I tre francobolli - da 15, 25 e 40 centesimi - dell'emissione del Ducato di Parma del 1857.
9 giugno 1859:
l'addio della Duchessa
"Quanto sia stato il Governo della mia Reggenza ne invoco a testimoni tutti Voi abitanti dello Stato e la Storia. Idee più ferventi, lusinghiere per le menti italiane, sono venute a inframmettersi ai progressi pacifici e saviamente liberali cui tutte le Mie cure erano rivolte: e gli avvenimenti che or si succedono Mi hanno collocata fra due contrarie esigenze, prendere parte ad una guerra dichiarata di nazionalità, e non far contro alle Convenzioni cui Piacenza in special modo e lo Stato intero erano già sottoposti lungo tempo innanzi che ne assumessi il Governo. Non debbo contraddire ai proclami volti d'Italia né venir meno alla lealtà. Onde, non riuscendo possibile una situazione neutrale... cedo agli eventi che premono e raccomando al Municipio Parmense la nomina di una Commissione di Governo per la tutela dell'ordine, delle persone e delle cose... E mi ritiro in paese neutro presso gli amati miei figli, i cui diritti dichiaro di riserbare pieni ed illesi fidandoli alla giustizia delle Altre Potenze ed alla Protezione di Dio"
(Maria Luisa di Borbone, Duchessa di Parma, 8 giugno 1859)
La Duchessa Luisa Maria lascia Parma il 9 giugno 1859, sotto la pressione dei moti patriottici che le vorrebbero far abbracciare la causa italiana. Invoca i sudditi e la Storia a testimoni del suo
operato, ma cede il passo "agli eventi che premono", a idee "più ardenti,
lusinghiere per menti italiane", a forze percepite irresistibili, "non riuscendo possibile una situazione
neutrale".
Aveva assunto la reggenza del Ducato nel 1854 - per conto del figlio Roberto, di soli 6 anni - a seguito dell'assassinio del marito: l'unica donna con responsabilità di governo nella penisola preunitaria, erede ideale di un'altra Maria, la moglie di Napoleone, a cui il Ducato era stato assegnato come vitalizio dal Congresso di Vienna.
"[L'assassino] attese la sua vittima ad una svolta di strada
e l'affrontò parlandogli in sul viso con piglio di affaccendato,
disse:
'lasciatemi andare al centro che ho fretta'.
Mentre il duca rispondeva:
'che sfacciataggine è questa',
quegli gli squarciava con larga ferita il
ventre, da basso,
e tenendo il coltello immerso, si spinse alcuni passi
addietro,
per modo da trovarsi al coperto dall'intendente addietro che
accompagnava il Duca.
Questi stramazzò, l'intendente accorse,
l'assassino seguitò la sua corsa
fino a rimescolarsi con un gruppo di
gente. [...].
L'augusto ferito fu recato di colà al palazzo
per mano
dell'intendente e dell'alabardiere, in mezzo alla gente accorsa.
Furono
subito dati ordini perché le porte della città fossero chiuse,
e fatte
delle perquisizioni domiciliari. Altri aggiunti.
Cinque o sei giorni
prima del colpo si vide scritto in vari luoghi della città, morte al
duca,
e poco prima del fatto: sepoltura al duca.
Nel giorno in cui
succedette il colpo, si trovarono troncati i fili del telegrafo
verso
Piacenza e verso Lombardia e per togliere che i soprastanti potessero
rannodarli
in ciascuna direzione erano stati troncati in tre luoghi"
(Da una lettera dell'incartamento del processo all'avvocato mazziniano Luigi Petroni,
celebrato a Roma nel dicembre 1854)
Già a inizio di maggio, dopo la scoppio della Seconda Guerra d'Indipendenza, la Duchessa si era rifugiata a Mantova.
Ne erano seguiti dei disordini istituzionali, e si era imbastito un Governo Provvisorio "in nome di Vittorio Emanuele".
Lettera scritta a Fontanellato il 2 maggio 1859, e spedita da Parma il 3 maggio,
diretta a Lonato (Regno del Lombardo-Veneto) affrancata per 15 centesimi,
a mezzo di una striscia di tre dell'esemplare ducale da 5 centesimi del 1852,
annullata col bollo nero "a griglia" di Parma.
Dal testo interno: "Qui abbiamo perduto ieri la Duchessa, che pare sia partita".
Ma dopo appena un paio di giorni il piccolo esercito borbonico aveva annullato ogni velleità liberale, e riportato la Duchessa a Parma, tra la gente in festa.
"Ho parlato un poco per ciascuno a
tutta questa brava gente" - raccontava Luisa Maria - "Hanno voluto trascinare la mia carrozza sin
presso i Cappuccini e si ostinavano a condurmi fino al palazzo".
Lettera da Parma a Pontremoli del 26 maggio 1859
- periodo di rientro della Duchessa Luisa Maria -
affrancata con un esemplare da 15 centesimi del 1857.
Fu
un'illusione.
L'eco delle cannonate franco-piemontesi - ogni giorno più forte - suggerì a Maria Luisa di lasciare nuovamente il Ducato, il 9 giugno, per rifugiarsi a Venezia.
Il 10 giugno l'esercito legittimista prese la via del Mincio, dove si andava
attestando lo stesso Imperatore d’Austria con i suoi soldati.
Il Generale Ignazio Ribotti - al comando della brigata "Cacciatori della Magra" - varcò il confine parmense su incarico del Governo di Torino, ed entrò a Pontremoli.
La Duchessa chiese ragione a Cavour di quell'aggressione ingiustificata - non preceduta da dichiarazioni di guerra o da azioni ostili del Ducato verso le truppe piemontesi - ma il Conte la liquidò sprezzante, nel suo solito italiano approssimativo. "Il Ducato di Parma, essendo la base d'operazione dell'armata nemica, non è possibile impedire che, anche da parte nostra, non accadano ostilità".
Lettera da Parma a Reggio Emilia del 9 giugno 1859
- il giorno dell'addio di Maria Luisa al suo Ducato -
affrancata con un esemplare da 15 centesimi del 1857.
9 giugno 1859 - 11/12 marzo 1860:
in nome di Re Vittorio Emanuele
Nel lasciare Parma, Luisa Maria aveva raccomandato "la nomina di una Commissione di Governo per la tutela
dell'ordine, delle persone e delle cose".
Alle quattro del 9 giugno il cambio di poteri era già cosa
fatta: una commissione governativa soppiantò gli uomini della Duchessa, e per un'ironia della storia ne era a capo il liberale Girolamo Cantelli, condannato a morte nel 1848 e poi graziato proprio da Luisa Maria (che gli aveva così permesso di rientrare dall'esilio di Genova).
A metà giugno arrivò da Torino il Conte Diodato Pallieri, per replicare a Parma il sistema di governo già sperimentato con Farini a Modena e con Boncompagni e Ricasoli a Firenze.
I municipi di Parma e Piacenza gli manifestarono la volontà di unirsi agli Stati Sardi, e Palleri propose un plebiscito "per quietare l'opinione pubblica, esagitata e commossa"; per dare le più ampie libertà alla manifestazione della volontà popolare, cedette il testimone all'avvocato Giuseppe Manfredi - figura peraltro maggiormente gradita all'alleato francese - che promosse l'unificazione amministrativa tra Parma e Modena, sotto la dittatura di Farini (attuata il 18 agosto).
Una votazione dell'Assemblea dei Rappresentanti del Popolo - riunita a Parma, l'11 settembre - dichiarava decaduta la dinastia borbonica, e nella seduta successiva deliberava l'unione delle Province parmensi al Regno dei Savoia.
Con decreto del 30 novembre i territori parmensi entrarono a far parte delle Regie Province dell'Emilia, rette ancora da Carlo Farini, che le traghettò verso il plebiscito dell'11 e 12 marzo 1860. I voti favorevoli, a Parma, sfiorarono il 100%.
Le cose andarono in ben altro modo, perché la realtà segue vie sue proprie, raramente coincidenti con le direzioni previste. La Lombardia entrò nel Regno di Sardegna, ma il Veneto rimase austriaco. Fatto più rilevante - forse prevedibile, ma non contemplato dagli accordi di Plombières - anche la parte centrale della penisola era insorta per unirsi al Regno dei Savoia.
L'11 luglio 1859 gli Imperatori di Francia e Austria s'incontrarono a Villafranca per negoziare le condizioni di pace.
L'incontro a Villafranca tra Napoleone III e Francesco Giuseppe.
Come regolarsi verso quei territori - i Ducati di Modena e Parma, il Granducato di Toscana e la Romagna pontificia - indirettamente attratti nel conflitto?
Modena e Toscana orbitavano nella sfera austriaca e - negli intenti dichiarati - sarebbero dovute tornare alle legittime dinastie, rispettivamente gli Austria-Este e gli Asburgo-Lorena (che si sarebbero impegnate a concedere un'amnistia e promulgare una Costituzione).
