PERITI - "Io so' io e voi...": il perito filatelico

Prologo

Da pagina 34 della prefazione al libriccino "6 periti e un francobollo", anno 1934.

 
 

 Da pagina 96 del libriccino "6 periti e un francobollo", anno 1934.
 

Sulla figura del perito

Il vocabolario on-line della Treccani definisce il perito una "persona che conosce per lunga pratica i segreti di un mestiere, di una professione, di un'arte, di un'attività"; il vocabolario del quotidiano "La Repubblica" lo qualifica come una "persona dotata di speciale competenza, in grado di formulare pareri, giudizi, valutazioni"; il vocabolario del quotidiano "Il Corriere della Sera" vede nel perito un "individuo competente in un determinato campo e perciò chiamato a fornire valutazioni, stime tecnicamente attendibili".
 
Conoscenza e competenza, sapere e saper fare, formazione teorica e pratica sul campo, esercizio ripetuto ed esperienza - per rilasciare giudizi tecnicamente attendibili e ampiamente motivati - sono dunque i tratti caratteristici del perito, dell'attività peritale.

Sono tutti requisiti in sé intuitivi, dal significato apparentemente evidente, su cui non sembra esserci molto da aggiungere.
 
Ma come si fa - in pratica - a riconoscere un perito, a tracciare una chiara demarcazione tra chi è perito e chi no? Di regola con la previsione di percorsi formativi e di addestramento formalizzati, che culminano con l'iscrizione a un Albo, sotto l'egida di un Ordine.

Medici, psicologi, avvocati, ingegneri, architetti, revisori contabili, notai, geometri, ragionieri, commercialisti - solo per citarne alcuni - sono tutti periti nel senso tecnico del termine, figure professionali che formulano giudizi, rilasciano pareri, forniscono stime e valutazioni, ognuna nel proprio ambito di attività; hanno alle spalle titoli di studio legalmente riconosciuti - diplomi, lauree, specializzazioni - e vantano esperienze variamente concepite - stage, praticantati, apprendistati - all'interno di un itinerario finalizzato a saldare teoria e pratica, a creare una base comune di conoscenze e competenze, una cultura del lavoro intesa non tanto in senso nozionistico, quanto come uno stile condiviso di esercizio della professione.
 
L'iscrizione all'Albo - istituito e gestito da un Ordine - suggella l'intero processo. L'Ordine vincola l'accesso alla professione alla realizzazione del percorso formativo, a garanzia degli standard tecnici e di qualità nella prestazione del servizio; rende riconoscibile il professionista e vigila sul suo operato, a tutela del buon nome di tutti gli iscritti; dispone sanzioni, sospensioni o espulsioni, in presenza di violazioni di legge o di trasgressioni dei codici interni. L'Ordine può a volte creare delle rendite di posizione, e trasformare certe figure professionali in una "casta", ma qui siamo nella patologia del fenomeno, da non confondere con la fisiologia, che, se preservata, assicura una situazione più vantaggiosa per tutti, rispetto alla sua assenza.
 

Periti eterodossi

Anche astrologi, numerologi e guaritori sono periti, se vogliamo formalmente attenerci alle definizioni dei dizionari. Anche loro - a modo loro - hanno acquisito conoscenze e sviluppato competenze in alcuni ambiti, per quanto possano apparirci fumosi: l'interpretazione delle configurazioni astrali, la cabala, la visione del futuro, la guarigione delle malattie con la magia. Anche loro - col loro linguaggio - danno pareri e forniscono stime e valutazioni. Anche loro - al pari di altri - hanno una clientela di riferimento, disposta a pagare per vedersi erogate le loro "consulenze".
 
Sforziamoci di avere una visione ampia delle cose, sposiamo un approccio a là Saramago: diamo per vere, per acquisite, delle cose inverosimili o assurde, e vediamo cosa segue dalle nostre credenze (per quanto inverosimili o assurde siano). Sospendiamo l'incredulità e ammettiamo - per quanto sembri folle - che sia effettivamente possibile scrutare il cielo per conoscere il futuro, intrepretare la vita in funzione dei numeri, guarire un malato con l'imposizione delle mani.
 
