VERSO L'UNITA' DI ITALIA (IN FILATELIA) - Un 50 grana sul Volturno



Il 50 grana cerchiato in rosso è uno dei migliori esemplari di questo francobollo: margini ampi e regolari, colore vivace, e poi un annullo delizioso, nitido, ottimamente posizionato.

A volergli trovare un difetto - ché sarà sempre possibile scovare difetti, in oggetti di carta con secoli alle spalle - si può esser infastiditi da un enigmatico punto nero.


Cos'è? "Un'impurità della carta", si dice in questi casi, un po' come si parla genericamente di "coliche" - anzi "colichette" - quando un neonato piange e nessuno ne capisce la ragione. Impurità, coliche. Parole vaghe, astratte, orfane di un correlato empirico, di cose osservabili con precisione, ma adatte a placare l'ansia da ignoranza, perché, curiosamente, ci rassereniamo di colpo una volta che abbiamo battezzato la nostra ignoranza, una volta che le abbiamo attribuito un nome, anche se poi ne sappiamo esattamente quanto prima, nulla di più rispetto a quel nome convenzionale.

"Ma il vostro mestiere consiste nell'incollare etichette un po' ermetiche, ermetiche per gli illetterati, sui fenomeni che non sapete spiegare, etichette che fanno ridere un ex studente di liceo al quale rimanga qualche reminiscenza di greco" - scrive Pitigrilli, nella spettacolare novella "Gilet fantasia".

"Non potete fare niente contro la follia, le manie, le fobie, e ciò è un bene, perché sono i grandi fissati quelli che dirigono il destino del mondo, e perciò trastullate la vostra impotenza con l'inventare nomi di una grottesca ingenuità: belenofobia, paura degli spilli, rupofobia, della sporcizia, aichmofobia, degli oggetti aguzzi, agorafobia, dei luoghi elevati, cremnofobia, dei precipizi, oichofobia, della propria casa, amaxofobia, delle carrozze, cheimofobia, del tuono, brontofobia, del lampo, astrapephobia, delle montagne, orofobia, dei declivi, clinofobia, del vuoto, kenofobia, della notte, tricofobia, dei peli, efidrofobia, del sudore, urinofobia, del fare pipì, enduofobia, del vestirsi, galefobia, ginofobia, oclofobia, la paura dei gatti, della donna e della moltitudine. Potrei citarvene qualche centinaio, ma voi mi taccereste di elencofilia, dal greco elenkos, catalogo.

Di tutte queste infermità così elegantemente battezzate, sareste riuscito a guarirne una sola? Nella vostra squallida e pretenziosa incapacità, siete arrivati a inventare le parole più comiche: poiché nell'Atene di Alcibiade non c'erano le ferrovie, e dovevate dare un nome alla paura di andare in treno, avete grecizzato il francese 'chemin de fer': sideros ferro, e dromos corsa, e avete coniato la siderodromofobia.

Non si può essere più eruditamente cafoni di così. Se una sola volta nella storia dell'umanità, dalla creazione del mondo al giudizio finale, si presentasse il caso di un signore che avesse paura della palla d'avorio tinta di rosso che si usa nel gioco della carambola, mettereste insieme erutros, rosso, sfaira, che vuol dire palla, eboreus che vuol dire d'avorio, e lancereste il neologismo eritrosfaireboreofobia, stampereste un libro su questa psicosi, illustrereste il caso in uno di quei congressi, che sarebbero del tutto inconcludenti se non si concludessero con un banchetto finale. D'accordo?".

Stavolta, però, qualcuno ha voluto fare qualcosa in più che assegnare un nome alla propria ignoranza. Stavolta qualcuno ha provato a guarire la patologia, a eliminare il "difetto", se mai una parola così pesante si possa ragionevolmente affibbiare a un piccolo rettangolo di carta, creato artigianalmente, centinaia di anni fa.
 
Il risultato di questa ambizione  scellerata lo vediamo nel lotto 431 dell'asta Ferrario n. 17, del prossimo 29 marzo.



L'impurità è rimasta al suo posto, e il tentativo di rimuoverla l'ha circondata di un alone sgradevolissimo, una chiazza scura orrenda che fa precipitare la qualità dell'esemplare: uno dei 50 grana più belli è diventato un pezzo di (brutta) seconda scelta, un nobile in un salotto della Napoli aristocratica si è ritrovato a essere uno sventurato soldato borbonico sulle rive del Volturno.


In filatelia, ancor più che nella vita, c'è meno di un passo tra la nobiltà e la miseria. I francobolli degli Antichi Stati sono oggetti delicati. L'amore per la qualità e l'inseguimento della perfezione esprimono un'aristocratica raffinatezza, che ovviamente non può appartenere a tutti. Diventano però una manifestazione di insopportabile volgarità, se rovinano irrimediabilmente l'oggetto, se ne fanno sfiorire la bellezza, se declassano il Principe a povero, senza alcuna possibilità di ritorno allo status originario.

Un difetto naturale - connaturato cioè alla fisiologia del (rozzo) processo di produzione di questi oggetti magici - semplicemente non è un difetto. Lasciamolo dov'è, non tocchiamolo, e, se ci riusciamo, innamoriamocene pure.

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