Parma presentava invece una situazione singolare: i Borbone non avevano vincoli con l'Impero d'Austria, anche se la prossimità geografica del Ducato coi territori toscani e modenesi aveva creato e rinsaldato nel tempo dei legami sia amministrativi (si pensi alla Lega Postale Austro-Italica) che militari (già il Duca Carlo II aveva chiesto all'Austria di intervenire a tutela del trono parmense in caso di rivolte liberali, e dopo il 1848 il Ducato era stato in effetti ripristinato sotto la reggenza degli austriaci, prima di esser restituito ai Borbone).
Se da un lato Parma sarebbe potuta tacitamente confluire nel Regno di Sardegna, dall'altro lo sbocco più naturale era la condivisione delle sorti della Toscana e di Modena, vista la sua storia.
Davvero un bella sciarada.
Uno stralcio della "Rassegna di giornali" - dall'Omnibus di Napoli del 14 agosto 1860 -
"La scienza politica tuttaquanta ne diventò stupida...
Tutti hanno bonariamente creduto che una siffatta modificazione di frontiere,
che d'un solo tratto ha fatto d'uno Stato di terz'ordine quasi una grande potenza,
richiedesse una discussione ed una conferma dell'Europa".
I diretti interessati - Re Vittorio e il suo Primo Ministro Cavour - erano tenuti ai margini delle negoziazioni diplomatiche, come se il fatto non li riguardasse. Ma le autorità piemontesi non erano inermi, a registrare passivamente ciò che altri decidevano per loro. Agivano anch'esse, nella misura consentitagli dalle circostanze.
A fine giugno giungeva a Parma il Cavalier Ugolino Forni - Capo Sezione nella Direzione Generale della Posta degli Stati Sardi - per sollecitare il Conte Palleri a introdurre le tariffe postali piemontesi nelle zone parmensi - un atto amministrativo che neanche troppo velatamente equivaleva a una dichiarazione di possesso territoriale - sancita il 15 luglio 1859, seppur tra inevitabili incertezze applicative.
Il 25 luglio il Direttore delle Poste di Parma indirizzava una circolare agli uffici postali, dall'oggetto auto-esplicativo - "Col 1° agosto p.v. si comincerà a far uso negli Stati Parmensi dei francobolli sardi" - poi ripreso ed enfatizzato nel testo - "A far tempo dal 1° agosto p.v. si farà uso negli Stati di Parma del Francobollo da lettere con l'impronta di S.M. l'Augusto Nostro Sovrano Vittorio Emanuele II" - in una celerità paradigmatica del tentativo di stabilizzare attraverso la Posta una situazione politica percepita precaria (se si pensa che a Modena, per contro, i francobolli ducali andarono fuori corso solo a metà ottobre).
L'1 agosto arrivò così la IV emissione di Sardegna,per dare un giro di vite a quel cambio surrettizio di poteri: 1.000 esemplari da 5 centesimi, 4.000 da 10 centesimi, 20.000 da 20 centesimi, 4.000 da 40 centesimi, 1.800 da 80 centesimi. Un esercito di cartache portava Vittorio Emanuele in giro per Parma e dintorni, a dire "qui, ora, comando io", quando nessuno - né a Parma né a Villafranca - si era ancora ufficialmente pronunciato a favore del Re di Sardegna.
Napoleone III si aspettava forse di peggio - tant'è che già a fine giugno aveva inviato delle truppe a Parma e Piacenza, per tenere la situazione sotto controllo - ma rimase comunque indispettito da quella fuga in avanti, da un'annessione postale in cui riecheggiava un dominio politico tutt'altro che scontato.
Palazzo del Governatore a Parma (ora distrutto).
Storia antica e ricorrente, quella delle ambizioni su Parma.
Già nel 1849, a conclusione della Prima Guerra d'Indipendenza, le condizioni di pace tra Austria e Piemonte avevano portato il Ducato al centro delle trattative per il riassetto politico della penisola, con gran stizza del Re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone.
Il 17 gennaio - all'indomani della trionfale elezione di Napoleone III a Presidente della Repubblica francese - Re Ferdinando impartiva istruzioni alla diplomazia napoletana d'oltralpe per assicurarsi il sostegno della Francia, contrastare le mire inglesi sulla Sicilia e - non ultimo - impedire l'annessione piemontese del Ducato di Parma: "si
vocifera che si voglia dare al Governo del Piemonte il Ducato di Parma e
Piacenza, in compenso delle spese della guerra sinora sostenute. Ove ciò
seguisse, Voi non mancherete, ove la vostra posizione in Parigi lo
permetterà, di far valere i diritti, a voi ben noti, della Nostra Reale
Corona a quei Ducati. E quando ciò non bastasse e si volesse
assolutamente disporne, userete quei mezzi, che nella vostra saviezza e
nelle presenti circostanze d'Europa giudicherete più convenienti a
serbare integre le Nostre prerogative".
Se ne sarebbe dovuto discutere in una conferenza a Bruxelles, che però non andò mai in scena, e la cosa sembrò finire lì. Ma nel 1856, a conclusione della Guerra di Crimea, il Regno di Sardegna poteva far sentire la sua voce al Congresso di Parigi, eRe Vittorio dava indicazioni altrettanto chiare a Cavour. "Secchi l'Imperatore finché basti. Dia i Principati all'Austria e anche al diavolo se li vuole, ma si faccia dare quello che voglio", vale a dire il Ducato di Parma e Piacenza, di Luisa Maria. Cavoursondava Napoleone e ne riceveva un assenso di massima, seppur condizionato. "Trovate un posto qualunque dove mandare la Duchessa di Parma, e io farò dare il suo Ducato al Piemonte". Il posto non si trovò, e la Duchessa rimase dov'era.
I riguardi dell'Imperatore francese verso i Borbone-Parma si manifestarono nuovamente nella messa a punto degli accordi di Plombières. "L'Imperatore
ammise senza difficoltà che bisognava scacciare del tutto
gli austriaci dall'Italia, e non lasciare loro neppure un pollice di
terreno al di qua delle Alpi e dell’Isonzo. Ma poi, come organizzare
l'Italia?" - scriveva Cavour a Vittorio Emanuele, il 24 luglio 1858 - "... da parte mia ho indicato che la duchessa di Parma
potrebbe occupare, almeno in modo transitorio, palazzo Pitti.
Quest'ultima idea è piaciuta infinitamente all'Imperatore, che sembra
attribuire una grande importanza al fatto di non essere accusato di
perseguitare la duchessa di Parma, nella sua qualità di principessa
della famiglia di Borbone".
Un po' tutti, quindi, si aspettavano il fastidio di Napoleone davanti l'attivismo piemontese post-bellico, e tutti al principio rimasero cauti.
L'esercito della IV di Sardegna aveva sì fatto il suo ingresso a Parma già alla fine di giugno, ma era stato prudenzialmente tenuto fermo per timore di irritare il potente alleato francese, e solo dopo oltre un mese si erano rotti gli indugi, mandandolo in giro ad affrancare la corrispondenza.
Quell'esercito di carta - impunemente messo in circolo - doveva ora arretrare, o almeno riposizionarsi: non
era più possibile usare i francobolli sardi, o almeno non in via esclusiva, se non si voleva indispettire ulteriormente l'Imperatore della Francia.
I francobolli sardi iniziarono a circolare nei territori parmensi dall'1 agosto 1859.
Il loro utilizzo è convenzionalmente suddiviso in due periodi:
dall'1 al 26 agosto, quando avevano l'esclusiva delle affrancature,
e dal 27 agosto in poi, quando gli si affiancarono i francobolli provvisori
(formalmente validi sino al 31 gennaio 1860, e poi tollerati anche in febbraio,
dando così la possibilità di affrancature miste, di grande rarità).
Queste due lettere sono entrambe spedite dall'ufficio postale di Borgo S. Donnino
e appartengono, rispettivamente, al primo e al secondo periodo (22 agosto e 3 settembre).
Il testo della prima restituisce la cronaca degli eventi di quei giorni:
"Garibaldi non è passato, da Parma è tornato a Modena,
col convoglio sono invece venute le parole dette da Napoleone:
Dite alla popolazione che io non imporrò mai ad essa un governo contro la loro volontà
e che non permetterò mai che ciò si faccia da alcuna potenza straniera".
La seconda testimonia invece lo scarso traffico postale della località:
"... ma questo ufficio di Borgo S. Do[nnino], essendo di classe infima (2° o 3°)
non abilitato a pagare che vaglia di piccolo taglio".
Gran parte di lettera del 18 agosto 1850 da Parma per Trento,
affrancata con un 80 centesimi della IV di Sardegna,
per il quadruplo porto della corrispodenza verso l'Impero Austriaco:
un pezzo che fa da ambasciatore all'80 centesimi del Governo Provvisorio.
