PERITI - "Io sono colei che mi si crede": aquile o papere?


 Da pagina 117 del libriccino "6 periti e un francobollo", anno 1934.
 
Alcuni francobolli degli Antichi Stati Italiani sono comuni allo stato di nuovo (anche se con gomma integra) e rari o introvabili allo stato di usato. Qui non interessa capire come si sia determinata questa situazione. Ci basta registrarla: alcuni francobolli usati battono un altro passo rispetto al nuovo, quindi si collocano su un ben altri livelli di valore economico.

E già si intuisce dove stiamo andando a sbattere: se la carne è debole, quella di alcuni figuri filatelici non oppone proprio resistenza, e allora cosa volete che sia piazzare un annullo falso su un francobollo nuovo di poco valore - guastandolo per sempre - di fronte alla possibilità, anche remota, che qualcuno lo creda autentico e sia disposto a pagare un prezzo congruente?

Collezionisti e periti dispongono ovviamente dei loro parametri valutativi per formarsi un'opinione sulla genuinità dell'annullo - la forma e il colore, i dettagli d'incisione, l'alone del grasso dell'inchiostrazione, la presenza (totale o parziale) del documento di supporto - ma periziarlo rimane problematico, per più d'una ragione: perché un falsario eviterà di riprodurre le caratteristiche di più difficili imitazione, e però l'assenza di quelle caratteristiche non è un elemento dirimente (potrebbe essere causata da una collocazione del timbro che le lascia fuori dal francobollo, oppure da un'impronta confusa); perché alcuni annulli hanno una forma semplice ed essenziale, perciò facile da replicare; e perché il tempo gioca contro, più passa e più è difficile discriminare tra un annullo falso e uno originale.
 
Da pagina 197 del libriccino "6 periti e un francobollo", anno 1934.
 
Il francobollo da 1 lira del Ducato di Modena è una delle icone filateliche degli Antichi Stati Italiani; allo stato di usato - prima del ritrovamento dell'archivio Viti - era apparentato niente meno che al 3 lire di Toscana; rimane il pezzo-chiave di ogni collezione dei domini estensi.
 
E la lira di Modena è proprio uno di quei francobolli per cui si registra una ampia forbice di rarità tra il nuovo e l'usato. Le quotazioni del Sassone dicono più di ogni parola: i due stati di conservazione - nuovo e usato - stanno in un rapporto di 1 a 45.
 

Tra gli annulli tipici del Ducato di Modena vi erano le cosiddette "sbarre", semplici linee parallele, prive di segni identificativi, relativamente facili da falsificare.
 
Ci vuole poco, quindi, a trasformare una papera (1 lira nuova) in un'aquila (1 lira usata) salvo poi riscoprirla per quel che è (una papera e per di più senza valore, priva d'ogni attrattiva) quando la falsificazione dovesse essere smascherata.
 

 
Sul finire del 2022 la casa austriaca Viennafil propone una vendita all'asta; il catalogo accoglie - come al solito - parecchio materiale dell'area italiana; balza all'occhio il lotto n. 11.
 
"Ducato di Modena, 1852, frammento affrancato per 5,40 Lire con una striscia di cinque di 1 Lira con bordo a sinistra, unica striscia orizzontale nota, più un 40 c. azzurro scuro senza il punto dopo le cifre, cert. Enzo Diena".
 
La base è 9.000 euro, le commissioni ammontano al 24% del prezzo di aggiudicazione.
 
 
 
 
 
 
La lira di Modena usata, sciolta, è il francobollo tipo più pregiato del Ducato di Modena, anche se il meno raro tra gli alti valori degli Antichi Stati; in coppia (usata) compie un balzo; multipli superiori (sempre usati) sono oggetti particolari; già la striscia di tre non è quotata dal Sassone perché "non siamo in grado di precisare la valutazione", come sta a significare il trattino ("-") in luogo della stima del valore monetario.
 