Qual è allora la differenza - se c’è - tra astrologi, numerologi e guaritori e le altre figure, diciamo così, più convenzionali e ortodosse? Cosa distingue, realmente, un chirurgo da un guaritore?
 
La differenza profonda e essenziale - di là degli aspetti superficiali, una volta sospesa l'incredulità - è solo ed esclusivamente nella possibilità di riconoscere la figura professionale.
 
Il chirurgo avrà nel suo studio - appeso alle spalle, dietro la scrivania - un foglio rettangolare incorniciato, con su scritto "Dott. X.Y. - Medico chirurgo". Quel foglio - nella sua essenzialità - riassume e formalizza un percorso - prima la laurea, poi la specializzazione - su cui la nostra immaginazione monta sopra a ragion veduta ulteriori elementi - ipotizziamo che avrà maturato un'esperienza in sala operatoria, prima come assistente poi come figura principale - e tutto concorre a infonderci fiducia.  
 
Questo non significa che tutti i chirurghi si equivalgono, o che non possano commettere errori; ma qui non è delle abilità e degli errori dei chirurghi - variabili le prime e sempre possibili i secondi - che stiamo parlando.
 
Qui parliamo di un requisito più elementare, basico, a rigore di un prerequisito, qui parliamo di come riconoscere un chirurgo in quanto tale, a prescindere da tutto il resto: se si trova dentro un ospedale, se indossa un camice bianco, se ha un suo ufficio, e in quell'ufficio c'è appesa al muro l'attestazione "Dott. X.Y. - Medico chirurgo", noi sappiamo - senza incertezze - che il Signor X.Y. è un chirurgo, eccezionale o mediocre, ma sicuramente chirurgo. 
 
Possiamo riconoscere i chirurghi senza margini di errore, laddove è impossibile riconoscere i guaritori (ammesso ne esistano). Tutti i sedicenti guaritori appariranno sullo stesso piano, se visti da fuori. Ognuno di loro potrà - similmente al chirurgo - appendersi alla spalle un foglio incorniciato con su scritto "Guaritore", ma - a differenza del chirurgo - quel foglio  non assicura il possesso della capacità che si dichiara di avere.
 
I veri guaritori - ammesso ve ne siano - tocca scovarli da soli, non vi sono segnali esterni, chiari e incontrovertibili, che ne garantiscano la presenza (come invece avviene con i chirurghi).
  

E i periti filatelici?

A chi somiglia il perito filatelico? Al chirurgo o al guaritore? E' triste ma onesto riconoscerlo: al guaritore.
 
Non ho detto - sia chiaro - che il perito filatelico è come il guaritore. Ho detto - sia chiaro - che sulla scala che a un estremo ha il guaritore, e all'estremo opposto il chirurgo, il perito filatelico si trova oggettivamente più vicino al guaritore che al chirurgo: "quanto vicino" lo scopriremo alla fine di questo ciclo di post.
 
Non esiste nessun requisito formale di accesso alla professione di perito filatelico e non esiste nessun codice di autodisciplina; non vi sono standard tecnici da rispettare nella conduzione delle verifiche né modalità di redazione standardizzate delle perizie; e non esistono specializzazioni (tutti i periti sono sempre ben disposti a periziare tutto, dagli Antichi Stati Italiani alla Cina moderna); perciò non ha neppure senso parlare di una supervisione sul settore (se tutti possono fare tutto, nel modo in cui vogliono, su cosa si dovrebbe mai vigilare?).
 
"In Italia, l'attività di perito filatelico è libera, può esercitarla chiunque, senza l'iscrizione ad alcun albo professionale specifico. Non esiste un esame di stato, non esistono corsi di abilitazione, e non è neppure obbligatorio alcun accertamento specifico delle competenze e della professionalità. A richiesta, il candidato perito può sottoporsi a un esamino presso una camera di commercio (che pare sia una pura formalità a causa dell'assenza di esaminatori selezionati secondo criteri professionali), dopo il quale ci si può fregiare del titolo di perito e consulente della camera di commercio e del tribunale, ed essere interpellati per procedure giudiziarie relativamente al settore filatelico e postale. Ma questa 'qualifica' è di fatto solo la notifica di una autopromozione.
 
