presidenti,
cui facevano compagnia talune divinità della mitologia classica, come Cerere o Mercurio.
Quel ragazzino, quindi, non avrebbe mai potuto immaginare
che un giorno sarebbero apparsi, e proprio in quella sua Italia
che era di appena un anno più giovane di lui,
dei francobolli illustrati col suo ritratto"
(Enzo Diena, nipote di Emilio)

Emilio Diena è "l'insuperabile aedo della filatelia", nel ricordo di Giulio Bolaffi: lo si annovera unanimamente tra i Padri fondatori della Scienza filatelica, tra i pionieri che intravidero la possibilità di approcciare agli oggetti postali attraverso gli strumenti della ricerca metodologica, per mettere a punto un modello - ma anche una poetica - di cui tutti potessero servirsi per impostare le proprie collezioni.
 
"I suoi saggi, illuminati, cortesi consigli e gli studi così interessanti e profondi sul francobollo italiano" - scriveva il Professor Ferruccio Schupfer, in occasione dei 70 anni di Diena - "contribuirono potentemente a far uscire la filatelia dal semplice collezionismo empirico".
 
Estratto da "Il Collezionista - Italia Filatelica", n. 10, Ottobre 1951.

Esiste dunque una filatelia prima di Emilio Diena - ingenua, naïf, improvvisata -  e poi un'altra filatelia - consapevole, tecnicamente precisa - dopo Emilio Diena.

Questo spartiacque è decisivo per capire il collezionismo di francobolli, e di conseguenza per apprezzare  il contributo fondamentale di Emilio Diena, capostipite di ben quattro generazioni di filatelici.
 
 
Alberto Bolaffi ci ricorda che tutti gli oggetti nascono con finalità pratiche, per rispondere a esigenze concrete - basilari o evolute, sollecitate da situazioni specifiche - per entrare solo in seguito - semmai vi entreranno - nella sfera collezionistica. 
 
Su questa affermazione si può costruire un principio teorico: un oggetto diventa potenzialmente collezionabile solo quando lo si priva del suo valore d'uso (di utilità o fruibilità) per lasciare campo libero al suo valore simbolico (d'amatore).

Vi è quindi un periodo d'incubazione - più o meno lungo, ma ineliminabile - durante il quale l'oggetto non è collezionabile - quel periodo in cui serve a qualcosa - e comunque non è detto che lo diventi, una volta esaurita l'incubazione (ché molto dipende dalla quantità e dalla rilevanza dei significati che nel frattempo vi si sono addensati).
 
Questo principio teorico sembra peraltro stridere con alcuni fatti empirici, già risalenti nel tempo.
 
Nella contabilità delle rimanenze dei francobolli provvisori di Parma, oltre al numero e al controvalore dei pezzi della serie, risultava una voce in moneta di 10,1 lire riconducibile alle "vendite di franco-bollini a raccoglitori di tal nuova maniera d'anticaglie che ci domandarono anche da paesi lontani" (il che ha fatto dire a Paolo Vaccari - senza nemmeno troppa ironia - che già dal 1860 "la filatelia era operativa anche con... il servizio novità").
 
Dal 1864 le Poste del Veneto misero in vendita francobolli appositamente stampati "per chi ama far raccolta" (con le prime richieste che risalivano già al 1850). 
 
Lo stesso Emilio Diena racconta di una "prima generazione di collezionisti, i quali abitavano a Torino dal 1860 al '70", e "della grande facilità che vi si aveva allora di ottenere, al solo richiederli a qualche conoscente del Ministero dei Lavori Pubblici, francobolli di parecchi antichi Stati italiani nuovi", al punto che Torino era vista "come un Eden filatelico".

Come si raccordano queste e altre simili evidenze con la statuizione di principio per cui l'oggetto può diventare da collezione solo dopo un certo lasso di tempo dalla sua nascita?
 