Della striscia di cinque della Viennafil - una "grande rarità" secondo Enzo Diena, "unica finora a me nota" - ne parlava Gaetano Garofalo già nel 1934, anche se con ben altri toni: per lui erano "cinque papere prese per aquile".
 
"Si tratta della famosa striscia di 5 pezzi dell'1 lira di Modena + un 40 cent. senza punto, che applicata su frammento, venne obliterata con un timbro in bossolo di esatte dimensioni sia per larghezza, lunghezza e distanza tra le 6 sbarre. Essendo stato adoperato un inchiostro vecchio ed 'arrugginito', l'effetto del frammento risultò veramente magistrale, tanto più che il quinto esemplare della striscia da 1 lira presentava leggere tracce di sbavatura rappresentate da piccoli punti formanti come un alone attorno a un timbro circolare in rosso, di cui una porzione era visibile sul frammento, a piccola distanza dai 2 ultimi francobolli.
 
Questo minuzioso particolare mi rimase talmente impresso che ebbi occasione di riconoscere il brano sia quando, provenendo dalla più grande collezione esistente in Italia, fu posto in vendita ad una grande asta a Berlino, nel 1920, sia quando lo rividi autenticato e firmato [Emilio] Diena".

Da pagina 133 del libriccino "6 periti e un francobollo", anno 1934.
 
Aquile o papere? Enzo Diena o Gaetano Garofalo? Quid est veritas?
 
Se per un momento vogliamo spogliarci di quanto nel nostro pensiero è creazione tutta nostra, se delle nostre opinioni vogliamo distillare ciò che è oggettivo, e cioè puramente logico o puramente empirico, da ciò che è soggettivo, e cioè figlio della nostra personale rielaborazione, dovremo riconoscere che non abbiamo nessuna ragione di preferire il parere di Enzo Diena a quello di Gaetano Garofalo, se non il fatto che Enzo Diena è... Enzo Diena (sic!) e Gaetano Garofalo non lo ricorda più nessuno.
 
Che poi, a dirla  tutta, Garofalo esibisce una serie di dati di fatto in linea di principio verificabili da chi avesse il pezzo in mano. Cosa sappiamo invece del parere di Enzo Diena? Nulla, se non che, secondo lui, "i francobolli - tutti perfetti - hanno annullamento originale". Ma non sappiamo quali esami abbia compiuto Enzo Diena per accertarsi dell'originalità degli annulli, e neppure se la striscia l'abbia esaminata davvero, o se abbia semplicemente riproposto la perizia favorevole di suo padre, Alberto Diena, citata in alto nel certificato.
 
E tuttavia concediamo ugualmente un credito aprioristico ai Diena, in base alla loro fama, senza valutare la validità (scientifica) dei loro pareri, senza considerare la possibilità di pareri concorrenti (tecnicamente fondati).
 
 

L'autorità è un potere esercitato da una figura (individuo, classi, istituzioni) su un'altra; ma è anche un potere a cui una figura (di nuovo: individuo, classi, istituzioni) accetta di sottomettersi perché lo riconosce legittimo.

L'autorità esprime quindi un rapporto asimmetrico e reciproco: presume un dislivello tra le parti (asimmetria) e si instaura in base a un principio, o convincimento, condiviso dalle parti (reciprocità).
 
All'atto pratico, che ci piaccia o no, la nostra libertà non sta tanto nel non piegarsi a nessuna autorità, quanto nell'essere liberi di scegliere l’autorità che più ci aggrada, e di poterla destituire a ogni momento.
 
E perché ci pieghiamo all'autorità? Perchè ci fidiamo, viene da dire. Quando consultiamo un medico, e ne recepiamo diagnosi e terapia senza fiatare, rinunciando a conoscere i fatti alla base della sua opinione, ci stiamo fidando. Ma di chi o di cosa ci stiamo fidando, esattamente? Di quel preciso medico che abbiamo davanti in quel preciso istante? Sicuramente ci fidiamo di lui, altrimenti non saremmo lì, nel suo studio. E perché ci fidiamo di lui? Magari perché in tanti ce ne hanno parlato bene, o perché noi stessi abbiamo già avuto delle esperienze positive con lui. D'accordo. Ma è tutto qui o c'è altro?
 