Inoltre chiunque può indicare liberamente e senza limiti i propri ambiti di specializzazione su cui desidera esprimersi. Di fatto, è il perito stesso ad autocertificare il proprio status di perito, creando una situazione non trasparente [...].
 
Si aggiunge poi anche l'ambiguità di una prassi come l'apposizione della firma del perito in posizioni e con formule diverse a seconda della qualità dell'esemplare esaminato, senza che le diverse variabili siano espresse e declinate in modo esplicito, e la possibilità di trovare firme di periti su certificati peritali redatti su carta intestata ad altri periti.
 
C'è poi anche l'incognita del tariffario applicabile per consulenze singole, per la 'minimale' (l'esame di più esemplari), per la sola catalogazione del francobollo, su base percentuale rispetto alle quotazioni di catalogo: tutto è lasciato alla soggettività dei singoli.

In Italia il perito 'buono' è quello che nel tempo si è costruito una buona fama: è ritenuto onesto, non gli viene imputato nessuno scivolone o solo pochissimi e veniali, ha una forte referenzialità e un solido network di amici e conoscenti che rafforzano la sua reputazione, che è tanto più forte quanto più è limitata ad ambiti collezionistici molto specializzati.

Al di là del rapporto di fiducia fra cliente e perito, le zone grigie delle competenze e delle responsabilità (anche risarcitorie), causate dall'assenza di una normativa specifica, hanno più volte creato mal di pancia e malumori nei collezionisti italiani, che da tempo chiedono una più severa definizione della figura professionale del perito
".

L'articolo di Domitilla D'Angelo - su "Il Collezionista" di marzo 2015 - conferma la diagnosi, la qualifica, e l'arricchisce di ulteriori elementi problematici.

Per alcuni giovani periti - a esempio - è ormai prassi apporre la propria firma su carta intestata a nomi storici della filatelia, scomparsi da tempo; sfruttano il brand - l'autorità di soggetti più conosciuti e apprezzati di loro, con cui pure erano a stretto contatto - per avocare una credibilità che altrimenti difficilmente gli verrebbe riconosciuta.


"Si aggiunge poi anche l'ambiguità  di [...] trovare firme di periti
su certificati peritali redatti su carta intestata ad altri periti",
scrive Domitilla D'Angelo nel suo articolo "Occhio al perito".
E qui abbiamo un esempio dei due casi a cui si riferisce:
Serena Vignati, che firma su carta intestata allo storico Studio Raybaudi,
e Raffaele Diena, che firma su carta intestata a Enzo Diena
(con l'accortezza formale di averne fatto una società in nome collettivo).
  
Non c'è quindi nulla di osservabile dall'esterno - da un soggetto terzo, sia esso un collezionista o anche un commerciante -  che permetta di distinguere con certezza chi è davvero perito filatelico da chi dice di esserlo e invece non lo è. Il semplice riconoscimento della figura professionale grava per intero sul cliente, proprio come avviene con un guaritore, e il rapporto che si crea tra collezionista e perito sembra in effetti evocare la sudditanza di un disperato verso chi promette di guarirlo con la magia.
 
"Si manda un francobollo alla verifica, si paga ciò che il perito chiede, senza contrattare, ed il responso si riduce a una parola, talvolta a mezza parola o ad un punto interrogativo" - scriveva Arturo De Sanctis Mangelli, nel 1934 - "Bisogna lealmente riconoscere che non facevano così nemmeno le Sibille accoccolate davanti al tripode, tra il fumo degli incensi e l'omaggio dei fedeli".
 
C'è una dimensione intrinsecamente auto-referenziale nel giudizio del perito filatelico, che "si impone con tutta la forza che solo proviene dalla debolezza degli altri", "dalla supina remissione dei collezionisti", cosicché "si crede incondizionatamente alla firma del perito", al punto da far pensare - allora come ora - che "non si collezionano più francobolli, bensì autografi".
 
 
Alcuni periti, in un passato ormai remoto, avevano provato a distinguersi dalla massa, a scrollarsi di dosso l'auto-referenzialità, a rendere sindacabile il loro operato, a "garantire con moneta" le proprie opinioni.

