LA CULTURA DI GIULIO BOLAFFI - Capire la filatelia


I francobolli e le collezioni - ce lo ricorda Alberto Bolaffi nella Prefazione ai "Capolavori Filatelici della Collezione Pedemonte" - "non rappresentano solo un insieme di freddi, anche se sublimi oggetti, ma esprimono soprattutto le sequenze più vere e precise di quella che è stata la vita di ognuno di noi in termini di civiltà e buon gusto".

Sono innamorato di questa frase, che trovo totalitaria, una formidabile sintesi del complesso e variegato processo collezionistico. Questa affermazione è ovvia, per chi ha ricercato e coltivato una sensibilità d'animo nel suo collezionare, per chi ha avviluppato la sua passione intorno ad alcune idee forti; può però richiedere una chiave di lettura, un'interpretazione, per tutti gli altri.

Poche cose ci distinguono dagli animali, molte meno di quante comunemente si immagina. Noi possediamo un intero linguaggio per parlare, laddove gli animali usano solo pochi versi per comunicare. Noi sappiamo contare, dove gli animali sanno al più subitizzare. Noi possiamo concepire il futuro, mentre gli animali vivono in un perenne presente. Noi collezioniamo, gli animali no.

Collezionare è "il primo gesto della nostra evoluzione", osserva Alberto Bolaffi in una intervista a "La Repubblica", e il collezionismo è una delle "nostre efficienze intellettuali", dice poi in un'altra intervista a "La Stampa". Nell'atto collezionistico non c'è nulla di maniacale e ossessivo, niente di perverso da psicanalizzare. Gli oggetti collezionati - con le parole di Mario Baudino, l'intervistatore di Alberto Bolaffi - "non sono fantasmi che sostituiscono la realtà". "Cos'è in definitiva una collezione? Un mondo dentro il mondo", nota Marco Belpoliti, nell'articolo "Colleziona, colleziona, qualcosa resterà", abbinato all'intervista ad Alberto Bolaffi su "La Stampa".

La realtà di quel mondo dentro il mondo diventa per il collezionista una seconda natura e a cogliere il senso di questi mondi nel mondo ci aiutano alcuni passaggi degli "Scritti" (1906-1940) di Walter Benjamin.

Il collezionista "abita in loro", nelle cose collezionate, scrive Benjamin, e gli fa eco Belpoliti, che immortala il "vero collezionista" nell'immagine di "un bambino che ha appreso la difficile arte di abitare nelle cose che ha raccolto, senza fine". In ogni singolo oggetto collezionato "è presente il mondo stesso", scrive ancora Benjamin, e la collezione è "un nuovo ordine storico appositamente creato", che salva le cose di questo mondo "dalla confusione, dalla frammentarietà".

Il collezionista "intraprende una lotta contro la dispersione" e con la sua collezione "si trasferisce idealmente, non solo in un modo remoto nello spazio o nel tempo, ma anche in un mondo migliore [...] dove le cose sono libere dalla schiavitù di essere utili". Perché il collezionismo può nascere e prosperare solo sotto una condizione inderogabile: "che l'oggetto sia sciolto da tutte le sue funzioni originarie". Perché solo allora, solo quando depriviamo gli oggetti del "loro carattere di merce", solo quando accettiamo un ordine di idee che è "l'esatto opposto dell'utilità", solo allora possiamo rinascere come collezionisti, per "entrare nel rapporto più stretto possibile con gli oggetti" e sentirci "ispirati da essi".

Il collezionista ha il compito precipuo di "trasfigurare le cose", di dare alle cose, agli oggetti della sua passione, "solo un valore d'amatore invece del valore d'uso". I collezionisti "sono fisiognomici" - "sono fisiognomia del mondo delle cose" - che vorrebbero "passare per scienziati, per esperti", forse per purificare la propria passione, per renderla socialmente accettabile, e "molto di rado" si mostrano agli altri "per ciò che pure soprattutto sono: per amatori". Perché un collezionista al fondo è proprio questo, un amatore, al punto "che nessuna figura avrebbe potuto allettare più di questa i novellieri romantici".