Serve far chiarezza, a cominciare dalle parole, che vanno scelte con tutta la cura necessaria a distinguere fenomeni strutturalmente diversi. Perché l'errore inizia proprio con il linguaggio, con l'uso di una stessa parola - collezionismo - per indicare azioni molto diverse tra loro. Bisogna avere una precisione linguistica  che discrimini - come minimo - tre livelli di consapevolezza: accumulare, raccogliere, collezionare.
 
L'accumulo è un'azione meccanica, automatica, e se non proprio involontaria, sicuramente istintiva: si accumulano gli oggetti più disparati, in cantina o in soffitta, ogni volta che quegli oggetti non sono più percepiti di immediata utilità, e non ce ne si vuol disfare perché potrebbero servire in futuro o perché vi si è legati in qualche vago senso, e tuttavia ingombrano e non si sa dove altro sistemarli.

La raccolta è già un'azione più ragionata, meditata e riflessiva, sicuramente guidata da un'idea generale: si raccolgono conchiglie sulla spiaggia, non così come vengono o si presentano, ma seguendo un criterio selettivo, anche se non necessariamente dichiarato, con l'obiettivo - anche solo implicito - di avere nel proprio secchiello un insieme di oggetti in qualche senso simili.
 
Il collezionare è un'azione pienamente consapevole, espressione di una visione chiara, finalizzata a un obiettivo preciso: si collezionano oggetti postali perché si vuole raccontare una storia, che senza la pretesa di essere "vera" - qualunque cosa voglia dire "vera" - abbia una sua stretta coerenza interna e soprattutto sia emozionate e coinvolgente, capace di trasportare lo spettatore dentro un mondo.
 
Collezionare - in questo senso - è "il primo gesto della nostra evoluzione, il frutto della nostra evoluzione" - ricorda ancora Alberto Bolaffi - "Tutti gli animali guardano, raccolgono e conservano, ma solo noi strumentalizziamo, decidiamo di essere collezionisti".

Il collezionista ricerca dei pezzi precisi, specifici - strumentali a realizzare la sua idea, a dare corpo alla sua visione - e il suo modus operandi lo avvicina all'artista, che con la creazione di un'opera esalta la sua personalità, la sua vocazione, la sua cultura, di cui la collezione diventa una testimonianza osservabile, tangibile.
 
Interdisciplinarietà, logica e apertura mentale sono le direttrici del collezionismo, che in filatelia assumono una valenza particolare, perché la Posta era istituzionalmente al servizio di tutte le relazioni umane in ogni altro campo della società - indispensabile anche perché insostituibile - perciò portatrice di una ricchezza di significati politici, economici, sociali e di costume virtualmente impossibile da ritrovare altrove.
 
Emilio Diena è fulminante, nell'introduzione al suo libro sui francobolli di Modena. "In Italia, ove la collezione dei francobolli è tuttora considerata, anche da persone colte, come trastullo fanciullesco, sarà giudicato uno strano capriccio il comporre un lavoro di questa natura. Né del resto mi studierò di convertire quelli che la pensano in questa guisa: essi non hanno che a mettere in disparte il volumetto, che intendo sia destinato agli amatori. Peggio per chi non vede, o non vuol vedere, quale affinità queste ricerche hanno con la geografia storica, l'araldica, la numismatica e la sfragistica".
 
Oggi noi vediamo nel filatelico una figura chiamata a costruire la sua collezione in un ben definito contesto postale, sicuramente, ma capace anche di valorizzarla con riferimenti storici, geografici e sociali - e più in generale culturali - attraverso le opportune interrelazioni fra tutti i pertinenti campi del sapere.
 
Oggi noi concepiamo il collezionismo come un'attività metodica, basata sulla ricerca di dati, informazioni e riscontri, sul rigoroso controllo delle loro fonti di provenienza, per rivelare i risvolti più interessanti dell'argomento prescelto, e selezionare di conseguenza i pezzi più adatti a rappresentarlo al meglio.
 
Oggi possiamo parlare con sicurezza di "metodi collezionistici", ben sintetizzati da Franco Filanci.

"Esistono tre diversi metodi collezionistici, e soltanto tre, almeno per il momento.
 
