LA CULTURA DI GIULIO BOLAFFI - Concepire la filatelia


Giulio Bolaffi aveva modi e atteggiamenti "molto rigidi" verso la filatelia, "soprattutto nei confronti della qualità". Giulio Bolaffi ben conosceva le due anime del collezionismo filatelico, le due ruote motrici, i due volani: la grande qualità e la grande rarità. Sapeva bene che tutto il resto - tutto l'infinito resto tra le due colonne portanti - era destinato a muoversi per inerzia, al rimorchio delle due forze principali, a brillare di luce riflessa, sulla scia delle due stelle polari.

Giulio Bolaffi era "un esteta purosangue" - con l'immagine di Luigi Raybaudi (p. 97) - e aveva scelto di sorvegliare e tutelare il presidio strategico della qualità, delegando ad altri - anche all'interno della stessa Bolaffi - il compito di gestire la sterminata terra di mezzo.

La scelta ideologica aveva pesanti ricadute sulla conduzione degli affari aziendali. Obbligava a rivolgersi a "una clientela molto ristretta", con una spiccata propensione a spendere cifre importanti - perché la qualità costa - e disponibilità economiche sufficienti per assecondare quell'attitudine. Con ogni probabilità, immagino, il business batteva un ritmo lento, compassato, perché i passaggi di mano della grande qualità avvengono fisiologicamente su orizzonti temporali lunghi, o comunque non troppo brevi. Pure - e qui ce lo dice Alberto Bolaffi nella Prefazione al volumetto "Capolavori Filatelici della Collezione Pedemonte" - la scelta imprenditoriale imponeva di agire "in netta contrapposizione a quanto è generalmente la norma nel commercio antiquariale". Bisognava rinunciare "al facile guadagno quasi sempre sinonimo di facile qualità", per "anteporre a ogni decisione la costante pregiudiziale della ricerca della bellezza assoluta" e di conseguenza prepararsi - psicologicamente e economicamente - a "pazienti e lunghe attese che saranno coronate dal successo solo se non disgiunte da un chiaro e granitico credo professionale e da quei sacrifici finanziari che richiede l'investimento nei grandi capolavori dietro la cui acquisizione non si cela mai la cosiddetta 'occasione'".

Questo giro d'affari era obiettivamente sui generis, fuori dagli schemi. Un sottile fil rouge legava profitti e sostenibilità a un nome preciso, carico di storia, reputazione e credibilità, il nome di Giulio Bolaffi. Alberto sarebbe stato capace di raccogliere il testimone di Giulio? Il figlio possedeva l'ascendente, il carisma e l'autorevolezza del padre? Sarebbe bello poter interpellare il diretto interessato, ma in mancanza mi sento di azzardare una risposta netta, precisa. La risposta è "no", un secco e deciso "no", Alberto Bolaffi sapeva di non avere lo stigma di suo padre Giulio.

Alberto Bolaffi senior - il padre di Giulio, il nonno di Alberto jr. - "si illuminava con chiunque mostrasse interesse per i suoi preziosi francobolli" (p. 41), una tara genetica amplificata nel figlio Giulio, "l'uomo più felice del mondo quando si immergeva nei francobolli" (p. 86), da cui Alberto risultò invece immune. Alberto non voleva commerciare in francobolli, su Alberto non funzionò l'adorcismo della passione filatelica. Alberto aveva altri progetti, voleva laurearsi e fare il pilota d'aereo. Non riuscì nel primo intento, "malgrado i non pochi esami dati", con un dispiacere accresciuto dal fatto che - laureati - "in famiglia lo erano e lo sono tutti"; e poi rinunciò con dolore al secondo, al posto di allievo ufficiale pilota di complemento, "che avevo vinto" (pp. 15-16). Più tardi, in occasione della manifestazione filatelica "Sicilia 2009", dirà che l'esperienza in azienda gli dischiuse "nuovi vasti orizzonti, capaci di compensare quelli che avrei potuto osservare dal cockpit di un aeroplano", una bella metafora, sicuramente, in cui si avverte però un retrogusto amaro, perché i sogni non ammettono sostituiti perfetti, ma solo blandi surrogati.

Alberto Bolaffi sapeva di non essere Giulio Bolaffi, di non poter reggere il tipo di business ideato dal padre, e questa sua consapevolezza lo spinse "a fare delle considerazioni" sugli atteggiamenti più efficaci da tenere davanti ai "mutamenti di una società in evoluzione", sulle modifiche da apportare all'imprinting della Bolaffi, che doveva sì continuare a essere "l'azienda che lui aveva ereditato e che aveva consolidato e sviluppato", ma doveva anche poter esistere dopo, quando lui, Giulio Bolaffi, non ci sarebbe più stato.

Giulio Bolaffi prende congedo il 28 ottobre 1987, e all'inizio degli anni '90 la "Bolaffi Spa" entra nel mercato delle aste filateliche, un settore nuovo, in cui l'azienda non si era mai direttamente esposta col proprio nome.