27 agosto 1859:
l'emissione del Governo Provvisorio
Sino al 1852 nel Ducato di Parma si potevano leggere gratuitamente i giornali e le gazzette estere, anche se provenienti da Stati con idee politiche liberali.
Dopo il trattato doganale con l'Austria - del 9 agosto - fu introdotta una tassa di lettura (che la retorica avrebbe definito "la tassa sulle idee"): ammontava a 9 centesimi (ridotta a 6, nel 1857) e al principio prese la forma di un bollo a doppio cerchio con al centro il giglio borbonico - in dotazione negli uffici di Parma e Piacenza - da apporre sui giornali in ingresso nel Ducato.
Bollo da 9 centesimi in dotazione a Parma,
sulla "Gazzetta Ufficiale di Milano" del 7 marzo 1853.
Bollo da 9 centesimi in dotazione a Piacenza,
sulla "Gazzetta Ufficiale di Milano" del 29 marzo 1853.
Nell'aprile del 1853 il Ducato emise una marca da 9 centesimi, dallo stereotipo neutro: un ottagono a linee curve accoglieva la dicitura "STATI PARMENSI", con sotto una linea orizzontale per separarla dalla scritta a semicerchio "CENTESIMI", piazzata sopra l'indicazione del valore. Virtualmente impossibile immaginare una vignetta più sobria.
Segnatasse da 9 centesimi azzurro annullato con il bollo "a griglietta" di Piacenza,
sulla "Gazzetta Ufficiale di Milano" del 25 giugno.
Lo stereotipo del segnatasse - proprio per il suo anonimato - era il candidato naturale per realizzare un'emissione provvisoria, istituzionalmente più rispettosa dello status delle negoziazioni a Villafranca.
Dal cliché originario fu eliminata la cifra "9", sostituita con i valori "5", "10", "20", "40" e "80", mutuati dall'emissione sarda, a cui ci si ispirò anche nella definizione dei colori (verde, bruno, azzurro, rosso, giallo).
L'opera di modifica non fu tra le migliori: vennero fuori cifre storte, incomplete, disallineate, oltre a vari danneggiamenti alle diciture. Pure la distanza tra gli esemplari riuscì lievemente differente rispetto al segnatasse, per l'inserimento di spazi tipografici nella composizione del foglio.
I nuovi valori videro la luce in fogli da 60 esemplari - disposti in 10 file da
6 - e in due differenti tirature, a eccezione del valore da 80 centesimi (a tiratura unica).
Non esiste un giorno ufficiale di emissione; il 27 Agosto 1859 è la prima data d'uso
sinora rinvenuta.
La serie del Governo Provvisorio di Parma, con relative statistiche sull'emissione.
L'affollamento sul territorio parmense dei più svariati poteri - politici, militari, amministrativi -
è emblematicamente testimoniato da una serie di insoliti abbinamenti.
La compresenza dei valori del Provvisorio e della IV di Sardegna
diede luogo ad affrancature miste tra le due emissioni per la corrispondenza all'interno della penisola,
ma anche i soldati del Corpo di Spedizione francese, pur disponendo di un servizio di posta militare,
affidarono occasionalmente l'invio della propria corrispondenza al servizio di posta civile,
accoppiando i francobolli francesi in loro possesso (col profilo di Napoleone III)
ora ai valori del Governo Provvisorio di Parma, ora ai valori della IV di Sardegna.
L'alto valore da 80 centesimi - in particolare - serviva per affrancare lettere di oltre 30 grammi, dirette oltre i confini parmensi, o le assicurate di peso superiore ai 20 grammi; se ne prevedeva quindi un uso limitato, e infatti ebbe una sola tiratura di 40 fogli (da cui i 2.400 esemplari prodotti, con un colore variabile tra il bistro, il bistro oliva, il bistro arancio e l'arancio intenso).
Paolo Vaccari ne ha ricostruito la storia, sulla base della documentazione degli "Archivi dei Governi Provvisori e Straordinari 1859-1861", disponibili presso il Ministero degli Interni: "risulta che il 7 novembre 1859 il Direttore Generale delle Poste di Parma, Conte Barattieri, consegnò all'Ufficio postale di Parma 1.800 esemplari da cent. 80, corrispondenti a 30 fogli. Questo ufficio era retto da due funzionari, Ruspaggiari e Besia, che, come risulta dalle note di carico e scarico, avevano compiti e forse responsabilità diversi: solo Ruspaggiari ebbe la dotazione di tutti i valori della nuova emissione del Governo Provvisorio, mentre Besia ebbe i soli valori da cent. 5, 10 e 20".
Dal 24 ottobre 1859 in poi, "risulta che a Ruspaggiari venne consegnato un solo foglio da 60 esemplari del cent. 80 l'11 dicembre 1859, più 3.600 esemplari (60 fogli) del cent. 40 suddivisi in quattro consegne". Non solo. "I carteggi rintracciati danno la certezza che dopo la fornitura del foglio da cent.80 a Ruspaggiari in data 11 dicembre non vennero più consegnati cent.80. Anche se li terminò, Ruspaggiari non ne richiese altri in quanto, verosimilmente, preferì utilizzare la non indifferente quantità di cent.40 che aveva preso in carico, molti dei quali (1.020) risultan ancora giacenti nelle rimanenze mensili del 31 dicembre 1859".
Il 31 gennaio 1860 - termine di validità dei francobolli provvisori - la Direzione Generale delle Poste di Torino sollecitò la chiusura delle operazioni di carico e scarico dei francobolli sardi e provvisori, per poter ripartire, da febbraio, con una nuova contabilità riferita solo alle nuove forniture (di francobolli sardi).
I numeri erano peraltro disponibili solo in aggregato, ché sin dall'inizio i francobolli erano stati distinti esclusivamente in base al valore facciale.
E' noto che gli 80 centesimi sardi - arrivati a giugno da Torino - furono 1.800; e che gli
80 centesimi provvisori prodotti a Parma - da agosto - furono invece 2.400; si avevano quindi 4.200 francobolli con un facciale da 80
centesimi.
La Direzione Generale delle Poste di Parma ne restituì 2.785, senza possibilità di distinguere, oggi, tra gli 80 centesimi sardi e e gli 80 provvisori; se ne dedurrebbe - per differenza tra i quantitativi di carico e di scarico - che gli esemplari da 80 centesimi messi in circolazione siano stati 1.415.
Ma le statistiche disponibili documentano la vendita di solo 1.268 (di cui 68 dell'80 centesimi del provvisorio) per cui mancano all'appello 147 pezzi, una squadratura imputabile alle vendite precedenti al 24 ottobre 1859, sulle quali non sono disponibili informazioni.
Blocco di nove dell'80 centesimi di Parma (posizioni 33-35, 39-41, 45-47)
con le varietà "zero grasso" (alle posizioni 45 e 47 del foglio).
Massimo multiplo noto dell'80 centesimi, ex Collezione Barcella.
L'80 centesimi usato: i 5+1 esemplari sciolti
I tre 80 centesimi di Parma - usati, sciolti - della Collezione Barcella.
L'esemplare del 15 dicembre apparteneva a una collezione formata all'estero,
negli anni '30 del secolo scorso, da un collezionista italiano.
Emilio Diena, chiamato a pronunciarsi sulla sua originalità,
domandò al proprietario se nella collezione vi fosse un 20 centesimi con la stessa data;
e la risposta affermativa fu dirimente per esprimere un parere favorevole,
perché avvalorava l'ipotesi che i due esemplari si trovassero sulla stessa lettera,
a formare l'affrancatura di 1 lira, da cui poi erano stati rimossi.
Questo esemplare è stato a lungo considerato l'unico (usato) perfetto.
L'80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma è il più raro francobollo classico italiano allo stato di usato, e uno tra i più rari al mondo. Il Catalogo Sassone afferma che "sono noti solo sette esemplari (di cui tre soli perfetti, uno su lettera), sei nella gradazione di colore bistro oliva, usati a Parma, e uno arancio usato a Piacenza".
Sette esemplari in tutto, dunque, uno su lettera (su gran parte di lettera, per la precisione) e sei sciolti.
Ora, quando si parla di grandi rarità, si rievocano sempre le fasi del loro ritrovamento, i nomi dei grandi collezionisti che le hanno possedute, dei periti che le hanno certificate, ma anche, inevitabilmente, le controversie a cui hanno dato origine.
I sette esemplari dell'80 centesimi usato del Governo Provvisorio di Parma,
incluso l'esemplare sul lettera (qui etichettato col numero 1).
In parentesi è indicato l'anno del loro ritrovamento,
e a seguire vi è la data (giorno e mese) di utilizzo (segnalata dall'annullo).
L'elencazione degli 80 centesimi segue l'ordine cronologico della loro scoperta, con l'eccezione del numero 7, che ha una storia del tutto particolare, a cominciare dalla località d'uso - Piacenza anziché Parma - ed è perciò tenuto "a parte e in fondo", se così si può dire.