Quello che potremmo dire storiografico, che ha come motivo d'interesse centrale la storia delle comunicazioni in tutti i suoi aspetti, e la documenta con francobolli, oggetti di corrispondenza, moduli e ogni altro possibile reperto; ed è il metodo storico postale inteso nel significato esatto del termine.
 
Quello che che potremmo chiamare analitico, che ha come centro d'interesse l'oggetto postale - francobollo, bollo, e qualunque altra emanazione della posta - e ne sviscera ogni possibile aspetto tecnico, grafico, artistico, statistico, di impiego; ed è il metodo filatelico.
 
E quello che potrei definire creativo, ovvero utilizzare gli stessi oggetti e documenti postali come illustrazione e documentazione nel trattamento di qualunque argomento possibile: ed è il metodo tematico. E non è certo possibile affermare che un metodo sia migliore dell'altro". 
 
Questa scienza filatelica non sarebbe ovviamente mai nata senza una fase primitiva di raccolta o anche di accumulo, ma pure il collezionismo non sarebbe mai potuto nascere se non avesse trovato nella Scienza filatelica le sue premesse logiche, i criteri di censimento e organizzazione degli oggetti, sotto i profili tecnico-postali, geo-politici e socio-economici.
  
E da dove provengono le premesse logiche e le metodologie di classificazione? Chi ha educato i collezionisti a oltrepassare la semplice osservazione degli oggetti postali, per far ricorso - sistematico ed estensivo - alle fonti documentarie e archivistiche? Chi ha tracciato gli itinerari di studio, che altri hanno poi potuto percorrere con successo? Chi ha definito le linee generali dei programmi di ricerca, offrendo lavoro alle future generazioni di filatelici?
 
"Qualunque sia stato, nell'ieri e nell'oggi, il tipo di rapporto instaurato con le emissioni postali degli Stati preunitari italiani" - scrive Nino Aquila - "che si sia scelta la elementare raccolta degli esemplari" o "che diligentemente si sia intrapreso lo studio delle caratteristiche delle incisioni, della composizione, della metodologia di stampa, delle scelta dei colori, delle tirature" o ancora "che si sia voluto affrontare un approfondimento storico e storico-postale delle vicende che caratterizzano gli anni del Risorgimento" - qualunque sia, dunque, il campo prescelto - "precipui punti di riferimento furono rappresentati [...] dalle straordinarie ricerche effettuate e pubblicate da un Uomo e da uno Studioso che si pone [...] in cima al Gotha di coloro che hanno dedicato la propria vita e i propri scritti agli argomenti di cui si tratta: Emilio Diena".  

 
Uno stralcio del libro di Emilio Diena sui francobolli del Ducato di Modena.
L'ampiezza del perimetro di studio, e la qualità stessa degli argomenti affrontati,
testimoniano la voragine di informazione e conoscenza che l'opera andava a colmare.
Di quale collezionismo filatelico del Ducato di Modena si poteva mai parlare,
prima della pubblicazione del fondamentale testo di Diena?

E' il 26 giugno 1860. Siamo nel mezzo di ciò che - a distanza di oltre un secolo - la retorica filatelico-risorgimentale avrebbe definito "il magnifico biennio": il Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele II ha più che raddoppiato la sua estensione territoriale, si è allargato alla Lombardia e a ciò che sino ad allora erano i Ducati di Modena e Parma, il Granducato di Toscana e la Romagna pontificia; Garibaldi è sbarcato in Sicilia da oltre un mese, e il suo esercito cresce ogni giorno, di uomini e armi.
 
E' il 26 giugno 1860, e nella Modena dei Savoia nasce Emilio Diena, figlio di Davide Diena (banchiere, patriota della prima ora) e Regina Ambron (nobildonna fiorentina).
 
