EPILOGO ICONOGRAFICO

Voglio coronare il mio tributo a Giulio Bolaffi in modo speculare all'apertura del libro, con un epilogo iconografico, un'immagine, un contrasto, che giudico fulminante.

Giulio Bolaffi - nel ricordo del nipote Giulio Filippo - aveva un "linguaggio spesso forbito, per non cadere nell'utilizzo di parole dalla quotidianità 'volgarizzate'" (p. 78). Giulio Bolaffi - immagino - aveva orrore delle frasi stereotipate e dei banali luoghi comuni: "non è bello ciò che bello, ma ciò che piace", "tutti i gusti son gusti", o magari "de gustibus non est disputandum", come se il latinorum fosse il fuoco purificatore della sciatteria colloquiale.

"La ricerca del bello assoluto in filatelia richiede eccezionali doti di cultura, sensibilità e conoscenza", leggiamo nella pubblicazione "Il Risorgimento italiano attraverso la storia della comunicazione", dell'Unione Filatelica Lombarda, dove è ripreso un articolo su Giulio Bolaffi pubblicato sulla rivista "Il Collezionista".

Giulio Bolaffi ben sapeva quanta "cultura, sensibilità e conoscenza" sono necessarie per  riconoscere il "bello assoluto in filatelia" e non esitava a firmarlo, quando lo trovava, per ghermirlo idealmente, per farlo suo per sempre, anche quando il bello aveva nominalmente poca importanza.

Giulio Bolaffi non firmò le lettere "Rothschild" e "Faruk", perché firmarle sarebbe stata la versione filatelica del disconoscimento del telescopio da parte di Galileo, ma appose la sua firma estesa su una modestissima coppia dell'esemplare da 1 grano del Regno di Napoli, che transitò poi per lo stock di Renato Mondolfo, per poi tornare nuovamente da Giulio Bolaffi per la redazione del certificato. "Per lui e per mio marito" - ricorda Elvira Mondolfo, moglie di Renato - "i francobolli dovevano essere ciò che per le donne sono i diamanti" (p. 94).

              








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