Il "settimo 80 centesimi" viene rinvenuto nell'immediato dopoguerra, e il perito Alfredo Fiecchi lo battezza "perfetto e assolutamente originale" in un certificato del 5
luglio 1947, con quell'avverbio modale - assolutamente - che tradisce il desiderio di sovracompensare ogni dubbio, e contrariamente alle intenzioni lascia presagire tutti i travagli che verranno.
Nel 1954, Giovanni Pietrucci pubblica la monografia "I bolli di annullamento - la pittura in filatelia", in cui documenta i metodi d'avanguardia per accertare l'autenticità dei francobolli degli Antichi Stati Italiani. L'80 centesimi di Parma ha l'onore della copertina, con un malefico pennino gocciolante dietro e uno scorpione sull'angolo inferiore destro, a evocare e anticipare una conclusione velenosa.
"L'importanza assunta dalla filatelia, le cui transazioni commerciali superano quelle dei quadri,
ci ha indotto ad approfondire ed escogitare metodi d'indagine che la Filatelia non ha mai applicato,
a partire dai raggi X che sperimentammo oltre 20 anni or sono,
con particolare riguardo alle antiche emissioni.
La perizia dei quadri si avvale oltre che delle nozioni acquisite dall'Esperto,
anche dei più recenti ritrovati scientifici, con un armamentario addirittura imponente,
quali laboratori chimici attrezzatissimi, apparecchi per raggi X, infrarossi,
ultravioletti, macchine fotografiche per eseguire foto in tutte le condizioni e con tutte le specie di lastre,
microscopi, spettrografi, cellule fotoelettriche, flessometri ecc. ecc.
Talché la perizia di un antico dipinto, eseguita con tutte le regole, senza lesinare mezzi d’indagine,
dà risultati molto più attendibili di quelli del 'parere'
dovuto all’esclusiva cultura dell’esperto, epperò completamente soggettivo.
Nell’era atomica l'indagine filatelica, che ha molte affinità con quella della pittura,
è rimasta cristallizzata ai suoi primordi, e cioè superficiale, soggettiva,
affidata all’occhio clinico e particolarmente ai bolli d’annullamento è spesso arbitraria ed illogica
[...]. Quando iniziammo queste indagini, or è un ventennio,
ci proponemmo fornire delle prove iconografiche, scientifiche ed intaccabili
con i nostri referti in materia filatelica, dato che il sistema peritale, non disinteressato, in uso,
non va oltre al 'parere', machiavellico sistema che pone al sicuro da qualsiasi responsabilità [...].
Noi che non abbiamo alcun particolare interesse da difendere,
con i nostri metodi d’indagine esortavamo gli esperti a maggior cautela nel formulare giudizi,
alfine di non divenire pronubi coi loro certificati e sigle, di ingenti truffe,
senza rivalsa da parte dell’incauto collezionista. [...].
Basti pensare che solo nei riguardi della filatelia italiana,
le maggiori rarità, del valore di molti milioni, sono costituite appunto
da bolli di annullamento applicati su francobolli di valore modesto o addirittura insignificante.
E come si possono scambiare pitture per francobolli, lo vedremo nel corso del nostro lavoro"
(Estratto dalla "Introduzione")
Il Pietrucci boccia quello che sarebbe diventato "il settimo 80 centesimi", con la stessa sicurezza con cui Fiecchi lo aveva definito "assolutamente originale": l'esemplare - nella sua opinione - era un comune 20 centesimi, prima decolorato e poi ricostruito, modificandone la cifra "2" in un "8", oltre che la tinta, per avere così il mitico "80". Un'autentica - letterale - mistificazione col pennello.
Passano più di trent'anni, si arriva al
1987, e "il settimo 80 centesimi" bussa alla porta di un
noto filatelico romano. Dopo un primo, autonomo, giudizio di originalità, l'esperto suggerisce di
interpellare Enzo Diena, all'epoca la Corte di Cassazione della Filatelia.
Parte così un nuovo ciclo di verifiche che dura ben cinque
anni:il perito non si limita a verificarlo "in proprio", ma lo sottopone all'esame
di soggetti terzi, per la valutazione di quegli aspetti materiali impossibili da accertare con gli standard delle perizie filateliche.
Ne viene fuori - nel 1992 - un certificato di ben 20 righe, che riabilita "il settimo 80 centesimi".
I certificati peritali di Alfredo Fiecchi (4 luglio 1947) ed Enzo Diena (22 ottobre 1992),
concordi nel giudicare originale "il settimo 80 centesimi di Parma".
Diena documentò il proprio iter di verifiche, ben al di là dello stretto ambito filatelico:
"il francobollo è stato sottoposto a tutti gli esami ottici attualmente a mia
disposizione
e l'ho pure fatto analizzare dall'Istituto della Patologia del
Libro di Roma e da esperti miniaturisti.
In base a tali esami è possibile
smentire l'ipotesi formulata dal Pietrucci
in ordine sia alla decolorazione che
alla modifica con pennello della cifra 2 in 8".
"A mio parere, il francobollo - che è perfetto - ed il suo
annullamento sono originali:
l'ho firmato E.Diena, data la sua grande rarità".
Trascorrono altri vent'anni, e sul numero 3 del marzo 2013 della rivista "Il Collezionista", nella rubrica "Rarity Fair", si parla dell'80 centesimi di Parma. "Sciolti sono noti solo sei esemplari: cinque usati a Parma nella nuance di colore bistro, e uno arancio, utilizzato nell'altra città dell'ex-Ducato, Piacenza".
Pochi mesi dopo, a ottobre, la stessa rivista, nella stessa rubrica, ritorna sull'80 centesimi per omaggiare "il collezionista romano Angelo Piermattei [che] con l'aiuto del perito Antonello Cerruti ha svolto un'indagine certosina rintracciando tutti gli esemplari" - presentati in un collage inedito - "corredati dalla data dell'annullo, dal riferimento bibliografico della prima segnalazione fotografica, e dall'anno della prima citazione documentata". E "il settimo 80 centesimi" è lì, accanto a tutti gli altri, con lo stesso rango degli altri.
A breve distanza - ospitata sul numero di dicembre - arriva però una comunicazione dello Studio Sorani di Milano, a firma congiunta Manuela e Silvano, con cui si richiama alla memoria, condividendola, la conclusione del Petrucci del 1954: "a nostro parere, il francobollo non è genuino. Il trucco a
cui è stato sottoposto consiste nell’aver adoperato un francobollo originale
della stessa emissione, ma di valore nominale da 20 centesimi, azzurro, con
annullo originale. Il francobollo fu inizialmente decolorato chimicamente fino
a fare sparire quasi completamente la stampa in azzurro e, successivamente,
ritoccandolo in ogni sua parte a pennello con il colore bistro arancio oleoso.
Anche la cifra 2 fu decolorata e sostituita con un 8 ridipinto a mano. Il
francobollo da 20 centesimi occupava la posizione 50 del foglio di 60
esemplari, ma nella fase di ridipintura non tutte le caratteristiche tipiche di
questa posizione furono rispettate e mantenute. Si tratta senza dubbio di uno
dei più clamorosi trucchi filatelici realizzati nel corso degli anni
Quaranta-Cinquanta e già descritto nella letteratura filatelica dell’epoca,
trucco che alcuni esperti filatelici del tempo hanno avallato, altri invece
hanno ritenuto di non confermare la genuinità".
Anche il commerciante Paolo Vaccari aveva preso una posizione netta, già nel 2004. "I cinque (storici) esemplari da cent. 80 noti annullati recano le date 15 dicembre (due esemplari), 16 e 17 dicembre (un esemplare sciolto e quello su parte di lettera). Oltre a questi circa 20 anni or sono ne venne trovato un altro in una collezione francese, assai difettoso poi fatto riparare, datato Parma 27 settembre 1859". E sul "settimo 80 centesimi" ribadiva la tesi della mistificazione, con una precisazione storico-postale di sicura rilevanza. "Occorre precisare che [l'80 centesimi] venne posto in vendita solo nell'ufficio di Parma; quindi quegli esemplari che recano altri annullamenti (prevalentemente Piacenza) sono da ritenersi francobolli originali ma con annullo falsificato, ad eccezione di un esemplare che ha l'annullo originale di Piacenza (29 novembre 1859) ma trattasi di un cent. 20 ridipinto, in colore bistro oliva, da abile miniaturista che modificò anche la cifra 2 in 8".
La stessa posizione è stata ripresa di recente da Emilio Calcagno ed Enrico Dallara, e in un certo senso esasperata: "il settimo 80 centesimi" non è ritenuto degno neppure di menzione, anche solo per dire - per sostenere - che si tratta di un falso storico.