Le "Aste Bolaffi" conservano l'originario stile (di Giulio) Bolaffi, per almeno un decennio. Memorabile la vendita all'incanto della "Collezione Pedemonte" di Ercole Lanfranchi, il collezionista che più di ogni altro si compenetrò nello spirito di Giulio Bolaffi (pp. 21-22). In diverse tornate sono dispersi gli Antichi Stati dello stock privato di Giulio Bolaffi, i cosiddetti francobolli della sorella, che li aveva ereditati. Celeberrima la vendita del 26-27 novembre 1999, con numerosi pezzi di "Toscana" di qualità insuperabile.

Le aste, tuttavia, non sono semplicemente un modo alternativo di commerciare in francobolli. Le aste sono un altro mondo, per i personaggi che le popolano, i loro usi e i costumi, i rischi e le probabilità a cui sono esposti i frequentatori. Le aste sono vendite all'ingrosso spersonalizzate, in cui il banditore, a differenza del mercante, non guadagna più sulla differenza di prezzi in acquisto e vendita, ma sulle commissioni percepite sui volumi intermediati. La profonda diversità della fonte di reddito stravolge la natura degli affari. Cambiano la struttura degli incentivi, le relazioni di clientela, l'organizzazione aziendale e il timing del business.

La Bolaffi oggi non esiste più, se pensiamo all'azienda "che lui aveva ereditato e che aveva consolidato". Si chiama ancora Bolaffi, ma di (Giulio) Bolaffi non ha più nulla, non fosse altro per la dilatazione del perimetro di attività. "Il Novecento, con il suo rapidissimo progresso tecnologico, ha prodotto una quantità smisurata di oggetti collezionabili e collezionati" - nota Alberto Bolaffi, in una intervista a "La Stampa" - e la Bolaffi ne ha seguito, promosso e assecondato lo sviluppo. Non più solo francobolli, come ai tempi di Giulio Bolaffi, ma anche monete, banconote e medaglie, arredi e dipinti, arte moderna, autografi e memorabilia, auto e modo, design e fotografia, gioielli, libri e manoscritti, orologi e decorazioni, poster, vini e distillati. La quarta generazione dei Bolaffi trova normale - sino ad auspicare - una separazione tra proprietà e management, tra chi possiede l'azienda e chi l'amministra, la Bolaffi di proprietà della famiglia Bolaffi (e neanche necessariamente per intero), ma operativamente condotta da un "non-Bolaffi", per dirlo in modo semplice. La quarta generazione valuta possibili aggregazioni e fusioni con altri operatori di settore e, in proiezione, vede il 50% complessivo del fatturato provenire dall'estero. Parola di Giulio Filippo Bolaffi, che di Giulio Bolaffi conserva solo nome e cognome.


Questa ricostruzione delle vicende della Bolaffi dà intanto una prima, sommessa indicazione ai commercianti di oggi. Costruitevi un'immagine, una personalità, uno stile, che siano ben percepibili all'esterno. Rendetevi riconoscibili per quel che siete, per ciò che sapete fare meglio. Non illudetevi di poter servire tutti, di poter smerciare tutto, se non volete diventare la versione filatelica di Mastro Don Gesualdo. Come fatturerete il vostro primo milione di euro? Vendendo un solo francobollo da un milione di euro o un milione di francobolli da un euro l'uno? Inviterete a cena i vostri clienti o gli fareste pagare le spese di spedizione dei loro acquisti? Cosa manderete al ricevimento di una manifestazione di interesse, il vostro codice IBAN o i francobolli in visione? Come descriverete le vostre proposte di vendita, con gli aggettivi o i sostantivi? Avrete clienti o amici? Questi sono gli estremi dello spettro delle vostre possibilità. Collocatevi in un punto preciso, o almeno in un intorno non troppo ampio, nel vostro stesso, primario interesse.

E noi collezionisti cominciamo col dare il buon esempio. Smettiamola di vagabondare da un venditore all'altro, di ballonzolare da un'asta all'altra, di spaziare dalle vette delle case filateliche internazionali alle profondità delle piattaforme virtuali, nel patetico tentativo di acquisire sottocosto chissà quali prelibatezze. Scegliamo il nostro professionista di riferimento, il nostro consulente filatelico, proprio come abbiamo scelto il nostro architetto, il nostro commercialista, il nostro dentista, il nostro notaio, per riprende un'antico slogan della Bolaffi. O pensiamo forse che la nostra passione filatelica sia meno rilevante, e richieda meno accortezze, di tutte queste importanti attività? Troviamo la figura professionale a noi più consona, ricerchiamo l'operatore con cui sentirci in sintonia, non solo per tipologia di materiale da collezionare, ma anche per linea di condotta e modi di fare. Coinvolgiamolo in ogni nostra acquisizione, chiedendo almeno il suo parere, quando siamo proprio obbligati a rivolgerci a qualcun altro. Ogni bottone ha la sua asola e nessun collezionista è più grande del commerciante da cui si serve.

Giulio Bolaffi aveva scelto di dedicarsi alla qualità, di selezionare e far crescere una clientela da educare alla qualità. Giulio Bolaffi era la sentinella, il guardiano della qualità, e con la qualità non si scende a patti, non si firmano armistizi, non si stipulano compromessi.

Qualità o morte, come ci racconta il prossimo episodio.

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