E' il 20 giugno 1859, il Duca Francesco V ha lasciato Modena da pochi giorni, 
e i territori dell'ex Ducato sono ora retti da un Governo Provvisorio.
 Sul primo numero della Gazzetta di Modena,
assieme all'annuncio della nomina di Luigi Carlo Farini a Governatore delle Province Modenesi,
compare un trafiletto dove si dà conto di una donazione di It. L. 1.000 
fatta da M. G. Diena fu Jacob, per la "Causa d'Indipendenza" .
Sul numero seguente apparirà una lettera, scritta in accompagnamento alla "patriottica offerta",
a firma M. G. Diena fu Jacob e dal figlio David, rispettivamente il nonno e il padre di Emilio.

 

 
 


Alcune lettere indirizzate a (e spedite da) la famiglia Diena.
   
La passione di Emilio Diena per i francobolli inizia a otto anni, quando la madre gli regala un album  acquistato al Mercato Nuovo di Firenze, e da lì prende avvio un interesse per la filatelia che lo avrebbe portato a diventare una figura monumentale del settore.
 
"Colleziono francobolli e non monete" - rispose Re Giorgio V d'Inghilterra a Re Vittorio Emanuele III, in visita a Londra, che gli aveva parlato delle sue raccolte numismatiche - "e devo proprio a un vostro esperto le mie conoscenze sui francobolli italiani antichi".
 
Quell'esperto - serve dirlo? - era Emilio Diena, un nome che a Vittorio Emanuele III suonava familiare. La Regina Elena - sua moglie - amava la filatelia e gli aveva già magnificato le conoscenze di quel funzionario del Ministero delle Poste che in una visita al Museo Postale - nel 1908 - le era stato prodigo di informazioni chiare e precise sul vasto mondo dei francobolli.
 
Già nel 1894 Emilio Diena aveva dato alle stampe il suo primo volume, "I francobolli del Ducato di Modena e delle Provincie Modenesi e le marche del Ducato stesso per i giornali esteri", in cui alla presentazione del contesto istituzionale e dei tecnicismi di stampa affiancava - per la prima volta, negli studi filatelici - la descrizione degli annulli e degli usi postali, inaugurando quella branca del collezionismo che si sarebbe sviluppata nella cosiddetta Storia postale, oggi di gran moda.
 
 
Una copia della versione inglese del testo su francobolli del Ducato di Modena,
 inviata il 28 dicembre 1905 dallo stesso Emilio Diena a un certo Signor Smith di Londra,
per ringraziarlo della sua recensione apparsa su "Monthly Circular"
(come risulta dalla lettera accompagnatoria dell'omaggio).
 
Seguirono a stretto giro altre monografie (sui francobolli delle Romagne, di Sicilia e Parma) e poi, a distanza di oltre trent'anni, sui francobolli napoletani (per raccogliere e sistematizzare gli articoli apparsi su "Il Corriere Filatelico"): sono tutte opere - al netto di poche e marginali rettifiche - che mantengono intatta la loro validità, e rappresentano i fondamenti per lo studio della nostra filatelia classica, "pietre miliari" - come le definì Giulio Bolaffi - frutto di un "grande intelletto, appassionato sino alla più tarda età come un neofita".
 
Ma Emilio Diena produsse articoli, studi e note di approfondimento con una continuità impressionante, ospitati ogni volta sulle riviste specializzate - italiane e straniere - più rinomante: la sua "bibliografia ragionata" - stilata da Franco Filanci e Vito Salierno - dà conto di un'attività accademica iniziata nel 1890 (con una "nota tecnica" su "La croce di Sant'Andrea nei francobolli degli Stati Pontifici"), conclusa nel 1939 (con un ampio studio su "Le marche da bollo del Lombardo Veneto usate su corrispondenze postali") e sviluppata con un'ammirabile costanza lungo quasi mezzo secolo (anche se dal 1938 fu costretto ad anonimizzare i suoi scritti, a causa delle leggi razziali).
 