 

 
 
L'intenzione era encomiabile, segnalava volontà e buona fede, ma di fatto rimaneva sprovvista di un seguito pratico, di un contenuto operativo, collegato al "cosa fare in concreto, se...".
 
Lo storico perito Luigi Raybaudi si dichiarava pronto a rimborsare "il doppio dell'onorario percepito" in caso di "mio errore sull'autenticità del pezzo"; ma quell'errore doveva essere "da me ammesso in seguito al parere contrario di un collegio riconosciuto di esperti", cosicché l'auto-referenzialità si spostava su un livello più alto e indefinito. A confutare la sua perizia serviva non un altro perito, ma addirittura un collegio (quanti?) di esperti riconosciuti (ma riconosciuti da chi, da Raybaudi stesso?).
 
Ancor più indecifrabile era la presa di posizione di Guglielmo Oliva, in apparenza - ma solo in apparenza - chiarissima: "stimo il valore [del francobollo] in circa lire 100.000 e mi rendo garante fino a tale cifra della sua autenticità". Ma cosa voleva dire esattamente Oliva quando dichiarava di "rendersi garante"? Che avrebbe pagato di tasca sua centomila lire se un indefinito Signor Qualcuno avesse affermato la falsità del francobollo? No, ovviamente. Questo Signor Qualcuno doveva (implicitamente) essere riconosciuto da Oliva stesso. E si era tornati al punto di partenza.
 
"Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma" recita il principio cardine della chimica e della fisica. E lo stesso vale per l'autoreferenzialità dei periti filatelici: si trasforma, cambia di continuo nome e forma, ma nella sua essenza rimane sempre auto-referenzialità. Tanti auto-proclamati Marchesi del Grillo ("io so' io...") contrapposti ad altrettanti ebanisti Aronne Piperno.
 
"Tu sei giudeo e i tuoi antenati falegnami hanno fabbricato la croce
dove hanno inchiodato nostro signore Gesù Cristo...
posso essere ancora un po' incazzato pe' sto fatto?"
(Il Marchese del Grillo ad Aronne Piperno)
 
In tempi più recenti vi sono stati dei tentativi di associazionismo, con l'obiettivo di mettere un minimo d'ordine.
 
Il 24 giugno 2010 nasceva a Roma - come sezione autonoma del Collegio Periti Italiani - il Collegio Nazionale Periti Filatelici Italiani (CNPFI), su iniziativa della classe di periti di nuova generazione (Franco Moscadelli, Giorgio Bifani, Corrado Giusti, Virgilio Terrachini). Tra le finalità dichiarate vi erano la definizione delle "linee guida principali dell'attività peritale filatelica in Italia" e l'indicazione ai propri iscritti di "alcune regole fondamentali alle quali attenersi nell'attività peritale e giudiziaria".

Neanche due anni dopo, il 22 Marzo 2012, su sollecitazione dell'Associazione Filatelici Italiani Professionisti, si costituiva a Milano l'Associazione Periti Filatelici Italiani Professionisti (APFIP), formata dai nomi della vecchia guardia o da figure a essa riconducibili (Longhi, Caffaz, Sorani, Vignati, Diena, Colla, Bottacchi) col vincolo di poter accogliere "solo coloro che esercitano in modo prevalente l'attività peritale e di consulenza filatelica".
 
Si profilava una contrapposizione da cui vi era tutto da temere e nulla da sperare, perché ogni volta che si divide c'è sempre la coda del diavolo, che ha già nel nome - dal greco διαβάλλω, diabàllo - l'obiettivo di separare, di porre frattura.
 
 
Tra luglio 2010 e settembre 2012 il CNPFI pubblica ben dodici comunicati-stampa; trova modo di condurre un sondaggio estemporaneo tra i collezionisti per stilare una classifica di gradimento dei periti (al secondo posto, neanche a dirlo, si piazza uno dei loro); organizza un congresso nazionale in cui si passano al setaccio tutti i possibili aspetti dell'attività peritale (il codice deontologico, il rapporti con gli operatori di mercato - commercianti, case d'aste, internet - e poi gli standard di redazione dei certificati e gli onorari, per finire con l'osservatorio antifalsificazione e la Legge Giovanardi).
 