Il collezionista ama gli oggetti del suo collezionare e - da amatore passionale - "il possesso è il rapporto più profondo" che può immaginare. Il collezionista - chiosa Belpoliti - è "possessivo, competitivo" e "trasferisce sulla sua collezione rivalità e conflitti". E' dotato di "un istinto tattico" - prosegue Benjamin - scandaglia il mondo circostante con "l'aria di un mago", "usa la propria passione come la bacchetta del rabdomante", sapendo che "la più piccola bottega di un antiquario può rappresentare un fortino e il più sperduto mercatino una posizione chiave da conquistare". Brama il "nuovo acquisto" per collocarlo "dentro una sfera magica in cui [...] l'oggetto si immobilizza [...] una magica enciclopedia la cui intima essenza è il destino di quel suo oggetto".

Questi sono i collezionisti, questo è il collezionismo, questo significa collezionare.


Giulio Bolaffi amava la qualità, insegnava la qualità, voleva educare i collezionisti alla qualità. La filatelia di qualità - per Giulio Bolaffi e i collezionisti al suo seguito - era un modo per chiarire a sé stessi, e comunicare agli altri, le sequenze più vere e precise della propria vita in termini di civiltà e buon gusto, da reinterpretare nella prospettiva del gioco collezionistico, che invoglia e incentiva a creare un mondo dentro il mondo, con i suoi personaggi, le loro storie, gli intrecci, una trama e un ordito. Chi non si applicava, chi non metteva impegno, interesse e passione, chi non capiva che la qualità era la porta di accesso a un elegante e raffinato mondo dentro il mondo, "veniva poco a poco trascurato e allontanato dalla possibilità di poter accedere al suo stock".

La scelta era ovvia, sul piano commerciale. Se propongo un esemplare di qualità a un collezionista che non lo capisce, se devo faticare per convincerlo all'acquisto, se mi tocca sorbire sbuffi e borbottii per il suo prezzo, se mi ritrovo nel mezzo di una sfiancante contrattazione, e se dopo tutto questo, nonostante tutto questo, riuscissi comunque a venderglielo, cosa offrirò poi a chi la qualità la capisce, la apprezza, è felice se può acquisirla, senza pensare troppo a quanto costa?

Ma io penso ci fosse anche altro. Penso, immagino, che sopravvenissero la delusione, lo scoramento, forse addirittura la frustrazione, come accade quando fronteggiamo persone smisuratamente lontane dalla nostra sensibilità e avvertiamo l'impossibilità di riportarle a noi, di farne degli spiriti affini. Troppe propedeuticità da radicare, troppi concetti da innestare su quelle basi ancora tutte da costruire, troppa incertezza sull'esito del processo, per trovare tempo e voglia di provarci sul serio.

Giulio Bolaffi è stato un grande della filatelia, ma come tutti i grandi aveva forse qualche difficoltà con chi non capiva come lui - con la sua stessa velocità, chiarezza e profondità - e trovava più comodo, più conveniente, mettere direttamente alla porta i duri di comprendonio.

 3 lire del Governo Provvisorio di Toscana.
Il migliore esemplare usato.
Ex Collezione "Pedemonte".

La filatelia poggia su due colonne: la rarità e la qualità. Sarebbe però una mistificazione, un falso storico, identificare la filatelia esclusivamente con la rarità e la qualità, sminuendo o declassando tutto ciò che vi sta in mezzo

La magia della filatelia è tutta nell'ecletticità della sua anima, nella molteplicità delle sensibilità che in essa convivono. Questa passione non avrebbe mai potuto traguardare i due secoli di vita - attraversando guerre e crisi economiche, sotto ogni regime politico, accomunando lungo il cammino persone di ogni età e classe sociale - senza una marcata difformità di moventi, obiettivi e sentimenti.