Nel nostro rapporto con i medici - e con qualsiasi altra figura professionale - la parte più solida della nostra fiducia non è nei singoli individui, che pure hanno la loro rilevanza, ma nell'istituzione di appartenenza, che può vantare obiettivi e orizzonti al di là della vita e delle intenzioni delle persone che la compongono; noi ci fidiamo - prima di tutto e sopra a tutto - del sistema sanitario nazionale e dei meccanismi che lo governano; e solo dopo - a un livello più spicciolo - ci fidiamo del medico davanti a noi, in cui il sistema sanitario si personifica.
 
E' dalla fiducia nel "sistema" che deriva la fiducia nel singolo (poi amplificata o attenuata dalle sue specifiche abilità). E la fiducia nel "sistema" non nasce dal basso, con un passaparola via via più intenso su poche o anche molte singole figure parecchio brave nello svolgere una determinata attività. La fiducia nel "sistema" si costruisce dall'alto, con la previsione di precisi percorsi formativi e di addestramento, seguiti da rigide selezioni all'ingresso, che non sono un optional, ma un obbligo a cui non ci si può sottrarre, se si vuole esercitare la professione.
 
E la fiducia non basta crearla; occorre poi sostenerla, incessantemente, con un apparato di controlli interni tutelato da un regime sanzionatorio; perché i singoli individui potranno pure sbagliare, in buona o mala fede, nonostante la dura trafila a cui sono stati sottoposti per accedere alla professione, ma l'istituzione deve rimanenere immacolata, non può fallire, pena la sua dismissione per il venir meno della ragione stessa che ne giustifica l'esistenza. 
 
E così la fiducia verso il singolo viene mutuata dalla fiducia verso il "sistema", o se si vuole, la fiducia nel singolo è il riflesso personalizzato della reputazione e della credibilità del "sistema" nel suo complesso, che dà moto e contenuto ai singoli individui, di là di eventuali sbagli.
 
Quando invece non si appartiene a un "sistema", quando non si è protetti da un'istituzione, quando il merito più evidente è nell'aver ereditato un cognome - "essere figlio di...", che a sua volta "era figlio di...", e quindi "io sono nipote di..." - non si può più pretendere una fiducia passiva e aprioristica - non oggi, anno 2023 - e la stessa fiducia conquistata sul campo rimane fragile, in assenza di un obbligo a conformarsi a standard tecnici di esecuzione del lavoro che ne assicurino una qualità minima.
 
Voglio chiosare con un paradosso, che come tutti i paradossi ribalta la percezione comune della realtà e permette di coglierne aspetti nuovi e inattesi.
 
Molti medici ci tengono a spiegare ai pazienti come sono arrivati a una certa diagnosi e perché ritengono adatta una certa terapia; il paziente - che medico non è - capisce poco della spiegazione, se non nulla, per quanto il medico si sforzi di contemperare la semplicità del linguaggio con la precisione dei contenuti; ma non importa ciò che il paziente capisce, perché è il gesto che ha valore e va apprezzato; il medico non vuole apparire come uno stregone, e pur sapendo che il paziente non lo percepisce come tale, ci tiene comunque a giustificare la sua opinione - nella misura del possibile - anche se non ne ha bisogno, perché nessuno è realmente interessato a conoscerla, ma ha solo desiderio di guarire.
 
Se però provate a chiedere spiegazioni a un perito filatelico - che nessuno sa dire secondo quali standard svolga il suo lavoro, né se lo svolga realmente o se si limiti a stilare certificati senza neppure guardare ciò che firma - con tutta probabilità lo vedrete accigliarsi, perché voi gli avete chiesto un'opinione, lui ve l'ha messa per iscritto e non si sa cosa possiate ancora pretendere.

Come se il certificato in sé dimostrasse già tutto, come se una sentenza equivalesse alla sua motivazione.

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