PERITI - "Ma quante belle figlie Madama Dorè": casi di studio di perizie filateliche

 
"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo".

L'incipit del romanzo "Anna Karenina" si è trasformato nel tempo in una visione del mondo, il Principio di Anna Karenina: ci sono pochi modi - spesso uno solo - di fare le cose per bene, un'infinità per farle male; i comportamenti razionali sono pochi e molto simili, quelli irrazionali sono infiniti e tutti diversi; le strade che conducono al successo sono sempre le solite, di quelle che portano dritte al fallimento ce ne sono quante ne volete.
 
Vale anche per le perizie filateliche: ci sono pochi standard per eseguirle e comunicarle in modo utile, e infiniti per trasformarle in una sciarada.

E possiamo anche dire che ci sono poche perizie che val la pena discutere, e una miriade che non meritano attenzione.


 
Ha senso - è interessante e significativo - commentare una simile accoppiata? No. Quindi non lo faremo.

Parleremo solo di ciò che supera la soglia minima di presentabilità, in termini di contenuti (perizie) e di soggetti che li propongono (periti). E ne parleremo avendo a riferimento i due passi logici e operativi di ogni perizia: l'analisi e la sintesi.
 
Una perizia si basa sull'analisi: il perito deve vagliare tutti i fatti giudicati rilevanti, soppesarli uno a uno e complessivamente, non lasciare nulla di intentato. Segue la sintesi, la formulazione del parere, che dovrà appuntarsi - come minimo, nel caso filatelico - sull'originalità e la perfezione dell'oggetto.
 
Questa è la missione istituzionale di una perizia filatelica: analizzare i fatti, per esprimere un'opinione sull'originalità e la perfezione degli oggetti postali.
 
Fatta salva la mission principale, il perito potrà arricchire la sintesi con tutte le informazioni a suo parere utili per apprezzare al meglio l'oggetto, e il suo certificato potrà a volte assumere la forma di un trattarello di filatelia o di Storia postale.

Sin qui, la teoria. Ma poi cosa succede, in pratica?
 
In pratica il certificato ha storicamente riportato la sintesi (estrema) solo in caso di giudizio favorevole - "A mio parere... è originale e perfetto" - lasciando nell'oscurità la la fase di analisi ("si manda un francobollo alla verifica, si paga ciò che il perito chiede, senza contrattare, ed il responso si riduce a una parola, talvolta a mezza parola o ad un punto interrogativo", per riprendere le parole del 1934 di Arturo De Sanctis Mangelli, ancora di attualità); in caso di giudizio negativo si ricorreva invece a un frasario variopinto - "buono stato", "riparato", "margini a filo" - privo di un significato formale, ma che il collezionista imparava a codificare, pur tra mille incertezze.
 
In tempi recenti si è diffuso un nuovo stile: i dati di fatto alla base dell’analisi sono spiattellati sul certificato, nero su bianco; e andrebbe pure bene, se non fosse che la messa in evidenza dei singoli punti di forza e di debolezza diviene un pretesto per sottrarsi alla fase di sintesi. Il perito filatelico rimane lui stesso nella molteplicità delle alternative, oscilla tra l'una e l'altra, mostra il buono e il cattivo, il certo e l'incerto, l'ovvio e l'inatteso, e in definitiva si chiama fuori dalla crudeltà del pronunciamento, si scherma dietro una presunta onestà intellettuale con cui mostra tutti i dati di fatto a disposizione del collezionista. Ma il perito incassa l'onorario a fronte del rilascio della sua opinione, è pagato per eseguire un'analisi e restituirne l'esito con la sintesi, e non per elencare i dati di fatto alla base dell'analisi.
 
I periti del passato tacevano sulla fase di analisi e si limitavano a dichiarare la sintesi (espressa con grande economia di parole); i periti odierni tendono a disseminare nel certificato dei brandelli di analisi (per lo più su punti problematici) o a enfatizzare aspetti marginali (nel tentativo di valorizzare il pezzo) e restano vaghi sulla sintesi (e a volte la evitano del tutto). Lo vedremo.
 
Pure - e lo vediamo subito - ha preso piede l'abitudine di registrare nella sintesi (nei certificati) fatti ovvi se non addirittura banali, che chiunque può notare da sé, anche senza il supporto di un perito, ma che acquistano formalmente in rilevanza proprio per essere menzionati. 
 

Il semplice confronto testuale tra due certificati
restituisce da solo il senso dell'evoluzione (o involuzione?)
intervenuta in oltre quarant'anni di perizie filateliche.

Non si creda però che una volta - nei cosiddetti "bei tempi andati - fosse tutto lindo e cristallino.

Le perizie filateliche sono da sempre - e neanche troppo surrettiziamente - al servizio di chi vende, e il perito ha sempre spinto a più non posso il materiale ricevuto per la certificazione.

Anche a costo - e senza timore - di oltrepassare la soglia del ridicolo.
 
"Malgrado i francobolli siano stati tagliati irregolarmente".
 
Questo perenne e atavico vagabondare tra le cento scappatoie per non dir nulla, tra i milleuno modi di far male le cose, è la più immediata manifestazione di una realtà che - ancor oggi - richiama più da vicino gli astrologi che non gli astronomi, i guaritori che non dei medici, i numerologi che non i matematici.

Come ora vedremo.
 

Case-study #1: Mercurio rosso

I "Mercuri" sono i primi francobolli per giornali dell'Impero austriaco, usati sull'intero territorio, quindi anche nel Regno del Lombardo Veneto; prendono il nome dal soggetto della vignetta, la testa alata del dio Mercurio, col profilo rivolto a sinistra; furono prodotti in tipografia - in fogli di 400 esemplari, divisi in 4 blocchi da 100 separati da un interspazio - su carta a macchina non filigranata; rimasero validi sino al 31 Maggio 1864.

I "Mercuri" non avevano un facciale dichiarato, ma il loro colore ne segnalava il valore, tarato in funzione del numero di copie di giornali da spedire: il francobollo azzurro affrancava una copia singola, il giallo serviva per la fascetta di 10 copie, il rosa per quella da 50.

Estratto dal Catalogo Sassone.
 
Il "Mercurio" rosa smise di esser stampato già nel 1852 (la fascetta da 50 era piuttosto inusuale) e le rimanenze servirono ad affrancare le copie singole; toccò poi al "Mercurio" giallo uscire di scena, nel 1856, troppo pallido e perciò difficile da riconoscere; lo sostituì il "Mercurio" rosso (che non si conosce usato nel Regno del Lombardo Veneto).
 
Estratto dal Catalogo Sassone.
 
 
 
 
I due "Mercuri" rossi più belli:
l'esemplare in bianco e nero è appartenuto alla Collezione Caspary;
l'altro fu proposto da Renato Mondolfo, nel suo catalogo di vendita n. 7.



 
Una recente aggiudicazione di un "Mercurio" rosso (Asta AP, n. 199, 29 ottobre 2022).

Il "Mercurio" rosso è tra i francobolli che hanno valicato la cerchia dei collezionisti, per arrivare al grande pubblico; lo troviamo al centro del romanzo d'epoca di Auguste Groner, già evocato nel titolo, snodo di una trama ricca di sfumature psicologiche, e collocato in copertina nell'edizione del 2022.
 

 
Siamo a Vienna agli inizi del Novecento,
e Therese Schubert, vedova benestante, viene trovata morta nel suo appartamento.
Al principio si immagina un omicidio a scopo di rapina
e si ipotizza il coinvolgimento del fidanzato della nipote e del suo fratellastro.
Finché nell'indagine si inserisce Joseph Müller, un tempo al servizio della polizia asburgica.
e ora richiamato dal suo superiore per risolvere il caso.
La traccia che lo porterà alla soluzione sarà proprio un "Mercurio" rosso:
la vittima ne possedeva  un esemplare,
e da questo indizio Müller ricostruirà l'intera vicenda. 
 
Nella primavera del 2008 la casa milanese Zanaria Filatelici propone un "Mercurio" rosso in una vendita a prezzi netti; il prezzo non è dichiarato pubblicamente, ma comunicato in privato ai soli collezionisti che lo richiedono (P.a.R. = Prezzo a Richiesta).
 
  
A più di dieci anni di distanza, il 7 luglio 2020, la casa d'asta "Il Ponte" lo ripropone in una vendita all'incanto, con una stima iniziale tra i 60.000 e i 70.000 euro; la descrizione - a cui è dedicata una pagina intera del catalogo - fornisce nuove informazioni sullo stato di conservazione dell'esemplare e sulle perizie che lo accompagnano.   
 
 
L'esemplare presenta dunque "una piccola trasparenza di 2 mm." ed è corredato da ben quattro perizie (due italiane, due austriache) oltre a riportare la firma di Renato Mondolfo.
 
Sul sito internet della casa d'asta troviamo un'immagine ad alta risoluzione del francobollo (sia del fronte che del retro), le scansioni dei due certificati italiani di Alberto Diena e Giacomo Bottacchi (datati rispettivamente 24 ottobre 1963 e 4 luglio 2006) e del "certificato di garanzia" della Zanaria Filatelici (datato 12 luglio 2012, quando presumibilmente il pezzo fu venduto la prima volta, dopo la sua comparsa nel catalogo a prezzi netti del 2008).
 
 


   
 
Recuperiamo la cronologia degli eventi.
 
Il 24 ottobre 1963 Alberto Diena giudica l'esemplare "originale e perfetto" e lo firma per esteso "data la sua grande rarità".
 
Anche Renato Mondolfo appone la sua firma, non sappiamo quando, ma sicuramente prima del 2 febbraio 1992, giorno del suo decesso.
 
Il 4 luglio 2006 Giacomo Bottacchi giudica l'esemplare "ben conservato nel colore", "originale", con "piena gomma originale dell'epoca" e "perfetto".
 