"Il settimo 80 centesimi" è apparso per la prima volta sul mercato ufficiale il 22 febbraio 2024: era lotto 16 dell'asta n. 2078 dell'Auction Gallery di Firenze, in sociale con l'Art-Rite di Milano, con un prezzo al principio non dichiarato nel catalogo (e disponibile solo su specifica richiesta) e successivamente - nel post-asta, nella pagina internet - stimato intorno ai 700.000 euro.
Tra i realizzi - per quel che può valere - il lotto 16 non compare: dall'aggiudicazione del lotto 12 si balza a quella del lotto 18, per cui lo si dovrebbe suppore invenduto, sempre che aver inizialmente coperto il pezzo con la sigla "P.a.R." non abbia implicato una riservatezza anche nella sua eventuale vendita.
A chi e a cosa credere? Alle analisi chimiche di laboratorio di un Istituto prestigioso, commissionate e documentate dal maggior perito italiano dell'epoca, oppure alla scuola degli inguaribili scettici, inaugurata dal Petrucci e che ha raccolto così tanti autorevoli adepiti nel tempo? Quid est veritas? E andò via senza ascoltare la risposta...
SIGNORA PONZA (dopo averli guardati attraverso il velo dirà con solennità cupa)
- Che altro possono volere da me, dopo questo, lor signori?
Qui c'è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta,
perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato. IL PREFETTO (commosso)
- Ma noi vogliamo rispettare la pietà, signora. Vorremmo però che lei ci dicesse... SIGNORA PONZA (con un parlare lento e spiccato) - Che cosa? La verità? E' solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola. TUTTI (con un sospiro di soddisfazione) - Ah! SIGNORA PONZA (subito c.s.) - e la seconda moglie del signor Ponza. TUTTI (stupiti e delusi, sommessamente) - Oh! E come? SIGNORA PONZA (subito c.s.) - Sì; e per me nessuna! Nessuna! IL PREFETTO - Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! SIGNORA PONZA - Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede.
Guarderà attraverso il velo, tutti, per un istante; e si ritirerà. In silenzio. LAUDISI - Ed ecco, o signori, come parla la verità.
(Luigi Pirandello, finale dell'opera teatrale "Così è, se vi pare")
L'80 centesimi su lettera: l'unica nota
La "Premessa iconografia al volume "Giulio Bolaffi 1902-2002".
L'unica lettera con l'80 centesimi di Parma è "una delle gemme della filatelia mondiale", con l'ormai classica didascalia delCatalogo Sassone.
Sulla lettera spiccano le firme di Giulio Bolaffi e Alberto Diena, e poi quella di
Emilio Diena, che aggiunse la dicitura "garantito".
L'analisi storico-postale conforta sulla genuinità dell'insieme: la lettera partì da Parma il 17 dicembre 1859 - indirizzata alla società finanziaria Goldsmith Breittmayer & Co., con sede in Rue Basse du Rempart (una via oggi scomparsa) - ed entrò in Francia dal posto di scambio di Culoz, il 21 dicembre; la tariffa dell'epoca era 50 centesimi per ogni porto; i due
francobolli - per un totale di 1 lira - assolvevano quindi un doppio porto, come indica la
cifra "2" sul frontespizio; il
timbro "P.D." - Porto a Destino - testimonia un pagamento già coperto per intero dal mittente (per cui nulla era dovuto da parte del destinatario per la ricezione della lettera).
Il documento - per com'era giunto la prima volta ai collezionisti - presentava uno strappo nella parte inferiore, poi rimossa per ragioni estetiche: un intervento di ripulitura di per sé marginale, e comunque ininfluente nell'apprezzamento complessivo dell'oggetto.
La lettera con l'80 centesimi di Parma, prima e dopo l'operazione di rimozione della parte inferiore.
La lettera fu rinvenuta in Francia, intorno al 1899, e la prima testimonianza pubblica è in una comunicazione di Emilio Diena sulla rivista "Stanley Gibbons Monthly Journal", nel settembre 1901.
Emilio Diena giudicava la busta "one of the rarest of philatelic treasures"
(uno dei più rari tra i tesori filatelici),
e la sapeva custodita "in a leading collection"
(una collezione di prim’ordine).
Se ne dava di nuovo notizia nel 1902, nel numero
9-12 del settembre-dicembre della "Rivista del Francobollo", edita a Roma
dall’ingegnere Piero Becchini, titolare della storica "Prima Agenzia Filatelica
Romana".
"Da qualche tempo correva voce che si fosse finalmente avuta la prova provata
che il francobollo da 80 centesimi della emissione del governo provvisorio di Parma, 1859,
era stato posto in uso, essendosene trovato un esemplare su busta, d'indiscutibile autenticità.
E la 'Gazette Philatèlique Lyonnaise' dell’ottobre p.p. nel confermare la notizia
porge in proposito dettagliate notizie che stimiamo valga la pena testualmente riprodurre.
E' ancora a Lione che ha avuto luogo un ritrovamento
destinato a porre un punto fermo a una storia filatelica molto controversa.
Sono note le polemiche sollevate dall'80 centesimi di Parma,
emissione del governo provvisorio del 1859.
Molti filatelisti hanno sostenuto che esso non fosse mai stato posto in corso,
o almeno che non fosse mai stato impiegato
e in ogni caso che non ne esistesse alcun esemplare obliterato.
Ora un collezionista lionese ha di recente scoperto una lettera affrancata con il prezioso francobollo.
Questa lettera rinvenuta presso una ditta di commercio nel contesto di uno stock di corrispondenze
non può lasciar dubbio ad alcun sospetto.
In breve, è un pezzo unico, incomparabile, di illimitato valore, per un collezionista appassionato.
Disperando di trovare a Lione una possibilità di vendita vantaggiosa,
il felice rinvenitore l'ha portato a Parigi ove ha pensato di fare un'eccellente operazione
liquidandola per 60 franchi alla Bourse aux Timbres.
Buon affare in effetti per l'acquirente che l'ha rivenduta per 300 franchi
ad uno dei più noti mercanti filatelici.
Un ricco collezionista, un vero amico dei francobolli,
colui che si ritiene felicissimo di poter fare figurare il suddetto pezzo in un uno dei suoi album
dopo averlo pagato 5000 franchi"
Uno dei primi possessori fu il commerciante Jules Bernichon; la lettera passò poi nella collezione di Achillito Chiesa, nel 1913, e successivamente in quella di Giuseppe Mazzini, senatore, presidente della Lega degli industriali torinesi durante il periodo fascista, commissario di Confindustria durante il governo Badoglio, presidente della Federazione internazionale di scherma negli anni Cinquanta; approda quindi nell'album di Alcide Bona, membro di una famiglia di industriali tessili del torinese; nel 1964 Giulio Bolaffi ne entra in possesso tramite l'intermediazione del Barone de Fernet e dell'antiquario Alomello, in trattativa col commerciante Raybaudi Massilia (che lo possedeva in sociale con Renato Mondolfo); il documento rimarrà in Casa Bolaffi, passando da Giulio ad Alberto, che lo conserverà nell'archivio della filografia e della comunicazione, declinando le ripetute richieste di cederlo a collezioni non ritenute all'altezza del suo censo, ma acconsentendo a esporlo in contesti speciali (nel 1996 alla Royal Philatelic Society, nel 1999 a Monacophil, nel 2006 e nel 2011 a Montecitorio, nel 2015 al Quirinale).
Intorno a un pezzo così particolare - letteralmente unico: un solo esemplare di immenso fascino, in ottime condizioni qualitative - si addensa fatalmente parecchio folklore, spesso sul crinale tra realtà e leggenda.
Un episodio reale - ben documentato - riasale al 1896, quando ancora non si era avuta la notizia ufficiale del ritrovamento della lettera, e testimonia - se rivisitato con la consapevolezza odierna - tutta l'ingenuità filatelica dell'epoca.
Un mercente veneziano - tal Burri - quotava i francobolli degli Antichi Stati Italiani a prezzi relativi del tutto privi di senso (secondo i parametri di oggi): con riguardo al 3 lire di Toscana - ad esempio - l'esemplare su lettera era valutato solo il 20% in più di un usato (£. 1200 contro £. 1000); uno scarto di appena 25% caratterizzava la stesso apprezzamento per l'esemplare da 1 scudo del Pontificio (£. 10 contro £. 8); l'analoga differenza per un 9 crazie con filigrana a linee ondulate si attestava al 30%.
E' però sull'80 centesimi di Parma che si registrava la situazione più buffa: l'esemplare su lettera - scriveva il Burri - "ricercasi a qualunque prezzo", avendo evidentemente constatato la difficoltà di reperimento, senza però arrivare a immaginarne quella unicità che - una volta accertata - avrebbe rimosso alla radice la questione del fare offerte d'acquisto.
Estratto da "Il Collezionista - Italia Filatelica", n. 2, febbraio 1951.