Nel 1915 pubblicò - in francese - il primo "Catalogo descrittivo dei francobolli d'Italia", una pietra miliare nella filatelia, che pose le basi della classificazione dei francobolli (la traduzione italiana arriverà nel 1923). Circostanze sfortunate impedirono la continuazione dell'impresa, e il catalogo - a cui pure Emilio Diena si era dedicato con passione - non andò oltre la prima edizione. Ottenne peraltro i più alti riconoscimenti: fu presentato a Re Vittorio Emanuele III nel corso di un'udienza privata al Quirinale e il comunicato ufficiale riferiva che "S.M. il Re ha gradito l'omaggio e si è degnato di manifestare il suo alto apprezzamento sull'interesse che presentava il lavoro".
 
I principali volumi di Emilio Diena sui francobolli degli Antichi Stati Italiani.

La scheda biografica di Emilio Diena lo vede liceale a Modena, e poi universitario a Roma, in giurisprudenza, dove si laurea nel 1886 con una tesi sulla riforma postale inglese; nel 1889 sposa Pia Muzioli, da cui avrà cinque figli (due di loro - Mario e Alberto - proseguiranno sulla via della filatelia).
 
Nel 1894 - deceduti entrambi i genitori - chiude la banca di famiglia e si trasferisce a Roma, nel rione Prati, in Via Vittorio Colonna al civico 40, "ove le ore di lavoro erano di una continuità infinita" - testimonierà Carlo Lajolo - e dove abiterà per il resto della vita.

Assume il ruolo di bibliotecario nel neo-costituito Ministero delle Poste e dei Telegrafi, e nel 1897 il Ministero lo incarica del riordino della collezione ufficiale dei francobolli italiani di proprietà dello Stato e della gestione del Museo postale.

Nel 1899 diventa direttore della biblioteca del Ministero e conservatore del Museo storico delle poste, e manterrà gli incarichi sino al 1935.
 
Un solo aneddoto di vita professionale può bastare a restituire l'intero carattere del personaggio.
 
Il 12 gennaio 1910 la Direzione delle Poste gli inviò due nuovi francobolli - i 25 centesimi della Colonia Eritrea e il 15 centesimi "Michetti" calcografico - per un parere sulla qualità di stampa. Diena rispose il 16 gennaio, con tono solo in apparenza polemico, ma nei fatti più che appropriato: "sia permesso di osservare che qualora codesta Direzione Generale voglia in qualche occasione sentire il modesto parere dello scrivente in materia di nuove emissioni di carte valore postali, sembra opportuno che ciò avvenga prima che i disegni siano scelti e i tipi approvati, e non già a cose fatte".
 
 
Estratto dalla rivista "Il Collezionista - Italia Filatelica", n. 16, settembre 1968.

 

 
 
La copertina della rivista "Il Collezionista - Italia Filatelica", n. 22, novembre 1968.
 
 
 
Il Principato del Liechtenstein fu il primo Stato a onorare la memoria di Emilio Diena,
con un francobollo collocato in una serie dedicata a "I Pionieri della filatelia",
che aveva già visto una prima emissione di tre valori nel 1968
(Rowland Hill, Philippe de Ferrari, Maurice Burrus),
una seconda di due valori nel 1969 nel 1972
(Carl Lindenberg, Théodore Champion)
e infine una terza di tre valori
(Emilio Diena, André de Cock, Theodore E. Steinway).
 
 
 
Il francobollo 
del Liechtenstein dedicato a Emilio Diena
monopolizza la copertina del "Trattato di Filatelia" 
 
 
 
La copertina della rivista "Il Collezionista" (novembre 1989)
annuncia l'emissione di un francobollo italiano dedicato a Emilio Diena. 
 
 

Le Poste Italiane ricordano Emilio Diena nel 1989,
in occasione della "Giornata della Filatelia",
con l'emissione di un francobollo commemorativo.
 
 
 
Ancora nel 1989, per la "Giornata della Filatelia" e il 75° anniversario dell'AFI,
l'Istituto Poligrafico dello Stato emette una cartolina e un foglietto commemorativo.
 