Nella primavera del 2008 la Zanaria Filatelici lo propone nel suo catalogo di vendita a prezzi netti e lo presenta come "splendido".
 
Il 17 luglio 2012 la Zanaria Filatelici stila un certificato di garanzia in cui menziona "un taglietto di forbice nel bordo bianco di 2/3 mm quasi rasente il disegno".
 
Il 7 luglio 2020 la casa d'asta "Il Ponte" lo propone all'incanto e cita "una piccola trasparenza di 2 mm. che non intacca il disegno".
 
Siamo obbligati a procedere per via congetturale, e la congettura più plausibile è che il "taglietto di forbice", o "piccola trasparenza" che dir si voglia, sia sul francobollo "da sempre", se non proprio dal momento stesso in cui l'esemplare fu ritagliato dal foglio originario, almeno da quando ha iniziato a esser considerato un oggetto da collezione.
 
Se accettiamo l'ipotesi - la più verosimile - ci punge subito un dubbio: come mai nessuno dei due periti italiani ha comunicato la presenza del "taglietto" o "piccola trasparenza" che dir si voglia?
 
E la risposta - di nuovo - è di necessità congetturale (non avendo la possibilità di interpellare i diretti interessati).
 
I casi sono due: o entrambi i periti non si sono accorti del "taglietto", o "piccola trasparenza" che dir si voglia, e la cosa finisce qui; oppure se ne sono accorti ma, a loro parere, a parere di entrambi, la cosa era irrilevante nell'economia del giudizio - tenuto conto della rarità del pezzo - al punto da non citarla neppure; per loro - per i due periti, a loro parere - il francobollo era senz'altro "perfetto", e forse la pensava così anche Renato Mondolfo, se ha speso la sua firma sull'esemplare; sarebbe stato poi affare del commerciate - che vendeva il pezzo e incassava svariate decine di migliaia di euro - precisarne lo stato di conservazione in tutti i suoi più minuti dettagli; ma per loro - per i periti - il pezzo andava bene così, e non sentivano il bisogno di aggiungere altro.
 
Questa seconda eventualità (se ne sono accorti, ma hanno taciuto) è la più probabile: un "Mercurio" rosso lo si guarda per bene, prima di certificarlo, e vuoi che non ci si accorga della presenza di un "taglietto" o "piccola trasparenza" che dir si voglia?
 
La Zanaria Filatelici ha dato prova di una professionalità esemplare nel citare il "taglietto", e la casa d'asta "Il Ponte" non poteva a quel punto che fare altrettanto, pur cambiandogli nome (non più "taglietto" ma "trasparenza").

Ma cosa sarebbe accaduto in caso contrario?
 
Cosa accade se il venditore - come avviene sempre più spesso - recepisce acriticamente l'opinione del perito, quel perito che lui stesso ha ingaggiato col patto implicito di avere massicce dosi di buon senso e ragionevolezza nell'esprimersi su un rettangolino di carta vecchio di secoli?

Accade che il pezzo se ne va a spasso con la qualifica di "originale e perfetto", e viene scambiato sul mercato a un prezzo che non tiene conto del "taglietto" o "piccola trasparenza" che dir si voglia, finché qualcuno non fa notare che c'è un "taglietto" o una "piccola trasparenza", e da lì l'effetto stigma, irrazionale e tuttavia comprensibile (se hanno taciuto del taglietto, della trasparenza, chissà  quante altre cose hanno occultato).
 
Se il "taglietto" non si è prodotto tra il 2008 e il 2012 - tra il momento in cui il francobollo è stato proposto da Zanaria e il momento in cui è stato venduto - se escludiamo quest'ipotesi inverosimile, equivalente a dire che lo ha prodotto Zanaria stesso, forse maneggiandolo male (!), allora il "taglietto" andava esplicitamente menzionato nelle perizie.
 
Perché lo scopo di una perizia filatelica è esattamente questo: portare all'attenzione quegli elementi dell'oggetto che potrebbero sfuggire al collezionista, e in alcuni casi persino al commerciante, a tutela della passione e del denaro del primo, e della reputazione e della credibilità del secondo (affinché non si dica che rifila fregature ai clienti, se certe caratteristiche problematiche dell'oggetto gli sono sfuggite in buona fede).
 
E non si dica - per favore - che chi compra un "Mercurio" rosso, chi spende così tanto denaro per un francobollo, deve avere in sé tutta la conoscenza e la competenza necessarie a valutarlo in autonomia, senza bisogno di alcun supporto consulenziale, perché in nessun campo funziona in questo modo né potrebbe mai funzionare così.
 
La figura del consigliere del Principe - anche se sprovvista di uno statuto, come in fondo lo sono anche i periti filatelici - è sempre esistita e sempre esisterà, seppur in forme variabili nel tempo e nello spazio. Da un consigliere ci si attendono risposte precise, su argomenti che rientrano nel suo dominio di conoscenze, arricchite dall'esperienza sul campo; le sue opinioni forse non saranno decisive, ma sicuramente aiutano a decidere, a scegliere con consapevolezza.
 
Il consigliere deve dare la sua opinione sincera e spassionata, senza timori reverenziali verso il Principe. E il Principe - ricorda Machiavelli - non deve offendersi quando sente opinioni che gli suonano sgradevoli: "Perché non ci è altro modo a guardarsi da le adulazioni, se non che gli uomini intendino che non ti offendino a dirti el vero; ma quando ciascuno ti può dire il vero, ti manca la reverenza".
 
Una lezione per tutti: periti, collezionisti e mercanti.
    

Case-study #2: 50 grana di Napoli

Il 50 grana è il valore più alto dell'emissione di Napoli del 1858. Allo stato di usato non è un francobollo particolarmente raro, ma - come tutti gli alti valori - è spesso accompagnato da uno o più pareri peritali.

Diciamolo francamente, senza paura di mancare di rispetto al compianto Ingegner Merone (ché in fondo non stiamo parlando della sua persona, ma di una sua perizia): si rimane esterrefatti dalla sciatteria del linguaggio, da una formulazione così pigra e svogliata, quindi approssimativa, quando da un certificato ci si aspetta precisione, rigore e scrupolo.
 
"Per margini e altro vedi il francobollo". Per margini e altro vedi il francobollo?! Ma il francobollo lo si invia alla perizia affinché sia il perito a vederlo e a scrivere - nel certificato - cosa ha visto. "Per margini e altro vedi il francobollo" sembra lo scambio di battute umoristiche tra il medico e il paziente. "Allora, come sta oggi?", "Dottore, dovrebbe essere lei a dirmelo".
 
"Per margini e altro vedi il francobollo".  Cioè dobbiamo prestare attenzione ai margini, perché forse c'è un problema di marginatura? E cos'è quel generico altro a cui dobbiamo badare? L'ossidazione del colore? C'è ancora altro? Cosa dobbiamo immaginare? 
 
Questa perizia rassicura sull'originalità, ma solleva incertezze pari a un multiplo di ciò che chiarisce, laddove una perizia è utile se risponde a interrogativi, e non se ne pone di nuovi (o, se li pone, deve contestualmente risolverli). Sarebbe in fondo bastato poco per renderla accettabile, un minimo di attenzione alle convenzioni di linguaggio e alla tecnica redazionale, come vedremo nei case-study #6 e #8.
 
Un'annotazione a margine: l'Ingegner Mario Merone ci ha lasciato nell'agosto del 2019, all'incirca un anno dopo la stesura di questo certificato; non ho mai avuto il piacere di incontrarlo, ma ormai - in un'epoca così social - è facile venire a sapere i fatti delle persone, anche degli sconosciuti. Chi era in confidenza con l'Ingegner Merone riferisce che "non stava bene da tempo", e allora, di là del caso di Mario Merone, c'è da interrogarsi su un punto di metodo.
 
Tutte le professioni prevedono un limite di età, oltre il quale non possono essere più esercitate (i notai - a esempio - devono cessare l'attività al più tardi a 75 anni,  e quando si dice 75 anni si intende proprio dire 75 anni: il giorno del 75° compleanno è l'ultimo giorno di lavoro); solo i periti filatelici possono lavorare finché ne hanno voglia.
 
Non mi riferisco - lo ripeto - al caso particolare dell'Ingegner Merone, a cui probabilmente il restare immerso nei francobolli ha consentito di smorzare i tormenti del suo ultimo, problematico, tratto di vita (e se i francobolli hanno il potere di trasformarsi in un balsamo per l'anima - di distrarci da pensieri angosciosi, sin anche di lenire il dolore fisico - sarebbe stupido non permettergli di agire su di noi proprio quando ne abbiamo più bisogno).

Prendo semplicemente spunto da un caso particolare - verso cui ho il massimo rispetto e su cui, in definitiva, non ho nulla da dire - per porre all'attenzione un tema generale. Se un perito filatelico può periziare francobolli sine die, passa l'immagine di una figura dedita principalmente a sé stessa, preoccupata più di sé stessa che non di fornire un servizio alla comunità filatelica. Così, se la filatelia è un hobby, le perizie rischiano di trasformarsi in un hobby dentro l'hobby, presentandole però come attività professionale (e quindi da retribuire). Ma periziare francobolli sino all'ultimo respiro, sebbene legittimo, è tutto fuorché professionale.

"Il viale del tramonto si percorre a piedi nudi", cantavano Elio e le Storie Tese, per indurre i calciatori a ritirarsi prima di trascinarsi stancamente in campo e attirarsi bordate di fischi sempre più forti dagli spalti.

E lo stesso invito lo si può rivolgere ai periti, quando il gioco è ormai agli sgoccioli e prolungarlo oltre sarebbe solo un rovinare tutto quel che si è fatto di buono sino a quel momento. "Appendi le scarpe al chiodo, e lasciaci una buona immagine di te".
 