La vulgata racconta poi del delitto filatelico a cui la lettera fu esposta: uno dei suoi proprietari, dovendo
allestire una collezione di francobolli sciolti degli Antichi Stati, ma non avendo l'80 centesimi, accarezzò
l'idea di staccarlo dal documento, in un'epoca in cui la Storia postale non aveva l'attuale rinomanza e tutto l'interesse era verso i pezzi singoli; poi - fortunatamente - si limitò a "finestrare la busta" nella pagina d'album, a coprirla con un cartoncino in modo da lasciare in bella vista solo l'80 centesimi.
La narrazione ha un fondo di realtà, e il collezionista in discorso è Alcide Bona, anche se probabilmente l'idea di rimuovere il pezzo non l'ebbe mai: semplicemente - al tempo - il collezionismo si appuntava sugli esemplari sciolti, e la busta fu allora conservata sotto un passepartout da cui si affacciava solo il francobollo.
Ma l'episodio più colorito coinvolge Casa Bolaffi, nella persona del Bolaffi per eccellenza, quel Giulio Bolaffi che ha reso la ditta torinese celebre nel mondo.
"Il mio genitore era capace di molta attenzione e disponibilità nei confronti dei suoi clienti" - ci racconta Alberto Bolaffi, a proposito di suo padre Giulio - "ma era anche e soprattutto un collezionista", e il suo essere collezionista - in particolare di Antichi Stati Italiani, "che, ovviamente, prediligeva" - non sempre si raccordava con la logica d'impresa: "riuscì a riunire molte fra le più importanti gemme della filatelia, la maggior parte delle quali non volle mai cedere, fatto che ogni tanto ci procurò non pochi problemi dato che non sempre era possibile far coincidere la sua passione con le necessità aziendali".
Giulio Bolaffi fu protagonista di "molte acquisizioni memorabili", e se ne potrebbero citare "a decine se non a centinaia", ma quella che le rappresenta tutte è riferita proprio alla "lettera più famosa e rara d'Italia, quella con l'80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma".
"La acquistò durante un suo viaggio a Londra dal noto commerciante romano Luigi Raybaudi, unitamente a un altro esemplare del Governo Provvisorio - un 40 centesimi su lettera - mi sembra di ricordare per la cifra di 24 milioni; somma esorbitante, considerando che eravamo nell'immediato dopoguerra. Sebbene questo pezzo gli sia stato richiesto moltissime volte, si rifiutò sempre di cedere l'esemplare mito della collezione italiana".
La riluttanza di Giulio Bolaffi a privarsi dei suoi tesori - a prescindere dall'entità dell'offerta - era generale. "Il mio genitore si irritava quando i responsabili del settore commerciale, per esigenze di lavoro, gli chiedevano dei pezzi del suo stock, considerava questo tipo di richieste come una specie di 'rapina'; non ha mai amato separarsi dai suoi francobolli e ciò faceva parte anche del suo personaggio". Attilio Todros - lo storico direttore della filatelia antiquariale - "era quasi sempre il preposto a queste difficili missioni", che suscitavano in Giulio Bolaffi una "strana reazione di amore e odio" (forse perché l'interessamento verso i suoi pezzi lo lusingava, ma l'idea che qualcuno volesse portarglieli via lo infastidiva).
Queste premesse - oggettive, certe, di fonte sicura - rendono altamente verosimile uno scambio di battute tramandato dalla tradizione orale, che da solo restituisce la fotografia più nitida di tutto un mondo di passioni.
"Dottor Bolaffi, vorrei l'80 centesimi di Parma su lettera in suo possesso: le offro un miliardo di lire".
"Ingegnere, io non voglio offendere il suo denaro; lei, però, non offenda i miei francobolli".
Dal 2023, dopo essere stata custodita per 59 anni nell'album della famiglia Bolaffi,
la lettera con l'80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma ha un nuovo possessore:
l'industriale torinese Luigi Garosci.
"Sono d'accordo con Alberto Bolaffi
quando dice che è il pezzo che cerca il collezionista e non viceversa.
Era scritto che l'80 centesimi e io ci saremmo incontrati...
qualche giorno prima di acquistarlo, avevo comprato un altro documento inedito,
proprio di Parma - una lettera con quattro esemplari del 40 centesimi -
e subito dopo mi è capitata anche la busta con l'80 centesimi.
E' andata così, doveva succedere".
Riferimenti bibliografici
EMILIO DIENA, PAOLO VACCARI
Ducato di Parma - Raccolta di studi
(Edizioni Vaccari - "Ritrovati")
PAOLO VACCARI
Francobolli dell'800. Parma - Governo Provvisorio 1859
(in "Giulio Bolaffi 1902-2002", supplemento n.4/2003 a "Il Collezionista")
ALBERTO MARIO BANTI
Il Risorgimento italiano
(Laterza, sesta edizione, 2011, p. 213)
EUGENIO DI RIENZO
Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee - 1830-1861
(Rubettino, 2012, pp. 55-56)
... e non finisce qui:
una Volpe bianca alla caccia di un 80 centesimi
I francobolli posseggono un potenziale romanzesco immenso, sfruttato nei contesti e nei modi più vari: dai film "Sciarada" e "Tre lire primo giorno", al giallo "Un prezioso francobollo rosso" e al racconto "Il piccolo libraio di Archangelsk", e poi nella produzione argentina "Nove Regine", e ancora in "Tommy Tricker e il francobollo magico", in "Paycheck", "Black Book" e in "Chi più spende più guadagna" - e tante altre opere si potrebbero citare - è tutto un ricamare intorno agli interessi e alle emozioni indirettamente suscitati dai nostri amati piccoli rettangoli di carta colorata.
Una sola scena del film "Sciarada"
restituisce tutta la magia dei francobolli.
Il trailer del film "Tre lire primo giorno".
Il film "Tommy Tricker e il francobollo magico".
Di rado, però, i francobolli sono stati realmente posti al centro della narrazione, per farne il fulcro dell'altalena degli stati d'animo dei personaggi della storia, con una manifesta prospettiva collezionistica.
Di quando in quando ci si cimenta Antonello Cerruti - nome storico della piazza romana - con racconti brevi variamente ispirati alle esperienze vissute da "un filatelico di lungo corso", come ama definirsi nel presentare le sue storie.
"Ogni trovata narrativa è reale, ne potete star certi" - diceva Flaubert - "La poesia è una scienza esatta quanto la geometria", a voler dire che le storie - tutte le storie - sono sempre vere, reali, a prescindere che siano o meno accadute nel nostro mondo: perché davanti a una storia scatta la cosiddetta suspension of belief, la sospensione dell'incredulità, cosicché - fatta salva l'auto-consistenza dell'opera, la sua non-contraddittorietà - si accetta che nell'universo narrativo possano accadare eventi singolari o inverosimili, in nome del coinvolgimento emotivo.
Senonché, se è vero che davanti a ogni storia si sospende l'incredulità, e se è pur vero che nel corso delle aste filateliche accadono una pluralità di eventi, dai più ortodossi ai più bizzarri, col racconto "La Volpe bianca" - di Antonello Cerruti - sembra di trovarsi fuori dallo spettro di ogni immaginazione, tant'è che lo stesso autore lo qualifica "di pura fantasia", ma... sarà davvero così?
"La verità su cosa fosse realmente accaduto quel giorno
rimase celata in fondo alla collezione di francobolli
di un'elegante Volpe bianca"
(Antonello Cerruti)
"Troppo simpatico"; tutti definivano così quell'omino ricco di un'eleganza e una cortesia antiche.
Un fisico asciutto e minuto - appoggiato più per vezzo che per necessità a un elegante bastone da passeggio col pomello d'argento e il puntale di metallo lucido - terminava in alto, in ogni stagione, con un copricapo che gli serviva solo, togliendoselo, a ossequiare le persone che incontrava.
Un fresco fazzolettino candido si affacciava riguardoso dal taschino della giacca, ad accentuare il pallore del viso sbarbato di fresco e richiamare il bianco di una capigliatura singolarmente abbondante per la sua età.
Frequentava con passione le aste filateliche di tutta Italia, da sempre. Nessuno aveva mai visto la sua collezione, che pure doveva essere apprezzabile, se rappresentava la naturale appendice di così tanta classe e raffinatezza. Non spendeva cifre enormi, ma sapeva scegliere con abilità e competenza i suoi obiettivi. Osservava con cura e più volte i francobolli, per poi scrivere delle brevi note sul catalogo con una matita affilata come un bisturi.
Ma la sua asta personale partiva ben prima che il banditore iniziasse la licitazione: era nell’avanti-asta che si manifestavano le abilità della Volpe, era quello il momento esaltante della sua caccia, le ore in cui adocchiava le prede e le circuiva con la persuasione di un ipnotizzatore.