Nel settembre 2012 - a margine del comunicato sul sondaggio sui periti - arriva una stilettata  all'AIPFP, che seppur mai nominata, è chiaramente il bersaglio dell'attacco. 
 
"La maggior parte dei periti filatelici ed in modo particolare quelli che esercitano da più tempo, costituiscono a tutti gli effetti una sorta di corporazione che gestiscono il mercato filatelico in regime di oligopolio. La conferma viene dal fatto che le case d'asta e gli operatori commerciali collaborano scarsamente con i periti professionalmente più giovani che hanno risposto al censimento visto che questi ultimi hanno dichiarato che lavorano prevalentemente con clienti privati. Questo aspetto fondamentale è stato a suo tempo confermato dalla bassa adesione al CNPFI dei periti operanti da più lungo tempo, mentre é risultata entusiastica l'adesione al Collegio Professionale dei periti professionalmente più giovani. Ciò conferma ancora una volta la maggiore disponibilità alle innovazioni e il desiderio di una regolamentazione giuridica del settore di questi ultimi. Infatti un Collegio professionale, come è noto, rappresenta molto più di una semplice associazione di professionisti". 
 
I principali esponenti del (fu) il Collegio Nazionale Periti Filatelici Italiani.
 
Si era trattato - a onor del vero - di una controffensiva, di una replica.
 
Nel luglio del 2012, la rivista "L'arte del francobollo" aveva ospitato un intervento dell'AIPFP, in risposta a un articolo di maggio, a firma Lorenzo Carra, che ne annunciava la nascita.

E - con l'occasione - l'AIPFP  era andata giù piatta verso il CNPFI, anche qui senza nominarlo, ma con riferimenti sin troppo evidenti: "La sollecitazione a mettere in ordine il panorama peritale non è nata perché le fette di torta erano diventate così sottili da non sfamare più nessuno di loro, ma perché alcuni dei giovani periti, professionalmente parlando, hanno creato un forte disorientamento mercantile [e] questo smarrimento è cresciuto parallelamente allo sviluppo di internet, [dove] i disonesti sono spuntati come funghi. E i francobolli venduti, accompagnati da certificati a dir poco dubbi, sono giunti così negli studi professionali ‘classici’ per un ulteriore controllo. Da lì, il caos. [...]. Il bagaglio culturale che possiede uno studio peritale storico ha delle radici molto profonde con un infinito materiale di confronto spesso arricchito da commenti e giudizi scritti di proprio pugno dai grandi maestri. Con ciò nulla da obiettare sulle capacità tecniche di un nuovo perito serio e onesto ma che deve ancora farsi le ossa".
 
 
 
CNPFI e APFIP sono andati avanti per un paio d'anni, entrambi più come forma corporativa a propria tutela che non come movimento a favore del mondo della filatelia, e comunque senza conseguire risultati tangibili, senza che cambiasse nulla nelle prassi dei periti filatelici, quale che fosse la parrocchia di appartenenza.
 
CNPFI e APFIP - oggi - non esistono più.
 
L'inferno - si sa - è lastricato di buone intenzioni.

Per riassumere

"Non esiste perito perfetto… esistono però periti di grande sicurezza e preparazione" - scriveva Vito Salierno nel suo "Manuale di Filatelia" - e "non è l'appartenenza ad un albo che crea un perito, ma sono solo le sue qualità che lo fanno riconoscere come tale". 
 
L'osservazione di Salierno è clamorosamente "fuori tema", totalmente sfasata rispetto al punto rilevante.
 
L'Albo serve a riconoscere la figura professionale dall'esterno; il suo obiettivo non è garantire l'eccellenza della prestazione  - quella sì dipendente dalle specifiche qualità individuali - ma più modestamente di assicurare una prestazione minimale conforme a standard dichiarati; non si punta al massimo - perché i massimi raggiungibili variano da un professionista all'altro - ma ci si preoccupa di non scendere mai sotto un minimo ammissibile, necessario per vantare l'appartenenza alla categoria; e si prendono provvedimenti, nell'interesse di tutti, se il minimo viene infranto.   
 