Case-study #3: Trinacria

La Trinacria è uno dei francobolli più iconici del periodo risorgimentale: è al centro del "magnifico biennio", quel periodo storico tra il 1859 e il 1861, che idealmente si apre con gli 80 centesimi dei Governi Provvisori di Modena e Parma e si chiude con il 3 lire di Toscana.
 




 
Questa Trinacria appare straordinaria - letteralmente: fuori dall'ordinario - per marginatura, annullo e freschezza.
 
L'hanno avuto tra le mani - nel tempo - la Zanaria Filatelici, lo Studio Raybaudi, Giacomo Bottacchi e da ultimo la casa d'asta "Il Ponte"; e tutti l'hanno invariabilmente magnificata, ognuno a suo modo ("pregevole esemplare", "margini di eccezionale ampiezza da ogni lato", "tassello con l'indicazione del valore libero dall'annullo", "originale e perfetto", "ottimo stato di conservazione", "grande rarità", "firmato per esteso", "pregevole qualità", "siglato per garanzia").
 
Eppure questa Trinacria è così (mal) manomessa che a Pietro Borzillo - uno studioso specializzato nei francobolli di Napoli - è bastata la semplice immagine per rilevare numerosi punti problematici.
 
"Non mi spiego come sia possibile che tre autorevoli esponenti della Filatelia italiana possano sostenere che questo pezzo sia 'originale e con margini eccezionali', quando la semplice immagine evidenzia una quantità di informazioni che dimostrano di trovarsi in presenza di una manomissione macroscopica.
 
Anche a voler trascurare la parte centrale del disegno (il cavallo, la trinacria e i tre gigli) non può sfuggire alla vista che l'esemplare si presenta completamente ridipinto nelle rullette (superiore, inferiore e laterali), nei margini e nella 'T' di tornese.

Anche il verso evidenzia le tipiche caratteristiche della manipolazione e che avrebbero dovuto quantomeno insospettire gli esaminatori.

Ho inviato in visione l'immagine del pezzo al Dr. Enzo De Angelis, uno tra i massimi esperti sull'argomento
: per lui o sono falsi i certificati oppure sono degli errori pacchiani".
 
Un'analisi icto oculis - in effetti - avrebbe rivelato un'anomala battuta di rulletta superiore (troppo distante dal riquadro e inclinata anziché dritta) e da qui, a cascata, avrebbe innescato delle analisi di dettaglio, che avrebbero inevitabilmente condotto a bocciare l'esemplare.

Viene da chiedersi cosa abbiano fatto in concreto tutti coloro che lo hanno avuto tra le mani, quando scrivono di averlo "esaminato".

Possiamo pure presumere la buona fede di tutti, ma allora non ci rimane che dedurre la loro imperizia nell'attività. O forse - chissà - commercianti e periti si sono tutti fidati dell'originario certificato di Raybaudi, utilizzato da ognuno come calco per i propri giudizi, con l'effetto, in aggregato, di diffondere l'errore sino a renderlo sconcertante.
 
"Any safeguard has inherent flaws or holes" - recita un classico ammonimento a chi lavora nelle funzioni aziendali di controllo interno - "Problems occur when multiple holes line up".
 
 
Nel mondo dei periti filatelici - in teoria la safeguard del collezionismo - gli hole delle verifiche (i buchi, le mancanze) mostrano spesso la disgraziata tendenza a essere in line up, ad allinearsi spontaneamente, cosicché non solo due pareri non danno maggiori garanzie di uno, ma per colmo d'impostura, a ogni parere aggiuntivo, l'errore si propaga e si amplifica, diventa progressivamente più imbarazzante, e perciò più problematico da smascherare, sin quando non si tramuta in un tale orrore che è impossibile non vedere.
 

Case-study #4: Croce di Savoia (1)

Gran parte della nostra vita viaggia su opinioni, su pareri; e un'opinione - logica alla mano - non può essere né "vera" né "falsa"; di un'opinione si può dire solo se "coerente" o "incoerente" con altre opinioni a essa collegate, o con i fatti su cui si basa (anche se al di fuori delle discipline altamente formalizzate può non essere così facile scovarne le falle); un'opinione può fondarsi su pochi o molti dati di fatto, essere più o meno argomentata, e quindi vi si potrà prestare più o meno fiducia; e accettare o rifiutare un'opinione - comportarsi come se fosse vera, nello spirito dell'als ob di Vaihinger - può anche dipendere dal soggetto che la sostiene, un atteggiamento sicuramente controverso, per molti versi problematico, che evoca l'uso (e soprattutto gli abusi) del cosiddetto principio di autorità; resta però il fatto che una stessa identica affermazione, a volte, se messa in bocca a Tizio ci riduce al silenzio, se a pronunciarla è Caio ci dipinge sul viso la più dubbiosa delle espressioni. 

Quando Giulio Bolaffi scrive "è uno dei migliori esemplari che conosco", oppure "l'ho firmato per esteso, data l'eccezionale bellezza", o anche quando ricorre alla più misurata formula "per la non comune bellezza", ogni collezionista sente la curiosità di vedere di cosa si parla. Perché a dirlo è Giulio Bolaffi, che aveva un gusto tra i più raffinati, con quel gusto ha inventato la qualità filatelica e su quell'invenzione ci si è costruito un giro d'affari. Poi - ovviamente - "per l’eccezionale bellezza dell'esemplare" non è un dogma, un totem da venerare, un idolo a cui prostrarsi senza discernimento, ché il proprio giudizio rimane essenziale. E' però un segnale, una spia che si accende sul cruscotto del collezionista. Perché a dirlo è Giulio Bolaffi.

Ma quanti altri possono vantare la sensibilità estetica di un Giulio Bolaffi? Quanti altri hanno speso tempo e risorse per crearsi una reputazione in fatto di qualità filatelica, come ha fatto Giulio Bolaffi, e sono quindi altrettanto credibili?
 

Qui abbiamo un esemplare della Crocetta giudicato da Giorgio Colla "il più bello a me noto".

Registriamo anzitutto una dilatazione del perimetro del giudizio: il perito non si accontenta più di dichiarare il pezzo "originale al pari dell'annullo" e "perfetto", ma ci tiene a sottolineare il suo essere "spettacolarmente marginato", per poi classificarlo come "il più bello a me noto".

Possiamo discutere se e quanto sia opportuna un'estensione del giudizio su una dimensione valutativa - la qualità - spesso negletta o mistificata, perché d'ostacolo alla fluidità dei commerci, ma ora che il perito ha invece allargato il suo campo d'azione, ora che ha deciso di esporsi sul livello qualitativo dell'esemplare, siamo obbligati a discutere la sua scelta.

"Il migliore a me noto" è una formulazione tautologica, se privata della qualificazione del soggetto che la usa. Tutti noi possiamo legittimamente parlare del miglior vino mai bevuto, della più bella donna mai incontrata, del più bel mare mai visto, anche se la nostra esperienza non ha mai oltrepassato la caraffa della casa, la ragazzetta di paese, le acque del porto. Il mondo è vasto e largo, bisogna averlo esplorato per poter dire di conoscerlo, e l'esplorazione stessa bisogna averla condotta con il giusto piglio, col corretto equipaggiamento mentale.

Giorgio Colla conoscerà o no la Crocetta ex Burrus, ex "Scilla e Cariddi", ex "Luxus", passata per le mani Renato Mondolfo prima e di Giacomo Avanzo poi? Se sì, come fa a dire che questa le è superiore? Se invece non la conosce, allora si documenti (basta una rapida occhiata alla pagina delle Crocette della Collezione "Scilla e Cariddi", per individuarne almeno tre nettamente superiori).

Pure, quando il perito scrive "spettacolarmente marginato", e tre righe sotto "il più bello a me noto", tradisce il grave equivoco che assegna ai margini il primato - e a volte addirittura il monopolio - nell'apprezzamento della qualità; tanto più grave per la mancanza di una adeguata sensibilità valutativa della stessa marginatura.

Passiamo questa Crocetta allo spettroscopio.

Cosa mi dite del margine alla destra di chi guarda? Non è solo sproporzionato rispetto agli altri tre - il che già è un'allerta, perché la bellezza vuole l'armonia, e l'armonia pretende la più alta simmetria possibile - ma è stretto di per sé (il confronto col margine opposto, che mostra parte del francobollo adiacente, dice chiaramente a quale altezza dovrebbe esser realizzato il taglio per far sì che ogni esemplare abbia la sua giusta parte di cornice perimetrale). Non starò qui a spiegare - di nuovo, ancora una volta - che una catena è forte quanto il più debole dei suoi anelli, che la marginatura di un francobollo si valuta sul più piccolo dei suoi margini (se non altro in linea di principio).

Sarà invece il caso di ricordare - vista l'occasione - che la qualità filatelica è una e trina, che marginatura, annullo e freschezza hanno pari dignità, sono tre parametri con la stessa importanza (ognuno pesa "33", in una scala di valutazione da 0 a 100). Cosa mi dite - allora - dell'annullo? Non deturpante, sicuramente, ma di quel grigio slavato e brutto a vedersi, che non lascia nulla da sperare sulla freschezza. E infatti un bel po' di sporcizia sembra essersi accumulata sul francobollo, che andrebbe comunque visto dal vivo, ci mancherebbe, e tuttavia a prima vista non restituisce la sensazione di avere una conservazione fuori dal normale.
 
Parlare di qualità - in fondo - non è così diverso rispetto a parlare di originalità: serve - in entrambi i casi - un adeguato materiale di confronto, occorrono casistiche certe e stabili, a cui far costante riferimento per calibrare i propri giudizi.
 
Ben vengano pareri peritali sulla qualità degli oggetti filatelici, purché l'opinione sia fondata sul più ampio censimento possibile (ormai facile da realizzare) e commisurata a metriche valutative non affette da distorsioni sistematiche (che privilegino a esempio la marginatura rispetto all'annullo o alla freschezza).