La filatelia rimane un hobby specialistico, settoriale e circoscritto, e tuttavia eccezionalmente resistente al tempo, alle mode e all'oscillare dei gusti, proprio perché offre un'ampia varietà di percorsi e suggestioni, perché è una musa in grado di ispirare chiunque.  Le vie delle filatelia - se non infinite - sono molto numerose. Alcune ortodosse, altre meno e altre ancora manifestamente anticonformiste. Ci sono strade trafficate, altre poco battute e altre ancora inesplorate. Potete viaggiare in autostrada o per sentieri di campagna, per statali, provinciali o vie urbane. Potete essere rapiti da alcuni aspetti, moderatamente interessati ad altri, e avvertire l'odore stantio della noia in altri ancora.

La filatelia può resistere a tutto, perché ingloba tutto. Se si indebolisce una delle sue molteplici anime, ce n'è un'altra che parallelamente si rafforza, e magari preserverà il suo nuovo vigore, anche quando la prima si sarà ripresa, avendo così un organismo progressivamente più forte, di là dei momentanei contraccolpi, delle temporanee battute d'arresto. La filatelia è un organismo perfetto, con una biologia miracolosa, che metabolizza qualunque situazione, cicatrizza ogni ferita, assorbe ogni colpo, elimina le scorie, per trattenere solo il meglio, per rafforzare e far crescere lo zoccolo duro di autentici appassionati. La filatelia è l'araba fenice, è l'elisir dell'eterna giovinezza, e a chi ne diagnostica patologie infauste, dal coma irreversibile alla morte clinica, è pronta a rispondere come Al Pacino in "Carlito's Way": state tranquilli, ho un cuore che non molla mai, non sono ancora pronta a fare fagotto.

Attenzione, però. La filatelia può resistere a tutto, ma la sua capacità di resistenza non ci autorizza a tenerla continuamente sotto pressione, come l'abilità di Madre Natura nel reggere botta alle violenze ambientali dell'uomo non legittima quelle violenze. Non tutti sono interessati alla qualità, e nessuno deve necessariamente fare della qualità il proprio obiettivo, ma siamo tutti collezionisti, siamo filatelici, e dobbiamo dimostrare di capire il gioco della filatelia.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando ci interroghiamo sulla convenienza economica del prezzo, senza aver prima assegnato un valore al pezzo, al suo significato e al suo ruolo all'interno della nostra collezione.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando ci impuntiamo per avere uno sconto, che non può essere estorto, ma solo concesso, e che a ogni modo non dovrebbe preoccuparci, perché non arricchisce chi ne beneficia e non impoverisce chi lo concede.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando contestiamo l'equità del prezzo richiesto da un commerciante, esibendogli un esemplare grossomodo simile al suo, offerto da un altro commerciante a un costo inferiore.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando le nostre facoltà intellettive sono indirizzate a improbabili analisi di mercato, o addirittura all'entità dei guadagni dei commercianti, anziché assorbite dal puro piacere di collezionare e da ciò che può accrescerlo e intensificarlo.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando non capiamo che il vero collezionista paga poco se può, se ha la possibilità di farlo, ma non esita a pagare molto, ad accettare quel che c'è da pagare, se deve.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando ne parliamo nostalgicamente al passato, come qualcosa di ormai concluso, invece di volere lo sguardo al futuro, pensando che il meglio debba ancora arrivare.

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando ne trivelliamo i lati oscuri, le perversioni, gli errori, le manchevolezze - come chi rallenta in prossimità di un incidente stradale, nella speranza di scorgere ogni macabro dettaglio - anziché lasciarci semplicemente abbagliare dal suo potente splendore. 

Dimostriamo di non capire la filatelia, quando cadiamo in questi errori fatali, e meritiamo di esser allontanati, non dallo stock di Giulio Bolaffi, ma da ogni francobollo al mondo, come angeli caduti, scacciati dal paradiso.

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