LETTERA APERTA AI SIGNORI COMMERCIANTI
Gentili Signori Commercianti,
mi rivolgo a voi, che di questo vivete, di francobolli, che per noi collezionisti sono invece solo un gioco.
Vi esorto - nel vostro interesse - a mostrare rispetto, il minimo di rispetto dovuto, non già per la nostra competenza filatelica - incommensurabilmente inferiore alla vostra - ma più semplicemente per le nostre ordinarie facoltà intellettive, anzi, ancor meno, per il normale buon senso, che pur latente è destinato a venir fuori e manifestarsi.
Rinunciate - come simbolico atto iniziale, a testimoniare la volontà di intraprendere un faticoso percorso di purificazione - all'uso di qualsiasi aggettivo, questo schiavo del sostantivo, questa risorsa tipica di chi non sa esprimersi. Il vostro linguaggio sia asciutto, sobrio, discreto, misurato. Non chiamate splendido ciò che è appena normale, non qualificate come ottimo ciò che a stento raggiunge la sufficienza, non dite superiore se è inferiore, evitate lo straordinario alla presenza di difetti evidenti, e non parlate di cose bellissime se sono meno che accettabili. Il vostro parlare sia si-si, no-no, tutto il resto viene dal demonio, come ricorda il Vangelo di Marco.
'Insignificante imperfezione'? E tutto il resto, invece?
'Leggermente corto'? 'Leggeremente'? Perché, lo può forse essere ancor di più?
'Difettosa' ... o 'squarciata'?
Osservate i vostri colleghi del passato ...
... e poi guardatevi allo specchio, voi, oggi ...
... possibile non notiate nessuna differenza?
La correttezza nei rapporti passa di necessità, in via preliminare, per l'uso di un linguaggio appropriato. Le concessioni al linguaggio aprono il varco a scadimenti nei modi di pensiero e di azione, vanificano ogni sforzo evolutivo dal neanderthal al gentleman, finiscono col giustificare l'ingiustificabile. Rimpossessatevi del vostro vocabolario, del gergo di settore, perché la serietà di ogni professione è in uno con con la precisione della parola, con i suoi significati tecnici.
La riacquistata proprietà di linguaggio vi reindirizzerà, sperabilmente, verso comportamenti più consoni allo status di un vero mercante, vi preserverà dalla volgarità mentale, quell'atteggiamento odioso che, nell'oltrepassare l'inevitabile tensione interna all'attività mercantile (per cui si deve comprare a poco e vendere a molto), vi spinge spesso a ferire e a umiliare senza ragione, senza necessità.
La volgarità mentale fa di voi Dottor Jekyll e Mister Hide, vi conduce a uno sdoppiamento di personalità, verso chi porta denaro per avere francobolli e chi porta francobolli per avere denaro: vi fa lanciare petali di rosa sulla strada del primo e vi tramuta in una borbottante pentola di fagioli nei confronti del secondo. La volgarità mentale è in quel primo, istintivo movimento con cui allontanate con disprezzo quell'album che per chi lo porge è il cammino di una vita. La volgarità mentale è in quell'occhiata insolente, piena di reticenze, lanciata a francobolli che hanno impegnato e emozionato intere generazioni, dai nonni ai nipoti, passando per papà e zii. La volgarità mentale è in quella domanda gravida di sottintesi: 'chi ve li ha venduti?'; e quando noi, ingenui, non capiamo che quella domanda è già una demolizione, e da veri stupidi sollecitiamo una vostra opinione - precisando speranzosi che i francobolli provengono da Bolaffi o da Zanaria -, volgarità mentale è lasciar cadere un generico 'sì, sì, ...', tra sbuffi e sospiri, guardandoli in controluce con una teatrale aria perplessa; volgarità mentale è dire infine 'robaccia, robaccia ...', scuotendo la testa, per poi ritirarsi nel retrobottega a sogghignare, a sfregarsi le mani, con una '€' che scorre impazzita nei vostri occhi, come nella più iniqua delle slot-machine.
La volgarità mentale denuncia le vostre origini: vi altera lo sguardo e vi fa emettere strani suoni; e dalle mani, ancora fresche di manicure, sbucano fuori i peli; le unghie si incurvano, prendono la forma di artigli, e persino gli anelli acquistano una nuova luce, come fossero il compendio di una serie di rapine. Correggetevi, signori commercianti, se non volete far riaffiorare i tratti del primitivo galoppino, che se pure oggi si intrattiene coi collezionisti più illustri, è rimasto nel protoplasma quel grossolano garzone di bottega che con lo strozzinaggio e le fregature si è arricchito sulle lacrime altrui.
La riacquistata proprietà di linguaggio vi reindirizzerà, sperabilmente, verso comportamenti più consoni allo status di un vero mercante, vi preserverà dalla volgarità mentale, quell'atteggiamento odioso che, nell'oltrepassare l'inevitabile tensione interna all'attività mercantile (per cui si deve comprare a poco e vendere a molto), vi spinge spesso a ferire e a umiliare senza ragione, senza necessità.
La volgarità mentale fa di voi Dottor Jekyll e Mister Hide, vi conduce a uno sdoppiamento di personalità, verso chi porta denaro per avere francobolli e chi porta francobolli per avere denaro: vi fa lanciare petali di rosa sulla strada del primo e vi tramuta in una borbottante pentola di fagioli nei confronti del secondo. La volgarità mentale è in quel primo, istintivo movimento con cui allontanate con disprezzo quell'album che per chi lo porge è il cammino di una vita. La volgarità mentale è in quell'occhiata insolente, piena di reticenze, lanciata a francobolli che hanno impegnato e emozionato intere generazioni, dai nonni ai nipoti, passando per papà e zii. La volgarità mentale è in quella domanda gravida di sottintesi: 'chi ve li ha venduti?'; e quando noi, ingenui, non capiamo che quella domanda è già una demolizione, e da veri stupidi sollecitiamo una vostra opinione - precisando speranzosi che i francobolli provengono da Bolaffi o da Zanaria -, volgarità mentale è lasciar cadere un generico 'sì, sì, ...', tra sbuffi e sospiri, guardandoli in controluce con una teatrale aria perplessa; volgarità mentale è dire infine 'robaccia, robaccia ...', scuotendo la testa, per poi ritirarsi nel retrobottega a sogghignare, a sfregarsi le mani, con una '€' che scorre impazzita nei vostri occhi, come nella più iniqua delle slot-machine.
La volgarità mentale denuncia le vostre origini: vi altera lo sguardo e vi fa emettere strani suoni; e dalle mani, ancora fresche di manicure, sbucano fuori i peli; le unghie si incurvano, prendono la forma di artigli, e persino gli anelli acquistano una nuova luce, come fossero il compendio di una serie di rapine. Correggetevi, signori commercianti, se non volete far riaffiorare i tratti del primitivo galoppino, che se pure oggi si intrattiene coi collezionisti più illustri, è rimasto nel protoplasma quel grossolano garzone di bottega che con lo strozzinaggio e le fregature si è arricchito sulle lacrime altrui.
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