Purché, insomma, il giudizio sulla qualità non si riduca a un banale, desolante e auto-lesionista per me è così, chi sei tu per giudicare i miei gusti?
 

Case-study #5: Croce di Savoia (2)

Altra Crocetta, altro perito, ancora grande enfasi nella redazione del certificato.
 
 
 
Qui il perito è stato più sottile: "in quanto a marginatura" - questo esemplare - "è uno dei migliori esistenti in assoluto".
 
Già. Sapete qual è la forma di bugia più raffinata e perfida? La reticenza, l'arte di esprimersi sotto l'ammonimento "due parole sono troppe, una troppo poco".
 
Cosa dice il perito? Che questa Crocetta proprio non si batte "in quanto a marginatura". Trovatene un'altra così marginata su tutti e quattro i lati, se ne siete capaci. Ma quindi, in definitiva, cosa dice il perito? Che questa Crocetta è un pezzo outstanding, fuori dal comune? No, non dice questo. Dice che l'esemplare è tra i "migliori esistenti in assoluto", con riguardo alla marginatura. E l'annullo? E la freschezza? Non si sa, il perito rimane reticente, non è dato sapere la sua opinione sugli altri due parametri qualitativi. Peccato. Perché - ora che ci siam messi sulla china del giudizio sulla qualità - è proprio su annullo e freschezza, di più complesso apprezzamento, che sarebbe interessante avere un parere esperto. Cosa dobbiamo dedurre su annullo e freschezza, visto che il perito non si pronuncia? Che sono nella norma? Ma allora qual è il livello qualitativo complessivo di questa Crocetta?
 
Perché abbozzare giudizi sulla qualità, per poi lasciarli incompiuti? Così si rischia di mandare il collezionista in confusione, e un certificato peritale deve chiarire, non confondere. Altrimenti il certificato, peggio che inutile, diventa dannoso.
 

Case-study #6: Croce di Savoia (3)

Ancora la perizia di una Crocetta, stavolta per discutere di fatti, opinioni e linguaggio.
 
 
 
Il perito esibisce un fatto, con tanto di gigantografia per apprezzarlo al meglio: sul francobollo - riconosciuto originale - sono presenti "lievissime tracce di abrasioni superficiali a sinistra".
  
"Abrasione" è una parola carica di giudizi negativi; qui viene però circondata da parole di segno opposto - "lievissime" (superlativo!); "tracce" (si notano a appena?); "superficiali" (non scendono a fondo?) - che sembrano volerne attenuare la gravità.
 
Quindi? Com'è questa Crocetta, a parere del perito? Perfetta o difettosa? Non si sa, il perito non lo dice; ci porta a conoscenza di un fatto, lo presenta con i suoi pesi (le abrasioni) e i suoi contrappesi (lievissime tracce superficiali) senza però darci la sua opinione sul fatto; c'è l'analisi, manca la sintesi (sullo stato del francobollo, se perfetto o originale).
 
Se ne può trarre uno spunto di riflessione.

Già un secolo fa si auspicava la restrizione dell'opinione del perito alla sola originalità del pezzo, lasciando gli apprezzamenti sullo stato di conservazione - se di gran qualità, appena sufficiente o difettoso -  al giudizio e alla sensibilità del singolo collezionista, al suo gusto e al suo stile; il perito si limiti a fare il perito, si pronunci primariamente sull'originalità dell'oggetto, e al più dica se vi sono o no difetti occulti (che non balzano subito all'occhio) ma tutto il resto - gentilmente - lo lasci stabilire al collezionista, senza intromettersi, senza influenzarlo (ché il collezionista sa già come regolarsi).
 
 
E' un punto meritorio di  riflessioni; ricorda che c'è un limite alla capacità di esprimere i pensieri e le percezioni attraverso le parole (per cui a volte conviene tacere, quando l'incertezza della comunicazione si fa insostenibile); è collegato - in generale - al tema del linguaggio, al fatto che quanto può dirsi (sull'originalità) si può dir chiaro, e su ciò di cui non si può parlare (la perfezione) si deve tacere (perché i francobolli degli Antichi Stati sono oggetti fragili, e sarà sempre possibile definirli perfetti o difettosi, a seconda delle convenienze o di atteggiamenti pregiudiziali).
 
Ma queste stesse annotazioni si potrebbero sfruttare in chiave propositiva, per impostare correttamente un linguaggio speciale, perché il problema del gergo dei periti non è il suo essere un linguaggio in codice - avete mai letto un atto notarile o la sentenza di un tribunale? - ma nel non possedere la chiave di decodifica.
 
 

Il perito Guglielmo Oliva aveva uno stile sobrio ed essenziale; usava la formula "del tutto originale e privo di difetti occulti" per compendiare il suo giudizio su originalità e perfezione, da intendere nell'accezione tecnica della perizia; originalità come indicazione di conformità sostanziale dell'oggetto alle condizioni che "in origine" ne determinarono la creazione e l'utilizzo, con quel "del tutto" a sottintendere l'assenza di manomissioni (riparazioni, ridipinture, etc.); perfezione come sinonimo di assenza di "difetti occulti", di aspetti problematici non rilevabili a un primo sguardo (assottigliamenti, taglietti, forellini, strappi, e se si vuole anche riparazioni e ridipinture, con la perfezione che sfuma nell'originalità); tutto il resto era - e doveva rimanere - di spettanza del collezionista.
 
Il futuro potrebbe avere allora un cuore antico: basterebbe forse recuperare - e limitarsi a - l'espressione "del tutto originale e privo di difetti occulti", per segnalare un giudizio positivo; se invece si riscontrassero dei problemi, li si potrebbero enunciare e descrivere con tutta la precisione necessaria, senza chiamarli "difetti", se l'espressione sembra sconveniente, ma evitando anche la vaghezza dell'indicazione di buono stato.
 
Se corredato da un disciplinare d'uso, e supportato da uno standard redazionale su larga scala, lo stile di una volta potrebbe fornire la chiave di decodifica del certificato a tutti gli attori in gioco (commercianti, collezionisti e periti stessi) e chiarire ruoli e responsabilità.
 
In sintesi:
 
1 - separare nel testo (come già avviene in diversi certificati) la parte descrittiva dalla parte valutativa;
 
2 - la parte descrittiva dovrebbe avere come riferimento esclusivo delle fonti terze e di facile accesso (ad esempio, un difetto costante in un "Marzocco" andrebbe indicato col rinvio ad almeno uno dei due libri sull'argomento, o a entrambi; per segnalare la rarità di un annullo ci si può agganciare al punteggio attribuitogli dal Catalogo Sassone; e così via); la descrizione dovrebbe avvalersi solo di sostantivi e bandire gli aggettivi (a eccezione dei casi in cui esprimono caratteristiche fisiche oggettive, a esempio il colore del francobollo);

3 - usare esclusivamente la formula "del tutto originale e privo di difetti occulti" per promuovere l'oggetto, rispetto all'esame peritale (da intendersi nel senso già chiarito);
 
4 - in presenza di difetti occulti, e fatta salva l'originalità, la formula "del tutto originale e privo di difetti occulti" andrebbe sostituita con una dichiarazione asciutta di originalità, seguita dalla descrizione di ciò che il perito ha rilevato e che ora porta all'attenzione del collezionista attraverso il certificato; anche qui servirebbe una certa disciplina espressiva, l'impegno a comunicare per lo più con sostantivi e col minor numero di aggettivi e superlativi (si segnalino pure le abrasioni, ma che poi siano lievissime e superficiali lo si lasci giudicare al collezionista, magari, sì, con l'esibizione di immagini ingrandite).
 
E' viva la speranza - tutta soggettiva, naturalmente - che il punto di vista possa essere condiviso, applicato e perfezionato con la pratica sul campo.

Case-study #7: 1 soldo (1851)

Il 6 maggio 2017, a Vignola, la Ditta Vaccari batte la sua asta n. 91; il lotto 491 è un bell'esemplare da 1 soldo del Granducato di Toscana del 1851, descritto di "ottima qualità" e accompagnato da un certificato peritale di Enzo Diena del 1984 (che lo giudica "originale, perfetto e ben marginato") e da un certificato di garanzia della stessa Vaccari del 2002 (che lo qualifica "splendido", di "QUALITA' EXTRA").
 
 
 
 
Il lotto va via alla base, aggiudicato a 1.000 euro commissioni incluse.
 
Trascorrono poco più di due anni, e il 17 giugno 2021 il soldo di Vaccari ricompare in Svizzera, in asta da Feldman: lotto 60630, "good to large margin, neatly canceled", si legge nella descrizione, con una stima iniziale tra i 300 e i 400 euro.
 

Il lotto 60630 - già 411 da Vaccari - viene ora aggiudicato a 420 euro, più diritti d'asta.

Passano appena sei mesi, e torna di nuovo sotto il martelletto del banditore, ancora da Feldman, lotto 40222, con una stima inziale invariata rispetto alla tornata precedente, e ancora con la stessa descrizione.

 
Ma le cose cambiano - e s'inizia a capire il parossismo di questa proposta di vendita - se ci si sposta dal catalogo cartaceo alla sua versione on-line.

 
Veniamo ora a sapere che l'esemplare ha un "small thin spot" (piccolo punto sottile) "which looks to be part of the watermark" (che sembra essere parte della filigrana) "which isn’t mentioned by the certs" (non menzionato dai certificati di Diena e Vaccari); viene aggiudicato di nuovo, ma stavolta a 320 euro più diritti.
 
Cosa dice David Feldman, molto alla buona? Che il francobollo ha un punto di assottigliamento in corrispondenza della filigrana, e ne mostra il verso affinché ognuno giudichi da sé.
 