Conosceva bene i francobolli e il mondo delle aste e intuiva quali sarebbero stati i suoi avversari. La mossa successiva era scovare gli altri lotti nel mirino dell'antagonista, dopodiché scattava la trappola, con degli artifici da tutti conosciuti e temuti, ma di fronte ai quali nessuno aveva la forza di resistere. Come si poteva rifiutare l’invito a prendere un caffé e fare due chiacchiere con la Volpe?
Seduto al tavolino del bar esponeva al suo interlocutore un elenco di sei o sette lotti che desiderava, con una naturalezza e una levità che lasciavano apparire le sue parole, non solo lecite, ma addirittura dolci. Sapeva bene che erano tutti lotti d'interesse anche per il suo avversario, però, quando quello manifestava la sua contrarietà a desistere e lasciargli la strada libera, la Volpe replicava col più disarmante dei sorrisi, e riduceva il suo interesse a un unico lotto, il solo che desiderava realmente, garantendo la resa sugli altri. Come dire di no a una così cordiale proposta di non belligeranza accompagnata da quel sorriso amichevole? Sei lotti senza combattere erano per forza meglio che sette contesi allo stremo.
Con questa tattica, perfezionata nel tempo, aveva instaurato rapporti di elegante affabilità con tanti collezionisti, che - ormai disarmati - si erano rassegnati ad accettare da lui caffè e soprusi.
Erano tutte cortesie dovute, nella rielaborazione interiore della Volpe, che non si era mai posto il problema della liceità di quel singolare comportamento, anche perché il suo obiettivo non era pagare meno per assenza di avversari, quanto eliminare sul nascere una competizione che giudicava di per sé inelegante e poco signorile.
Arrivò il giorno di quell'asta in cui era offerto un 80 centesimi nuovo del Governo Provvisorio di Parma, che tanto gli interessava. Non era un francobollo particolarmente raro o costoso, ma era davvero bello e perfettamente conservato. Erano anni che non ne vedeva in giro uno simile e quell'esemplare aveva monopolizzato i suoi pensieri.
La Volpe notò subito quell'agente milanese che in tante aste importanti operava per conto di un nutrito gruppo di collezionisti. Sapeva bene che contro di lui c'era poco da fare, perché agiva per altri, e non poteva certo decidere a piacimento quali offerte mantenere e quali lasciar andare. Questo lo rendeva inattaccabile, odiosamente imbattibile.
Con lui doveva escogitare un sistema nuovo: questa volta la Volpe doveva superare sè stessa.
Conosceva il modus operandi dell'agente: controllava i francobolli, segnava sul catalogo - accanto al numero del lotto - la sigla del collezionista che lo aveva incaricato e riportava sul cartellino lo stesso simbolo. Poi, durante l'asta, alzava il cartellino numerato che aveva intestato al collezionista, e il gioco era fatto, senza possibilità di errori. A ogni collezionista corrispondeva un cartellino e a ogni cartellino corrispondevano le buste in cui il personale riponeva i lotti via via che l'asta procedeva. Il meccanismo era sempre lo stesso, per tutte le aste, collaudato da anni.
La Volpe ritirò il proprio cartellino e si accomodò in sala vicino all'agente, che gli rivolse un professionale, freddo, cenno di saluto.
Non ebbe alcuna difficoltà a sedersi lì. Il posto era tutt'altro che ambito, vuoi perché l'agente occupava tanto spazio con tutti i suoi cartellini sparsi davanti a sé, vuoi perché veniva spesso chiamato al telefono e le conversazioni disturbavano i vicini.
Durante ogni asta ci sono delle fasi in cui anche il più indaffarato degli agenti si prende una pausa, non avendo lotti da battere. In uno di quei rari momenti, la Volpe lanciò un'occhiata al catalogo dell'agente, trovò il lotto dell'80 centesimi e vide la sigla del cliente, del collezionista suo avversario. In un attimo, la Volpe mise in atto il suo piano.
Sostituì col proprio, sul tavolo, il cartellino 160 del collezionista, sulla cui facciata bianca aveva nel frattempo copiato la stessa sigla manoscritta dall'agente. Poi, con la stessa velocità, rimise ogni cosa al suo posto, e riprese ad ascoltare tranquillamente il banditore che proseguiva con precisione nel suo lavoro.
L'agente tornò a sedersi, e dopo una mezz'oretta venne chiamato l'80 centesimi di Parma che interessava entrambi.
"Lotto 1326: si parte da 2.000 euro. Ho visto l'offerta del numero 170". Il banditore passò rapidamente in rassegna la sala con lo sguardo. "Nessun altro è interessato? Uno, due... tre: aggiudicato al numero 170", scandì monotono ma preciso, battendo leggermente il martelletto.
"Mi scusi..." - chiese con gentilezza la Volpe - "A quanto è stato aggiudicato?"
"A 2.000 euro, al 170" ribadì frettoloso ma cortese il banditore.
Dopo un po' l'agente si concesse un'altra breve pausa, offrendo così alla Volpe quegli istanti necessari a cambiare di nuovo il cartellino: riprese il suo 170 e rimise al proprio posto il 160 dell'avversario. Quindi si alzò e raggiunse la segreteria con tutta la sua proverbiale calma.
"Buonasera gentile signora, come sta? Se posso permettermi, lei è più graziosa a ogni asta che passa". Avete notato che i complimenti sono una delle poche cose che valgono più di quello che costano?
"Questa volta ho il numero 170 e mi sono aggiudicato un solo lotto. Posso ritirarlo?"
La signora annuì, sorridendo radiosamente, spostò i suoi 100 chili con compiaciuta sollecitudine, e una volta controllato al computer il tabulato delle aggiudicazioni, consegnò il lotto al suo galante cliente.
La Volpe pagò depositando sul tavolo le banconote come fossero rose, le diede appuntamento alla prossima asta e la salutò con deferenza, prestando attenzione a non voltarle le spalle mentre si allontanava.
In sala, l'agente riascoltò incredulo la registrazione sonora dell'asta. Udì l'aggiudicazione e la conferma dell'acquirente: era il numero 170, senza dubbio. Lui ricordava di aver alzato il cartellino del suo cliente, e di essersi aggiudicato l'80 centesimi, ma per la casa d'asta valeva solo la registrazione, e il lotto 1326 rimase così aggiudicato al "signor 170".
La verità su cosa fosse realmente accaduto quel giorno rimase per sempre celata in fondo alla collezione di francobolli di un'elegante Volpe bianca.
Riguardo il settimo 80 C del Governo Provvisorio allo stato di usato, annullato a Piacenza anziché a Parma, direi che gli indizi sono molti per poter giungere ad una conclusione. Vaccari dice che l'80 centesimi era venduto solo a Parma e quindi non può essere stato spedito da Piacenza, ma è in qualche modo possibile che il francobollo sia stato acquistato a Parma e poi utilizzato a Piacenza. Qui entra in gioco la mia ignoranza in termini di usi e costumi dell'epoca, ma in ambito di Toscana sono noti acquisti di francobolli da parte di privati che poi li hanno apposti privatamente sulle missive, addirittura annullati con timbri privati e poi spediti. Ad ogni modo, oggi sono disponibili tecniche analitiche tali per cui è possibile riconoscere artifizi quali, decolorazione di inchiostri, ritocchi da parti di esperti miniaturisti dei caratteri 2 in 8, tecniche che non lasciano spazi ad alcun dubbio. Esistono tecniche di tomografia a raggi x che permettono di leggere manoscritti arrotolati e carbonizzati estratti dalle rovine di Pompei. Sono tecniche costose, ma considerate le cifre in gioco per un probabile settimo 80 centesimi allo stato di usato. Io stesso ho utilizzato tecniche di fluorescenza atomica indotta da raggi x per determinare la natura delle tipiche macchie azzurre circolari sui francobolli toscani, come ho descritto in un articolo apparso su ilpostalista.it (https://www.ilpostalista.it/toscana/870.htm). Ritengo che oggi, volendo, si può mettere un punto fermo alla questione della genuinità del settimo 80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma allo stato di usato, rivelando se si tratti di un trucco o di utilizzo straordinario. Magari il punto è già stato messo, ovvero ulteriori prove tecniche sono già state eseguite, più moderne ed approfondite di quelle fatte fare da Enzo Diena. Probabilmente il fatto che l'articolo di Calcagno non menzioni il settimo 80C, si basa sul fatto che la falsità dell'oggetto è già stata dimostrata con sufficiente accuratezza.
Per dimostrare la falsità dell'oggetto "con sufficiente accuratezza", servirebbe averlo materialmente a disposizione, e accettare - decisione che solo il proprietario potrebbe prendere - di sottoporlo alle più avanzate analisi fisico-chimiche che si menzionano.
Così, a intuito, dubito che sul cosiddetto "settimo 80 centesimi" siano mai state compiute altre verifiche di laboratorio, dopo quelle commissionate da Enzo Diena.