Nel 1892 Emilio Diena è a Parigi, in visita a una mostra filatelica, e l'organizzatore lo coopta nella giuria. E' l'inizio di un'attività che sarebbe durata oltre quarant'anni, durante i quali tutte le esposizioni se lo contesero (a Buenos Aires, nel 1910, fu chiamato addirittura come giudice unico, tanto era riconosciuta la sua competenza anche per i francobolli d'oltremare) e si concluse laddove era iniziata, a Parigi, nel 1937, alla "Pexip" (dove Emilio Diena presentò l'astro nascente della filatelia, il tredicenne Renato Mondolfo, a un patriarca della filatelia internazionale, Théodore Champion).
 
Diena si trovò quindi regolarmente a contatto con i più importanti filatelisti di ogni epoca, a cui poté rapportarsi a pieno titolo e discutere a viva voce, agevolato dal saper parlare inglese, francese e tedesco.

Conoscenza teorica e competenze tecniche ebbero la loro attestazione formale in una lunga serie di onorificenze: la "Linderberg Medaille", nel 1906; la medaglia Tapling, nel 1929; la "Crawford Medal" della Royal Philatelic Society, solo per citare le più rilevanti.
 
Nel 1921 Emilio Diena firma il "Roll of Distinguished Philatelists", il massimo riconoscimento possibile per un filatelico.  
 
Una microstoria della filatelia in tre fotografie dall'album di Emilio Diena:
nel 1894 - a Milano - bastavano cinque esperti per valutare una mostra internazionale;
nel 1924 si passa a undici membri;
nel 1930 - a Berlino, alla manifestazione "IPOSTA" - si superano i venti giurati.

La varietà di occasioni in cui Emilio Diena diede prova della sua competenza filatelica lo resero il punto di riferimento di collezionisti e mercanti, che lo interpellavano di continuo per avere un'opinione tecnica su lettere e francobolli.
 
Se il pezzo superava l'esame, se il suo giudizio era favorevole, allora apponeva le iniziali "E.D.", oppure le firme "E. Diena" o "Emilio Diena" - in ragione della rarità - che sono ancor oggi una garanzia riconosciuta nell'intero mondo filatelico.

Ingegnoso e risolutivo il metodo talvolta seguito per dirimere questioni spinose: quando gli fu sottoposto un 80 centesimi di Parma usato, con annullo del 15 dicembre 1859, Diena chiese al proprietario se in collezione non fosse per caso presente anche un 20 centesimi con la stessa data - convinto dell'esistenza a suo tempo di un'altra lettera affrancata per 1 lira con la combinazione 80+20 centesimi, oltre a quella già nota - e alla risposta affermativa, appose senza indugio la firma.

Di quando in quando riportava  delle annotazioni a matita sulle grandi rarità - "Garantito", "Unico a me noto", "Unico esemplare su lettera conosciuto con bollo..." - che ancora fanno testo.
 
Il 3 lire Rothschild, firmato da Emilio Diena (in basso, all'inizio dell'indirizzo).
 
 
 
L'80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma:
una gioiello della filatelia mondiale "garantito" da Emilio Diena
(in alto alla vostra destra, scritto in obliquo).



Coppia del 50 bajocchi "stampa difettosa" dello Stato Pontificio,
firmata al verso da Emilio Diena: "Unico paio a me noto".
 
 

La firma di Emilio Diena su una lettera da Reggio a Milano, del 5 agosto 1859,
affrancata con un esemplare isolato della la lira del Ducato di Modena.
In basso - alla vostra sinistra - è presente l'annotazione
"Unico esemplare su lettera conosciuto, con bollo Reggio 1859".
  
Svolse a lungo l'attività peritale a titolo gratuito, come forma di cortesia e amicizia verso i suoi corrispondenti, ma finì inevitabilmente col dargli un contenuto professionale - quindi a pagamento - quando si accorse che le richieste di consulenze aumentavano a gran ritmo e gli assorbivano parecchio tempo.
 
E fu l'inizio di una nuova azione sul campo, "eccezionalmente vasta ed importante", nel riconoscimento di Giulio Bolaffi, anche perché segnata da una precisione e un'intransigenza - nel bene esclusivo della filatelia tutta - che sono rimaste agli atti.
 