Possiamo filosofeggiare all'infinito se abbia o no senso parlare di assottigliamenti in corrispondenza della filigrana, visto che la filigrana di per sé riduce lo spessore della carta, e potremmo non uscirne più, se ci mettiamo a rilevare di quanto l'abbia ridotta in ogni singolo punto.
 
Certo è che nella stessa vendita di Vaccari del 6 giugno 2017 veniva proposto - a un prezzo ridicolo - un altro esemplare da 1 soldo di Toscana del 1851, con un'avvertenza proprio sull'invasività della filigrana, e la clausola "si vende senza reclami" a prevenire ogni possibile contestazione post-vendita (per la cronaca: il lotto fu aggiudicato a 200 euro); e allora, sì, parrebbe una cosa sensata il voler rilevare l'effettivo spessore della filigrana.
 
 
Ma qui le domande sono altre: Enzo Diena, nel 1984, si accorse o no dello "small thin spot" - segnalato da Feldman nel 2021 - sul soldo che giudicò "originale, perfetto e ben marginato"? Se sì, perché non lo segnalò nel certificato? Perché lo ritenne effettivamente irrilevante o per non intralciare una possibile transazione commerciale?
 
E Paolo Vaccari - in qualità di venditore - riesaminò per suo conto l'esemplare prima di redigere il suo certificato di garanzia, o si limitò a recepire acriticamente il parere di Diena?
 
Come e perché il francobollo è arrivato da Feldman, e cosa è accaduto da Feldman, tra giugno 2019 e dicembre 2021, per far venir fuori lo "small thin spot... which isn't mentioned by the certs"?
 
Risuonano ovunque note e parole di Bob Dylan...
 
♫ How many times can a man turn his head and pretend that he just doesn't see...

... and how many times must a man look up before he can see the sky?
 
The answer, my friend, is blowin' in the wind...
 
... the answer is blowin' in the wind! 

Case-study #8: 60 crazie

Il 60 crazie è il francobollo più raro degli Antichi Stati Italiani, se ad "Antichi Stati" diamo il significato suo proprio: Regni, Stati, Ducati e Granducati, come concepiti al Congresso di Vienna.
 


 
Abbiamo qui un 60 crazie corredato da due certificati del 1981 - di Enzo Diena e Silvano Sorani - che lo definiscono "in buono stato".

Il problema, qui, non è nello slittamento di significato della parola "buono" (che peraltro anche nel linguaggio ordinario mantiene una certa ambivalenza: essere di bocca buona non è certo un complimento). Bisogna avere un pelo filatelico freschissimo per non sapere che il buono stato colloca il pezzo nell'area delle seconde scelte. Il problema - Principio di Anna Karenina - è nella vastità dell'area delle seconde scelte, su cui l'espressione buono stato va a insistere senza far chiarezza.
 
Tutti si accorgono - icto oculis - della marginatura deficitaria di questo 60 crazie. Sono solo i difetti di marginatura a determinare il buono stato? O c'è qualcos'altro, che sfugge al primo colpo d'occhio? Non si sa, i certificati non lo dicono, il collezionista deve capirlo da sé (quando il certificato dovrebbe invece rispondere a domande, fugare dubbi, e non sollevarne di nuovi, magari ingiustificati, accrescendo le incertezze).
 
Piuttosto, Silvano Sorani si premura di segnalare un colore "assai vivo e intenso" e di precisare che è "raro l'uso del 60 crazie al di fuori delle Direzioni Postali": un certificato che chiaramente spinge il pezzo, lo sostiene sul piano commerciale, a tutto vantaggio del venditore, e con pochi riguardi verso l'acquirente.
 
Ma allora meglio - molto meglio, perché realmente informativa - la sobrietà e l'essenzialità di Guglielmo Oliva, già discussa nel case-study #6, e di cui troviamo una nuova conferma.
 
 
 
 
Questo 60 crazie è "in tutto originale e privo di difetti occulti", nel parere di Oliva; non ha cioè problemi rilevabili solo con un esame minuzioso dell'esemplare, o se si preferisce, che possono sfuggire a un esame sommario.
 
Non serve però nessun parere terzo per accorgersi dello stato dei margini, che cade direttamente sotto lo sguardo di chiunque, e chiunque può valutare da sé, senza bisogno della consulenza di un perito (che diventa anzi disfunzionale se ricorre a formulazioni bizantine come buono stato, per far notare l'assenza del margine bianco nel lato superiore, o peggio ancora, se lo definisce perfetto senza dare peso alla mancanza di quel margine).

Questi aspetti possono - devono? - restare sotto la giurisdizione del collezionista-acquirente, perché caratteristici del suo stile.
 

Case-study #9: 60 crazie su lettera

Riporto una "Testimonianza con considerazioni", di Mario Mentaschi, tratta dalla rivista "Vaccari Magazine" (n. 39 del 2008).


La testimonianza di Mentaschi è da leggere, rileggere e meditare, perché riassume bene diversi aspetti del collezionismo filatelico, ognuno meritorio di discussione: il valore delle perizie, il livello di fiducia da accordare a un perito, l’arrancare dei periti dietro al passo spedito falsari, ma anche gli strani calcoli di convenienza quando si ricevono offerte consistenti per un pezzo della propria collezione.

Qui mi limito a portare all’attenzione solo un punto: “nel lontano 1977 nessuno era in grado di valutare la correttezza dell’affrancatura delle lettere indirizzate a Cipro”.

Se così stanno le cose – come afferma Mentaschi – allora nessuna critica può esser mossa al perito relativamente a questo specifico aspetto. Perché il perito è (moralmente) obbligato a tenersi aggiornato al miglior stato di conoscenze disponibili, ma non lo si può incolpare di non conoscere ciò che a tutti gli effetti non appartiene ancora alla conventional wisdom del mondo filatelico.

E provocatoriamente si potrebbe ricusare anche l’addebito più tecnico – la mancanza del “piccolo spazio bianco che lascia un bollo metallico quando si appoggia sul francobollo” – perché se non sono noti ex-ante né gli standard di verifica né la griglia dei giudizi, quali contestazioni si è legittimati ad avanzare ex-post?
   

Case-study #10: 1 soldo (1857)

Il francobollo toscano da 1 soldo del 1857 è uno dei più "duri" da inserire in una collezione di "Marzocchi".
 
Le tirature del 1857 soffrono di cliché ormai usurati, hanno spesso una stampa pastosa, confusa e il leone si vede appena; l'esemplare da 1 soldo, poi, è di colore giallo, una tinta delicata che più di altre è penalizzata dall'annullo (tipicamente nero); e - last but not least - è il pezzo più costoso della serie del 1857.  
 
 
 
Qui abbiamo un soldo del 1857 all'apparenza spettacolare: quattro margini bianchi visibili a occhio nudo (il superiore addirittura strabordante, con parte dell'esemplare adiacente), ottima qualità di stampa (rispetto alla media dell'emissione) e poi uno splendido annullo rosso (che crea il migliore contrasto cromatico possibile).
 
Ma è solo apparenza, appunto. Il certificato del perito Giovanni Chiavarello - soprannominato "Il Principe" - ci informa che l'esemplare è sì originale, ma "non è perfetto".

Ritorna il Principio di Anna Karenina: ogni francobollo non perfetto lo è a modo suo, l'imperfezione è sfaccettata. E un certificato - in linea di principio - avrebbe proprio lo scopo di qualificarla, di indicare la specifica imperfezione registrata sull'esemplare, a fronte dell'infinità di imperfezioni possibili. Ma ciò non avviene, non qui almeno, non in questo certificato del "Principe".

Il certificato - per date apparenze del francobollo - dice sì una cosa che sarebbe potuta sfuggire - "non è perfetto" - ma ciò che dice apre un ventaglio di possibilità che scaraventa in un'incertezza paralizzante.

L'esperienza sul campo finirà poi col suggerire la presenza di una riparazione, ma - di nuovo - un certificato dovrebbe avere lo scopo, se non di surrogare l'esperienza diretta, almeno di colmare in parte la sua mancanza, o - de minimis - di non esasperare gli effetti dell'inesperienza.
 
E poi - ancora - c'è riparazione e riparazione: quale sia la zona soggetta a riparazione - sempre che di riparazione si tratti - e quanto sia grande la sua estensione sono elementi decisivi per inquadrare correttamente lo stato complessivo dell'esemplare, e in definitiva stabilirne un prezzo equo, che non dia la sensazione, a distanza di tempo, di esser stati rapinati.
 
Tornando al Principio di Anna Karenina: tutte le persone in salute si assomigliano, i malati lo sono ognuno a modo loro. Cosa pensereste di un medico che di fronte a una persona dolorante si limitasse a dire "non è in salute" e null'altro?
 

Case-study #11: ritocco inedito?

La preparazione delle tavole dei "Testoni" di Sicilia fu parecchio travagliata, e anche l'esito - pur rimanendo notevole – perse parecchio rispetto alle splendide incisioni dello Juvara: diversi cliché mostrarono imprecisioni, duplicazioni, e parti mancanti anche piuttosto estese, che imposero interventi riparatori artigianali direttamente sulle matrici di stampa.

Queste "correzioni manuali" sono oggi note col nome tecnico di "ritocchi", e la loro analisi e classificazione è una delle specializzazioni classiche del collezionismo di "Sicilia".
 
 
 
I "ritocchi" sono censiti e prezzati dal Catalogo Sassone, a cui - piaccia o no - si fa continuo riferimento come base comune di confronto.

Un perito è legittimato a parlare di "ritocco inedito", senza consultare o informare preventivamente la Sassone

Può farlo materialmente, è ovvio, perché nessuno glielo impedisce; ma è esattamente questo il problema.

Nessun professionista, in un ambiente di lavoro minimante serio, può svegliarsi la mattina e stabilire da sé di aver trovato un "ritocco inedito", tanto più se il (presunto) ritocco consiste in un "fitto microscopico punteggiamento", perché sarà sempre possibile scovare dettagli microscopici in oggetti artigianali vecchi di secoli.