Il perito filatelico non è una figura riconoscibile. Non c'è modo - da fuori... e a volte anche da dentro! - di distinguere chi possiede la perizia tecnica per pronunciarsi su un oggetto filatelico da chi ne è invece sprovvisto. Non si nega l'esistenza di periti filatelici eccellenti, ma il punto è che nessuno può impedire a nessuno di svegliarsi una mattina e auto-proclamarsi perito filatelico.

Il foglio incorniciato, appeso alla parete, con su scritto "Dott. X.Y. Medico chirurgo" ci racconta molte cose sull'individuo che abbiamo davanti; il foglio pubblicitario, su una rivista o un catalogo, con su scritto "Ing. X.Y. Perito filatelico" non ci dice assolutamente nulla.
 
L'onere di capire chi è perito e chi no grava interamente sul collezionista. E non è un onere da poco.
 

Epilogo

 
 
Il Cavaliere Romolo Mezzadri (1861-1956)
- titolare a Roma di un rinomato studio filatelico 
che vantava la Regina Elena e il Principe Umberto tra i clienti abituali -
è considerato il primo perito filatelico d'Italia.
E' lo stesso Cavalier Mezzadri a raccontare come gli fu rilasciato l'attestato
e vale la pena riportare ampi stralci della narrazione,
per capire quanto poco sia cambiato da allora il mondo dei periti filatelici,
quanta poca differenza vi sia rispetto ad ora nell'agire di questi signori.
"Una lettera del Pretore di Osimo m'invitava a recarmi colà
per esaminare e valutare una molto importante collezione di francobolli
appartenenti a una famiglia che l'aveva avuta in eredità da un signore recentemente defunto.
Il Pretore aggiungeva che era indispensabile che io, per eseguire l'incarico affidatomi,
fossi inscritto come perito alla Camera di Commercio e al R. Tribunale di Roma".
Per avere l'iscrizione, Mezzadri si recò dal segretario della Camera di Commercio:
"Egli consultò libri, elenchi e registri, e non trovò in alcun luogo la qualifica di perito filatelico
od altro che potesse adattarsi al caso; mi dichiarò quindi che bisognava crearla.
Ma come fare? Dopo qualche discussione e delucidazione da parte mia,
giacché il Segretario era digiuno di francobolli ad uso di collezione,
si venne a questa determinazione: presentare la domanda corredata,
oltre che dai documenti relativi alle note personali,
da una dichiarazione fatta alla presenza del Presidente della Camera di Commercio
da almeno quattro filatelici da lui conosciuti, circa la mia capacità professionale.
Non dico quale difficoltà io abbia avuto per trovare questi filatelici
che fossero conosciuti dal detto Presidente;
ma infine, come Dio volle, riuscii a metterli insieme, riunirli, accompagnarli
e far loro firmare la desiderata dichiarazione.
Dopo di ciò mi fu consegnata la patente, in data 15 novembre 1905,
che poi mi fece una qualche réclame e mi procurò, invero, un certo aumento di clientela,
alla quale, qualche volta, imponevo un prezzo di verifica di 25 centesimi per ogni francobollo!
La nomina di perito filatelico ebbe poi una riscossa durante il Congresso di Napoli del 1914.
In questo Congresso, in cui si trattarono tanti e svariati argomenti (forse troppi),
si deliberò che fossero nominati parecchi periti filatelici
onde poter eventualmente ricorrere a più pareri
nel caso di contestazioni o di non accettazione di pareri dati dai periti allora in voga.
Quel dinamico Congresso però eccedette un poco nella quantità
e fu piuttosto di manica larga nella qualità.
Infatti furono ventiquattro i periti nominati e, tra questi, è d’uopo convenire,
ve ne fu più d’uno di poco o nessun valore filatelico.
Ed a prova di ciò rammento di qualcuno di questi che periziava i francobolli
in un modo semplice e comodo e cioè chiedendo prima al Dr. Diena o a me il parere,
dopo di che, se autentici e integri, li muniva della sua sigla o firma di garanzia!".

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