L'annuncio di Emilio Diena
 con cui ufficializzava l'avvio dell'attività peritale,
apparso su "Il Filatelista Italiano", n. 7 del 1898 .

  
 
Un biglietto da visita di Emilio Diena, nel periodo romano.
 
 
 
 
Estratto dagli "Atti del 1° Congresso Filatelico Italiano"
(Napoli, 28-30 maggio 1910). 
 
 
Iniziò a redigere i "certificati con fotografia" a partire dagli anni '20, riservandoli solo a pezzi di oggettiva importanza - non ne rilasciava che una decina l'anno - e che testimoniano un importante tratto di storia della filatelia italiana e non solo.
 
Dei primi se ne è ormai persa traccia; uno dei più antichi - il numero 22, recuperato dai figli - è la perizia del 75 centesimi fiscale del Lombardo-Veneto usato per posta, e dà conto della procedura seguita per l'analisi, mostrando un'etica professionale che le generazioni successive avrebbero purtroppo smarrito: "Esaminando l'esemplare con la lampada di quarzo, appaiono inferiormente le parole 'Notajio che', scritte a penna, che sebbene si cerchi di far scomparire con mezzi chimici, pure sono chiaramente leggibili". L'ultimo certificato noto è dell'8 ottobre 1941, relativo a un 3 lire di Toscana (usato).
 
Scrisse a lungo le perizie di suo pugno, con una calligrafia forte, decisa, su fogli di carta intestata; si rivolgeva a una persona precisa, con formule del tipo "Egregio Signore" o "Illustrissimo"; e gli ci volle circa un decennio per passare alla battitura a macchina.
 
 

Un campionario dei primi certificati di Emilio Diena.
 
 
 
 
Una corrispondenza privata di Emilio Diena con un collezionista (Ingegner Garbin)
relativamente alla marca per giornali "Mercurio rosso" dell'Impero Austriaco.
Diena si congratula poi col collezionista, per aver finalizzato l'acquisto:
"Sento con piacere che ella ha aggiunto alla sua collezione il Mercurio [rosso].
Me ne compiaccio anche perché l'esemplare è di rara freschezza".
Riferisce poi "che durante la mia non breve carriera filatelica non ebbi mai occasione
di acquistare altro che l'esemplare offertole"; e che "si tratta di una rarità classica
e forse i prezzi segnati nei cataloghi sono inferiori al vero valore commerciale
di un francobollo che non si vede affatto".
 
Sempre preciso e scrupoloso nella conservazione del materiale ricevuto in esame, in una sola occasione sfiorò il disastro: buttò in un cestino la cenere dell'inseparabile sigaro Avana, che appiccò il fuoco alla carta; le fiamme invasero il suo studio, e l'arrivo dei pompieri - per colmo d'ironia - fece sì che l'acqua provocasse un danno filatelico largamente superiore a quello del fuoco; a sua moglie Pia - per lo spavento - tutto d'un colpo i capelli diventarono bianchi. 
 
Di là dell'aneddotica e del folklore rimane un fatto della più grande rilevanza: la sua firma e i suoi certificati si affermarono ben presto come uno standard nelle valutazioni e nelle transazioni di mercato, e la loro presenza diventò un motivo di vanto per i collezionisti che possedevano i relativi pezzi.
 
  Il ricordo di Luigi Sassone di Emilio Diena, riportato dal nipote Enzo.
 
Emilio Diena era il centro di gravità del mondo filatelico del suo tempo, e inevitabilmente finì con l'attirare anche invidie e antipatie.

"Si tentò, di tanto in tanto, di calunniarlo, forse nell'intento di demolire il regime poco meno che monopolistico nel quale egli operava" - ricorda il nipote Enzo Diena - "e personaggi che indossavano camice non propriamente candide provarono anche a lanciare un 'nuovo sistema peritale'; ma il progetto abortì".