Il punto di metodo ha la sua rilevanza, di là che si voglia riconoscere o meno la Sassone come punto di riferimento per il mondo filatelico. Perché un riferimento esterno - sceglietelo pure voi - serve comunque.

L’attendibilità di una classificazione, di uno studio, o anche solo di un'affermazione, presume la preventiva condivisione all'interno di un circuito, se non proprio ufficiale, almeno facilmente accessibile e aperto alla discussione, in cui ci si possa confrontare secondo procedure anche informali ma comunque chiare, prima di spendere all'esterno le proprie conclusioni.

Se invece tutti possono dire tutto - senza neppure sottoporsi a un vaglio dei propri pari, innanzitutto a propria tutela - l'auto-referenzialità finirà col dilagare, e non si capisce bene (o forse si capisce sin troppo) quale sia il valore aggiunto di una verità che rimane vera solo per chi l'afferma.

Case-study #12: 1 grano di Sicilia "isolato"

Nella primavera del 2019 la Filatelia Sammarinese (Filsam) pubblica un catalogo a prezzi netti, centrato sull'area italiana.
 
Questo è il lotto 170 della vendita.




La tariffa siciliana da 1 grano è una tra le più interessanti e discusse: si applicava - di base - alle lettere di un foglio tra comuni dello stesso circondario; oppure affrancava la spedizione di un giornale in due copie; si ha poi il caso - che segna il passaggio dalla "perfetta tariffa" al mondo delle tassazioni - di lettere spedite fuori distretto, in cui mittente e destinatario concordavano di smezzare il costo di spedizione; ma vi sono anche casi di lettere indirizzate fuori distretto e non tassate, su cui è stata avanzata l'audace ipotesi di una tariffa da mezzo foglio (parecchio controversa, perché esistono diverse lettere da mezzo foglio affrancate per 2 grana) e che più probabilmente sono lettere sfuggite alla tassazione (per incuria o complicità dell'impiegato postale); e poi - e qui si esce dal campo filatelico per entrare nel mondo delle falsificazioni - vi sono lettere manipolate, manomesse, da cui sono stati asportati degli esemplari, lasciando l'1 grano artatamente isolato.
 
Per tutto ciò, il giudizio sull'affrancatura siciliana da 1 grano richiede (impone) un minimo di attenzione in più rispetto alla norma, e neanche a dire che si stia parlando di una specializzazione estrema, nota solo ai collezionisti più esigenti e raffinati di "Sicilia", perché le nozioni sull'affrancatura siciliana da 1 grano appartengono d'ufficio a chiunque si occupi di Storia postale degli Antichi Stati Italiani, a qualsiasi livello.
 
Ora, qui abbiamo un'affrancatura da 1 grano su una lettera circolare, e il primo punto da verificare - a buon senso, pure se non si è periti filatelici - è la localizzazione dei luoghi di spedizione e di destinazione. La lettera viaggia da Palermo a Marsala, e basta un minimo di cognizione geografica per capire che Palermo e Marsala non appartengono allo stesso distretto. Viene dunque meno la casistica della "perfetta tariffa", e l'oggetto perde parecchio smalto, la sua attrattiva si riduce notevolmente.
 
Ma c'è di più: sulla lettera non vi sono segni di tassazione e ciò la trasforma in un oggetto misterioso; e i misteri non piacciano ai cultori di Storia postale, se sono destinati a rimanere irrisolti. Si possono avanzare congetture, ma il valore e l'interesse della Storia postale riposano sulla certezza del pronunciamento, anche perché, quando si ricorre a congetture, tutte rimangono spesso sullo stesso piano e raramente è possibile graduarle per livelli di verosimiglianza.

E non finisce qui: l'annullo "a ferro di cavallo" sull'1 grano non è "passante" - resta cioè sul francobollo senza toccare la lettera - e gli annulli "non passanti" dovrebbero mettere in guardia per principio. Intendiamoci: è relativamente facile - per chi è abile in questi giochetti - rendere "passante" un annullo che non lo è, così come vi sono numerose lettere genuine con annulli "non passanti", ma ciò non attenua l'allerta lanciata da un annullo "non passante". Che in questo caso è poi un segnale particolarmente acuto, visto che parliamo di una lettera fuori tariffa e non tassata.
 
Nulla di ciò sembra aver  sfiorato i ragionamenti di Giorgio Colla, uno tra i più rinomati periti su piazza, che con bella sicurezza parla di "unica lettera nota con il grano isolato della prima tavola". Non è dubbio che la lettera si presenti così - con un esemplare isolato da 1 grano - ma il punto è sapere se è nata così, con un esemplare isolato da 1 grano, date le condizioni al contorno (fuori tariffa, non tassata). Non un fiato sul punto, anche se la firma estesa induce a pensare a una lettera genuina (e i meno avveduti potrebbero persino supporla "in tariffa").
 
Silvano e Manuela Sorani si mantengono un filo più cauti, piazzano nel certificato mezzo rigo di contrappeso: "la circolare non fu tassata all'arrivo". Lo Studio Sorani ci ricorda così a mezza bocca che siamo nella casistica - enigmatica - della lettera fuori tariffa e non tassata. E semmai un dubbio sulla genuinità dell'oggetto si possa essere insinuato nella fase di analisi, di sicuro non se ne ha traccia nella giudizio di sintesi, che qualifica la lettera "rara e pregevole per la sua prima data d'uso nota del francobollo da 1 grano".
 
Tanto Giorgio Colla nel 2001, quanto i Sorani nel 2012, sembrano preoccupati più di promuovere l'oggetto che non di apprezzarlo sulla base dei dati di fatto, e a limite di astenersi dal giudizio - sì: esiste anche questa possibilità - in mancanza di requisiti minimali per dichiarare un'opinione.
 
Ora: chi è il perito? E' una persona dotata di una speciale competenza, che conosce per lunga pratica i segreti di un mestiere, di una professione, di un'arte. E questa speciale competenza, questa lunga pratica, include - deve includere - il tracciamento delle vendite del passato, non tutte, ovvio, ma almeno le più importanti, dove spesso sono svelati in un sol colpo i segreti degli oggetti.
 
Londra, 20-21 novembre 1986, asta "Alphonse" della Phillips, catalogo "Sicily and Parma", lotto 71.


 
"Originally bore one other stamp": tradotto alla buona vuol dire che al principio la lettera era affrancata con una coppia dell'1grano, e poi un esemplare fu rimosso.
 
Le cose sono realmente andate così? Non lo sappiamo, ma il complesso degli elementi in gioco - lettera fuori tariffa e non tassata, annullo non passante, ammissione esplicita del venditore che avrebbe tutto l'interesse a magnificare l'oggetto - rende l'ipotesi massimamente probabile (e potrebbe diventare pratica certezza, se l'oggetto venisse esaminato con rigore, anziché sponsorizzato a prescindere).

Il cosiddetto rasoio di Occam diffida dal moltiplicare le sovrastrutture, e suggerisce di attenersi alla massima semplicità possibile, in ogni questione, per un assegnato livello di capacità esplicativa.
 
Tutte le più raffinate e costose perizie perdono di significato, se la risposta più verosimile la si può trovare - gratuitamente - nella pagina di un catalogo d'asta.
 
E i periti - qui come altrove - non ne escono bene, perché - qui come altrove - trasmettono la sensazione di non aver riflettuto o di non aver riflettuto abbastanza o, avendo riflettuto, di non aver saputo resistere alla tentazione di sbagliare pur sapendo di sbagliare.
 

Case-study #13: 50 grana di Sicilia usato

Il 50 grana di Sicilia è uno di quei francobolli che - come la lira di Modena o l'80 centesimi dei Governi Provvisori di Modena e Parma - ha uno sbalzo di valore monetario tra il nuovo e l'usato: il rapporto - secondo le quotazioni del Catalogo Sassone - è all'incirca di 1 a 7.
 

 
"Da diversi anni a questa parte la mia vita si svolgeva in un continuo tormentamento, incitamento e assillamento" - scriveva Gaetano Garofalo, nel 1934 - "Come farà - mi chiedevo notte e dì - ad indovinare se un francobollo è autentico o falso; se è stato sovrastampato regolarmente il giorno 20 e non il giorno 25 (in questo caso 'postumamente'); se annullato all'epoca giusta, cioè durante il plenilunio o mentre l'astro freddo era calante, scemo, logoro, o gravitante verso il Sagittario, lo Scorpione od il Capricorno?".
 
Già. Come si fa a riscontrare l'originalità di un annullo su un francobollo sciolto, soprattutto se impresso malamente? 
 
I cosiddetti "ferri di cavallo", poi, sono del tutto particolari: furono incisi uno a uno, artigianalmente, quindi non se ne troveranno mai due uguali; spesso sono incompleti; la loro inchiostrazione e la pressione con cui furono collocati influiscono in modo determinante su ciò che vediamo. 
 
E c'è una complicazione ulteriore, se parliamo del 50 grana. Emilio Diena racconta di un mercato filatelico vispo e florido agli inizi del '900, basato proprio sulle rimanenze degli esemplari (nuovi) degli Antichi Stati, e in particolare dei "Testoni" di Sicilia. Sappiamo poi per certo che alcuni "ferri di cavallo" si sono salvati dalla distruzione (un paio sono custoditi al museo di Roma, altri potrebbero addirittura essere in mani private). Se mettiamo insieme le cose, vien fuori che probabilmente su molti francobolli nuovi furono collocati annullati postumi per soddisfare l'esigenze dell'epoca; e se all'epoca un occhio esperto poteva ancora distinguere un annullo postumo da uno originale, oggi è virtualmente impossibile capire se l'annullo è stato apposto intorno al 1859 o intorno al 1900.