Penso piuttosto che la presa di posizione di Emilio Calcagno - e degli altri esponenti della scuola degli scettici - si basi solo elementi congetturali, più o meno forti, ma pur sempre congetturali.
Non posso negare che, per quanto non sia minimamente interessato ai francobolli del Governo Provvisorio di Parma, quel francobollo vorrei averlo in mano, non per possederlo, anche se sapessi che è autentico, ma per studiarlo. Ho già in mente un piano di analisi da condurre per comprendere a fondo il pezzo. Anche se fosse autentico, trarrei molta più soddisfazione dall'attività di studio, di anslisi e di report dei risultati, piuttosto che dal suo possesso! Lo studio e la ricerca, la generazione di nuova conoscenza, per me hanno un valore neppure lontanamente paragonabile al possesso anche della più bella collezione mai creata. Tiziano
Io non sono un tecnico del settore, ma così - a intuito - mi viene da dire che se oggi si volesse accertare la presenza di eventuali manomissioni sul "settimo 80 centesimi", ebbene, con la qualità delle tecniche e delle tecnologie odierne, non servirebbero certo i 5 anni che occorsero a Diena per pronunciarsi; forse in 5 giorni il mistero sarebbe già risolto, anche perché - e siamo al punto - nessuno può pensare di intervenire in modo così invasivo (raschiatura, rifacimento della cifra, ridipintura) su un oggetto così piccolo e delicato (un rettangolino di carta) senza lasciare tracce che - prima o poi - non sia possibile scoprire.
Più in generale, e di là delle preferenze individuali - se orientate più alla cultura o al possesso - è certo che una collezione non va da nessuna parte senza studio e ricerca, senza generazione di nuova conoscenza.
Nessuno immagina oggi un viaggio in un paese straniero, senza saper parlare almeno la lingua inglese. Come fare altrimenti a comunicare con le persone del luogo, a capirle e farsi capire? Il viaggio per la Sicilia - ahinoi - è più complesso: non pretende - e rende inutili - le conoscenze linguistiche oggigiorno più diffuse, e ne impone altre che sembrano invece desuete. L'inglese non vi serve, in Sicilia; ma non vi serve neppure l'italiano. La Sicilia è appartenuta a tanti, ma non è mai diventata di nessuno. La quantità e la varietà dei suoi conquistatori ha ostacolato l'affermazione esplicita di una identità nazionale, ma l'ha anche dotata di un caleidoscopico patrimonio di esperienze che ne ha reso impossibile l'integrazione in realtà più vaste. Ma la Sicilia, volendo, avrebbe tutti i requisiti per proclamarsi indipendente, per avocare la sovranità propria di una nazione, a cominciare dalla sua estensione territoriale, la più grande isola del Mediterraneo, ...
"Enclave" è una parola latina ( inclavare, chiudere con una chiave) ripresa dalla lingua francese col termine "enclaver", (per indicare un luogo racchiuso nei confini di una proprietà di terzi) e infine entrata nel gergo della diplomazia e della geografia politica, per definire uno spazio assoggettato al potere di uno Stato, pur interamente circondato dai territori di una diversa entità sovrana. Che buffa l'enclave! Uno Stato dentro un altro Stato, uno Stato circondato da un altro Stato, un piccolo Stato avvolto in uno Stato molto più grande, che trasmette la sensazione di un assedio perenne, già solo osservando la carta geografica. E - non a caso - ogni enclave fa storia a sé, ogni enclave ha una sua storia, unica e irripetibile. Il Congresso di Vienna aveva restituito Benevento e Pontecorvo allo Stato Pontificio , ripristinando due storiche enclavi della Chiesa nel territorio del Regno di Napoli. Di dirimpetto alle istituzioni formali di...
Normanni: Nordmanni o Nordmaenner, Uomini del Nord. Popolo dell'Alto Medioevo dell'Europa settentrionale, Svezia, Danimarca e Norvegia, migrato a ondate successive, per portarsi in Francia, in Inghilterra e nell'Italia meridionale. Svevi: Suebi o Suevi, "liberi", secondo l'interpretazione prevalente, ma è proposto anche il significato di "vaganti" o, come nomignolo, "neghittosi". Antico popolo germanico di origini plurime: "i Suebi non costituiscono un unico popolo" - scrive Publio Cornelio Tacito - "occupano infatti la maggior parte della Germania, per di più distinti in tribù con nomi diversi, pur chiamandosi, nel loro complesso, Svevi" . La storia del Regno di Sicilia - di un luogo al centro del Mediterraneo, ponte tra oriente ed occidente, tra Africa ed Europa, cuore pulsante del mondo civilizzato e crocevia di civiltà e crogiolo di culture - ha le sue origini remote laddove non c...
Riguardo il settimo 80 C del Governo Provvisorio allo stato di usato, annullato a Piacenza anziché a Parma, direi che gli indizi sono molti per poter giungere ad una conclusione. Vaccari dice che l'80 centesimi era venduto solo a Parma e quindi non può essere stato spedito da Piacenza, ma è in qualche modo possibile che il francobollo sia stato acquistato a Parma e poi utilizzato a Piacenza. Qui entra in gioco la mia ignoranza in termini di usi e costumi dell'epoca, ma in ambito di Toscana sono noti acquisti di francobolli da parte di privati che poi li hanno apposti privatamente sulle missive, addirittura annullati con timbri privati e poi spediti.
RispondiEliminaAd ogni modo, oggi sono disponibili tecniche analitiche tali per cui è possibile riconoscere artifizi quali, decolorazione di inchiostri, ritocchi da parti di esperti miniaturisti dei caratteri 2 in 8, tecniche che non lasciano spazi ad alcun dubbio. Esistono tecniche di tomografia a raggi x che permettono di leggere manoscritti arrotolati e carbonizzati estratti dalle rovine di Pompei. Sono tecniche costose, ma considerate le cifre in gioco per un probabile settimo 80 centesimi allo stato di usato. Io stesso ho utilizzato tecniche di fluorescenza atomica indotta da raggi x per determinare la natura delle tipiche macchie azzurre circolari sui francobolli toscani, come ho descritto in un articolo apparso su ilpostalista.it (https://www.ilpostalista.it/toscana/870.htm).
Ritengo che oggi, volendo, si può mettere un punto fermo alla questione della genuinità del settimo 80 centesimi del Governo Provvisorio di Parma allo stato di usato, rivelando se si tratti di un trucco o di utilizzo straordinario. Magari il punto è già stato messo, ovvero ulteriori prove tecniche sono già state eseguite, più moderne ed approfondite di quelle fatte fare da Enzo Diena. Probabilmente il fatto che l'articolo di Calcagno non menzioni il settimo 80C, si basa sul fatto che la falsità dell'oggetto è già stata dimostrata con sufficiente accuratezza.
Per dimostrare la falsità dell'oggetto "con sufficiente accuratezza", servirebbe averlo materialmente a disposizione, e accettare - decisione che solo il proprietario potrebbe prendere - di sottoporlo alle più avanzate analisi fisico-chimiche che si menzionano.
RispondiEliminaCosì, a intuito, dubito che sul cosiddetto "settimo 80 centesimi" siano mai state compiute altre verifiche di laboratorio, dopo quelle commissionate da Enzo Diena.
Penso piuttosto che la presa di posizione di Emilio Calcagno - e degli altri esponenti della scuola degli scettici - si basi solo elementi congetturali, più o meno forti, ma pur sempre congetturali.
Non posso negare che, per quanto non sia minimamente interessato ai francobolli del Governo Provvisorio di Parma, quel francobollo vorrei averlo in mano, non per possederlo, anche se sapessi che è autentico, ma per studiarlo. Ho già in mente un piano di analisi da condurre per comprendere a fondo il pezzo. Anche se fosse autentico, trarrei molta più soddisfazione dall'attività di studio, di anslisi e di report dei risultati, piuttosto che dal suo possesso! Lo studio e la ricerca, la generazione di nuova conoscenza, per me hanno un valore neppure lontanamente paragonabile al possesso anche della più bella collezione mai creata.
RispondiEliminaTiziano
Io non sono un tecnico del settore, ma così - a intuito - mi viene da dire che se oggi si volesse accertare la presenza di eventuali manomissioni sul "settimo 80 centesimi", ebbene, con la qualità delle tecniche e delle tecnologie odierne, non servirebbero certo i 5 anni che occorsero a Diena per pronunciarsi; forse in 5 giorni il mistero sarebbe già risolto, anche perché - e siamo al punto - nessuno può pensare di intervenire in modo così invasivo (raschiatura, rifacimento della cifra, ridipintura) su un oggetto così piccolo e delicato (un rettangolino di carta) senza lasciare tracce che - prima o poi - non sia possibile scoprire.
RispondiEliminaPiù in generale, e di là delle preferenze individuali - se orientate più alla cultura o al possesso - è certo che una collezione non va da nessuna parte senza studio e ricerca, senza generazione di nuova conoscenza.