 Nel 1934, anno XII dell'era fascista,
Gaetano Garofalo pubblica il volumetto "6 periti e un francobollo".
che diventa - inevitabilmente - un attacco diretto a Emilio Diena.
Di là del fatto che Emilio Diena è passato alla storia della filatelia,
e di Gaetano Garofalo invece non si ricorda ormai nessuno,
"6 periti e un francobollo" rimane a tutt'oggi una lettura consigliata,
che una volta spogliata dall'eccessiva asprezza dell'intonazione,
è utile per avvicinarsi al mondo peritale col giusto spirito critico.
  
Era un uomo austero, riservato, poco incline alla confidenza, che incuteva soggezione persino tra i familiari. Il suo abbigliamento - invariabilmente elegante - ne esprimeva l'intero carattere: portò sempre il colletto duro, a punte rivoltate, e poi il plastron, una cravatta di seta tipicamente utilizzata per le cerimonie più importanti.
 
Il suo nome appare purtroppo raramente nelle edizioni dei "Modenesi da ricordare" o delle "Vite dei Modenesi illustri". E' però presente e ben descritto nelle varie enciclopedie italiane ed estere, e in particolare nel nel volume 39, alla pagina 787, del "Dizionario Bibliografico degli Italiani", pubblicato nel 1991 dall'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani.
 
Nell'estate 2024 - col patrocinio del Comune di Sestola - l'Associazione Culturale gli ha dedicato la mostra "Emilio Diena Pioniere della Filatelia", articolata in 18 pannelli (visibili on-line sul sito internet dell'Associazione Filatelica Numismatica Italiana "Alberto Diena"). 
 
La città di Modena gli ha poi intitolato una via, in una zona appartata e tranquilla, come sicuramente lui avrebbe gradito.
 
 
La villa - a Sestola - dove Emilio Diena trascorreva il periodo estivo:
una perla d'architettura che ha impreziosito l'intera zona,
simbolo di una epoca in cui le famiglie più in vista di Modena
avevano in Sestola un preciso riferimento per le loro vacanze.
 
 



Un momento della mostra dedicata a Emilio Diena,
(in cui il pronipote Raffaele Raffaele Maria Diena dà spiegazioni al pubblico)
e una della bacheche della mostra, con libri e documenti del Maestro.



Via Torre, a Modena, e il portoncino n. 3 (ora n. 1) dove abitò Emilio Diena.
 
La passione di Emilio Diena passò ai figli, al nipote e al pronipote, come fosse una tara genetica: una tradizione, unica al mondo, di quattro generazioni impegnate nelle perizie filateliche.
 
Emilio Diena, il capostipite della famiglia di filatelici,
trovò nei figli Mario e Alberto gli eredi del suo cammino.
(Mario, meno incline a dividere il tempo tra lo studio e l'impegno pubblico,
delegò al fratello l'incombenza di trasmettere il nome "Diena" a livello di firma peritale).
Enzo - figlio di Alberto - è stato per quarant'anni l'ambasciatore della filatelia italiana nel mondo.
Dalla fine degli anni '80 lo ha affiancato il figlio Raffaele,
con un successivo passaggio di consegne più rapido rispetto al passato,
a causa della malattia di Enzo (che lo portò via alla fine degli anni '90). 
 
"Se esistesse la macchina del tempo, mi farei portare alla Sua epoca per poterlo conoscere di persona" - scrive Paolo Vaccari, nel tratteggiare la figura di Emilio Diena - "E' infatti il personaggio filatelico al quale sono più riconoscente per ciò che ha fatto per quell’hobby che tanto mi appassiona fin dall’infanzia. La mia gratitudine nei Suoi riguardi l'ho potuta esprimere solamente ristampando alcune sue opere fondamentali per la filatelia italiana perché avessero quella giusta diffusione, specie tra le nuove generazioni", e che ogni collezionista di Antichi Stati avrà sicuramente letto almeno una volta.
 
Il numero 6 del giugno 1930 della rivista "Il Corriere Filatelico"
festeggerà il 70° compleanno di Emilio Diena,
con la pubblicazione della sua biografia, corredata da una serie di foto,
e di trentuno messaggi d'augurio di collezionisti e circoli italiani,
quale "tributo d'affetto e d'ammirazione" del mondo filatelico.

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