In sintesi, quando parliamo di "ferri di cavallo", fronteggiamo quattro casi possibili:
 
1- annulli originali dell'epoca;
 
2- annulli postumi collocati con timbri originali e inchiostro d'epoca (o comunque antico);
 
3- annulli postumi collocati con timbri originali e inchiostri più recenti;
 
4- annulli falsi (collocati con timbri reincisi che imitano gli originali).

Su uno stesso annullo "a ferro di cavallo" si potranno quindi avere pareri discordi, a seconda del soggetto che li giudica, ma il problema non sta nella possibile diversità di opinioni.
 
La rilevanza sta tutta e solo nella capacità di argomentare e sostenere la propria opinione, con elementi oggettivi e verificabili, con tecniche di analisi replicabili. Perché il problema non è cosa un oggetto è o non è, ma cosa noi riusciamo a dimostrare che sia.
 
Come si fa - in pratica, in concreto - a discriminare con buona certezza tra i quattro casi possibili?
 
Quale procedura operativa ha seguito lo Studio Sorani per affermare l'originalità dell'annullo sul 50 grana?
 
Ritornano le note di Bob Dylan... 

... the answer, my friend, is blowin' in the wind...the answer is blowin' in the wind! 
 

Case-study #14: 50 grana di Sicilia su lettera

Il problema dell'originalità dell'annullo si attenua notevolmente, sino a sparire, quando i francobolli si trovano ancora sulla lettera, grazie alla pluralità di obiettivi elementi di giudizio su cui fondare l'opinione.

Rimane un punto critico: il voler sostenere a ogni costo la perfezione dell'oggetto, anche quando si tratta di rarità verso le quali il collezionista non avrebbe problemi ad accettare difetti più o meno evidenti.
 

 
Il 50 grana - nell'opinione di Bottacchi - ha "margini completi".
 
La domanda viene da sé: se questo 50 grana ha "margini completi", quanto corto deve essere un margine, per poterlo definire incompleto?
 
♫ The answer is blowin' in the wind... 

Case-study #15: pregevole combinazione di annulli

Il 15 centesimi del Ducato di Modena è tra i francobolli più comuni degli Antichi Stati Italiani, in qualsiasi stato si trovi (nuovo, usato, su lettera); può diventare interessante in multipli (se separati da interspazi) o su documenti in cui vi siano particolari combinazioni di annulli.
 

 
Questa lettera - nel parere di Massimo Manzoni - presenta una "pregiata combinazione di annulli", anche se uno dei due è "poco impresso".
 
Il parere ha una formulazione ambigua. Dice - nella riga finale - che l'accoppiata tra il "P.D." in cartella e il cerchio piccolo di Modena in azzurro è "pregiata" - nominalmente, in astratto - senza però pronunciarsi sul caso specifico, pregiudicato da un annullo "poco impresso", di cui fa menzione nella parte descrittiva.
 
In che modo il certificato aiuta a saperne di più rispetto a prima? Per voler restare in bilico tra esigenze contrastanti -  valorizzare il pezzo da un lato, salvaguardare la propria credibilità dall'altro - si trasmette un'informazione che rischia di mandare il collezionista in confusione. Qual è il pregio effettivo di questa specifica lettera? Il parere non lo dice. Esibisce i fatti, ma non dà l'opinione sui fatti; propone elementi di analisi, ma non ne realizza la sintesi.
 
Un approccio (moderno) a là Guglielmo Oliva - tratteggiato nel case-study #6 e ripreso nel #8 - potrebbe far chiarezza.
 
La sezione descrittiva del parere (la parte superiore del certificato) dovrebbe riportare una descrizione asettica; la "pregiata combinazione" andrebbe sostituita (comunicata) con l'indicazione del punteggio di rarità assegnato dal Sassone (o da altro catalogo comunemente accettato); e non servirebbe parlare - in questa sezione - di annullo "poco impresso" (ché non è un fatto, ma un'opinione); anche la "eccezionale bellezza e freschezza del francobollo" richiederebbe una riformulazione in termini tecnici, con la segnalazione dell'angolo di foglio e - se possibile - della posizione sul foglio.
 
La sezione valutativa (parte inferiore del certificato) riporterebbe - e si limiterebbe a - la formula di rito "del tutto originale e privo di difetti occulti", senza bisogno di altre precisazioni; non serve che il perito prenda posizione su quanto sia impresso un timbro, perché l'impronta è lì, sotto gli occhi di tutti, e ognuno può (deve) apprezzare da sé, in autonomia, se e quanto il cerchio piccolo di Modena in azzurro sia "poco impresso".
   
Piccole accortezze, che però possono fare tutta la differenza.        
 

Case-study #16: Dottor Jekyll e Mister Hyde

Principio di Anna Karenina: le strade verso le professioni ufficialmente riconosciute si assomigliano tutte; quelle che portano ad attività improvvisate sono tante quante le possibili sfumature dell'improvvisazione.
 
Come si diventa periti filatelici? Sarebbe un'esagerazione dire che ogni perito vi darà una risposta diversa, ma sicuramente c'è una varietà di situazioni che non depone a favore della serietà del mestiere.

Una possibilità è iniziare da mercante, e c'è chi sostiene che sia una via privilegiata, perché così si sviluppa la sensibilità valutativa sul banco di prova più severo, quello del mercato, degli scambi, in cui i meriti sono riconosciuti da una clientela che si affeziona e gli errori sanzionati da un'altra che ti abbandona.
 
Si comincia allora col firmare i propri francobolli (che si vendono alla propria clientela, per "garantirli") e si finisce col firmare i francobolli di tutti gli altri (sottoposti da soggetti terzi, per essere "certificati").
 
Ma di rado la traiettoria che porta dal mercante al perito viene compiuta per intero; si rimane invariabilmente tra le due figure, si crea una figura bicefala, metà commerciante (animata da una logica di mercato, orientata alla compravendita) e un po' perito (mossa da una terzietà teorica, ma nei fatti sbilanciata sul lato commerciale).
 

 
Qui abbiamo un 40 centesimi del Ducato di Modena, nella rara gradazione celeste, accompagnato da un certificato di Paolo Cardillo che segnala "una lieve piega verticale".

Qualunque collezionista - anche un neofita - capisce da sé che la piega è un difetto, senza bisogno che il perito la presenti esplicitamente come tale. Nulla quaestio, se non ribadire l'opportunità di separare i dati di fatto dalle opinioni, a livello redazionale.

La piega è un fatto, a differenza dell'annullo "poco impresso" del case-study #11, che è invece un'opinione (per me, a esempio, quell'annullo non è "poco impresso", ma "in gran parte assente"); e il certificato dovrebbe tenere i fatti da un parte e l'opinione sui fatti dall'altra, senza farne una miscela, per non creare ambiguità poi difficili da chiarire; l'aggettivo "lieve" andrebbe quindi eliminato dalla descrizione, perché essere "lieve" o "pesante" non è un fatto, ma un'opinione su un fatto (su quanto sia marcata la piega); sarà il collezionista, una volta che il perito gli ha segnalato la piega, a valutarne la gravità e a regolarsi di conseguenza.
 
Ma ciò che è più interessante è la variazione di prospettiva quando l'esemplare viene trasferito dal perito al commerciante, che qui vuol dire passarlo dalla mano destra alla sinistra, perché Paolo Cardillo è sia l'uno che l'altro, perito e commerciante insieme, e il 40 centesimi oggetto della perizia diventa così il lotto 21 della sua prima Asta E-Live.

 
La "lieve piega" (del perito) è diventata una "lieve piega non deturpante" (agli occhi del commerciante). Nulla quaestio, neppure in questo caso: è già tutto contemplato dal gioco delle parti, col commerciante che magnifica il suo materiale, o ne attenua le debolezze, e il collezionista che deve rimanere guardingo, a prescindere.

Il punto però rimane: se ora si è periti e ora commercianti, ora di nuovo periti e ora un'altra volta commercianti, se si oscilla di continuo tra l'uno e l'altro, da un mondo all'altro, da una logica a un'altra, non ci sarà il rischio di non saper più dire se a stilare la perizia sia il perito o il commerciante?
 
La risposta stavolta non soffia nel vento, ma ce la fornisce - seppur indirettamente - lo stesso commerciante-perito, di lì a poco, in una sua nuova proposta di vendita.
 
  
Qui abbiamo un francobollo che fa la bellezza di 15.000 euro di catalogo, proposto con uno sconto del 95%, a causa - con tutta evidenza - del suo "buono stato".

Il problema - al solito - non è la dicitura "buono stato", ma la mancanza di una chiave di decodifica, che qui diventa drammatica, perché nell'esteriorità del francobollo non vi è nulla che possa lasciar intravedere difetti tali da declassarlo al livello di "buono stato" (notoriamente sinonimo di "seconda" o addirittura "terza" scelta).

In che modo la dichiarazione di "buono stato di conservazione" aiuta il collezionista a saperne di più? E a cosa serve precisare che siamo alla presenza di un "raro esemplare"? Non sarà che nella mostruosa fratellanza siamese commerciante-perito, l'anima commerciale ha finito col guidare il giudizio del perito?

E anche stavolta, allora, tornano di prepotenza le note di Bob Dylan...

 ... the answer, my friend, is blowin' in the wind...the answer is blowin' in the wind! 
 

Case-study #17: la perizia di un annullo

Riporto di seguito un articolo di Paolo Vaccari, estratto dal "Vaccari Magazine" n. 36 del 2006.

 
Ritorna il tema della conoscenza alla base dell'opinione, l'obbligo morale a giudicare il giudizio del perito tenendo conto degli obiettivi elementi informativi a sua disposizione quando lo ha emesso: se "nel 1979 le nozioni specializzate sulle timbrature di Modena non erano molto conosciute come lo sono ora", allora poco o nulla può rimproverarsi a un perito che ha semplicemente fatto uso di tutta la conoscenza disponibile, ancorché parziale, al momento di stilare il suo certificato.

