LA CULTURA DI GIULIO BOLAFFI - Filosofia del collezionismo



Noi non siamo rentiers, d'accordo. Nessuno di noi ha mai posseduto "beni che davano redditi cospicui senza richiedere particolari impegni". Noi dobbiamo alzarci presto ogni mattina, lavorare per gran parte della giornata, dal lunedì al venerdì, per ricevere una volta al mese uno stipendio, con cui pagare la rata del mutuo, finanziare il "Fondo Figli", stanziare disponibilità ragionevolmente sufficienti per le innumerevoli "varie e eventuali" della nostra famiglia. Tutto vero, sicuramente.

Non è vera però la conclusione che se ne vorrebbe trarre, da faciloni, con un ragionamento grossolano e sbrigativo. Non è vero che il piacere di collezionare "per il piacere di possedere, non pensando all'immediato buon affare, o alla speranza di un investimento redditizio", sia un piacere elitario, esclusivo, ad appannaggio dei soli rentiers. Tutti possiamo acquistare "soprattutto per il piacere di possedere", in proporzione alle nostre forze, liberi da noiosi calcoli economici.

Ho appuntato e perfezionato, negli anni, una frase che recita così: la povertà è uno stato reale, la ricchezza uno stato mentale.

La povertà è cosa reale, perché realmente impone di prestare attenzione a ogni singolo euro in ogni occasione, persino nelle spese basiche. La ricchezza è invece uno stato interiore, puramente psicologico, è un modo di porsi verso le cose materiali della vita. I bisogni primari sono pochi e limitati, laddove i desideri viaggiano verso l'infinito; ma se non ci basta il necessario, allora nessun superfluo potrà mai appagarci e ci sentiremo sempre poveri, psicologicamente poveri.

Quando tutti i bisogni primari sono soddisfatti, quando abbiamo un tetto che ci ripara dalla pioggia e ci protegge dal sole, quando possiamo contare su un reddito stabile - poco o molto non importa, rileva solo la sua certezza - quando tutto questo avviene, allora noi possediamo già tutto il necessario e molto del superfluo, e quell'eventuale ancor di più che dovessimo avere, per meriti o fortuna, ci rende ricchi, psicologicamente ricchi.

I francobolli sono solo piccoli rettangoli di carta colorata, oggetti privi di qualunque valore e significato, al di fuori di quello che noi collezionisti, suggestionandoci, gli attribuiamo. Noi spediamo denaro per cose materialmente inutili e che la spesa sia un euro, o un milione di euro, è solo un fatto di misura. Siamo accomunati - noi e i rentiers - dall'inutilità materiale della nostra spesa. Abbiamo la stessa natura - noi e i rentiers -, proveniamo dallo stesso ceppo, quello delle persone che possono coltivare il lusso di assecondare un bisogno dell'anima, di migliorare l'umore, di affinare la spiritualità.

Non sarebbe male immaginarsi la spesa in francobolli come una spesa per un pomeriggio allo stadio o una serata a teatro, una cena al ristorante o una notte con una escort. Cose di cui non rimarrà materialmente nulla, una volta consumate, ma di cui  sperabilmente serberemo un ricordo speciale. Questa è la via maestra, se non l'unica via, per far di noi - collezionisti di oggi - una nuova "generazione di autentici appassionati", che acquistano solo "per il piacere di possedere", sgravati da ogni retro-pensiero di convenienza economica, liberi da giogo della materialità.

Questo non vuol dire disinteressarsi al costo dei francobolli, perché nessuno di noi - rentiers e non - si disinteressa al costo di un biglietto per lo stadio o il teatro, alle pretese di un ristoratore o di una escort. Significa, piuttosto, sapere come soppesare quella spesa monetaria, valutarne l'opportunità e la convenienza con una metrica elastica, psicologica e sentimentale, scevra dalla logica del dare e dell'avere, in senso tangibile. "L'essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che col cuore" ci ricorda "Il piccolo principe", e se qualcosa di concreto - il denaro - ci permette di entrare in contatto con qualcosa di essenziale - perciò invisibile - dovremmo per ciò stesso essere felici, senza chiedere altro, senza avere più null'altro a pretendere.

La filatelia non è fatta per spiriti grezzi, meschini e calcolatori, e neppure per animi volgari e approssimativi, come vediamo nell'episodio finale.

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