Rimane però aperta la questione  - dirimente per un perito di livello - di aver presa non solo su ciò che si conosce, ma anche su quel che si ignora.

Può suonare paradossale, ma è un paradosso costruttivo: avere un'idea - vaga, approssimata - di quanto in là si estenda la propria ignoranza, e di cosa significherebbe sapere ciò che si potrebbe trovare in quei territori sconosciuti, è un elemento regolatore del giudizio, che ne aumenta la verosimiglianza e la credibilità, e tutela da eventuali nuove scoperte - sempre possibili - di segno contrario.

La vita, in tutte le professioni, non è fatta solo di alcune cose che si conoscono e di altre che si ignorano; l'ignoranza - seppur inevitabile - va comunque qualificata, per evitare inopportuni slanci di entusiasmo, sulla scia delle sole cose conosciute.
 

Case-study #18: appena sfiorato, leggermente corto

"Immagini ora il mio lettore che cosa può accadere se uno di questi collezionisti capita in un ambiente dove per esempio il negoziante ed il perito di francobolli sono d'accordo e servono ambedue uno stesso interesse" - stuzzicava Arturo De Sanctis Mangelli - "La risposta è molto facile a darsi: il perito batte la gran cassa ad un dato genere di francobolli [e] il collezionista - un minorato - subisce tutto il fascino della persuasione e... senza fatica il binomio perito-negoziante incassa denari"; per preservare l'integrità del mercato, concludeva, "la figura del perito deve essere completamente staccata e sotto ogni rapporto divisa da quella del negoziante".
 
Correva l'anno 1934.
  
 
Oggi - nel 2023 - nessun perito si fa problemi a riconoscere apertamente che un certificato serve a vendere meglio (e non certo peggio) e a battere la gran cassa con ancor più veemenza.

Questo 60 crazie - nell'opinione di Raffaele Diena - è "appena sfiorato in alto a sinistra", e pazienza se nessuno sappia cosa voglia dire  "appena sfiorato", ma fortuna che tutti abbiamo occhi per veder sparire il bianco del margine superiore, fino a intaccare visibilmente la cornice.
 
Niente paura, però: il francobollo "si può considerare perfetto per gli standard della Toscana".

E dove li troviamo dichiarati - esplicitati, noti - questi "standard della Toscana", semmai volessimo verificarli da noi, in autonomia, per convalidare l'opinione del perito? Perché uno standard è uno standard solo se condiviso. Qualcosa che sta invece dentro la testa di un singolo individuo - e che il più delle volte rimane oscura persino a lui, come tutto ciò che riposa dentro di noi senza trovare una codificazione esterna - non è uno standard.

E sarebbe davvero interessante sapere cosa ci sia nella testa del perito, quando stila certificati di questo tenore.
 


 
Ma cosa significano - esattamente - le espressioni "margini completi", "appena sfiorati", "leggermente corti"? E, qualunque cosa vogliano dire, se questi davanti ai nostri occhi sono dei margini completi, appena sfiorati o leggermente corti, com'è fatto allora un margine difettoso?
 
Rimane d'attualità l'annotazione di Arturo De Sanctis Mangelli, datata 1934: "il perito emette dei pareri e in un modo così buffo che - se non fosse storia di tutti i giorni - sarebbe da dubitare della nostra memoria".
 

Case-study #19: Il giudizio sui margini

La marginatura è uno dei tre parametri della qualità filatelica; non è banale valutarla (a molti sfugge che il giudizio va calibrato sul margine più piccolo) ma rimane più facile da apprezzare rispetto agli altri due parametri (l'annullo e la freschezza) e vi è una tendenza a sovra-pesarla, ad attribuirgli una rilevanza maggiore (sebbene abbia la stessa importanza).
 
Sicuramente è più agevole diagnosticare dei difetti di marginatura rispetto agli altri, al punto che la stessa parola "difetto" è storicamente riservata ai soli margini (margini difettosi) e non anche all'annullo (si parla di annullo deturpante, non di annullo difettoso) o allo stato di conservazione (si parla di francobolli poco freschi, non di francobolli di conservazione difettosa); solo un difetto di marginatura - nel sentire prevalente - è un autentico difetto, una mancanza di cui preoccuparsi seriamente; tutto il resto - annulli deturpanti, stati di conservazione scadenti - sarebbero, al peggio, fattori penalizzanti, ma non difetti in senso proprio.
 
Rinvio al ciclo di post sulla qualità, se siete interessati a (smitizzare) l'argomento, e passo al caso di studio: tre francobolli da 5 centesimi della IV emissione di Sardegna, con relativi certificati, tutti rilasciati dallo stesso perito.
 
 


 
Una perizia ha la sua giustificazione più nobile quando si pronuncia su aspetti controversi, per rischiararli; conserva ancora senso e utilità se qualifica l'oggetto rispetto a caratteristiche tecniche che il collezionista può ignorare (una tariffa, un plattaggio, etc.) o a punti problematici che possono sfuggirgli (ad esempio una riparazione); ma una perizia che afferma l'ovvio è inutile, e se poi nemmeno ci riesce, se per voler affermare l'ovvio finisce con l'ingarbugliarlo e renderlo confuso, allora diventa un fattore inquinante per l'intero sistema.
 
A chi e a cosa serve parlare di "grandi margini" (nel primo caso) o di "ampi margini" (nel secondo) quando la marginatura è immediatamente percepibile e apprezzabile da chiunque, senza sforzo?

E come si fa a parlare di un francobollo "ben marginato" (nel terzo caso) quando il margine inferiore, pur bianco, è oggettivamente piccolo rispetto allo spazio di separazione tra due vignette, e il margine alla destra dello spettatore va così a chiudere, ad assottigliarsi, sino a lasciare uno spazio bianco minimale?

Qual è - esattamente - la metrica con cui il perito misura i margini, per definirli grandi, ampi, buoni?
 
Viene da pensare che certe qualificazioni - inutili le prime due, fuorviante la terza - siano state suggerite dalla mano che porge, che le perizie siano state scritte, se non sotto dettatura del committente, sicuramente con suggerimenti su cosa scrivere e come scriverlo. Con tanti cari saluti alla terzietà del perito.

Case-study #20: La mano che porge

L'80 centesimi dell’emissione del Governo Provvisorio di Toscana è un francobollo di un certo pregio, ma tutto sommato facile da reperire, pe quel minimo di sforzo che si metta nella sua ricerca.

Poi, chiaramente, su alcuni specifici esemplari si possono riscontrare delle caratteristiche aggiuntive, suscettibili – almeno potenzialmente – di accrescerne l’interesse.
 



Qui abbiamo un 80 centesimi che genera ben dieci righe di certificato, giustificate dal suo "notevole interesse" per esser stato sicuramente utilizzato oltre il termine ultimo del periodo di validità (31 dicembre 1861), giacché il bollo che vi si trova sopra fu introdotto nel 1862.

Valorizzare un annullo - anche solo un francobollo sciolto - è legittimo e opportuno, se ne ricorrono i presupposti oggettivi, come in questo caso.

Ma allora perché - in quest'altro caso, relativo al 40 centesimi del Governo Provvisorio di Parma - non c'è una sola parola sull'annullo? 
 
 
 

Questo specifico 40 centesimi del Provvisorio di Parma - nella presentazione della casa d'asta - è un "most interesting and appealing example used on the day of issuance".

E perché Enzo Diena, così pronto a magnificare il 40 centesimi di Toscana, non è stato altrettanto reattivo con il 40 centesimi di Parma?

Se l'annullo aggiunge pregio, allora andrebbe sempre citato, dettagliato e spiegato, al momento di rilasciare l'opinione sull'esemplare. Perché in un caso è stato fatto e in un altro no?

Pizzica il dubbio, ancora una volta, che alcuni certificati - non saprei dire se pochi o molti, ma di sicuro troppi - siano redatti "sotto dettatura", e mi vien voglia di dire "sotto la dittatura" della mano che porge l'esemplare.    

Concludendo

La perizia di un oggetto filatelico può essere letta come  lo sforzo, peraltro mai compiuto sino in fondo, di far tacere le emozioni in un mondo che sulle emozioni vive e prospera. 
 
Il punto capitale è nell'educazione tecnica del perito filatelico, nella formazione della sua sensibilità valutativa, nella serenità di giudizio: non periti filatelici purchessia, ma figure preparate, attente, consapevoli, dal pensiero critico affinato, con la giusta distanza di braccio dalle parti in causa.
 
I case-study hanno per contro mostrato il precario equilibrio delle perizie filateliche, il continuo insinuarsi dei periti negli interstizi interpretativi della filatelia, ma anche nelle fessure aperte dal linguaggio e amplificate dalle porosità degli stessi concetti che il linguaggio ambirebbe a veicolare.
 
Ci viene restituito un mosaico di pareri parziali - nel duplice senso di incompleti e faziosi - tra loro scoordinati e incompatibili, come conseguenza - nel migliore dei casi - di principi valutativi auto-referenziali e non dichiarati e - nel peggiore - dell'assenza di qualsivoglia principio.
 
E sì che non servirebbe stravolgere lo status-quo per normalizzare un minimo la situazione; basterebbe esprimersi con più sostantivi e meno aggettivi, con più con verbi e meno avverbi, e senza superlativi; separare i fatti dalle opinioni, a livello redazionale; usare convenzioni di scrittura, decodificabili, per rendere trasparente il ragionamento alla base della perizia.
 
Ma evidentemente si preferisce convivere col più casareccio degli accomodamenti, per dar modo a tutti di formulare pareri come e quando vogliono, in un malinteso senso di libertà espressiva.
 
E il peggio deve ancora arrivare, dobbiamo ancora vederlo. Tenetevi forte.

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